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Riconoscimento della sentenza straniera di divorzio nonostante la pendenza in Italia del giudizio di separazione, questioni di litispedenza e di giurisdizione

autore: M. Baggio

Sommario: 1. Premessa. - 2. Il riconoscimento automatico delle sentenze straniere. - 3. La legge applicabile. - 4. La litispendenza. - 5. La giurisdizione italiana. - 6. Litispendenza e riconoscimento di sentenze sulla responsabilità genitoriale secondo il regolamento UE 2201/2003. - 7. Operatività del meccanismo della litispendenza. - 8. Qualificazione della natura della litispendenza internazionale. - 9. Osservazioni conclusive.



1. Premessa



La casistica degli ultimi anni ha occupato non poco le nostri Corti nell’affrontare la non agevole questione concernente l’instaurazione avanti alle Autorità di differenti Stati di procedimenti di separazione e divorzio, dovendo la Giurisprudenza interrogarsi sulla sussistenza o meno di ipotesi di litispendenza internazionale. Si aggiunga la difficoltà di individuazione e coordinamento delle fonti multilivello che interessano la materia, dall’art. 7 della legge n. 218 del 19951 della legge di riforma del diritto internazionale privato, al Regolamento UE n. 2201 del 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. L’argomento è di notevole rilievo investendo inevitabilmente anche il profilo del riconoscimento automatico delle sentenze straniere, ove l’art. 64 lett. f) della legge n. 218/1995 preveda come condizione ostativa al riconoscimento, la pendenza di un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero, secondo la previsione dell’art. 64 lett. f): nell’ambito del diritto di famiglia si pensi all’ipotesi in cui debba essere riconosciuta in Italia una sentenza straniera di divorzio, nel momento in cui nel nostro Paese pende un procedimento di separazione, sebbene l’ordinamento straniero non preveda l’istituto della separazione. Quest’ultimo è proprio il caso affrontato dalla Suprema Corte con la Sentenza del 1 dicembre 2016, n. 24542, la quale ha statuito che la sentenza di divorzio ottenuta a seguito di giudizio instaurato in Albania, in applicazione della legge albanese quale legge nazionale comune dei coniugi, può essere riconosciuta in Italia, anche in pendenza del giudizio di separazione, sebbene la domanda di separazione sia cronologicamente anteriore rispetto alla richiesta divorzio, non potendosi applicare la condizione ostativa della litispendenza l. n. 218 del 1995, ex art. 64, lett. f). La fattispecie prende le mosse dalla domanda di separazione e affidamento condiviso dei figli, rivolta da una moglie, cittadina albanese, ai giudici italiani del Tribunale di Pistoia, per ottenere la separazione dal marito, a suo volta cittadino albanese, a lei unito in matrimonio con celebrazione avvenuta in Albania. Il marito costituitosi nel giudizio di separazione, opponeva l’applicazione della legge Albanese e, rilevando la mancanza in essa della previsione dell’istituto della separazione, presentava domanda di divorzio in Albania, cronologicamente successiva quindi a quella di separazione. Sopraggiungendo nel frattempo la sentenza di divorzio, il Giudice Italiano disponeva il riconoscimento della pronuncia straniera, dichiarando cessata la materia del contendere nel procedimento di separazione in Italia. La Corte d’Appello adita dalla moglie giungeva invece a conclusioni opposte affermando la competenza dei giudici italiani, in quanto luogo in cui la vita matrimoniale era prevalentemente localizzata e negando poi il riconoscimento della sentenza di divorzio albanese, stante l’instaurazione cronologicamente successiva del procedimento di divorzio in Albania, rispetto a quello della separazione in Italia. Di qui il ricorso in Cassazione dell’ex marito.



2. Il riconoscimento automatico delle sentenze straniere



Per logica espositiva si evidenzia in primis il fondamento della decisione in Appello, che ha riformato la sentenza di primo grado, in applicazione dell’art. 64 lett. f) della legge n. 218 del 31 maggio 1995, norma che prevede come la sentenza straniera2 possa essere riconosciuta in Italia “se non ci sia stato un processo pendente davanti al giudice italiano per il medesimo oggetto e tra le stesse parti che abbia avuto inizio prima del processo straniero”: più precisamente, secondo la Corte d’Appello adita dalla moglie, poiché il procedimento di divorzio era stato instaurato successivamente a quello per separazione, non poteva essere riconosciuta l’efficacia della pronuncia albanese. Come è noto la legge di riforma del diritto internazionale privato n. 218 del 1995, segna un passaggio importante introducendo il principio del riconoscimento automatico3 delle sentenze straniere in Italia, rispetto alla previgente normativa, secondo la quale le pronunce di scioglimento del vincolo matrimoniale emesse da Tribunali stranieri avevano efficacia nel territorio italiano solamente a seguito della delibazione della Corte d’Appello, che le riconosceva come valide attraverso l’emissione di una sentenza, successivamente trascritta nei registri dello stato civile del Comune competente. La legge di riforma ha dunque semplificato l’iter, consentendo il riconoscimento automatico delle sentenze e dei provvedimenti stranieri che possiedono determinati requisiti, lasciando alle Corti d’Appello italiane4 una competenza residuale in ordine all’accertamento dei requisiti di riconoscimento in caso di mancata ottemperanza o di contestazione: tale provvedimento nazionale assume le caratteristiche di un mero accertamento, ai sensi dell’art. 64 della suddetta legge, che indica tutte le ipotesi di riconoscimento delle sentenze straniere5 . È escluso quindi il riesame nel merito. Più precisamente, secondo l’art. 64 della legge di riforma, per la parte che qui interessa “La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: […] f) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero”6 . Proprio sull’analisi della sussistenza dei requisiti dell’art. 64 per il riconoscimento automatico della sentenza albanese di divorzio, e più puntualmente sulla lettera f) sopra richiamata, si sostanzia il passaggio interpretativo chiarito dalla Corte di Cassazione, dopo le opposte conclusioni che hanno condotto da un lato il giudice di primo grado a dichiarare cessata la materia del contendere in sede di separazione – ammettendo il riconoscimento della sentenza straniera di divorzio – e dall’altro, il giudice dell’appello a negare il riconoscimento, sulla scorta della preventiva pendenza del giudizio di separazione, operando la causa ostativa della litispendenza ai sensi dell’art. 64.



