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Convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso e diritto del partner superstite al trattamento previdenziale di reversibilità (nota a App. Milano, Sez. Lavoro, sent. 26 luglio 2018, n. 1005)

autore: G. Savi

Sommario: 1. Inquadramento delle questioni agitate dal caso. - 2. La soluzione adottata. - 3. I punti critici. - 4. Qualche spazio per una nuova prospettiva? - 5. Le perplessità sistematiche di più vasta incidenza. - 6. Conclusioni.



1. Inquadramento delle questioni agitate dal caso



Con la pronuncia appena pubblicata, la Corte meneghina esprime un convincimento decisamente innovativo che si segnala per la sua originalità e per la divaricazione impressa rispetto alla consolidata giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Questa statuizione di merito, giova avvertirlo preliminarmente, è stata occasionata dalla domanda proposta dal partner superstite del rapporto di una convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso (cessata per morte), tesa a ottenere il trattamento previdenziale di reversibilità. Come noto, nella disciplina introdotta dalla l. 20 maggio 2016 n. 76, la “convivenza di fatto” (art. 1, comma 36), non è discriminata dall’elemento dell’identità sessuale, essendo estesa ad ogni legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, che coinvolga due persone maggiorenni unite stabilmente nei fatti e non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da unione civile1 .

Appare indubitabile come le nuove previsioni, introdotte da tale legge, entrata in vigore il 5 giugno 2016, valgano per il futuro, trattandosi dell’istituzione di nuovi diritti soggettivi a tutela dei singoli, ipotizzabili al momento in cui subentra la crisi del rapporto, che presuppongono appunto la correlata costituzione di uno specifico rapporto giuridico2 . Solo per l’unione civile, il cui rapporto si costituisce secondo forme imprescindibili, il legislatore ha reputato di estendere, invero con la previsione generale a salvaguardia delle tutele di cui all’art. 1, comma 20 – c.d. clausola di equivalenza3 –, il trattamento previdenziale di reversibilità già patrimonio normativo prefigurato a favore del coniuge superstite, secondo l’art. 13, r.d.l. 14 aprile 1939 n. 636, convertito nella l. 6 luglio 1939 n. 1272 (vedi, inoltre, l’art. 9, commi 2 e 3, l. div., per il coniuge superstite titolare di assegno divorzile4 ). Sono reversibili al coniuge superstite, la pensione di vecchiaia, di anzianità, di invalidità, di inabilità e quella supplementare, mentre non lo sono l’assegno ordinario di invalidità, l’assegno sociale e le rendite dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro; nell’ipotesi che la morte del lavoratore sopraggiunga quando non ancora pensionato, il trattamento ai superstiti è definito di pensione indiretta5 . Cosicché, mentre per gli uniti civilmente il legislatore si è espresso per la piena equiparazione ai coniugi, la mancata inclusione del convivente di fatto tra i possibili beneficiari della reversibilità, evidenzia il permanere di una importante diversità di trattamento, come invero sempre avallata dalla Corte delle leggi, anche sotto il profilo della non irragionevolezza6 . Come sembra evidente si tratta di una precisa opzione del legislatore della riforma del 2016; peraltro, parte della dottrina, ha stigmatizzato tale soluzione qualificandola come una “scelta di politica del diritto di svilire e marginalizzare le convivenze”7 . Seppur si voglia dare per scontato il peso che probabilmente ha assunto il progressivo allargamento della platea dei potenziali beneficiari del trattamento di reversibilità (finanziato in primo luogo dai lavoratori, con riflessi economici certo non trascurabili), che con la l. n. 76 del 2016 ha segnato ulteriore importante estensione, tuttavia l’odierna equiparazione ai coniugi degli uniti civilmente si sottrae ad ogni sospetto di discriminazione fondato sull’orientamento sessuale, atteso che, da un lato, l’estensione operata tra matrimonio ed unione civile vede un regime paritetico; mentre, dall’altro lato, la disciplina della convivenza di fatto accomuna indistintamente tutti i rapporti affettivi di coppia di natura familiare instaurati nei fatti a prescindere dagli orientamenti sessuali.



