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La testimonianza de relato etesx parte nell’accertamento dei comportamenti contrari ai doveri coniugali, addebitabili secondo l’art. 151, comma 2, c.c. (nota a App. Ancona, Sentenza 19 settembre 2017, n. 1395

autore: G: Savi

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’incapacità ad assumere l’ufficio del testimone. - 3. L’alternativo apporto “informativo” della parte. - 4. La fattispecie. - 5. Il percorso motivo sostanziale e processuale fissato dalla Corte. - 6. La rilevanza probatoria del narrato testimoniale indiretto. - 7. Conclusioni.



1. Premessa





Questa pronuncia della Corte territoriale dorica si pone nel solco dell’orientamento giurisprudenziale in materia di addebito della separazione personale dei coniugi, con peculiare riguardo alla violazione dell’obbligo reciproco alla fedeltà.

Il paradigma motivo che ha portato all’epilogo decisorio sulla domanda di addebito, proposta nella specie dal marito, risultata fondata e, come tale, accolta con riforma del responso di prime cure – nonostante l’eccezione della moglie che opponeva l’anteriore situazione di crisi del rapporto matrimoniale –, risulta sviluppata con accortezza, toccando tutti i nodi salienti dell’accertamento, tra cui quello del riparto dell’onere probatorio ed analizzando peculiarmente le regole di valutazione della prova testimoniale c.d. de relato partium. I processi che hanno ad oggetto le relazioni familiari con frequenza prendono in esame fatti, circostanze, questioni, situazioni, che per loro natura si sviluppano nella sfera intima degli artefici del coniugio o dei familiari; cosicché, trattandosi di comportamenti che di norma non sono tenuti alla presenza di terzi, ovvero obiettivamente percepibili da questi, accade che lo sforzo probatorio della parte si sostanzi nella indicazione di quanti abbiano avuto cognizione degli accadimenti in conseguenza del narrato (in genere di carattere confidenziale se non intimo) della stessa parte, od al più, per aver in qualche misura percepito de visu vel auditu le vicissitudini del rapporto familiare. Il tema incarna perciò il conflitto tra l’esigenza di una obiettiva ricostruzione degli accadimenti salienti del rapporto e la ragionevole tutela delle posizioni di diritto delle parti, che non possono soffrire una eccessiva compressione del diritto di azione e di difesa. L’ordinamento processuale non individua quale tipo di conoscenza del fatto debba avere colui che viene chiamato a rendere la propria testimonianza1 . Come noto, lo stesso apparato normativo processuale pone un riparo lato, nel senso che la legge si limita a sancire quando la prova per testimoni è legalmente inefficace (alcuni profili del discrimine neppure si stagliano rigidamente), quindi, di per sé inammissibile (qualità di chi assume l’ufficio del testimone, oggetto della testimonianza in relazione al valore del rapporto sottostante, contenuto della testimonianza in rapporto alla prova per tabulas), senza curarsi del contrario. Si cura invece di stabilire che il giudice può fondare la propria decisione affidandosi (o non affidandosi) al narrato riferito dal testimone, secondo il suo libero convincimento. Parimenti noto che storicamente il divieto di testimoniare per inattendibilità presunta in relazione ai vincoli coniugali, familiari e parentali, in origine sancito dall’art. 247 codice di rito2 , poneva proprio l’eccezione “che la causa verta su questioni di stato, di separazione personale o relative a rapporti di famiglia”, con ciò segnalando che nonostante la relazione sociale di natura familiare tra la parte ed il testimone, la sua ammissione giustificata proprio dall’esigenza di ricostruire circostanze concernenti l’intimo della famiglia, difficilmente conosciute da terzi. In linea con tali opportuni richiami storici anche il severo confronto della nostra dottrina processual-civilistica, tra il favorevole avviso Chiovendiano (in sintonia con i cardini dell’oralità e dell’immediatezza del processo) e gli strenui oppositori di una prova basata sul ricordo del singolo; contrapposizione composta nel riconoscimento del mezzo di prova testimoniale quale necessità del processo affidata alla prudenza del giudice (il cui vaglio involge ovviamente anche gli elementi di sospetto).



2. L’incapacità ad assumere l’ufficio del testimone



Una premessa analitica per quanto necessariamente fugace, invero non può prescindere dal tema speculare dell’incapacità3 a testimoniare della parte, risolto dal vigente codice di rito con l’adozione del principio di incompatibilità tra la posizione di parte e quella di teste; in una parola, a tenore dell’art. 246 c.p.c., il testimone deve potersi qualificare in posizione di terzietà rispetto all’oggetto della lite, rinvenendo il legislatore (a differenza di altri ordinamenti pur non sovrapponibili) una contraddizione insanabile tra la funzione del testimone e la condizione di parte, anche “virtuale”; e tale contrapposizione, ben espressa dal risalente brocardo nemo testis in causa propria, individuata in base alla parzialità della fonte di provenienza, è configurata come “incapacità” all’assunzione delle responsabilità del c.d. ufficio di testimone; una tale soluzione sul terreno probatorio dei diritti ed interessi affermati in giudizio è reputata sviluppo logico del potere della parte in ordine alla prova e prima ancora dello stesso concetto di azione. Questo principio, fatto proprio dal nostro ordinamento processuale civile, che ha inteso escludere l’attestazione della verità di un fatto circostanziale per voce di quanti possono trarre utilità – diretta o riflessa – dalla formazione del giudicato sul merito, è stato anch’esso oggetto, a più riprese, di sindacato costituzionale, sollevato in riferimento dapprima agli artt. 3 e 24, poi anche agli artt. 111 e 117, comma 1, Cost. (quest’ultimo, nella parte in cui si porrebbe in contrasto con l’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), ma a differenza delle disposizioni di cui agli artt. 247 e 248 c.p.c., la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione4.

Seppur appare tutt’oggi ferma la posizione tradizionale riassunta5 , d’uopo richiamare il vivace dibattito dottrinale, occasionato anche da vicende processuali specifiche, che da tempo presenta voci volgenti al superamento dell’incapacità in parola6 ; l’argomento saliente di questa prospettazione che propende per il superamento dell’art. 246 codice di rito, si sostanzia nel rilievo secondo cui la fede che può riporsi sulla dichiarazione di chi narra fatti che gli sono noti dipende esclusivamente dalla dignità della coscienza individuale e non dalla qualità di terzo o di parte, stante anche la solennità del giudizio e la valutazione avveduta del giudice; mentre, d’altro canto, sono proprio le parti che frequentemente sono depositarie della compiuta e precisa cognizione dei fatti; si rimarca inoltre il connotato di sostanziale ipocrisia nell’affidamento riposto nel soggetto in posizione formale di terzietà rispetto a situazioni in cui questo “distacco” appare collidere con la concretezza delle umane cose e, comunque, rispetto alla natura stessa – fallibile – della narrazione testimoniale. Idealità di cui non sfuggono importanti basi filosofiche, che tuttavia non è in grado di escludere la bontà dell’argomento secondo cui (utilizzando le parole testuali della Corte delle leggi), “è del tutto razionale” che non si possa essere parte artefice del giudizio (o versare nella condizione di esserne partecipe potenziale per il ricorrere di un interesse alle sue sorti) ed al contempo testimoni del vero, rispetto al quadro circostanziale costituente l’oggetto dell’accertamento; ciò si dice, se proprio non si voglia considerare, si licet ancora secondo infingimento d’ipocrisia, la regola di esperienza per cui l’attendibilità del soggetto interessato alle sorti della lite stessa è comunque segnata in termini marcatamente dubitativi, nonostante la regola generale ex art. 116 c.p.c. del libero convincimento del giudice (principio che invero risulta espressamente derogato o, se si vuole, compresso, anche in altri istituti probatori, quale ad esempio per effetto del vincolo legale derivante dal prestato giuramento decisorio, di cui all’art. 2738 c.c., o dall’acquisita confessione, di cui all’art. 2733 c.c.) ed ancor prima, nonostante l’altra regola di esperienza secondo cui la veridicità di ogni testimonianza può comunque risultare imperscrutabile – cioè con utilizzo esattamente contrapposto dello stesso argomento – attesa l’impossibilità di una sua profonda verifica obiettiva7 .

In una parola, l’incompatibilità tra la parte (da intendersi per tale ogni persona avente nella causa un interesse che potrebbe legittimare la sua partecipazione al giudizio) e colui che viene chiamato a rendere testimonianza è immanente al sistema, che intende proprio evitare l’assunzione di una tale dichiarazione8 .