3. La legge applicabile



La Corte di Cassazione ha preliminarmente esaminato il profilo della legge applicabile, se pur come diremo nel prosieguo, sulla scorta dell’errato riferimento del Giudice dell’Appello alla competenza giurisdizionale. L’art. 31 co. 1 della legge n. 218/1995 è dedicato infatti alla legge regolatrice del rapporto e non alla giurisdizione7 , stabilendo infatti che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta prevalentemente localizzata8 .

L’art. 31 co. 2 prevede inoltre che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana. Trattasi di una disposizione di carattere sussidiario, la cui ratio non è più quella di proteggere i cittadini italiani evitando discriminazioni tra loro, ma di tutelare un vero e proprio diritto al divorzio, spettante anche allo straniero pur in assenza di ogni legame con l’ordinamento italiano9 . La Cassazione ha correttamente osservato che le parti sono cittadini albanesi ed hanno contratto matrimonio in Albania e, pertanto, la legge nazionale comune delle parti, ai sensi dell’art. 31 co. 1 sopra richiamato deve ritenersi quella albanese. Inoltre la Corte non ha ritenuto di dover dare operatività al secondo comma dell’art. 31, in ragione del fatto che non può parlarsi, in questo caso, di una “mancanza” di una legge nazionale comune regolativa del rapporto e del suo scioglimento, tale da giustificare una sussidiarietà della normativa nazionale. La Suprema Corte coglie così l’occasione per rimarcare la ratio dell’art. 31 co. 2 della l. 218/1995, che definisce “antidiscriminatoria e razionalizzatrice”, secondo la quale l’applicazione residuale della legge italiana potrà verificarsi solo laddove non esista alcuna forma di dissoluzione del legame matrimoniale o qualora vi siano istituti contrastanti con il principio di uguaglianza tra i coniugi.



4. La litispendenza



Ferma l’applicazione della legge familiare albanese, la Cassazione è quindi passata a valutare se possa ritenersi integrata la condizione ostativa di cui alla l. n. 218 del 1995, art. 64, lett. f), secondo la quale se pende davanti al giudice italiano un processo con il medesimo oggetto e tra le stesse parti che abbia avuto inizio prima del processo straniero, non potrà essere riconosciuta la pronuncia straniera in Italia. Nel caso di specie, osserva la Corte, ricorrono la condizione soggettiva e quella relativa alla prevenzione temporale, ma non può ritenersi che il processo separativo italiano abbia il medesimo oggetto di quello di divorzio, in quanto non idoneo a determinare lo scioglimento del vincolo e la perdita dello status coniugale. Il criterio dell’assoluta identità può essere integrato con quelli dell’equivalenza e dell’assimilabilità della situazione giuridica dedotta in giudizio e del provvedimento richiesto, ma nella specie, anche prospettando un’interpretazione più ampia del criterio dell’identità, non può ritenersi che il giudizio di separazione sia assimilabile a quello straniero di divorzio sotto il profilo cruciale degli effetti dell’uno e dell’altro giudizio: il primo è una scansione necessaria del complessivo processo di dissoluzione del vincolo, inidonea a determinare la caducazione dello status coniugale, realizzabile soltanto con il secondo. Di conseguenza, conclude la Corte, il criterio della prevenzione temporale, non spiega effetti nella fattispecie: pur essendo stato introdotto dopo l’instaurazione del giudizio separativo in Italia, il giudizio di divorzio svolto in Albania, secondo la legge nazionale dei coniugi, una volta pronunciato, può essere riconosciuto in Italia, anche in pendenza del giudizio separativo, non potendosi applicare la condizione ostativa della litispendenza l. n. 218 del 1995, ex art. 64, lett. f). Tale ratio, seguita dalla Suprema Corte nella sentenza in commento, in realtà non si mostra nuova nel panorama giurisprudenziale di legittimità, in quanto la stessa Suprema Corte, con altra recente sentenza del 27 ottobre 2016, n. 2174110 aveva espressamente affermato tale principio, seppure con riferimento ad una situazione parzialmente differente11. Può quindi concludersi che la Suprema Corte ha confermato il riconoscimento in Italia di sentenze di divorzio, ancorché successive all’instaurazione di un giudizio italiano di separazione, alla luce della differenza ontologica tra i due giudizi, forse evidente sul piano astratto, ma sicuramente più complessa da individuare sul piano applicativo.