2. La soluzione adottata



La Corte distrettuale lombarda sembra invece cogliere profili nuovi e singolari; oltre all’erronea scelta ermeneutica secondo cui può ammettersi l’applicazione retroattiva di una norma giuridica che disciplina rapporti relazionali, anteriormente non “istituiti”8 e regolati, addirittura già estinti per morte in epoca anteriore rispetto all’entrata in vigore della stessa previsione legislativa (difatti, nel trattamento di reversibilità la legge considera l’evento morte del lavoratore assicurato o pensionato “quale evento protetto, cioè quale evento generatore di un bisogno che viene individuato come socialmente rilevante ed al quale, dunque, provvedere con adeguate prestazioni”9 ), sembra aver attribuito rilevanza ai c.d. registri amministrativi delle “unioni civili” che qualche Comune (tra cui quello di Milano) aveva “creato”10, s’intende anteriormente alla l. n. 76 del 2016, ma la motivazione in verità risulta assolutamente ermetica su tale elemento, inserendosi nella ricostruzione in fatto del lungo rapporto nella specie sviluppatosi. Invece, seppur timidamente, nonostante all’epoca non vigeva certo la l. n. 76 del 2016, qualifica il rapporto svoltosi come formazione sociale comunque tutelata sia a livello costituzionale che convenzionale anche sotto tale profilo, rimarcando che ricorre l’identica finalità previdenziale che si raccorda allo stesso peculiare fondamento solidaristico, e così sembra cogliere una prospettiva nuova che attiene ineluttabilmente a tutte le convivenze di fatto. Questa conclusione viene raggiunta attraverso l’argomento apparentemente significativo secondo cui, nella specie, alla coppia omosessuale, nonostante la risalente stabilità ininterrotta del rapporto di coppia, non era ancora consentito di poter contrarre matrimonio, anteriormente alla morte di uno dei partner, in quanto l’entrata in vigore della ridetta l. n. 76 de 2016, che ha ammesso le persone dello stesso sesso a dichiarare la loro unione civile, risultava appunto ben successiva. Nella fattispecie difatti, non essendo stato instaurato il vincolo dell’unione civile anteriormente alla morte del partner, unicamente di risalente convivenza nei fatti – stabile e duratura – poteva farsi parola. Cosicché riemerge, seppur in qualche misura dissimulata, la tesi che prospetta l’esigenza di assimilare la posizione del coniuge e quella del convivente more uxorio, proprio al fine di poter conseguire il trattamento previdenziale di cui si discute. La vicenda regolata dalla Corte milanese, con accoglimento della domanda in riforma dell’avviso di prime cure, peraltro sulla premessa che la questione di costituzionalità, pur individuata, non deve reputarsi necessariamente meritevole di un incidente di legittimità, potendo porsi rimedio al riconoscimento del diritto direttamente ad opera del giudice comune, andrà attentamente seguita nella sua fase di cassazione onde verificarne l’eventuale tenuta. Il piano sostanziale dell’interpretazione proposta poggia sul costante richiamo ai diritti fondamentali, garantiti dal dato costituzionale (art. 2 Cost.) e convenzionale (art. 8 CEDU), con peculiare accentuazione del profilo sancito negli artt. 36 e 38 della carta fondamentale, quale posizione privilegiata del “lavoratore”, rispetto alla generalità dei cittadini; l’adeguatezza della pensione di riversibilità, qualificata retribuzione differita, idonea a garantire un’esistenza libera e dignitosa, proiettata a favore del coniuge come del partner superstite in virtù del fondamento solidaristico derivante dal legame familiare, che rivendica la continuità del sostentamento e di liberazione dal bisogno connesso alla morte. In buona sostanza, è la natura del diritto che sarebbe idonea a dirimere la questione, siccome, appunto, reputato fondamentale e tutelato in via sovraordinata, perciò da sottrarre a qualsivoglia discriminazione, anzi, da conformare all’odierna pluralità dei modelli su cui possono strutturarsi i rapporti di natura familiare.