3. L’alternativo apporto “informativo” della parte



Le considerazioni che precedono conducono all’ulteriore rilievo per cui, lo stesso impalcato normativo, non di meno, consente al contempo l’utilizzo delle informazioni di cui le parti sono depositarie in forme radicalmente diverse da quelle della testimonianza, secondo istituti (interrogatorio libero, interrogatorio formale, giuramento decisorio e suppletorio) aventi ognuno una disciplina autonoma e conchiusa, nonché peculiari finalità ed effetti, tra loro non coincidenti9 . La verità dei fatti confessata10 e quella giurata11, secondo le sue forme di deferimento e riferimento, assume il peso di prova legale cui è connaturata proprio la provenienza dalla parte12. Anche l’interrogatorio libero13 (con le sue specificità contrapposte all’interrogatorio formale), è atto che consente al giudice di informarsi sui fatti di causa presso la parte – oltre i rigidi schemi delle allegazioni14 –, ed a quest’ultima di dichiararli liberamente.

A corollario confermativo dell’antitesi in discussione declinata al punto 2 (parte/testimone) v’è da considerare che il sistema risulta edificato sulle regole per cui soltanto il testimone è gravato dall’obbligo di comparire e di riferire la verità, sotto pena di importanti misure coercitive e sanzioni penali. Questo sommario excursus ci consente ora di sottolineare la singolare coincidenza di tali tematiche con i processi c.d. di famiglia, se solo si considera come i procedimenti speciali di separazione e divorzio sono disegnati, proprio al loro esordio (artt. 707 c.p.c., e 4, comma 7, l. div.), con la speciale previsione dell’audizione personale delle parti15. Paiono poi estremamente significative, al di là dell’adesione o meno alle tesi ed alla coerenza sistematica dei risultati, alcune evoluzioni giurisprudenziali in punto alla valenza che possono assumere le dichiarazioni rese dalla parte in sede di libero interrogatorio, che in qualche modo prospettano una sorta di equiparazione dei risultati dell’interrogatorio stesso a quelli di una vera e propria prova16. D’altronde, appare indubitabile la rilevanza probatoria di quanto dichiarato dalle parti nel corso del loro libero interrogatorio17, in contraddittorio personale tra loro – con facoltà dell’assistenza di difensore –, in ogni stato e grado, ex art. 117 c.p.c., nel momento in cui risulta diretto non solo a precisare ed a meglio svolgere le “ragioni di fatto” già espresse negli atti difensivi, ma anche a fornire al giudice “argomenti di prova” e, cioè, mezzi per verificare i fatti affermati e rilevanti in causa; in ciò distinguendosi da quelli desumibili dal “contegno delle parti stesse nel processo”, di cui all’art. 116, comma 2, c.p.c.18; pur s’intende senza mai confondere gli esiti uditi con tale strumento con la prova testimoniale (dovendosi escludere ogni aspetto di prova testimoniale per l’interrogatorio in parola) e neppure con la confessione frutto dell’interrogatorio formale; è il quadro d’insieme che rileva, tanto che i risultati del libero interrogatorio possono concorrere anche in chiave di logica valutazione critica delle c.d. fonti probatorie imparziali.



4. La fattispecie



La pronuncia in disamina segue uno schema logico di ricerca della causa produttiva dell’intollerabilità alla prosecuzione della convivenza matrimoniale, per violazione del dovere di fedeltà, obiettivamente persuasivo, conformandosi all’orientamento giurisprudenziale in tema di declaratoria di addebito. Il marito, con il proprio ricorso, proposto in tempi fisiologicamente prossimi agli eventi allegati, lamentava di aver scoperto una pluralità di relazioni affettive e sessuali, poste in essere dalla moglie, ricercate attraverso siti internet di incontri, cui seguivano reali appuntamenti, culminati in rapporti carnali, in varie città italiane, in strutture ricettive od in casa dei partners così conosciuti; città lontane dalla residenza familiare ove la stessa coniuge si recava, dichiarando il fine volto alla ricerca di una occupazione lavorativa, viaggiando e soggiornando peraltro con l’unica risorsa reddituale derivante dal lavoro dipendente del marito stesso; inoltre, l’auspicio di un impegno lavorativo della donna corrispondeva al sentire che accomunava il progetto di vita dei coniugi, al fine di dare alla famiglia una serenità economica; in sostanza, l’aspetto menzognero e le condotte marcatamente sleali, così complessivamente emerse, in coincidenza peraltro con altri comportamenti contestuali, univocamente significativi, comportavano la radicale lacerazione dell’affectio coniugalis, tanto che l’uomo era finito per manifestare anche sintomatologie di connotato depressivo. La moglie, dal canto suo, proponendo anch’essa un proprio ricorso, dapprima negava di aver tenuto comportamenti fedifraghi, poi opponeva che il rapporto coniugale era già in crisi per l’asserito dissenso sull’indirizzo della vita familiare, a causa del rifiuto che il marito avrebbe frapposto alla procreazione, maternità da lei fortemente desiderata, nonostante il mancato reperimento della propria sistemazione lavorativa, che peraltro non negava di ricercare da tempo, in piena sintonia con il marito quanto all’esigenza familiare da questi rappresentata. La prova del plurimo adulterio e comunque della costante ricerca di affetti estranei all’unione, riscontrava esito positivo, emergendo chiaramente sia attraverso documenti che per testimonianza diretta di alcuni degli amanti. Per contro, la prova dell’eccezione proposta dalla moglie (antecedenza della crisi del rapporto matrimoniale) risultava affidata alla testimonianza della propria madre e del fratello, non conviventi, che riferivano quanto appreso dalla stessa parte in giudizio, mentre per le circostanze conosciute direttamente, le deposizioni risultavano generiche od inattendibili, siccome anche in contrasto con altri elementi sia documentali che orali, quali la testimonianza di comuni amici ed altri familiari che riferivano per conoscenza diretta ed alcune contraddittorie affermazioni (in particolare sull’iniziale negazione dei tradimenti), anche epistolari, della medesima coniuge; all’esito dell’assunzione degli ex amanti, quest’ultima invocava anche il deposto testimoniale di uno di essi, nel momento in cui aveva riferito quanto appreso dalla voce della stessa B. durante gli incontri.



5. Il percorso motivo sostanziale e processuale fissato dalla Corte



Le regulae iuris applicate prendono le mosse dal principio, solidamente reiterato in sede di legittimità, secondo cui la violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale19, quale causa produttiva dell’intollerabilità della convivenza, rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile20; difatti ed in sostanza, la regola generale impone al coniuge che invochi la declaratoria di addebito della separazione siccome ascrivibile alla condotta dell’altro coniuge, ai sensi dell’art. 151, comma 2, c.c., di gravarsi dell’onere di provare sia la contrarietà del comportamento di questi ad uno o più obblighi che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale dello stesso comportamento nel determinare la situazione di intollerabilità della convivenza21; ma ove la ragione dell’addebito sia costituita dall’inosservanza dell’obbligo di fedeltà22, l’onere della prova in ordine a questo secondo profilo può ritenersi assolto già con la prova stessa del comportamento posto in essere, siccome la prova del tradimento – coerentemente allegato – e dei suoi profili circostanziali è di per sé sufficiente, per la sua idoneità ad incidere radicalmente sull’affectio coniugalis, a far presumere il nesso eziologico tra la condotta e la rottura della comunione di vita matrimoniale23; cosicché la sentenza che in tali termini pronunzia l’addebito deve ritenersi anche idoneamente motivata24. Il principio trova d’altro canto corrispondenza nel fatto che la prova della “felicità” del rapporto affettivo di coppia sino alla scoperta dell’infedeltà, o, se si vuole, la prova che la prosecuzione della convivenza coniugale non fosse già in precedenza intollerabile, costituisce onere probatorio – ovviamente dei fatti, non di apprezzamenti e valutazioni – che nel concreto si profila di tutta evidenza quale classica ipotesi di c.d. probatio diabolica25(peraltro connotata in negativo). Questo schema logico consolidato26, lascia ad ogni modo aperta al coniuge raggiunto da una tale domanda di poter dimostrare, assolvendo all’onere probatorio che grava d’ordinario su chi eccepisce, secondo la regola generale ex art. 2697, comma 2, c.c., la mancanza di nesso causale tra la propria condotta e la crisi del rapporto coniugale; in particolare, ogni qual volta preesista una situazione familiare che nei fatti risulta gravemente disgregata, vale a dire che dovrà provare l’anteriorità della crisi matrimoniale, tendenzialmente irreversibile, rispetto all’accertata infedeltà. La rilevanza sostanziale dell’eccezione, ove appunto risulti provata, “scrimina” il comportamento fedifrago posto in essere quando il rapporto già risultava irrimediabilmente minato, in un contesto relazionale di coppia oramai caratterizzato da una convivenza meramente formale27. In sintesi, ricorre il significativo rilievo secondo cui, le condotte fedifraghe denunciate e provate risultano “scriminate” ogni qual volta costituiscano la conseguenza e non la causa dell’intollerabilità della convivenza. Meritano inoltre di essere evidenziati i corollari dell’accertamento di responsabilità così condotto, con particolare riferimento all’eccezione inerente la preesistenza di una situazione di crisi del rapporto; nella disamina della domanda di addebito e dell’eccezione in parola ricorre l’esigenza essenziale di una rigorosa analisi comparativa28 del comportamento di entrambi i coniugi, il che presuppone necessariamente una valutazione complessiva di tutte le circostanze di fatto e degli elementi probatori emersi, senza “scorciatoie”29; inoltre, la descritta frattura della comunanza di vita matrimoniale deve risultare di gravità tale per cui si palesi oramai irrimediabile30.