5. La giurisdizione italiana



La sentenza in commento non affronta il profilo della sussistenza della Giurisdizione italiana, o meglio parrebbe ritenerlo ininfluente, alla luce dalle ulteriori questioni esaminate. Tuttavia la necessità di comprendere il criterio adottato per l’individuazione della Giurisdizione Italiana – Tribunale di Pistoia nel caso di specie, adito con la domanda di separazione – è di estrema importanza, tenuto conto del fatto che la competenza giurisdizionale del Giudice italiano condurrebbe all’applicazione del Regolamento Comunitario n. 2201/200312, con prevalenza nella gerarchia delle fonti di diritto internazionale privato, rispetto alla l. 218/199513. La Suprema Corte non chiarisce questo passaggio che richiede pertanto una breve riflessione. Va compreso quindi se il Tribunale di Pistoia, ancora prima del problema della legge applicabile alla vicenda, sia stato correttamente adito e perché dunque non abbia poi operato per la soluzione delle questioni emerse, il Regolamento comunitario, trattandosi quella italiana di giurisdizione di uno stato Membro, che andrebbe pertanto individuata sulla base della fonte comunitaria. L’unico riferimento che si rinviene nella sentenza della Cassazione concerne l’errore in cui incorre la Corte d’Appello14, la quale riferendosi alla domanda di separazione statuisce che “sussiste, a norma dell’art. 31 della legge 218/1995, la giurisdizione italiana per la duplice considerazione che in Italia risulta prevalentemente localizzata la vita matrimoniale e che in Albania non è prevista la separazione”. Come già precisato il menzionato art. 31 della legge 218/1995 non attiene alla giurisdizione ma alla legge applicabile15, pertanto i suoi criteri di collegamento sono stati erroneamente scomodati non operando per l’individuazione dell’autorità adita. Non solo. La competenza giurisdizionale del Giudice italiano, in quanto giudice di uno Stato Membro, andrebbe individuata prioritariamente sulla base dei criteri relativi alla competenza generale dell’art. 3 del Reg. UE 2201/2013316, poiché il regolamento Bruxelles II bis si applica anche ai soggetti che non sono cittadini UE, ma agiscono o sono convenuti in giudizio in uno Stato membro. Solo ove non sussista alcuno dei criteri di cui al sopra indicato art. 3, soccorre l’art. 7 del Reg. UE che prevede una competenza residuale, che in via sussidiaria rinvia alla legge italiana e dunque anche alla nostra l. 218/199517. Si può quindi verosimilmente concludere che la ricorrente in primo grado, con la richiesta di separazione, avrà ritenuto competente il Giudice Italiano del Tribunale di Pistoia o sulla base della residenza abituale18 variamente individuata secondo i criteri del precitato art. 3 del Reg. 2201/2003 ovvero in assenza di questi, sulla base della 218/1995 richiamata dal regolamento in via residuale19. Soccorrono a questo punto anche i criteri di cui agli artt. 3220 e 3 della legge 218/199521, rilevando così anche il criterio del domicilio del convenuto. L’ambito di applicazione del Regolamento comunitario include altresì, accanto ai criteri di giurisdizione, diverse altre regole fra le quali quella della litispendenza, i cui connotati presentano tuttavia sostanziali differenze rispetto all’art. 64 della legge 218/1995 lett. f), utilizzato dalla Suprema Corte a fondamento della decisione in commento. Va osservato che in ambito comunitario il controllo sui procedimenti paralleli è strettamente collegato al carattere di spazio giudiziario integrato che oggi è proprio del complesso dei territori degli Stati comunitari ed ha come fine la prevenzione di possibili conflitti di decisioni, particolarmente delicati in questo settore, relativo alla situazione dei minori e allo stato degli individui22. L’adozione da parte del Regolamento di una pluralità di criteri di collegamenti alternativi per stabilire la competenza giurisdizionale, ha reso ancor più indispensabile la predisposizione di una disciplina volta ad evitare l’instaurazione di cause concorrenti con conseguenti decisioni, spesso inconciliabili, da parte dei Giudici dei diversi Stati membri. Da qui l’innovazione introdotta con l’art. 19 del Regolamento CE per ciò che concerne la materia matrimoniale, con l’adozione della c.d. litispendenza allargata, con la previsione di una regola unica per la litispendenza e per la connessione. L’art. 19 del reg. 2201/2003 dispone infatti che “1. Qualora dinanzi a autorità giurisdizionali di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l’autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d’ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall’autorità giurisdizionale preventivamente adita. 2. … (omissis) … 3. Quando la competenza giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l’autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita. In tal caso la parte che ha proposto la domanda davanti all’autorità giurisdizionale successivamente adita può promuovere l’azione dinanzi all’autorità giurisdizionale preventivamente adita”23. È di tutta evidenza l’effetto diametralmente opposto al risultato perseguito dalla Suprema Corte con la sentenza in commento: il Legislatore comunitario sceglie a priori di dare unità al sistema delle cause matrimoniali. L’art. 19 si distingue infatti dai modi di intendere l’oggetto della controversia, propri del diritto processuale dei singoli Stati Membri e di cui infatti la Suprema Corte, con la sentenza in commento, fa corretta applicazione24. Il concetto comunitario di medesimo oggetto e di medesimo titolo viene interpretato indipendentemente dal concetto di oggetto della controversia fatto proprio dai diritti nazionali e a cui rimanda anche l’art. 64 della legge 218/1995. Così accade che in forza di questa litispendenza comunitaria allargata due domande eterogenee, quali quelle di separazione e divorzio, determinano una situazione di litispendenza, per previsione espressa della norma comunitaria25. Questa scelta ha rappresentato un’importante novità introdotta dalla disciplina comunitaria in materia matrimoniale, con l’intento di tener conto delle differenze tra le legislazioni degli Stati in materia di separazione personale e divorzi, nonché delle differenze normative nazionali in tema di litispendenza26. Nel caso di specie, nonostante la verosimile applicazione del Regolamento comunitario per l’individuazione della giurisdizione italiana, non ha tuttavia operato la regola dettata dal Regolamento stesso all’art. 19 in materia di litispendenza, perché relativa alla sola ipotesi in cui “la pendenza investe le autorità giurisdizionali di Stati membri diversi”. Si comprende quindi la ragione per cui nel caso di specie, vista la pendenza avanti ad autorità italiane ed albanesi, non essendo l’Albania uno Stato membro, si è fatto ricorso all’art. 64 della legge 218/1995. La differente disciplina tra diritto nazionale e comunitario conduce così ad opposte conclusioni: in caso di coinvolgimento di procedimenti matrimoniali in due Stati comunitari, opererà la regola della litispendenza e quindi dell’incompetenza del giudice successivamente adito, essendo la valutazione sull’identità dell’oggetto compiuta a priori dalla norma; viceversa qualora la pendenza coinvolga uno Stato non comunitario troverà applicazione l’art. 64 della legge 218/1995, richiedendo una valutazione sull’identità o meno dei giudizi per le cause matrimoniali, al fine di valutare l’operatività della litispendenza quale causa ostativa al riconoscimento automatico del provvedimento. L’orientamento giurisprudenziale, che la sentenza in commento conferma, diretto ad escludere la suddetta identità, con particolare riferimento a separazione e divorzio, conduce così ad affermare il riconoscimento automatico di una decisione di divorzio indipendentemente dal momento di instaurazione della vertenza, rispetto al giudizio di separazione. Rimane naturalmente ferma la valutazione di compatibilità con l’ordine pubblico, che nel caso di specie, con riferimento alla sentenza di divorzio albanese, sarà demandata alla Corte d’Appello di Firenze, alla quale la Suprema Corte ha rinviato.



