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Non può essere revocata la sentenza civile passata in giudicato contrastante con una sopravvenuta pronuncia della corte EDU (nota a Corte Cost., sent. 27 aprile 2018, n. 93)

autore: F. Ferrandi

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il caso di specie. - 3. L’infondatezza della questione di legittimità sollevata e i precedenti della Corte Costituzionale sul punto. - 4. Conclusioni.



1. Premessa



La Consulta con la pronuncia n. 93 del 2018 in merito alla legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c., attesa l’asserita violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al parametro di cui all’art. 46, paragrafo 1, Cedu, per la mancata previsione dell’ipotesi di adeguamento a una sopravvenuta pronuncia della Corte EDU di segno contrario, tra i casi di revocazione delle sentenze civili nelle more passate in giudicato, ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata ribadendo, ancora una volta, la differenza tra processi penali e civili, in particolare per ciò che attiene alla necessità per questi ultimi di tutelare i terzi, aventi nel processo civile una posizione del tutto differente rispetto a quella delle vittime di reato nei procedimenti penali.



2. Il caso di specie



La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte di Appello di Venezia, sezione per i minorenni, degli artt. 395 e 396 c.p.c. nella parte in cui, non prevedendo tra i casi di revocazione della sentenza passata in giudicato quello in cui essa “si renda necessaria per consentire il riesame nel merito della sentenza impugnata per la necessità di uniformarsi alle statuizioni vincolanti rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo”, violerebbero l’art. 117, primo comma, Cost., relativamente a quanto disposto dell’art. 46, paragrafo 1, della Convenzione1 per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Con sentenza del 19 febbraio 2010 n. 98 il Tribunale per i minorenni di Venezia aveva dichiarato lo stato di adottabilità del minore A.T.Z. stabilendo l’interruzione dei rapporti con la famiglia naturale con conseguente nomina di un tutore. Tale decisione era stata appellata dalla madre del minore censurando la mancanza dei presupposti per la pronuncia sullo stato di adottabilità, nonché l’asserita mancata valutazione di una eventuale adozione non legittimante che avrebbe consentito alla stessa di mantenere un rapporto con il figlio. A fronte della conferma da parte della Corte di Appello di Venezia della sentenza di primo grado in merito alla dichiarazione di adottabilità del minore, la madre J.Z. ricorreva alla Corte europea per i diritti dell’uomo la quale, con sentenza del 21 gennaio 2014, divenuta definitiva il successivo 2 giugno 2014, condannava l’Italia al pagamento in favore della ricorrente della somma di euro 40.000,00 a titolo di indennizzo per il danno morale subito, in quanto nel rispetto dell’art. 8 della Convenzione, le autorità italiane, prima di disporre l’affidamento, avrebbero dovuto prevedere misure idonee a permettere al figlio minore di vivere con la madre e, in ogni caso, non avrebbero dovuto recidere il legame con la ricorrente con un’adozione legittimante. Il rimedio revocatorio, consentendo il riesame nel merito di una sentenza passata in giudicato pareva l’unico strumento impugnatorio capace di dare esecuzione alla pronuncia della Corte europea. A detta della madre, infatti, il diritto a mantenere un rapporto con il proprio figlio minore non poteva essere considerato di rango inferiore a quello della libertà personale, non sussistendo peraltro a suo dire la necessità di tutelare terzi in quanto i genitori adottivi non erano parti del procedimento di adottabilità. La Corte di Appello di Venezia, adita dalla madre J.Z. in revocazione della sentenza precedentemente emessa, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c. deducendo la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al parametro interposto di costituzionalità dell’art. 46, paragrafo 1, Cedu, laddove non prevede tra i casi di revocazione quello in cui questa si renda indispensabile per consentire il riesame nel merito della sentenza impugnata per la necessità di conformarsi alle statuizioni vincolanti rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, rappresentando tale strumento l’unico in grado di assicurare la restitutio in integrum oltre alla tutela risarcitoria. La rimettente, in virtù dell’intervenuto contrasto con la pronuncia della Corte europea, riteneva la questione rilevante dal momento che la formulazione tassativa dell’art. 395 c.p.c. non consente alcuna interpretazione estensiva dei casi espressamente previsti, a tutela del principio della res iudicata, mentre per ciò che attiene alla non manifesta infondatezza, osservava come la Consulta, con sentenza n. 113 del 2011, avesse dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 c.p.p. nella parte in cui non permetteva la riapertura del processo penale per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte EDU mediante una valorizzazione proprio dell’art. 46 della Convenzione; a detta della rimettente, quindi, la Corte Costituzionale avrebbe dovuto rendere applicabile il medesimo principio anche ai processi civili ed amministrativi.