Scorrendo la prima motivazione della Corte dorica si coglie come il costrutto logico segua puntualmente i canoni appena riassunti.



6. La rilevanza probatoria del narrato testimoniale indiretto



Il tema che il caso sollecita con vivo interesse vede una summa divisio che porta a distinguere la testimonianza “de relato” da quella “de relato actoris”. Secondo un consolidato adagio giurisprudenziale, il principio di diritto, affermato in particolare dalla Corte di legittimità31 è giunto a noi nei seguenti termini: in tema di rilevanza probatoria della deposizione di quanti hanno solo una conoscenza indiretta di un fatto controverso (un racconto di “secondo grado”), occorre distinguere i testimoni de relato actoris da quelli de relato in senso proprio: i primi depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal medesimo soggetto che agisce in giudizio, cosicché la rilevanza della loro deposizione è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di uno degli antagonisti in contenzioso e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa. Invece, il testimone de relato, cioè di chi depone riferendo circostanze apprese da persone estranee al giudizio, riferisce sul fatto della dichiarazione di costoro32; la rilevanza di quanto narrato de relato si presenta attenuata perché indiretta, ma, ciononostante, può assumere rilievo ai fini del convincimento del giudice, nel concorso di altri elementi oggettivi e concordanti che ne possano suffragare (o smentire) la credibilità, primo fra tutti la consistenza di quanto effettivamente attestato. Cosicché, mentre alla deposizione su quanto riferito al testimone da una delle parti interessate all’esito del contenzioso non può riconoscersi valore probatorio, nell’ipotesi di circostanze riferite come apprese da estranei, il valore probatorio è comunque indiziario33, collocandosi la sua valutazione nell’alveo della prova per presunzioni34, come tale sensibile alle dinamiche processuali del contraddittorio in concreto instauratosi secondo le rispettive allegazioni, ed in particolare di quelle inerenti le contestazioni35 ed il loro livello di specificità e congruità logica, come quelle inerenti la vicinanza degli interessi36 ed i rapporti personali. Peraltro, numerose le precisazioni che si segnalano nel governo di tale delicata scelta decisoria, ad iniziare da quella inerente la testimonianza che abbia ad oggetto le dichiarazioni rese da una parte contro sé medesima, ammissioni che invero possono incarnare la prova di una confessione stragiudiziale37 (la quale, come noto, può essere dimostrata anche per testimoni, seppur nei limiti dettati dall’art. 2735, comma 2, c.c.). Sotto il profilo eminentemente rituale si impone la precisazione secondo cui in caso di testimonianza de relato non si verte in ordine all’ammissibilità o meno della deposizione, bensì in tema di valutazione della sua rilevanza, funzione e concludenza credibile38; e l’altra inerente la peculiare attenzione che l’ordinamento esige dal giudice nell’escussione del testimone, attribuendogli il potere-dovere di sondare con zelo l’attendibilità dei testimoni e di acquisire tutte le possibili informazioni (a chiarimento e verifica di ogni eventuale dissonanza e contraddizione, anche con altri elementi di prova raccolti), indispensabili per una giusta decisione39. In verità, questo quadro appena ripercorso, costituisce l’approdo della più recente giurisprudenza di legittimità; non sono mancati difatti segnali di confusione concettuale e dimostrativi di una certa sommarietà. Alcuni arresti segnalano l’obiettiva perplessità, intrinsecamente contenuta nella stessa distinzione delle due ipotesi di testimonianza de relato, che recente dottrina non ha mancato di segnalare40. Difatti, si assume in essi che anche la testimonianza de relato ex parte, possa assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive ad essa estrinseche (qualche massima contiene l’erroneo refuso di “intrinseche”) o da risultanze probatorie acquisite al processo, che concorrano a confortarne efficacemente la credibilità; assumendo perciò anch’essa il valore indiziario sopra descritto. In tal senso un certo numero di pronunce della Corte di legittimità41, in merito alle quali preme però evidenziare come risultino aver tratto occasione o da casi in cui la prova testimoniale da vagliare si stagliava unicamente come de relato ex parte, in assenza di confliggenti testimonianze, anche de relato da terzi estranei alla lite; oppure occasionati dalla presenza di elementi probatori dal significato contrastante; od ancora, in senso pianamente sovrapponibile agli altri elementi probatori acquisiti; ciò induce a dubitare dell’esatta consapevolezza dell’apparente contraddizione che si individua nell’insegnamento nomofilattico in parola (invero non ultimo), che risulta pertanto meritevole di prudente considerazione, tanto più che la recente giurisprudenza ha meglio approfondito e chiarito, come risulta negli arresti menzionati. L’irrilevanza probatoria può peraltro apparire conclusione “ruvida”, pur ad esempio se il narrato del testimone de relato ex parte risulti esattamente conforme a parte importante od addirittura a tutti gli altri elementi acquisiti, inducendo a seguire lo stesso criterio valutativo e decisorio adottato per la testimonianza de relato da estranei. Se il principio deve rispondere al criterio guida di assicurare l’esercizio e la tutela dei diritti – pur nel pieno rispetto dell’esigenza di adeguata valutazione del diverso spessore di affidabilità delle fonti di prova per la declaratoria di verità sui fatti controversi, secondo lo stesso canone guida del libero convincimento del giudice –, e se la regola di giudizio da ricavare per entrambe le species di testimonianza de relato non può in effetti ricondursi sul medesimo piano di valore, non rinvenendosi proprio la possibilità di equipararne la rilevanza, appare comunque ragionevole interrogarsi in questi termini: la conclusione è necessariamente quella di relegare la testimonianza de relato ex parte alla totale irrilevanza processuale, tanto da non meritare alcuna considerazione? In verità la Suprema Corte si esprime in termini di rilevanza probatoria “sostanzialmente nulla”42, non in termini di irrilevanza processuale. Ammesso che possa tradursi in termini di assoluta noncuranza, una tale conclusione può profilarsi anch’essa in sostantestimonianza de relato, che recente dottrina non ha mancato di segnalare40. Difatti, si assume in essi che anche la testimonianza de relato ex parte, possa assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da circostanze oggettive e soggettive ad essa estrinseche (qualche massima contiene l’erroneo refuso di “intrinseche”) o da risultanze probatorie acquisite al processo, che concorrano a confortarne efficacemente la credibilità; assumendo perciò anch’essa il valore indiziario sopra descritto. In tal senso un certo numero di pronunce della Corte di legittimità41, in merito alle quali preme però evidenziare come risultino aver tratto occasione o da casi in cui la prova testimoniale da vagliare si stagliava unicamente come de relato ex parte, in assenza di confliggenti testimonianze, anche de relato da terzi estranei alla lite; oppure occasionati dalla presenza di elementi probatori dal significato contrastante; od ancora, in senso pianamente sovrapponibile agli altri elementi probatori acquisiti; ciò induce a dubitare dell’esatta consapevolezza dell’apparente contraddizione che si individua nell’insegnamento nomofilattico in parola (invero non ultimo), che risulta pertanto meritevole di prudente considerazione, tanto più che la recente giurisprudenza ha meglio approfondito e chiarito, come risulta negli arresti menzionati. L’irrilevanza probatoria può peraltro apparire conclusione “ruvida”, pur ad esempio se il narrato del testimone de relato ex parte risulti esattamente conforme a parte importante od addirittura a tutti gli altri elementi acquisiti, inducendo a seguire lo stesso criterio valutativo e decisorio adottato per la testimonianza de relato da estranei. Se il principio deve rispondere al criterio guida di assicurare l’esercizio e la tutela dei diritti – pur nel pieno rispetto dell’esigenza di adeguata valutazione del diverso spessore di affidabilità delle fonti di prova per la declaratoria di verità sui fatti controversi, secondo lo stesso canone guida del libero convincimento del giudice –, e se la regola di giudizio da ricavare per entrambe le species di testimonianza de relato non può in effetti ricondursi sul medesimo piano di valore, non rinvenendosi proprio la possibilità di equipararne la rilevanza, appare comunque ragionevole interrogarsi in questi termini: la conclusione è necessariamente quella di relegare la testimonianza de relato ex parte alla totale irrilevanza processuale, tanto da non meritare alcuna considerazione? In verità la Suprema Corte si esprime in termini di rilevanza probatoria “sostanzialmente nulla”42, non in termini di irrilevanza processuale. Ammesso che possa tradursi in termini di assoluta noncuranza, una tale conclusione può profilarsi anch’essa in sostanmente l’attestazione di una cura motiva rafforzativa del convincimento decisorio raggiunto aliunde, è in primo luogo consono all’oggetto della statuizione ed ai valori che ad essa sono sottesi; si tratta infatti di dichiarare od escludere l’addebitabilità dell’infausta sorte di crisi dell’unione matrimoniale tra quel singolo uomo e quella singola donna, che ha visto prodursi l’intollerabilità dell’ulteriore protrarsi della convivenza, fondata sui comportamenti tenuti da ognuno ed in reciproco, in violazione di questo o quel dovere od obbligo, giuridicamente rilevante; abbiamo sopra evidenziato come l’obbligo reciproco alla fedeltà45 sia un accertamento che in sostanza ha ad oggetto la lealtà esercitata o meno dall’uno, dall’altro o da entrambi, cosicché prendere in considerazione ogni elemento allegato e disponibile appare intrinsecamente connaturato, esigibile persino in termini di ovvietà. È in questa ottica che la sentenza in commento considera minuziosamente le allegazioni proposte e le rispettive prove, cioè, partendo dalle allegazioni affermate e dalle contestazioni contrapposte, passando per le ammissioni esplicite e le mancate contestazioni, dal dato circostanziale emergente dai documenti a quello riferito dai testimoni, dagli elementi logici di confronto, concordanza e discordanza, poi a quelli presuntivi ed indiziari, sino al dato del comportamento processuale, confrontando il risultato di conoscenza che ogni elemento consente di trarre, senza mancare di attribuire il peso ed il grado di attendibilità propria di ognuna delle fonti; in tal modo, il convincimento di verità raggiunto risulta allora frutto di sforzo compiuto, per aver comunque considerato anche la diretta voce dei coniugi, come espressa in sede di audizione personale e prima ancora espressa verso i testimoni assunti o comunicata loro in via epistolare.