6. Litispendenza e riconoscimento di sentenze sulla responsabilità genitoriale secondo il regolamento UE 2201/2003



Le questioni concernenti la portata della litispendenza come disciplinata dall’art. 19 del Regolamento Ue n. 2201/2003, con particolare riferimento all’orientamento sopra esposto circa la diversità ontologica dei giudizi di separazione e divorzio27, sono di recente giunte all’attenzione della Corte di Giustizia dell’Unione europea per chiarire la portata della litispendenza disciplinata dall’articolo 19 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità genitoriale. La Corte di Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 15183 del 20 giugno 2017 ha sospeso un procedimento nazionale e chiesto alla Corte di Giustizia di specificare se il principio di litispendenza delineato dal regolamento Bruxelles II-bis abbia rilievo unicamente ai fini della determinazione del giudice competente oppure se il mancato rispetto del principio possa valere quale causa ostativa al riconoscimento della decisione, nel Paese i cui giudici siano stati aditi preventivamente, allorché la sentenza provenga dall’Autorità giurisdizionale straniera adita successivamente; e ciò nell’ipotesi in cui il principio di litispendenza non sia stato pienamente rispettato. Il dubbio interpretativo sollevato dalla Cassazione sorge perché l’art. 24 del Regolamento 2201/200328 in relazione al divieto di riesame della competenza giurisdizionale dell’Autorità giudiziaria d’origine fa riferimento solo agli artt. 329-1430 del Regolamento stesso, ma non anche all’art. 19 dedicato, per l’appunto, alla litispendenza. La vicenda concerneva la separazione tra un cittadino italiano e una donna rumena e l’affidamento del loro figlio minore. A seguito di un periodo di convivenza in Italia, la moglie si era trasferita definitivamente a Bucarest con il figlio minore, inducendo il marito a rivolgersi al Tribunale di Teramo per ottenere la separazione e l’affidamento del figlio. I giudici avevano addebitato alla donna la separazione e, mentre pendeva la questione sulla responsabilità genitoriale, la pronuncia sulla separazione era divenuta definitiva. La donna, però, si era rivolta al Tribunale di Bucarest per ottenere il divorzio e l’affidamento del figlio. I giudici rumeni non avevano tenuto conto dell’eccezione di litispendenza presentata dal marito, pronunciandosi sul divorzio e sull’affidamento del figlio alla donna. La pronuncia era passata in giudicato mentre in Italia si concludeva la causa sulla responsabilità genitoriale con affidamento del figlio al padre. La donna, però, aveva proposto appello chiedendo il riconoscimento, in via incidentale, della sentenza rumena.