3. L’infondatezza della questione di legittimità sollevata e i precedenti della Corte Costituzionale sul punto



La Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 395 e 396 c.p.c., sollevata dalla Corte veneziana in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 46, paragrafo 1, Cedu, che impegna gli Stati contraenti “a conformarsi alle sentenze definitive della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle controversie di cui sono parti”, in considerazione del fatto che già la pronuncia della Grande Camera n. 2 del 2015, Bochan contro Ucraina2 , ha ritenuto che il summenzionato articolo, come interpretato dalla Corte di Strasburgo, cui spetta la funzione di interprete “eminente” del diritto convenzionale, non imponga ad oggi una riapertura dei processi civili ed amministrativi dato che, in tali casi, la tutela dei terzi non partecipanti al giudizio convenzionale risulta essere preminente rispetto alla posizione processuale assunta delle vittime dei reati nei procedimenti penali e, pertanto, non equiparabile, a ciò aggiungendosi la discrezionalità accordata in capo ai singoli Stati contraenti nella scelta dei mezzi di attuazione delle decisioni della Corte europea. La Corte Costituzionale, inoltre, ha sottolineato come peraltro la giurisprudenza della Corte di Strasburgo sul punto non sia mutata, come dimostra la sentenza della Grande Camera dell’11 luglio 2017, Moreira contro Portogallo3 , in cui ancora una volta è stata posta in evidenza la differenza tra processi penali e civili, avuto particolar riguardo alla necessità di tutelare i terzi, aventi una posizione processuale non assimilabile a quelle delle vittime dei reati nei procedimenti penali. Non solo, ma secondo l’opinione della Consulta, la Convenzione non riconosce come diritto neppure quello alla riapertura dei processi interni, anche penali, nonostante il possibile verificarsi di un contrasto con una sentenza della Corte EDU accertante la violazione di diritti convenzionali4 . La presa di posizione della Corte Costituzionale sul punto in questione non rappresenta di certo una novità, essendosi la stessa pronunciatasi a più riprese sul medesimo tema. Infatti la Consulta, seppur in linea con la giurisprudenza della Corte EDU ha sostenuto in più occasioni5 come l’art. 46, paragrafo 1, Cedu, non preveda un obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi, in quanto, sebbene da un lato la Corte di Strasburgo favorisca l’introduzione di tale riapertura come misura ripristinatoria nell’ambito dei processi non penali, dall’altro lascia agli Stati contraenti la decisione al riguardo nel garantire ugualmente tutela anche a coloro che non sono parti necessarie del giudizio convenzionale, in quanto diversi dal ricorrente dinanzi alla Corte in parola e dallo Stato, ma che avevano tuttavia preso parte al giudizio interno. Da qui, l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., in quanto non rientrando tra le attribuzioni della Corte di Strasburgo l’indicazione delle misure dirette alla concretizzazione della restitutio in integrum e alla conclusione della violazione convenzionale, e sussistendo di conseguenza la libertà degli Stati nella scelta dei mezzi da utilizzare per l’adempimento dell’obbligo derivatone, a patto che non siano divergenti con quanto previsto nelle conclusioni della sentenza, mutevole sarebbe il contenuto di detto obbligo di conformazione alle sentenze europee. Non solo, ma qualsiasi misura ripristinatoria individuale diversa dall’indennizzo sarebbe eventuale e andrebbe pertanto adottata solo laddove veramente necessaria per dare esecuzione alle pronunce europee, sebbene le misure più idonee alla restitutio in integrum in caso di violazione delle norme convenzionali sul giusto processo siano rappresentate dal riesame del caso o dalla riapertura dello stesso processo. L’indicazione, inoltre, dell’obbligo di riapertura del processo come misura finalizzata alla restitutio in integrum, è rinvenibile, secondo la Consulta, solo in quelle sentenze della Corte europea contro Stati i cui ordinamenti nazionali già prevedono al loro interno strumenti di revisione delle sentenze passate in giudicato in caso di violazione delle norme convenzionali ragion per cui, allo stato, dall’analisi della giurisprudenza convenzionale in materie diverse da quella penale, non si rinviene alcun obbligo generale di adozione della misura ripristinatoria della riapertura del processo, la cui scelta, invece, è demandata allo Stato coinvolto. A fronte, quindi, della consolidata lettura da parte della Corte di Strasburgo dell’art. 46, paragrafo 1, Cedu, per ciò che attiene all’obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi, l’esame del thema decidendum comporta il rigetto della questione di legittimità costituzionale, sollevata dal rimettente sotto il profilo della violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione al più volte citato parametro interposto.