7. Conclusioni



Tirando le somme di queste riflessioni occasionate dal caso in commento, la sintesi è in primo luogo quella secondo cui tutti gli elementi di conoscenza dei fatti e delle circostanze che hanno dato causa alla crisi del rapporto matrimoniale, acquisite nel corso del giudizio, meritano considerazione, secondo il criterio per cui è il quadro d’insieme che guida la dinamica della valutazione decisoria, in un equilibrio di concludenza, affidabilità, confronto, prevalenza, delle fonti di convincimento; cosicché anche le fonti che hanno un valore probatorio sostanzialmente nullo, possono risultare comunque di una qualche utilità secondaria nella formazione del complessivo costrutto logico. Il momento di maggiore difficoltà è proprio la declinazione di questo equilibrio che sorregge il dovere decisorio. Difatti, affidarsi ad automatismi valutativi, diciamo maggiormente “sbrigativi”, che escludano a priori la rilevanza di questo o quell’elemento probatorio, comunque emerso, può in sostanza costituire segno di inadeguatezza, se non una potenziale insidia, il che è comunque meritevole di essere segnalato; ma certo davvero grave risulterebbe, all’opposto, quella valutazione che trascuri le regole fondamentali di esperienza, fissate dal nostro ordinamento positivo, secondo il consolidato diritto vivente. La chiosa ultima è quindi, ancora una volta, in direzione dell’impegno di Giustizia, che deve mostrare accuratezza sia formale che sostanziale e, prima ancora, di non temere alcun confronto o verifica, elevando anche per tale via l’autorevolezza obiettiva dei giudicati

NOTE

1 Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, II, Torino, 2012, 290; Crevani, La prova testimoniale, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, in Trattato dir. civ. comm. CiCu, MeSSineo, MenGoni, SChleSinGer, Milano, 2012, 273; CoMoGlio, Le prove civili, Torino, 2010, 571; dittriCh, I limiti soggettivi della prova testimoniale, Milano, 2000; patti, Prova testimoniale, in Casi e questioni di diritto privato, diretto da BeSSone, XIV, Milano, 1997, 114; dondi, Prova testimoniale nel processo civile, in Dig. civ., XVI, Torino, 1996, 40; laudiSa, Prova testimoniale (dir. proc. civ.), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1991, XXV, 6; taruffo, Prova testimoniale (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XXXVII, Milano, 1988, 729; MarzoCChi, La prova testimoniale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 410; Cordopatri, Testimonianza e prova nel processo civile, in Riv. dir. civ., 1973, II, 437; andrioli, Prova testimoniale (dir. proc. civ.), in Novissimo Dig. it., XIV, Torino, 1967, 329; Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, Milano, 1962; riCCi, Legittimazione alla testimonianza e legittimazione all’intervento, in Riv. dir. proc., 1960, 323; Carnelutti, La prova civile, Roma, 1947, ristampa, Milano, 1992, 111.

2 Dichiarato incostituzionale per violazione dell’art. 24 Cost., con sentenza della Corte delle leggi 23 luglio 1974 n. 248, in Riv. dir. proc., 1975, 99, con nota di Saletti, La decisione di incostituzionalità dell’art. 247 cod. proc. civ.: prospettive e problemi; MonteSano, L’interrogatorio libero dei “terzi interessati” dopo la sentenza costituzionale n. 248 del 1974, ivi, 1975, 222; CoMoGlio, Incapacità e divieti di testimonianza nella prospettiva costituzionale, ivi, 1976, 41; questo il tratto argomentativo essenziale: l’art. 247 c.p.c. contrasta con l’art. 24 Cost. in quanto pur ammettendo il codice di rito il mezzo di prova per testimoni in via generale, il divieto di testimoniare che tale norma rivolge al coniuge, ai parenti, agli affini ed affiliati, discrimina la loro capacità a testimoniare unicamente in virtù di una aprioristica valutazione negativa della possibile fonte di prova, attinente invero la credibilità di chi è legato alla parte da vincoli familiari, senza alcun riferimento all’oggetto specifico del giudizio od alla rilevanza degli interessi in gioco, limitando così ingiustificatamente il diritto alla prova, che è nucleo essenziale del diritto di difesa. La stessa declaratoria di illegittimità costituzionale è stata fermamente criticata da dittriCh, I limiti soggettivi della prova testimoniale, cit., 105, che ragionevolmente coglie diversi punti critici, tra cui quello saliente, esattamente contrario al fine prefisso, di evidente affievolimento dell’attendibilità resa dal testimone-congiunto, quale conseguenza pregiudizievole di un eccesso di zelo, come un “sacrificio all’idolo del diritto alla prova”; cfr. anche i rilievi ponderati di proto piSani, Chiose sul diritto alla prova nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Foro it., 2008, V, 81; da segnalare in evidente sintonia con questa indicazione di “minata” attendibilità del deposto dei parenti (ai congiunti sono sostanzialmente equiparate le persone aventi un interesse di mero fatto ad un certo esito della controversia), alcuni arresti della giurisprudenza di legittimità, quale ad esempio, Cass., sez. II, 30 agosto 2004 n. 17384, in banca dati Pluris; seppur tali depositi non possano mai valutarsi aprioristicamente, però la credibilità vede comunque l’esigenza di un vaglio concreto con ogni altro utile elemento probatorio; la questione riaffiora anche nei precedenti di riferimento citati in questo scritto.

3 In dottrina si segnala l’opinione che reputa la distinzione tra incapacità a testimoniare (art. 246 c.p.c.) e divieto di testimoniare (originario art. 247), di scarsa chiarezza concettuale, preferendo accomunare le ipotesi come “difetto di legittimazione a deporre”; cfr., per tutti, Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, cit., 299.