I giudici della Corte di appello dell’Aquila avevano dato ragione alla donna, sostenendo la legittimità del comportamento dei colleghi rumeni che non avevano dato seguito alla litispendenza opposta dal padre dinanzi al Tribunale di Bucarest in ragione della non identità dell’oggetto tra il procedimento italiano e quello rumeno. La Corte di Appello, quindi, aveva chiuso la questione in ragione del sopravvenuto giudicato sullo status e sulla responsabilità genitoriale, dichiarando inammissibile la richiesta di affidamento esclusivo del minore presentata dal padre. Erroneamente il Tribunale di Bucarest aveva quindi applicato il principio di diversità ontologica tra i procedimenti, anziché far corretta applicazione della litispendenza eurounitaria ai sensi dell’art. 19 REG UE 2201/2003 operante nel caso di specie tra Stati membri, secondo la nozione di litispendenza allargata. L’errore tuttavia non era stato ritenuto motivo ostativo al riconoscimento poiché a dire dei Giudici dell’Appello la violazione della disciplina della litispendenza eurounitaria da parte degli organi giudiziari dello stato membro successivamente adito, non rileva ai fini dell’esame dei requisiti per il riconoscimento dei provvedimenti definitivi assunti da tale Stato, poiché la litispendenza attiene alla competenza giurisdizionale ed è assoggettata esclusivamente alle forme di controllo del singolo ordinamento interno31. L’uomo impugnava così la pronuncia dinanzi alla Corte di Cassazione che, prima di pronunciarsi, con l’ordinanza interlocutoria del 20 giugno, si è rivolta alla Corte di giustizia Ue per verificare se, nei casi in cui la litispendenza non sia stata rispettata, possa essere escluso il riconoscimento nello Stato membro in cui l’autorità giurisdizionale sia stata preventivamente adita alla luce dell’ordine pubblico processuale. In particolare, la Suprema Corte ha dubbi sul punto poiché l’articolo 24 del regolamento, in materia di ordine pubblico, in relazione al divieto di riesame della competenza giurisdizionale dell’autorità giurisdizionale d’origine, richiama unicamente le regole sulla competenza giurisdizionale di cui agli articoli da 3 a 14, ma non l’articolo 19 che si occupa della litispendenza. Il rinvio della Cassazione punta a chiarire se sia ammissibile una portata ristretta di litispendenza che dovrebbe avere, invece, effetti opposti avendo la Corte di Giustizia costruito un concetto ampio di litispendenza euronitaria, fondato sull’omogeneità del rapporto giuridico relativo ai diversi giudizi, avendo come riferimento comune l’unicità del rapporto matrimoniale. Poiché inoltre l’autonomia della nozione euro unitaria, rispetto a quella proprio degli ordinamenti degli Stati, si fonda sul divieto di controllo della competenza del giudice preventivamente adito, da parte del giudice successivamente adito e sull’adozione del criterio della prevenzione, va compreso se la non corretta applicazione del meccanismo incida in sede di riconoscimento della decisione. Tenuto conto della previsione dell’art. 24 del Reg secondo la quale la violazione delle regole attributive della competenza non costituisce motivo ostativo al riconoscimento. La Corte di Giustizia sarà pertanto chiamata ad affrontare il quesito relativo all’inclusione della violazione delle regole della litispendenza euro unitaria nella nozione di “manifesta contrarietà all’ordine pubblico”32.



7. Operatività del meccanismo della litispendenza



Chiarita la sussistenza o meno di un’ipotesi di litispendenza, i problemi non sono finiti. L’impegno giurisprudenziale è proseguito, stante la frequenza delle eccezioni sul punto sollevate in materia di diritto di famiglia, al fine di chiarire in concreto le modalità operative del meccanismo della litispendenza, sia essa valutata ai sensi dell’art. 7 della legge n. 218/ 1995 o dell’art. 19 del Regolamento EU n. 2201 del 2003. Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione sono intervenute, con una prima sentenza n. 21108, 28 novembre 2012, a chiarire la nozione di litispendenza internazionale formulata nell’articolo 7 della legge di riforma di diritto internazionale privato n. 218/95. La vicenda che ha dato il via alla pronuncia riguardava un caso di affidamento di una minore nata da padre italiano e madre brasiliana, residenti per un periodo in Italia. La madre, tornata in patria con la bambina, aveva chiesto ai giudici brasiliani un provvedimento di affidamento della figlia. In seguito, identica richiesta era stata depositata dal padre ai giudici del Tribunale per i minori di Venezia. Quest’ultimo non aveva tenuto conto del procedimento già avviato in Brasile e aveva affidato la minore al padre. La Corte di appello non ha condiviso detta conclusione proprio in ragione dell’esistenza di un procedimento già pendente tra le stesse parti in Brasile. Di qui il ricorso alla Cassazione del padre. Per la Suprema Corte era da ritenersi corretta la decisione in appello ad applicare l’articolo 7 della legge n. 218/95. Tale norma – ha osservato la Cassazione – anche in ragione della non coincidente definizione della nozione di litispendenza rispetto all’articolo 39 c.p.c. e dell’incidenza della Convenzione di Bruxelles del 196833, deve essere interpretata, per quanto riguarda la nozione di stessa causa, non ancorandola a “criteri formalistici e restrittivi”. Pertanto, oltre all’identità delle parti, è sufficiente “l’identità dei risultati pratici perseguiti”, senza che abbia rilievo il “petitum immediato delle singole domande e dal titolo specificamente fatto valere”, atteso che l’art. 7 della l. n. 218 del 1995, interpretato alla luce del successivo art. 64, lett. e)34, mira ad evitare inutili duplicazioni di attività giudiziaria e ad eliminare il rischio di conflitto tra giudicati, obiettivi che sarebbero frustrati ove il giudizio nazionale e quello straniero potessero determinare risultati pratici fra loro incompatibili. Non è indispensabile inoltre che l’operatività della litispendenza sia subordinata ad eccezione di parte perché questa sarebbe prospettabile senza limiti di tempo “con un irragionevole squilibrio fra le posizioni delle parti”. Ne consegue che la formulazione letterale della menzionata norma (“quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa pendenza”) va intesa nel senso che la litispendenza deve essere dichiarata dal giudice quando l’esistenza dei relativi presupposti emerga dagli elementi offerti dalle parti. Di conseguenza, per la Cassazione, la Corte di appello ha agito in modo conforme al testo normativo disponendo la sospensione del procedimento dinanzi ai giudici italiani in ragione della pendenza del procedimento avviato in Brasile.