3. I punti critici



La retta interpretazione dell’apparato normativo stesso è stata però già espressa consapevolmente dalla Corte di Cassazione, in termini decisamente contrari11, anzi, con l’espressa affermazione che tra i diritti fondamentali della persona non può ricomprendersi il diritto alla pensione di reversibilità, neppure nel quadro del diritto eurounitario. Più precisamente, la Suprema Corte ha esplicitamente statuito che il convivente non ha diritto alla pensione di reversibilità in quanto l’attuale sistema previdenziale non contempla siffatta previsione, né tale vuoto normativo contrasta con gli artt. 2, 3 e 117 Cost., per violazione dei principi della CEDU, poiché la convivenza, non assimilabile al vincolo di coniugio ex art. 29 Cost., non comporta il necessario riconoscimento del trattamento pensionistico di reversibilità; tale diritto soggettivo, non può certo enumerarsi tra i diritti inviolabili dell’uomo presidiati, come tali, dall’art. 2 Cost., dalla CEDU, ovvero dalle norme convenzionali dell’Unione Europea; e neppure può prescindere dallo specifico ed effettivo rapporto giuridico la cui preesistenza è condizione per l’attribuzione del beneficio previdenziale stesso. La giurisprudenza costituzionale presenta anch’essa arresti chiari, almeno allo stato12.



4. Qualche spazio per una nuova prospettiva?



Il potenziale vulnus in verità non sarebbe privo di nuovo argomento, seppur certamente non rinvenibile nella storia anche giurisprudenziale – come invece effettuato dalla pronuncia in commento – che ha portato il Parlamento alla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso ed alla disciplina delle convivenze, come recita il titolo della l. n. 76 del 2016, bensì nello stesso tenore di questo apparato normativo positivo, in quanto può costituire motivo per una presa di posizione della Corte delle leggi, diciamo evolutiva rispetto a quella menzionata, espressa nel 2000, seppur sempre con efficacia a decorrere dal 5 giugno 2016. Difatti, la disciplina delle convivenze13 ha comunque innovato sensibilmente rispetto alle tutele di conio giurisprudenziale stratificatesi nel tempo sulla c.d. famiglia di fatto14, nel momento in cui, comunque, oggi, anche i conviventi hanno reciproci obblighi di assistenza materiale che possono protrarsi oltre il venir meno della relazione affettiva; due esempi su tutti sanciti dalla l. n. 76 del 2016: il diritto agli alimenti15 (art. 1, comma 65) ed al godimento della casa già destinata alla condivisione di vita16 (art. 1, comma 42, 43, 44 e 45), per un certo periodo calibrato in concreto. Questi elementi sistematici potrebbero risultare il dato di partenza, unitamente ad una rivalutazione dei diritti economici ex artt. 36 e 38 Cost., di cui risulti titolare il partecipe di una formazione sociale di natura familiare, quale espressione di una posizione soggettiva inviolabile dell’uomo (come evidenziato dalla pronuncia in commento), al fine di mettere in crisi la tenuta dell’ultima proposizione dettata dal precedente di legittimità n. 22318 del 2016, appena qui sopra riportato. Dirimente però appare la constatazione che, in difetto di una posizione soggettiva declinabile come diritto fondamentale della persona, l’eventuale illegittimità costituzionale, fondata sulla disparità di trattamento tra matrimonio ed unione civile da un lato e la convivenza di fatto (etero od omo che siano) dall’altro lato, si potrebbe profilare unicamente in termini di valutazione di ragionevolezza, prospettiva alquanto ardua. Tanto più che neppure il quadro convenzionale offre un percorso normativo rilevante in termini di individuazione di una discriminazione rientrante nei tassativi motivi elencati negli artt. 1 e 2, della Direttiva CEE 27 novembre 2000 n. 78, tra i quali non rientra la diversità di trattamento tra coniugi e conviventi17. D’altronde, non è certo indifferente sul piano giuridico il fatto che nei rapporti affettivi di coppia, che rifuggono dal vincolo di coniugio o da quello dell’unione civile, si impone in primo luogo il senso di personale responsabilità che discende direttamente dalla consapevole volontà che anela in principio libertà, o meglio il diritto sostanzialmente potestativo di far cessare in ogni momento il rapporto costituito nei fatti. Elemento che dovrebbe indurre a plurime riflessioni, e tra le altre ad esempio, l’ipotesi del convivente di fatto che lasci anche un ex coniuge (cui si aggiunge ora un ex unito civilmente), avente titolo legittimo a percepire il trattamento previdenziale di reversibilità (il tema del concorso tra più aventi diritto ex art. 9, comma 3, l. div., non è coinvolto da queste riflessioni, pur correndo la memoria ad aporie giurisprudenziali che potrebbero rivelarsi di un qualche significato18).