4 Cfr. la stessa sentenza cit. in nota 2, nonché l’univoco avviso – di infondatezza o inammissibilità – mantenuto nel tempo, rinvenibile in Corte Cost. 4 giugno 1975 n. 139, in Foro it., 1975, I, 2393; Id., 15 dicembre 1980 n. 164, ivi, 1981, I, 292, con notazione di andrioli, Un’occasione mancata; Id., 24 febbraio 1995 n. 62, ivi, 1996, I, 83, ed in Giur. it., 1995, I, 1, 574, con nota di doMiniCi, Il regime di comunione dei beni riespande il divieto di testimoniare del coniuge; Id., 28 marzo 1997 n. 75, in Giur. it., 1997, I, 384, con nota di tonolli, In margine alla riaffermata legittimità costituzionale della norma sulla incapacità a testimoniare del legale rappresentante di enti; Id., 8 maggio 2009 n. 143, in Riv. dir. proc., 2010, 409, con nota di dittriCh, La Corte Costituzionale salva nuovamente l’incapacità a testimoniare delle parti attuali e di quelle potenziali. Opportuno ricordare l’incapacità del difensore della parte, che al contempo non può assumere l’ufficio del testimone; cfr., S. Satta, Commentario al c.p.c., Milano, 1960, II, 1, 261, secondo cui, “chiunque partecipa al processo in una posizione tipica, qualunque essa sia, svolge una funzione alla quale deve restare fedele e non può assumerne un’altra senza necessariamente contraddire alla prima”; v. anche, MonteSano, arieta, Trattato dir. proc. civ., Padova, 2001, I, 2, 1315, che testualmente indica: il difensore, “quale rappresentante processuale della parte e fino a che sussista tale qualità, è soggetto agli stessi limiti ai quali è sottoposta la parte”. In giurisprudenza, da ultimo, Cass., sez. VI-1, 6 dicembre 2017 n. 29301, in Giur. it., 2018, 867, con nota di pariSi, Sulla compatibilità del difensore (non più tale) con l’ufficio del testimone. Per le significative differenze con l’ordinamento processuale penale, v. Corte Cost. 30 novembre 1971 n. 190, in Riv. dir. proc., 1972, 156, con note di viGoriti, La testimonianza della parte nel processo penale e in quello civile: un’antinomia da eliminare, e Cappelletti, La testimonianza della parte davanti alla Corte Costituzionale. Sul versante penale, cfr. anche doSi, La prova testimoniale, Milano 1974; BarBaGallo, La prova testimoniale nei procedimenti civili e penali: diritto e metodologia probatoria, Milano, 2006. Opportuno il richiamo del codice di rito previgente del 1865, che all’art. 236, così statuiva: “Non possono essere sentiti come testimoni i parenti e gli affini in linea retta di una delle parti, o il coniuge, ancorché separato, salvo nelle quistioni di stato o di separazione personale tra coniugi; e quando siano sentiti non si ha riguardo alla loro deposizione. I minori di anni quattordici possono essere sentiti senza giuramento, e per semplice schiarimento”. Proseguiva l’art. 237: “Le parti sono sempre in diritto di proporre i motivi che possono rendere sospetta la deposizione del testimone: questi motivi devono essere dedotti a prova in modo specifico. Quando i motivi di sospetto non siano fondati sopra uno scritto, l’autorità giudiziaria non può ammettere la prova per mezzo di testimoni, se non concorrano circostanze gravi, precise, e concordanti. Se il motivo di sospetto sia proposto prima che sia compiuto l’esame del testimone cui si riferisce, il giudice può richiedere al medesimo gli opportuni schiarimenti. In ogni caso il testimone allegato a sospetto deve essere esaminato, salvo all’autorità giudiziaria di apprezzare, come di ragione, la deposizione di lui”. Più in generale, ricorrente è il rilievo di un certo disfavore di fondo del legislatore verso il mezzo di prova (cfr., ad esempio, Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, cit., 233; jeMolo, Limiti di valore nella prova per testi, in Riv. dir. civ., 1969, II, 471; lapertoSa, La prova testimoniale e il governo dell’istruttoria: un problema sempre attuale di compatibilità irrisolte, in Foro pad., 1990, II, 59), come il richiamo dell’influenza del retaggio della tradizione, del processo medioevale e di quello canonico; cfr., ad esempio, tra i molti scritti, aranGio ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli, 1984, 154; padoa SChioppa, Unus testis nullus testis: note sulla scomparsa di una regola processuale, in Studia ghisleriana, Pavia, VI, 1967, 334. De iure condendo, l’eventuale superamento del canone dettato nell’art. 246 c.p.c. dovrebbe condurre a nuova visione sistematica del processo civile; gli autori (v. anche le citazioni in nota 6) che in tale ottica, qualificata maggiormente dinamica, auspicano l’abbandono di “timori ed ipocrisie” (con rivisitazione delle forme di interrogatorio delle parti e di giuramento), d’altro canto riconoscono che a tanto non può non corrispondere una esaltazione della funzione giurisdizionale, in direzione di una discrezionalità davvero ampia; su una tale soluzione – contrastata – ad ogni modo pesano innumerevoli incertezze come anche in questo scritto emergono già a piene mani. Ponendo attenzione al diritto convenzionale, è emersa la prospettazione dell’esigenza di bilanciamento dell’eventuale conflitto con una posizione di diritto garantita in capo alla stessa parte ammessa a testimoniare, di rango sovraordinato; in tale ottica la risalente CEDU 27 ottobre 1993, Dombo Beheer B. V. c/o Paesi Bassi, Giur. it., 1996, I, 1, 153, con nota di tonolli, Il legale rappresentante di enti sarà teste ammissibile se lo esige il principio di parità delle armi; si assume così che la parte debba essere ammessa a testimoniare nel processo civile, ogni qual volta, in difetto di tanto, derivi una violazione dei diritti processuali dell’individuo, siccome tutelati ex art. 117, comma 1, Cost.; ma il percorso ermeneutico e la conclusione sono state confutate dalla nostra Corte Costituzionale: cfr. l’arresto 8 maggio 2009 n. 143, cit.; v. anche l’annotazione di dittriCh, La Corte Costituzionale salva nuovamente l’incapacità a testimoniare delle parti attuali e di quelle potenziali, sopra cit.

5 Agli altri scritti enumerati, appare significativo aggiungere la menzione del saggio di reSCiGno, Associazione non riconosciuta e capacità di testimoniare, in Riv. dir. civ., 1957, II, 157, tutt’oggi attualissimo nei suoi interrogativi di fondo, seppur con spiccata prospettiva sostanziale. Da ultimo, cfr., piSu, Della prova testimoniale, artt. 2721-2726, in Commentario cod. civ. SChleSinGer, BuSnelli, Milano, 2018, 16.

6 Oltre al richiamo degli scritti citt. in note precedenti, cfr. in particolare, Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell’oralità, Milano, 1962, passim; Crevani, La prova testimoniale, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, cit. in nota 1, 287; taruffo, Prova testimoniale, cit. in nota 1, 736, nonché l’anteriore, Il diritto alla prova nel processo civile, in Riv. dir. proc., 1984, 74; Querzola, La capacità a testimoniare tra diritto sostanziale e diritto processuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1998, 1393. In tale prospettiva, cfr. anche, CarBoni, In tema di incapacità a testimoniare del fallito, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 932; doMiniCi, Il regime di comunione legale riespande il divieto di testimoniare, cit.

7 Il rilievo è diffuso in dottrina, cfr. per tutti, Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, cit., II, 291-292. D’uopo richiamare anche la concezione stessa di “verità”, sulla quale la dottrina si è notevolmente spesa, spaziando dall’anelito assolutista alla concretezza della relatività basata sulla quantità e qualità delle informazioni di cui obiettivamente si dispone; cfr. in proposito, la recente sintesi di, taruffo, Carnelutti e la teoria della prova, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 399.

8 Da considerare come l’eventuale deposizione resa da persona incapace ad assumere l’ufficio del testimone è da intendersi affetta da nullità, ma trattasi di nullità relativa, soggetta come tale ad essere sanata, a tenore dell’art. 157, comma 2, c.p.c., ove l’eccezione non venga proposta subito, od al più tardi all’udienza successiva, da parte del procuratore eventualmente assente (Cass., sez. II, 23 novembre 2016 n. 23896, in banca dati Pluris; Cass., sez. lav., 19 agosto 2014 n. 18036, ivi; Cass., sez. III, 10 aprile 2012 n. 5643, ivi; Cass., sez. I, 3 aprile 2007 n. 8538, ivi), ovvero non riproposta ove sia intervenuta ordinanza istruttoria di rigetto della relativa eccezione (Cass., sez. un., 23 settembre 2013 n. 21670, in banca dati Juris; Cass., sez. II, 22 febbraio 1989 n. 1042, ivi). Sul tema, tra altri, cfr., auletta, Sulla sanatoria delle nullità relative alla prova testimoniale, in Giust. civ., 1999, 2067, in nota a Cass., sez. III, 18 dicembre 1998 n. 12687; Carpi, La prova testimoniale nel processo civile, in Diritto & Formazione, 2003, II, 301; ed anche della vedova, Capacità sopravvenuta ed attendibilità del testimone nel giudizio civile. Una disciplina “dispensabile”?, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 728, in nota a Cass., sez. III, 14 febbraio 2013 n. 3642.

9 Sono in sostanza ancora le parole della Corte delle leggi, rinvenibili nelle decisioni citt., in nota 4; cfr. in particolare, dittriCh, I limiti soggettivi della prova testimoniale, cit.; id., La Corte Costituzionale salva nuovamente l’incapacità a testimoniare delle parti attuali e di quelle potenziali, cit., 434.

10 SeGatti, La confessione, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, cit., 523; taruffo, Comm. al c.p.c., sub art. 117, a cura di Chiarloni, Bologna, 2011, 568; reali, L’interrogatorio delle parti nel processo civile, Bari, 2009, 230; ferri, Interrogatorio (dir. proc. civ.), in Enc. Giur. Treccani, XVII, Roma, 1989; laSerra, Interrogatorio (dir. proc. civ.), in Novissimo Dig. it., VIII, Torino, 1962, 914; furno, Accertamento convenzionale e confessione stragiudiziale, Firenze, 1948, ristampa, Milano, 1993.

11 GaMBia, I giuramenti, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, cit., 435; Balena, Giuramento, in Dig. civ., IX, Torino, 1993, 105; niColetti, Il giuramento della parte nell’attualità del processo civile, Rimini, 1982; laudiSa, Il ritiro della dichiarazione di verità, Padova, 1978; provinCiali, Giuramento decisorio, in Enc. Dir., XIX, Milano, 1970, 103.