4. Conclusioni



Il rigetto della questione di legittimità costituzionale da parte della Consulta rappresenta la diretta conseguenza dell’adeguamento alla linea interpretativa della Corte EDU, relativamente all’art. 46, paragrafo 1, Cedu, e all’obbligo di riapertura dei processi civili e amministrativi: poiché non sussiste violazione del suddetto art. 46, non sussiste neppure quella in relazione al parametro interposto dell’art. 117, primo comma, Cost. La Consulta, ancora una volta, ha ribadito come competa alla discrezionalità dello Stato la scelta dei mezzi e delle modalità attraverso cui dare esecuzione alle sentenze europee, al termine di un bilanciamento da parte del legislatore tra il diritto di azione delle parti interessate e il diritto di difesa dei terzi, non sussistendo uno specifico obbligo di revocazione della sentenza diversa da quella penale derivante dalla giurisprudenza della Corte europea. Tuttavia, la Corte Costituzionale, ancorché nulla dica circa le modalità di esecuzione delle sentenze europee, estranee alle proprie competenze, conviene però sulla possibilità, per il nostro ordinamento, di eseguire una pronuncia europea con la misura risarcitoria, senza rimettere in discussione una sentenza passata in giudicato, salvaguardando in tal modo il principio della certezza del diritto e quello di stabilità delle situazioni giuridiche. Di conseguenza, essendo di fondamentale importanza il tema dell’esecuzione delle sentenze della Corte EDU anche nelle materie diverse da quella penale, l’intervento legislativo è quanto mai necessario nonché l’unico in grado di poter conciliare i diversi diritti contrapposti quali il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi. Non ci rimane, dunque, che aspettare un intervento legislativo al riguardo, dal momento che ad oggi appare del tutto improbabile una diversa presa di posizione della Corte Costituzionale sulle norme censurate.

NOTE

1 Art. 46 Cedu. Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze. “1. Le alte parti contraenti s’impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti”.

2 Cfr. Corte EDU, Bochan c. Ucraina (n. 2), 5 febbraio 2015.

3 Cfr. Corte EDU., Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2), 11 luglio 2017.

4 Cfr. Corte EDU., Moreira Ferreira c. Portogallo (n. 2), 11 luglio 2017, pa-

ragrafo 60, lettera a.

5 Cfr. Corte Cost., 18 gennaio 2018, n. 6; Corte Cost., 7 marzo 2017, n. 123

e Corte Cost., 26 marzo 2015, n. 49.