8. Qualificazione della natura della litispendenza internazionale



Con ordinanza n. 8619, depositata il 2 maggio, la sesta sezione civile della Cassazione rimetteva la causa al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite per chiarire la natura della litispendenza internazionale. La vicenda esaminata dalla sesta sezione concerneva la separazione di una coppia di cittadini italiani, ove l’adito Tribunale di Bolzano, su ricorso del marito, aveva escluso la giurisdizione essendo entrambe le parti residenti in Svizzera ed essendo il giudice svizzero preliminarmente investito della domanda su istanza della moglie. La Corte di Appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano – riteneva invece sussistente la giurisdizione italiana in ordine a cause di separazione e divorzio di cittadini italiani residenti all’estero in Paese extra UE35, per poi tuttavia escluderla in base all’operatività della regola sulla litispendenza di cui all’articolo 7 della legge n. 218/95. Diversa la posizione del marito ricorrente secondo il quale la giurisdizione svizzera andrebbe esclusa in base all’articolo 3 del regolamento n. 2201/2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, con la conseguenza che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la propria giurisdizione in via esclusiva, senza ammettere alcuna sospensione36. Tenendo conto del contrasto interpretativo interno alle stesse sezioni unite e le differenti posizioni sulla qualificazione della natura della litispendenza internazionale, la sesta sezione ha optato per la richiesta di un rinvio alle Sezioni Unite, chiamate così a risolvere la questione pregiudiziale inerente il rimedio di cui le parti dispongono nei confronti di un provvedimento che abbia disposto la sospensione del giudizio a seguito del rilievo della ricorrenza di litispendenza internazionale37. La questione fu ritenuta non adeguatamente motivata nella pregressa Giurisprudenza della Stessa Corte, tanto da richiedere un più mediato esame38. Infatti nelle Ordinanze in data 8 giugno n. 12410 e 2 agosto n. 16862 del 2011, la litispendenza fu considerata come questione riguardante la giurisdizione e non come ipotesi di sospensione necessaria, contrariamente alle conclusioni del Procuratore Generale nel caso di specie e agli orientamenti della pregressa Giurisprudenza39. Il principio secondo cui la sospensione disposta, in relazione alla litispendenza internazionale pone una questione di giurisdizione, veniva poi ribadito in una decisione a seguito di ricorso ex art. 360 c.p.c. proposto avverso il provvedimento con il quale la Corte d’Appello aveva disposto la sospensione di un procedimento in materia di affidamento die minori, per essere stata preventivamente proposta domanda di analogo contenuto davanti all’autorità giudiziaria brasiliana40. Le Sezioni Unite nuovamente investite hanno ritenuto invece che le ragioni poste a fondamento dell’orientamento affermatosi prima dell’anno 2011 siano da condividere, affermando che il provvedimento di sospensione adottato dal giudice successivamente adito non attenga ad una questione di giurisdizione. Ritiene infatti la Corte che in relazione alla disciplina della litispendenza, il giudice preventivamente adito sicuramente decide in maniera esclusiva una questione di giurisdizione, mentre il complesso di poteri attribuiti al giudice successivamente adito si risolve, al contrario, nella verifica di presupposti di natura processuale, inerenti alla sussistenza o meno della litispendenza ed alla concreta applicabilità del criterio fondato sulla prevenzione temporale. Partendo dall’analogo ragionamento in tema di sospensione del procedimento ex art. 367 c.p.c. a seguito di ricorso ex art. 41 c.p.c., si osserva che il dovere di sospendere il giudizio in attesa di pronuncia sulla giurisdizione da pare di altro organo, non involge una questione di giurisdizione, essendosi in presenza di un potere istruttorio volto a disciplinare i ritmi del processo41. La conclusione non muta quanto al potere del giudice successivamente adito nell’ipotesi di litispendenza internazionale. Conferma della conclusione si rinviene anche nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha avuto modo di ribadire come il giudice successivamente adito, senza alcun potere di delibazione in merito alla competenza internazionale, debba limitarsi ad accertare quale sia il giudizio preveniente e la sussistenza o meno dei requisiti inerenti all’identità delle cause, oltre ovviamente all’attualità della pendenza del giudizio instaurato preventivamente42. Non può esservi pertanto alcuna verifica in merito alla sussistenza della giurisdizione il cui accertamento è riservato al giudice preventivamente adito dovendo quindi affermarsi – ove ne ricorrano i presupposti – l’esperibilità del regolamento necessario di competenza ex art. 42 c.p.c. inteso quale rimedio offerto alla parte al fine di verificare la legittimità del provvedimento di sospensione disposta in relazione alla litispendenza internazionale. Così, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso aprendo la porta, però, se ne ricorrono i presupposti, all’utilizzo del regolamento necessario di competenza di cui all’articolo 42 c.p.c.