5. Le perplessità sistematiche di più vasta incidenza



Da non trascurare anche una riflessione di fondo sulla natura del trattamento previdenziale di cui si discorre. La sua reale natura non è da oggi esente da critiche ed istanze riformatrici. Ci si interroga nell’ambito della legislazione sociale, pur nella sua duttilità incline alle diverse opzioni di politica del diritto, da un lato, su quale debba essere la nozione di famiglia rilevante a questi fini e se l’odierna fluidità dei modelli familiari conduca al superamento di ogni rigidità; dall’altro, di quale possa essere il peso sostenibile dal ceto che ne sopporta l’onere, nel momento in cui in concreto finisce per travalicare l’originaria funzione, per assumere più i connotati di una misura estesa indistintamente a tutti i cittadini, in sostanza finendo per assumere i connotati – anomali rispetto al sistema disegnato dalla norma previdenziale – di uno strumento di sostanziale redistribuzione del reddito19. Queste riflessioni non sono peraltro le uniche che si affacciano, occasionate dall’arresto in commento; infatti, irrompe almeno un ulteriore severo interrogativo di ordine generale: ove la posizione soggettiva risultasse declinabile in termini di diritto inviolabile, se ne può rivendicare l’applicazione in via retrospettiva in virtù di una legge di riforma che regola questioni definite secondo il diritto positivo anteriore? L’esempio prossimo, tra altri, può individuarsi nel diritto di entrambi i genitori ad attribuire al figlio il cognome di discendenza20, posizione che vanta una copertura costituzionale (artt. 2, 3 e 29 Cost.) come una copertura convenzionale (artt. 8 e 14 CEDU), confluenti ex art. 117 Cost.; secondo la stessa logica enunciata dalla Corte distrettuale milanese questo diritto sarebbe predicabile dal genitore che non è stato posto nella condizione di poter trasmettere il proprio cognome (parimenti all’altro genitore) in tutti i casi in cui risulta già attribuito nell’atto di nascita secondo il c.d. criterio patronimico21, anteriormente alla declaratoria di incostituzionalità pronunciata con la sentenza 21 dicembre 2016; al di là del canone basilare che regola l’efficacia della legge nel tempo, gli effetti, a dir poco grandemente problematici, su atti giuridici già formati, fondamentali per i singoli, sulla documentazione di stato civile e d’anagrafe, sulla circolazione giuridica dei beni improntata a forme di pubblicità rigidamente prefigurate, tanto per limitarci al macroscopico, si possono agevolmente individuare. L’art. 11, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, c.d. preleggi22, sancisce il fondamentale canone per cui “La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”, in sintonia con il dettato dell’art. 136 della carta costituzionale (v. anche l’art. 30, comma 3, l. 11 marzo 1953 n. 87); il principio è immanente all’ordinamento positivo, quale indubitabile dato di civiltà, con innumerevoli e nitidi corollari, si pensi, un esempio per tutti, al disposto cardine di cui all’art. 25 Cost. Pur con la più ampia prudenza dettata dall’evoluzione emersa anche nell’interpretazione delle fonti normative, che non ignora certo la possibile retroattività dei nuovi dettami, in genere regolata da discipline transitorie23, questo “argine” che esige l’organizzazione statuale, cui è connaturale l’equilibrio di un certo ordine espresso dalla sovranità popolare (e nel settore previdenziale con ricadute sociali ed economiche straordinariamente rilevanti ed impegnative), non foss’altro che secondo ragionevolezza, seppur mutevole nella sua storicità, per la Corte d’appello lombarda sembra invece un dettaglio secondario o, se si vuole, recessivo, comunque tale da non meritare attenzione motiva. La gravità delle conseguenze sistematiche che invece possono derivare da una tale opzione, anche a voler prescindere dall’imponente aggravio per gli Enti previdenziali che si riverserebbero gioco forza sulla fiscalità generale per l’obiettiva incapienza delle previsioni contributive secondo specifici parametri attuariali anteriori, si profilano massive, finendo in realtà per coinvolgere ogni previsione dell’ordinamento giuridico positivo attributiva di nuovi diritti (si licet, “a pioggia”); o meglio, le posizioni soggettive dei singoli tutte e sempre ammesse od esposte ad una rivisitazione retrospettiva; in una parola, un sistema che legittimerebbe una sorta di perenne rivendicazione postuma per il riconoscimento di un diritto insussistente in una certa epoca passata, cioè ogni qual volta intervenga una riforma (peraltro, da esercitarsi o non esercitarsi nel tempo ed a discrezione del singolo interessato, salvo il consolidamento per effetto dei canoni generali sulla prescrizione, con importanti questioni, prima fra tutte, l’individuazione della decorrenza); come ben s’intende, infinito risulterebbe il novero dei nuovi diritti potenzialmente estensibili a cascata in tale prospettiva rivolta al passato ed a ben riflettere, si legittimerebbe anche una rivisitazione di tutti quei diritti invece abrogati dalla legge per il futuro, evenienza parimenti temibile; come allora agevolmente si intuisce, la prospettiva in parola risulta straordinariamente densa di questioni, minando in primo luogo il principio di legalità che regge nel tempo i rapporti tra i singoli e la collettività statuale.