12 Senza dimenticare che l’ammissibilità degli articoli dell’interrogatorio formale capitolati dalla parte che lo richiede, come del giuramento, trova il limite oggettivo dei fatti inerenti a diritti disponibili: cfr., per tutti, ConSolo, Codice di procedura civile, Milano, 2013, I, 2492.

13 Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, cit., I, 125, e II, 277; GaMBia, L’interrogatorio libero delle parti, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, cit., 385; taruffo, Comm. al c.p.c., sub art. 117, a cura di Chiarloni, cit., 568; reali, L’interrogatorio delle parti nel processo civile, cit., 230; fuoChi tinarelli, Interrogatorio libero e i poteri del giudice, in Il giudice e la prova, in Giur. merito, 2009, suppl. al n. 12, 9; GraSSo, Dei poteri del giudice, in Commentario del c.p.c., diretto da allorio, I, Torino, 1973, 1323; vaCCarella, Interrogatorio libero, in Enc. Dir., XXII, Milano, 1972, 383.

14 Cfr., a titolo esemplificativo, Cass., sez. lav., 2 luglio 2009 n. 15502, in Foro it., 2010, I, 942, ed in Giusto proc. civ., 2010, 219, con nota, parzialmente critica, di reali, L’interrogatorio libero tra discrezionalità del giudice e garanzie delle parti.

15 danovi, Procedimento e sentenza di divorzio, in Trattato dir. fam., diretto da Bonilini, Torino, 2016, III, 2607; id., Il processo di separazione e divorzio, in Trattato dir. civ. comm. CiCu, MeSSineo, MenGoni, SChleSinGer, Milano, 2015, 245; di iaSi, piCaroni, Procedimenti di separazione e di divorzio, in Trattato dir. fam., diretto da zatti, 1, II, Milano, 2011, 1886; toMMaSeo, in Bonilini, toMMaSeo, Lo scioglimento del matrimonio, art. 149 e l. 1° dicembre 1970 n. 898, in Commentario cod. civ. SChleSinGer, BuSnelli, Milano, 2010, 379; Cipriani, I processi di separazione e di divorzio, in Foro it., 2005, V, 140; la cortesia del lettore è inoltre rinviata a Savi, Audizioni personali ed ascolto del minore, in Avv. fam., 2015, 3/4, 36; id., Nonni e nipoti minorenni: dalla supplenza intrafamiliare al diritto a mantenere rapporti significativi, in Dir. fam. pers., 2015, 574.

16 Cfr., oltre quanto anticipato in nota 13, Cass., sez. II, 29 dicembre 2014 n. 27404, in banca dati Juris; Id., 31 ottobre 2014 n. 23284, ivi; Cass., sez. lav., 1° ottobre 2014 n. 20736, ivi; Cass., sez. II, 16 maggio 2006 n. 11403, ivi; Cass., sez. I, 2 aprile 2004 n. 6510, ivi; Cass., sez. III, 17 gennaio 2003 n. 607, ivi; Cass., sez. II, 26 maggio 2000 n. 7002, ivi; Cass., sez. I, 22 ottobre 1998 n. 10497, ivi; Cass., sez. lav., 10 aprile 1990 n. 3035, ivi; Cass., sez. II, 9 febbraio 1982 n. 775, ivi.

17 Cfr. opere citate in nota 13.

18 Il comportamento processuale della parte, come noto, può risultare l’unico elemento di prova idoneo a sorreggere validamente il convincimento dell’organo chiamato a dirimere il contenzioso, seppur indiziario: cfr., ad esempio, Cass., sez. I, 25 marzo 2015 n. 6025, in banca dati Juris; Id., 26 maggio 2016 n. 10933, ivi.

19 Merita un cenno l’odierna concezione sostanziale dell’obbligo matrimoniale in parola, come noto evolutosi dalla concezione della c.d. esclusività sessuale, a quella del miglior riferimento all’ampio concetto di lealtà, rispetto, dedizione personale, secondo la prospettiva del legame di coppia piuttosto che delle pulsioni individuali, imponendosi a queste ultime un sacrificio a soddisfazione di quanto esige l’affidamento nel progetto esistenziale di vita in comune; in punto, tra altri contributi, v., paradiSo, I rapporti personali tra coniugi. Artt. 143148, in Commentario cod. civ. SChleSinGer, BuSnelli, Milano, 2012, 59; ruSCello, I diritti e i doveri nascenti dal matrimonio, in Trattato dir. fam. zatti, Milano, 2011, I, 1028; SeSta, Codice della famiglia, Milano, 2009, I, 416, sub art. 86 c.c. (CaMpione), e 548, sub art. 143 c.c. (arCeri); a. finoCChiaro, M. finoCChiaro, Riforma del diritto di famiglia, III, Milano, 1979, 133; BuSnelli, Significato attuale del dovere di fedeltà coniugale, in Eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, Napoli, 1975, 281 ss.; cfr., anche i significativi arresti di, Cass., sez. I, 1° giugno 2012 n. 8862, in Foro it., 2012, I, 2037; Id., 11 agosto 2011 n. 17193, in Fam. dir., 2013, 777; Id., 11 giugno 2008 n. 15557, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1286, con nota di roMa, Fedeltà coniugale: nova et vetera nella giurisprudenza della cassazione, ed in Fam. pers. succ., 2009, 777, con nota di fantetti, La lesione della fiducia integra un’ipotesi di addebito della separazione; Id., 20 settembre 2007 n. 19450, in Foro it., 2007, I, 3388 (che evidenzia, ai fini della dichiarazione di addebito, l’esclusivo rilievo della oggettiva contrarietà del comportamento tenuto ai principi sui quali la Costituzione italiana fonda il matrimonio); Id., 10 maggio 2005 n. 9801, in Giust. civ., 2006, I, 93; Id., 7 settembre 1999 n. 9472, in Giur. it., 2000, 1165. Rilevante rispetto alla fattispecie affrontata dalla Corte dorica, l’arresto di merito su cui è calata l’attenzione conclusiva di Cass., sez. I, 16 aprile 2018 n. 9384 (in Fam. dir., 2018, 637, con nota di perrino, la rilevanza del tentato adulterio), secondo cui la scoperta del comportamento del coniuge dedito alla ricerca di relazioni extraconiugali sul web costituisce circostanza oggettivamente idonea a compromettere la fiducia dei coniugi ed a provocare l’insorgere della crisi del rapporto matrimoniale, situazione che priva di rilievo causale il successivo abbandono della coabitazione. In tema di infedeltà apparente, cfr. anche, Cass., sez. I, 12 aprile 2013 n. 8929, in Foro it., 2013, I, 1878, ed in Nuova giur. civ. comm., 2013, 938, con nota di olivero, C’è post per tua moglie: internet, infedeltà e addebito; indirizzo ribadito da Cass., sez. VI-1, 19 settembre 2017 n. 21657, in banca dati Pluris; per la giurisprudenza di merito, si segnalano, Trib. Roma 12 gennaio 2016 n. 456, in banca dati Juris; Trib. Busto Arsizio 5 febbraio 2010, ivi; Trib. Perugia 3 ottobre 1992, in Rass. giur. umbra, 1993, 281, con nota di zuddaS, Amore platonico e separazione tra coniugi con addebito; nonché la risalente, Trib. Firenze 27 gennaio 1964, in Riv. dir. matr., 1965, 584, contenente il noto tratto motivo per cui “il vincolo coniugale, nel nostro ambiente sociale, esige non soltanto l’effettiva fedeltà coniugale, ma anche l’apparenza di tale fedeltà”. Ancora da evidenziare come il dovere in questione risulta escluso negli altri modelli familiari istituiti con la l. 20 maggio 1976 n. 76; in proposito la cortesia del lettore è rinviata a Savi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, Perugia, 2016, 79 ss.; cfr. anche, olivero, Unioni civili e presunta licenza d’infedeltà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 213.

20 Cass., sez. VI-1, 19 febbraio 2018 n. 3923, in banca dati Pluris; Id., 23 giugno 2017 n. 15811, ivi; Cass., sez. I, 17 gennaio 2017 n. 977, ivi; Id., 25 maggio 2016 n. 10823, ivi; Cass., sez. VI-1, 14 agosto 2015 n. 16859, ivi; Id., 8 aprile 2015 n. 7057, ivi; Cass., sez. I, 17 gennaio 2014 n. 929, ivi; Id., 27 giugno 2013 n. 16270, ivi; Cass., sez. I, 14 febbraio 2012 n. 2059, precedente che si segnala come particolarmente significativo nel riordino sistematico delle questioni, in Foro it., 2012, I, 2434, con notazione di CaSaBuri, ed in Corr. giur., 2012, 645, con nota di de Marzo, Domanda di addebito e distribuzione degli oneri probatori; Id., 14 ottobre 2010 n. 21245, in banca dati Pluris; Id., 7 dicembre 2007 n. 25618, ivi; Id., 19 settembre 2006 n. 20256, in Fam. dir., 2007, 251, con nota di SCarano, Crisi coniugale e obbligo di fedeltà; Id., 12 giugno 2006 n. 13592, in banca dati Juris; Id., 12 aprile 2006 n. 8512, in Fam. dir., 2007, 249, con nota di SCarano, cit.