9. Osservazioni conclusive



La difficoltà dell’istituto della litispendenza internazionale ed eurounitaria ed il coinvolgimento di profili sia sostanziali che processuali – la cui operatività pratica incide in concreto sulle sorti delle decisioni di diritto di famiglia dei nostri Tribunali – rendono certamente indispensabile l’intervento chiarificatore delle alte Corti. La Corte di Giustizia in sede pregiudiziale da un lato e la Suprema Corte a Sezione Unite dall’altro, andranno a colmare qualche lacuna interpretativa, al fine di fornire certezza agli stessi operatori del diritto circa l’ambito applicativo di uno strumento di raccordo tra diritto interno e diritto internazionale. Questo influenzerà inevitabilmente anche la tanto auspicata riforma della nostra legge n. 218/1995 sul diritto internazionale privato, troppo rinviata ma oggi ancor più indispensabile in materie che interessano i diritti fondamentali della persona.

NOTE

1 Art. 7 Pendenza di un processo straniero. 1. Quando, nel corso del giudizio, sia eccepita la previa

pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi a

un giudice straniero, il giudice italiano, se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre

effetto per l’ordinamento italiano, sospende il giudizio. Se il giudice straniero declina la propria

giurisdizione o se il provvedimento straniero non è riconosciuto nell’ordinamento italiano, il

giudizio in Italia prosegue, previa riassunzione ad istanza della parte interessata. 2. La pendenza

della causa innanzi al giudice straniero si determina secondo la legge dello Stato in cui il processo

si svolge. 3. Nel caso di pregiudizialità di una causa straniera, il giudice italiano può sospendere il

processo se ritiene che il provvedimento straniero possa produrre effetti per l’ordinamento

italiano.

2 Sull’applicazione dell’art. 64 l. 218/1995 alle sentenze in materia familiare e sui rapporti con il

successivo art. 65, concernente il riconoscimento dei provvedimenti stranieri relativi alla capacità

delle persone nonché all’esistenza di rapporti di famiglia o di diritti della personalità, si veda

Cassazione civile sez. I 17 luglio 2013 n. 17463, con la quale la Suprema Corte ha chiarito che la

disciplina del riconoscimento delle sentenze straniere in Italia, così come desumibile dalla legge 31

maggio 1995, n. 218, non ha delineato un trattamento esclusivo e differenziato delle controversie

sui rapporti di famiglia mediante l’art. 65, ma ha descritto, con l’art. 64, un meccanismo di

riconoscimento di ordine generale (riservato in sé alle sole sentenze), valido per tutti tipi di

controversie, ivi comprese perciò quelle in tema di rapporti di famiglia. Rispetto ad un tale

generale modello operativo, la legge ha affidato, poi, all’art. 65 la predisposizione di un

meccanismo complementare più agile di riconoscimento (allargato alla più generale categoria dei

“provvedimenti”) riservato all’esclusivo ambito delle materie della capacità delle persone, dei

rapporti di famiglia o dei diritti della personalità, il quale, nel richiedere il concorso dei soli

presupposti della “non contrarietà all’ordine pubblico” e dell’avvenuto “rispetto dei diritti

essenziali della difesa”, esige tuttavia il requisito aggiuntivo per cui i “provvedimenti” in questione

siano stati assunti dalle autorità dello Stato la cui legge sia quella richiamata dalle norme di

conflitto (Rigetta, App. Brescia, 7 aprile 2009); Montella, La normativa comune sul riconoscimento

delle sentenze e dei provvedimenti stranieri (artt. 64,65, 66, 67 l. 31 maggio 1995, n. 218), in

Codice di Famiglia, Minori, Soggetti Deboli, a cura di BaSini, Bonilini, Confortini, 2011, Torino,

5351.

3 Ballarino, Manuele breve di diritto internazionale privato, 3a ed. Padova, 2008, 95; MoSConi,

CaMpiGlio, Diritto internazionale privato e processuale, Parte generale e contratti, 4a ed., Torino,

2007, 341; Montella, La normativa comune sul riconoscimento delle sentenze e dei provvedimenti

stranieri (artt. 64,65, 66, 67 l. 31 maggio 1995, n. 218), in Codice ipertestuale della Famiglia, a cura

di Bonilini, Confortini, Torino, 2009, 2733.