6. Conclusioni



Seppur la soluzione prospettata appare nitidamente individuabile in senso contrario a quella adottata dall’arresto in commento, il caso consiglia approfondimento compiuto delle questioni che si intersecano, toccando temi sociali e giuridici basilari, magari occasionato dall’intervento della Corte di legittimità, meritando comunque la pronuncia in commento, proprio per la sua potenziale immediata rilevanza “dirompente”, non soltanto una pronta segnalazione, ma la sollecitazione di un confronto della dottrina.

NOTE

1 Cfr. Savi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, Perugia, 2016, 12; BaleStra, La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, in Fam. dir., 2016, 919; auletta, Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 367; lenti, Convivenza di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Fam. dir., 2016, 931; roMano, Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura del testo normativo, in Notariato, 2016, 333, con cenni anche sul dato statistico; Buffone, Unione civile e convivenza, in Commento alla l. 20 maggio 2016 n. 76 Buffone, GattuSo, Winkler, Milano, 2017, 442; Coppola, La convivenza di fatto, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 636.

2 L’avviso risulta già consapevolmente espresso in punto da Cass., sez. lav., 3 novembre 2016 n. 22318, in Giur. it., 2016, 2548, ed in Foro it., 2017, I, 300, con nota di ferrari, Insussistenza di un “diritto fondamentale” alla reversibilità della pensione del convivente more uxorio.

3 Cfr. Savi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., 121; BianCa, Il comma 20 quale crocevia per l’inserimento della nuova disciplina delle unioni civili nel sistema, in Le unioni civili e le convivenze, Commento alla legge a cura di BianCa, Torino, 2017, 260; BarBa, Le norme applicabili alle persone unite civilmente, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 143; Querzola, Riflessioni sulla legge in materia di unioni civili, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 843.

4 In punto si rinvia a Carrano, La pensione di reversibilità, in Le unioni civili e le convivenze, Commento alla legge a cura di BianCa, Torino, 2017, 395; GreCo, L’applicabilità, alle persone unite civilmente, delle norme pensionistiche e previdenziali relative al coniuge, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 568; M. Moretti, Pensione di reversibilità, ivi, III, 2016, 3017; virGadaMo, Pensione di reversibilità, in Trattato dir. fam. zatti, I, 1, Famiglia e matrimonio, Milano, 2011, 1793; Quadri, Profili controversi della tutela previdenziale del divorziato, in Fam. dir., 2008, 735; id., Il diritto del divorziato alla pensione di reversibilità e la sua controversa realizzazione, in Foro it., 1992, I, 1389; BarBiera, I diritti patrimoniali dei coniugi separati e divorziati, Bologna, 2001, 77; frezza, Diritto del divorziato alla pensione di reversibilità e convenzioni preventive di divorzio, in Dir. fam. pers., 1996, 13; finoCChiaro, Pensione di reversibilità e indennità di fine rapporto in sede di divorzio, in Fam. dir., 1995, 289.

5 Per le varie questioni e l’approfondimento, cfr., tra altri, Cinelli, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2016, 626; v. anche, perSiani, La funzione della pensione di riversibilità nella più recente giurisprudenza costituzionale, in Giur. cost., 1980, 494.

6 Cfr., Corte Cost., 3 novembre 2000 n. 461, in Giust. civ., 2001, I, 295; la pronuncia in commento attribuisce – erroneamente – questo arresto alla Corte di Cassazione.