21 Il principio è risalente; tra altri arresti, cfr., Cass., sez. I, 18 settembre 2003 n. 13747, in banca dati Pluris; Id., 9 giugno 2000 n. 7859, in Fam. dir., 2000, 514; Id., 14 agosto 1997 n. 7630, in banca dati Pluris.

22 Invero, il canone viene declinato dalla giurisprudenza, secondo la stessa logica, anche in presenza della violazione di altri doveri od illeciti particolarmente rilevanti, tra i quali, a titolo esemplificativo, la violazione dell’obbligo di coabitazione cui il coniuge si sia sottratto senza giusta causa, allontanandosi dalla residenza familiare (cfr., in particolare, Cass., sez. I, 14 febbraio 2012 n. 2059, cit. in nota 20, ed anche, Id. 24 febbraio 2011 n. 4540, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 909, con nota di Maione, Allontanamento dalla casa coniugale, “giusta causa” e addebitabilità della separazione personale), o rispetto a comportamenti particolarmente riprovevoli, quali le aggressioni violente (cfr.: Cass., sez. VI-1, 22 marzo 2017 n. 7388, in banca dati Juris; Cass., sez. I, 14 aprile 2011 n. 8548, ivi; Id., 14 gennaio 2011 n. 817, in Dir. fam. pers., 2011, 1200; Id., 5 agosto 2004 n. 15101, in Foro it., 2005, I, 2993, con nota di CaSaBuri), che peraltro non esigono neppure la comparazione delle rispettive condotte (cfr., ad esempio, Cass., sez. VI-1, 19 febbraio 2018 n. 3923, in banca dati Juris). In ordine alla generale esigenza di una valutazione globale e di comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, cfr. tra gli altri precedenti, Cass., sez. I, 10 luglio 2013 n. 17089, in banca dati Pluris.

23 Invero, tale correlazione di causa-effetto emerge di norma in termini lineari; cfr. da ultimo, Cass., sez. VI-1, 26 settembre 2017 n. 22404, in banca dati Pluris.

24 Cfr., per la particolare valenza esemplificativa, Cass., sez. VI-1, 8 aprile 2015 n. 7057, cit.; Cass., sez. I, 17 gennaio 2014 n. 929, cit.; Id., 14 febbraio 2012 n. 2059, cit.

25 Significativa in tal senso, Cass., sez. I, 25 maggio 2016 n. 10823, cit.

26 Nonostante qualche arresto mostri un maggior rigore, ad esempio nell’e-

saltare il fattore temporale: cfr. in punto, Cass., sez. I, 25 maggio 2016 n. 10823, cit.; ovvero, richiamando l’esigenza di rinvenire comunque elementi di efficacia causale per l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza coniugale a fronte di particolari caratteristiche di crisi del rapporto, quale la risalente interruzione della convivenza: cfr., ad esempio, Cass., sez. VI-1, 20 settembre 2017 n. 21859, in banca dati Juris. Od ancora, rinvenendo nella comparazione della condotta fedifraga con le condizioni del contesto obiettivo (salute del coniuge fedele), argomento risolutivo: cfr., ancora ad esempio, Cass., sez. I, 29 gennaio 2014 n. 1893, in banca dati Pluris. Da rimarcare ad ogni buon conto, il ridetto allontanamento dal criterio che esige duplice prova specifica, della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio e dell’efficacia causale nella produzione della frattura del rapporto coniugale, rispetto a fattispecie che non possono qualificarsi connotate di particolare gravità: cfr., ad esempio, Cass., sez. I, 28 settembre 2001 n. 12130, in banca dati Pluris (fattispecie inerente l’inadempimento di una convenzione pre-matrimoniale e di esasperante proposizione di azioni giudiziarie connesse); cfr. anche, Id., 9 aprile 2015 n. 7132, in Foro it., 2015, I, 1520, con nota di CaSaBuri.

27 Cass., sez. I, 9 giugno 2000 n. 7859, cit.; Id., 18 settembre 2003 n. 13747, cit.; Id., 12 aprile 2006 n. 8512, cit.; Id., 7 dicembre 2007 n. 25618, cit.; Id., 20 aprile 2011 n. 9074, in banca dati Pluris; Id., 14 febbraio 2012 n. 2059 cit.; Id., 17 gennaio 2014 n. 929, cit.; Cass., sez. VI-1, 22 maggio 2014 n. 11439, in banca dati Pluris; Cass., sez. I, 15 luglio 2014 n. 16172, ivi; Id., 25 maggio 2016 n. 10823, cit.; Id. Cass., sez. VI-1, 23 giugno 2017 n. 15811, cit.

28 Esigenza che emerge in genere negli arresti menzionati; così, ex multis, cfr. ad esempio, Cass., sez. I, 10 luglio 2013 n. 17089, cit. in nota 22.

29 Ricorre una certa qual insofferenza dei giudici di merito nella materia familiare, frequentemente corretta dalla Corte di legittimità, attraverso precise indicazioni; numerosi gli esempi casistici recenti: oltre quelli in tema specifico (in quanto un certo metodo “sbrigativo” negli accertamenti richiesti dalla declaratoria di addebito si coglie maggiormente), rinvenibile come si è visto, tra altri, in Cass., sez. I, 14 febbraio 2012 n. 2059, cit., cfr., ad esempio, in tema di illecito risarcibile, Cass., sez. I, 10 maggio 2005 n. 9801, in Fam. dir., 2005, 365, con notazioni di SeSta e faCCi, nonché Cass., sez. I, 15 settembre 2011 n. 18853 e Cass., sez. VI-1, 17 gennaio 2012 n. 610, ivi, 2012, 251, con nota di faCCi, Il danno da adulterio arriva in cassazione; da ultimo, in tema di assegno divorzile, cfr., Cass., sez. un., 11 luglio 2018 n. 18287, in Riv. dir. priv., 2018, con nota di Savi, Riconoscimento e determinazione dell’assegno post-matrimoniale: il ritrovato equilibrio ermeneutico; id., Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei con-sorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, ivi, 2017, 599, scritto quest’ultimo ove la questione è rimarcata, mentre la soluzione di sistema apprestata dalle Sezioni Unite, tracciando il retto metodo decisorio ha posto rimedio alle incongruenze della svolta segnata nel maggio 2017. Ad ogni modo la statuizione in commento si segnala anch’essa per lo spessore di compiuta accuratezza.

30 Significativo sul punto risulta l’arresto di Cass., sez. I, 20 aprile 2011 n. 9074, cit., che fa parola di “un contesto di disgregazione della comunione spirituale e materiale, quale rispondente al dettato normativo ed al comune sentire, in una situazione stabilizzata di reciproca sostanziale autonomia di vita, non caratterizzata da affectio coniugalis”. Il criterio di una rigorosa valutazione globale, viene fatto discendere dal richiamo del canone secondo cui la mera sussistenza di una situazione di crisi coniugale in atto di per sé non giustifica un allentamento dei doveri nascenti dal matrimonio (cfr., le precisazioni rinvenibili in Cass., sez. I, 14 agosto 1997 n. 7630, cit.). Invero, le variabili delle dinamiche relazionali sono amplissime, come le vicende esistenziali sottostanti, cosicché non risulta sempre agevole, con riferimento al singolo caso concreto, tentarne una “catalogazione”; a titolo esemplificativo merita di essere segnalata la ricorrente ipotesi del coniuge non infedele che manifesti – s’intende dopo la scoperta dei fatti circostanziali – una qualche volontà riconciliativa, che però non ha esito; la Corte di legittimità non ha mancato di osservare come l’evenienza, tanto più ove la manifestazione di disponibilità ad una riconciliazione non sia corrisposta dal coniuge infedele, non elide la gravità del vulnus subito e quindi non può assumere valore ai fini dell’esclusione dell’efficienza causale dell’infedeltà in ordine alla crisi dell’unione familiare; in tali termini, tra altre, Cass., sez. VI-1, 27 giugno 2013 n. 16270, cit.; ancora, accade frequentemente, che i coniugi pur consapevoli dell’infedeltà prodottasi, si riconcilino salvando l’unione familiare, ma ristabilita la comunione materiale e spirituale, in prosieguo di tempo, si ripresenta nuova condotta fedifraga, violazione ritenuta dalla giurisprudenza valida causa di addebito, nonostante l’eventuale eccezione tesa ad affermare che la riconciliazione si sostanziasse soltanto sul piano formale; in punto significativa risulta Cass., sez. I, 19 luglio 2010 n. 16873, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 178, con nota di Maione, Separazione con addebito e riconciliazione solo “formale”; e Cass., sez. I, 30 luglio 1999 n. 8272, in banca dati Pluris. V., infine, in tale ottica, la vicenda affrontata dal Tribunale di Milano, con la sentenza 19 giugno 2017 n. 6831, in banca dati Juris, nel testo integrale, che consente di cogliere come l’eventuale compromissione definitiva del rapporto di coniugio si sviluppa secondo fasi progressive; questo importante rilievo induce a considerare come ci si possa trovare anche a fronte di situazione d’intollerabilità della convivenza consolidatasi progressivamente nel tempo, sino appunto a divenire irreversibile. Altra ipotesi ricorrente, che però coinvolge distinti piani sostanziali e processuali, è quella dei coniugi che pur in presenza di una causa efficiente dell’intollerabilità del protrarsi della convivenza matrimoniale originata dalla violazione dell’obbligo di fedeltà, definiscano consensualmente la loro separazione personale e le condizioni di tale status, sottoscrivendo il relativo ricorso, ma revocando successivamente il consenso avanti al presidente del Tribunale adito, anche semplicemente non comparendo personalmente per esprimere appunto l’accettazione della separazione personale per mero consenso – come detta il combinato disposto ex artt. 158, comma 1, c.c., e 711, comma 3, c.p.c. – o, secondo alcuni, sino a che non venga emesso il decreto di omologazione; anche in questo caso si ritiene che una tale evenienza – salva ovviamente l’ipotesi di riconciliazione con ripresa della comunione di vita – non incide sulla valenza della causa di addebito nel successivo giudizio di separazione personale giudiziale; cfr. sulla questione, Cass., sez. I, 24 agosto 1990 n. 8712, in Giust. civ., 1990, I, 2826, nonché, Cass., sez. I, 20 marzo 2008 n. 7540, in banca dati Pluris. Un tale ambito tematico è invero denso di spinosi interrogativi procedurali, sui quali v., Savi, La garanzia della difesa nel giudizio di divorzio a ricorso congiunto ed in quello di separazione consensuale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1503, ed in particolare 1528 ss.