7 In tal senso, tra altri, cfr., CapurSo, La pensione ai superstiti. Alla ricerca di un fondamento, in Riv. dir. sic. soc., 2016, 618; e triMarChi, Unioni civili e convivenze, in Fam. dir., 2016, 862; più in generale, dalla prospettiva civilistica, tra altri, v., SChleSinGer, La legge sulle unioni civili e la disciplina delle convivenze, ivi, 2016, 845; BuSnelli, Il diritto della famiglia di fronte al problema della difficile integrazione delle fonti, in Riv. dir. civ., 2016, 1476; Quadri, “Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete, in Corriere giur., 2016, 893; MaCario, Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente, in www.giustiziacivile.com, 2016, 13; aMadio, La crisi della convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1765; e dalla prospettiva lavoristica, tra altri, v., niColini, Quali i riflessi previdenziali delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e delle convivenze di fatto?, in Riv. dir. sic. soc., 2016, 563; Calafà, Unioni civili, convivenze di fatto e modello lavoristico di tutela dei diritti dei genitori-lavoratori, in Lav. giur., 2016, 962.

8 Elemento semantico efficacemente messo in luce da SeSta, Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia, in Giur. it., 2016, 1792; id., La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare, in Fam. dir., 2016, 881; id., La famiglia tra funzione sociale e tutele individuali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 567. In argomento, furGiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, 109; reSCiGno, Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma, in Riv. dir. civ., 1988, I, 117; zatti, Tradizione e innovazione nel diritto di famiglia, in Trattato dir. fam. zatti, I, 1, Famiglia e matrimonio, Milano, 2011, 22; SCaliSi, Le stagioni della famiglia nel diritto dall’unità ad oggi, in Riv. dir. civ., 2013, 1043.

9 Cinelli, Diritto della previdenza sociale, cit., 626.

10 Il Consiglio Comunale di Milano, con delibera adottata in data 26 luglio 2012 n. 30, aveva approvato il Regolamento sull’istituzione del registro delle unioni civili. In sostanza, l’iscrizione poteva essere richiesta da due persone maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso, di qualsiasi nazionalità, residenti, coabitanti anagraficamente nel Comune di Milano e iscritti sul medesimo stato di famiglia; l’iscrizione stessa risultava impedita per coloro che fossero legati da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela e dall’appartenenza a qualsiasi altra forma di unione civile, comunque riconosciuta. Lo scopo dichiarato è stato quello di “superare situazioni di discriminazione sociale nell’ambito territoriale del comune”; specifica l’avvertenza che il Regolamento operava solo in ambito amministrativo territoriale e l’iscrizione consentiva alle coppie di conviventi di ottenere un attestato di unione civile e di accedere ad una serie di servizi garantiti dal Comune alle coppie sposate, ma non incideva sui diritti civili regolati da leggi dello Stato; il testo integrale è rinvenibile sul sito istituzionale del Comune.

11 Cass., sez. lav., 3 novembre 2016 n. 22318, cit. Appare a tal proposito utile richiamare il risultato cui è giunto di recente il più ampio Collegio di legittimità, con l’arresto di Cass., sez. un., 24 settembre 2018 n. 22434, in banca dati Pluris.



12 Corte Cost., 3 novembre 2000 n. 461, cit.; nonché in visione di più ampio respiro, Id., 14 luglio 2016 n. 174, in Foro it., 2016, I, 3052.

13 Oltre agli scritti menzionati, cfr., SChleSinGer, La legge sulle unioni civili e la disciplina delle convivenze, in Fam. dir., 2016, 845; BaleStra, La convivenza di fatto. Nozioni, presupposti, costituzione e cessazione, ivi, 2016, 919; id., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in Unioni civili e convivenze di fatto: la legge (a cura di) reSCiGno, Cuffaro, in Giur. it., 2016, 1785; lenti, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Fam. dir., 2016, 931; oBerto, La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza, ivi, 943.

14 Tra molteplici scritti, v., SeSta (a cura di), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, parte III, 1242; CeCCherini, GreMiGni franCini, Famiglie in crisi e autonomia privata, Padova, 2013; Savi, Quali possibili obbligazioni contrattuali tra ex amanti divenuti genitori?, in Dir. fam. pers., 2012, 236; franzoni, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Il diritto di famiglia, Trattato Bonilini, Cattaneo, II, Torino, 2007, 531; del prato, Patti di convivenza, in Familia, 2002, 959; Spadafora, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001. Cfr., inoltre le opp. citt. in nota 15.

15 velletti, Diritto agli alimenti per il convivente di fatto, in Le unioni civili e le convivenze, Commento alla legge a cura di BianCa, Torino, 2017, 765; MattuCCi, Gli alimenti in favore del convivente di fatto, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 866; in punto all’autonomia attribuita ai conviventi nella disciplina dei loro rapporti patrimoniali con le forme del contratto, cfr., Coppola, La disciplina del contratto di convivenza di fatto, ivi, 668 ss.; aChille, Contratto di convivenza e autonomia privata familiare, in Le unioni civili e le convivenze, Commento alla legge a cura di BianCa, cit., 623; Sirena, Commi 57-58, ivi, 680; taSSinari, Il contratto di convivenza nella l. 20 maggio 2016, n. 76, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1738; perfetti, Autonomia privata e famiglia di fatto. Il nuovo contratto di convivenza, in Nuova giur. civ. comm., 2016, 1754; oBerto, I rapporti patrimoniali nelle convivenze di fatto nel caso di stipula di un contratto di convivenza, in BlaSi, CaMpione, fiGone, MeCenate, oBerto, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, 59; Quadri, “Convivenze” e “contratto di convivenza”, in Jus civile, 2017, 106; rizzi, La convivenza di fatto ed il contratto di convivenza, in Notariato, 2017, 11; patti, Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale, in Foro it., 2017, I, 301; eMiliozzi, Il contratto di convivenza nella legge 20 maggio 2016, n. 76, Milano, 2018; nonne, La risoluzione del contratto tipico di convivenza: una lettura sistematica, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 39.

16 frezza, Comma 42-43, in Le unioni civili e le convivenze, Commento alla legge a cura di BianCa, Torino, 2017, 546; BonaMini, I diritti del convivente di fatto. Introduzione, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 673; MaStroBerardino, Il diritto al godimento della casa di comune abitazione locata dall’altro convivente, ivi, 707; id., Convivenza di fatto, e assegnazione di alloggi di edilizia popolare, ivi, 724; id., Il diritto di godimento della casa di comune abitazione in proprietà del convivente deceduto, ivi, 904. Cfr. anche, falzone CalviSi, Il diritto di abitazione del coniuge superstite, Napoli, 1993. Quanto all’esercizio dei poteri negoziali dei conviventi, si rinvia parimenti a quanto richiamato in nota precedente.

17 Cfr., a titolo esemplificativo, Corte di Giustizia dell’UE, ordinanza 17 marzo 2009 n. 217, Mariano c. Inail, in banca dati Juris.