31 Si cfr. in particolare, Cass., sez. III, 23 marzo 2017 n. 7414, in banca dati Pluris; Cass., sez. VI-1, 17 febbraio 2016 n. 3137, ivi; Cass., sez. I, 15 gennaio 2015 n. 569, ivi; Cass., sez. II, 26 aprile 2012 n. 6519, ivi; Cass., sez. lav., 10 gennaio 2011 n. 313, ivi; Cass., sez. II, 9 giugno 2009 n. 13263, ivi; Cass., sez. I, 3 aprile 2007 n. 8538, ivi.

32 D’uopo rilevare come proprio nell’ipotesi del testimone che deponga de relato nominando la sua fonte di riferimento estranea alle parti (perciò non quello che riferisce di quanto appreso dalla parte – incapace a testimoniare – e a questa favorevole), l’art. 257, comma 1, c.p.c., consente di approfondire la conoscenza dei fatti onde ottenere sul punto una testimonianza piena, attraverso l’escussione del testimone c.d. di riferimento; cfr., in ordine all’eventuale peso probatorio logico desumibile dalla mancata escussione del teste di riferimento, Cass., sez. lav., 19 gennaio 2017 n. 1320, in banca dati Pluris.

33 Sulla falsariga del valore probatorio dei documenti provenienti da terzi estranei alla lite; v., Cass., sez. III, 12 marzo 2008 n. 6620, in banca dati Pluris. 34 Utile richiamare il noto canone secondo cui in tema di prova per presun-

zioni semplici (che consente di desumere da un fatto noto il fatto ignoto, secondo connessione critica dettata dalle regole dell’esperienza e dotata di elevata valenza probabilistica), gli elementi assunti a fonte di prova non devono essere necessariamente più d’uno, prescrivendo l’art. 2729 c.c., la gravità e la precisione, mentre il requisito della “concordanza” inerisce all’eventuale concorso di più elementi presuntivi. Cfr., ex multis, Cass, sez. III, 30 gennaio 2014 n. 2082, in banca dati Juris; Cass., sez. II, 10 aprile 2013 n. 8781, ivi; Cass., sez. V, 29 luglio 2009 n. 17574, ivi; Cass., sez. I, 11 settembre 2007 n. 19088, ivi.

35 Cfr. Cass., sez. II I, 12 marzo 2008 n. 6620, cit.

36 Cfr. Cass., sez. VI-1, 17 febbraio 2016 n. 3137, cit.

37 Cfr. Cass., sez. lav, 19 gennaio 2017 n. 1320, cit.; Cass., sez. I, 3 aprile

2007 n. 8358, cit. Merita di essere evidenziato che in ciò si rinviene anche la risalente distinzione tra la testimonianza de relato partium favorevole alla stessa parte antagonista e quella ad essa contraria; potendo però solo quest’ultima costituire prova dell’intervenuta confessione stragiudiziale; in tal caso rileva, ma su ben altro piano probatorio.

38 Cfr., Cass., sez. lav., 10 gennaio 2011 n. 313, cit.; Cass., sez. III, 26 aprile 2004 n. 7926, in banca dati Pluris.

39 Cfr., a titolo esemplificativo, il caso emblematico descritto in Cass., sez. III, 24 settembre 2015 n. 18896, in banca dati Pluris.

40 Crevani, La prova testimoniale, in La prova nel processo civile, a cura di taruffo, cit., 287 ss.

41 Cass., sez. II, 24 giugno 2008 n. 17188, in banca dati Pluris; Cass., sez. III, 12 marzo 2008 n. 6620, ivi; Cass., sez. I, 19 maggio 2006 n. 11844, ivi; Id., 8 febbraio 2006 n. 2815, ivi; Cass., sez. lav., 6 novembre 1996 n. 9702, ivi; Cass., sez. III, 15 gennaio 1996 n. 269, ivi; Id., 8 febbraio 1991 n. 1328, ivi. D’uopo segnalare come il primo di questi arresti, esprima comunque il seguente testuale tratto motivo: “Riconosciuta, difatti la valenza probatoria minima della testimonianza de relato ex parte”.

42 Con la conseguenza prima, già evidenziata ed emergente praticamente in tutti gli arresti citati, come nella pronuncia in commento, secondo cui non può certo rinvenirsi nella stessa voce dell’uno o dell’altro coniuge, seppur mediata dalla testimonianza di quanti abbiano raccolto la notizia del fatto da tale fonte, la prova dell’addebito a carico dell’altro, ovvero la prova che all’interno della coppia era già maturata una situazione di intollerabilità grave ed irreversibile per il protrarsi della convivenza.

43 Come ben rilevato da Cass., sez. I, 8 febbraio 2006 n. 2815, cit.

44 Si pensi, oltre alla classica confidenza verso amici e parenti eventualmente alla ricerca di conforto e consiglio, all’ipotesi del coniuge che si sottopone a cicli di trattamento psico-terapeutico od altre cure di sostegno in qualche modo connesse a vicende relazionali, ad incapacità, impotenze e simili; il racconto del paziente viene in vario modo recepito dallo psicologo, dall’operatore sociale, dal sanitario medico e simili; non è neppure raro che tali cure e sostegni riguardino la “coppia” in unico contesto; accade con una certa frequenza anche il ricorso al consiglio informale presso l’autorità di pubblica sicurezza, ovvero al ministero religioso, magari invocati di una qualche iniziativa in chiave di conforto o di conciliazione, cosicché questi soggetti finiscono in vario modo per ricevere narrazioni confidenziali, sollecitazioni, ambasce e simili. Sono soltanto esempi, con la precisazione che frequentemente il testimone de relato actoris assomma su di sé anche la conoscenza diretta di questo o quell’elemento, magari appreso e riscontrato anche de relato da terzi, quali in primo luogo i familiari conviventi, il ceto parentale o le amicizie correnti, o comunque in similari rapporti relazionali, quali quelli che corrono in ambiti associativi o comunitari.

45 Oltre ai cenni in punto rinvenibili nelle note 19, 20 e 27 opportuna l’ulteriore considerazione secondo cui nella specie il Collegio di merito ha mantenuto ferma la tutela che deriva dall’applicazione del diritto positivo vigente, mostrando che non ricorrono spazi per interpretazioni abrogative del dovere di fedeltà, che nei fatti non può che svilire l’intrinseca natura, l’importanza ed il valore sociale dell’istituto matrimoniale (la cui affermazione si rinviene in primo luogo negli artt. 2, 3 e 29 Cost.), da tempo come “sotto assedio”, secondo una certa cantilena ideologica di “anacronismo”, nel tentativo di trasformarne i suoi connotati, peraltro lontano dalla sede propria, cioè quella legislativa. La cortesia del lettore è rinviata a quanto da ultimo considerato in termini attinenti, in Savi, Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei con-sorti alla verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?; e id., Riconoscimento e determinazione dell’assegno post-coniugale: il ritrovato equilibrio ermeneutico, scritti citati in nota 29.