18 Ci si riferisce, quale principale esempio, pur con ogni prudenziale distinzione, alla rilevanza riconosciuta alla convivenza pre-matrimoniale (cui evidentemente deve assimilarsi la stabile convivenza nei fatti che abbia preceduto l’unione civile) da nota giurisprudenza di legittimità, secondo cui la ripartizione del trattamento di reversibilità fra ex coniuge e coniuge superstite, va fatta “tenendo conto della durata del rapporto”, cioè sulla base del criterio temporale, il quale, tuttavia, per quanto necessario e preponderante, non risulta però esclusivo, potendo comprendere la possibilità di applicare correttivi di carattere equitativo, applicati secondo discrezionalità collimante con la funzione solidaristica, tra i quali è compresa la durata della rispettiva eventuale convivenza pre-matrimoniale; senza mai confondere però la durata della convivenza con quella del matrimonio, cui si riferisce il criterio legale; in tal senso, cfr., tra altri arresti, Cass., sez. I, 21 giugno 2012 n. 10391, in banca dati Pluris; Id., 17 dicembre 2010 n. 25564, ivi, con peculiare riferimento al matrimonio tardivamente trascritto nell’ordinamento italiano; Id., 18 agosto 2006 n. 18199, in Nuova giur. civ. comm., 2007, 706, con nota di Quadri, La sempre problematica ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite; Id., 7 marzo 2006 n. 4867, in Fam. dir., 2007, 151, con nota di pittaliS, Pensione di reversibilità e trattamento di fine rapporto: diversa rilevanza della convivenza?; Id., 22 dicembre 2005 n. 28478, in banca dati Pluris; Id., 16 dicembre 2004 n. 23379, ivi; Id., 30 marzo 2004 n. 6272, ivi; Id., 10 ottobre 2003 n. 15148, in Corr. giur., 2003, 1554. Sorprendente la circolarità degli argomenti, mentre il dettato legislativo espresso nell’art. 9, comma 3, l. div., in realtà non sembra legittimare una tale interpretazione adeguatrice. Come invero noto, la questione ha incontrato dapprima il responso – con sentenza interpretativa di rigetto – di Corte Cost. 4 novembre 1999 n. 419, in Foro it., 2000, I, 1770, con nota di Quadri, La Corte costituzionale riapre la questione della ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite, che optò in senso difforme dall’avviso di Cass., sez. un., 12 gennaio 1998 n. 159, ivi, 1998, I, 392, espresso con minuziosa analisi a componimento dei contrastanti indirizzi che erano emersi, “forzando” perciò il c.d. diritto vivente; poi, sono intervenute Corte Cost., 14 novembre 2000 n. 491, in Nuova giur. civ. comm., 2001, 176; e Id., 16 febbraio 2006 n. 65, in Giur. cost., 2006, 1. D’uopo osservare come il tema della convivenza anteriore al matrimonio del coniuge divorziato, risentiva della consistenza del lasso temporale necessario per poter giungere alla sentenza di status, panorama oggi davvero mutato per effetto della l. 6 maggio 2015 n. 55, nel momento in cui il termine di cui all’art. 3, n. 2, lett. b), l. div., ha visto una riduzione tale per cui la questione in parola potrebbe trovare una radicale rimeditazione.

19 Cfr., tra altri, peSSi, Stato sociale e famiglia, in Inf. prev., 2010, 1; MaGnani, La famiglia nel diritto del lavoro, in Arg. dir. lav., 2012, 844.

20 Corte Cost. 21 dicembre 2016 n. 286, in Fam. dir., 2017, 213, con nota di al Mureden, L’attribuzione del cognome tra parità dei genitori e identità parentale del figlio; v., inoltre, Stefanelli, Diritto all’identità, in SaSSi, SCaGlione, Stefanelli, La filiazione e i minori, in Trattato dir. civ. SaCCo, Torino, 2017, 435. Con la precisazione che l’ipotesi emendativa straordinaria della successiva autorizzazione amministrativa a cambiare il cognome dei figli minorenni, aggiungendo a quello paterno il cognome della madre, ai sensi dell’art. 89, d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, non muta i termini del diritto primario in questione. D’uopo il richiamo di Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 7 gennaio 2014, Cusan-Fazzo c. Italia, ricorso n. 77/2007, in Fam. dir., 2014, 205, con notazioni di CarBone e Stefanelli, arresto conforme a numerosi similari.

21 La cortesia del lettore è rinviata a Savi, L’uso del patronimico quale elemento di confondibilità dell’impresa, in Dir. fam. pers., 2017, 403.

22 aMenta, Preleggi, in banca dati Digesto, sez. civ., Torino, 2016; Giuliani, La retroattività della legge, in Trattato dir. priv. reSCiGno, 1, Torino, 1999, 377; GuaStini, Teoria e dogmatica delle fonti, in Trattato dir. civ. comm. CiCu, MeSSineo, MenGoni, Milano, 1998, 169; Satta, Irretroattività degli atti normativi, in Enc. giur. Treccani, XVII, Roma, 1990, 1; Quadri, Applicazione della legge in generale, in Comm. cod. civ. SCialoja, BranCa, Commento all’art. 11 delle Preleggi, Bologna-Roma, 1974, 37; Santoro paSSarelli, “Preleggi”, in Noviss. Dig. it., XIII, Torino, 1966, 624.

23 Nella specie, l’art. 1, comma 35, l. 20 maggio 2016 n. 76, sancisce espressamente l’entrata in vigore delle nuove disposizioni: cfr., sul punto, Savi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., 216; natale, L’entrata in vigore delle norme sull’unione civile, in Trattato dir. fam. Bonilini, V, Unione civile e convivenza di fatto, Torino, 2017, 199.