4 Art. 67 l. 218/1995: “In caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento

della sentenza straniera o del provvedimento straniero di volontaria giurisdizione ovvero quando

sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla

Corte d’appello del luogo id attuazione, l’accertamento dei requisiti del riconoscimento”.

5 Corte d’Appello Milano, 27 luglio 1999: ha chiarito che l’azione spetta a chiunque vi abbia

interesse alla luce dell’art. 100 c.p.c. e trattandosi di puro accertamento è imprescrittibile.

Quanto al rito applicabile si veda Montella, La normativa comune sul riconoscimento delle

sentenze e dei provvedimenti stranieri (artt. 64,65, 66, 67 l. 31 maggio 1995, n. 218), in Codice di

Famiglia, Minori, Soggetti Deboli, a cura di BaSini, Bonilini, Confortini, 2011, cit., 5359. L’art. 67 l.

218/95 va ora integrato con l’art. 30, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150/2011: “1. Le controversie

aventi ad oggetto l’attuazione di sentenze e provvedimenti stranieri di giurisdizione volontaria di

cui all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, sono regolate dal rito sommario di

cognizione. 2. È competente la Corte di Appello del luogo di attuazione del provvedimento”.



L’art. 67 ammette esplicitamente anche l’accertamento in via incidentale ove la contestazione

sorga nell’ambito di un processo già in corso: in tal caso tuttavia l’accertamento del giudice avrà

efficacia solo all’interno ed in funzione di quel giudizio.

6 Art. 64 l. 218/95 Riconoscimento di sentenze straniere. “1. La sentenza straniera è riconosciuta

in Italia senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento quando: a) il giudice che l’ha

pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale

propri dell’ordinamento italiano; b) l’atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del

convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo e non

sono stati violati i diritti essenziali della difesa; c) le parti si sono costituite in giudizio secondo la

legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata dichiarata in conformità a tale

legge; d) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata; e) essa

non è contraria ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; f) non

pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che

abbia avuto inizio prima del processo straniero; g) le sue disposizioni non producono effetti

contrari all’ordine pubblico”.

7 Sui criteri di collegamento per la determinazione della giurisdizione italiana: art. 32 l. 31 maggio

218, n. 218 – La giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e

scioglimento del matrimonio nel diritto internazionale privato – “in materia di nullità,

annullamento, separazione personale e scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana

sussiste oltre che nei casi previsti dall’articolo 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano

o il matrimonio è stato celebrato in Italia”; art. 3 l. 31 maggio 218, n. 218 Ambito della

giurisdizione “1. La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in

Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del

codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge. 2. La giurisdizione sussiste

inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la

competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e

protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 21 giugno 1971, n.

804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché il convenuto non sia

domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese

nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste

anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.

8 Trattasi di un concorso successivo di criteri collegamento, per cui il primo criterio utilizzato si

identifica nella legge nazionale comune e solo in caso di nazionalità diverse, si adotterà il secondo

criterio relativo alla legge del luogo di prevalente localizzazione della vita matrimoniale. Si veda

Baratta, Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, Milano, 2004,

3. Sul criterio di collegamento del luogo di localizzazione prevalente della vita matrimoniale si veda

Cass. Civ., Sez I, 4 aprile 2011, n. 7599.

9 CaSella, La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio nel sistema del diritto

internazionale privato (art. 31, l. 31 maggio 1995, n. 218), in Codice di Famiglia, Minori, Soggetti

Deboli, a cura di BaSini, Banilini, Confortini, Torino, 2011, 5244.

10 Cass. Civ. sentenza del 27 ottobre 2016, n. 21741: Si poneva il problema di riconoscere una

sentenza di divorzio Cubana, intervenuta, tuttavia, in un momento successivo all’emissione, tra le

stesse parti, della sentenza italiana di separazione consensuale. Peraltro, in sede di giudizio

italiano di separazione, il marito si era impegnato a rinunciare al giudizio di divorzio pendente a

Cuba ed a qualunque pretesa ivi contenuta. Le due pronunce avevano un contenuto divergente ed

incompatibile tra loro, in quanto ad esempio, mentre per quanto riguardava il figlio minorenne

della coppia, con la sentenza italiana di separazione si disponeva l’affido condiviso con

collocazione presso la madre e assegno di mantenimento a carico del padre; con la sentenza



cubana di divorzio, si prevedeva invece l’affidamento condiviso (o meglio alternato) del figlio, con

collocamento presso il padre, con assegno di mantenimento a carico della madre. Ebbene,

sostanzialmente per questi motivi di ‘incompatibilità’ di contenuto, la Corte d’appello di Perugia

aveva negato il riconoscimento alla citata sentenza cubana di divorzio, accogliendo la richiesta di

riconoscimento solo limitatamente allo scioglimento del vincolo e con esclusione, dunque, delle

altre statuizioni. Tuttavia, la Cassazione investita della vicenda censurò le conclusioni della Corte

d’Appello, non per il mancato riconoscimento della sentenza straniera di divorzio, conclusione

confermata, ma per le ragioni poste a fondamento della pronuncia. Richiamando l’art. 64 lettera f)

della l. 218/95 la Suprema Corte ebbe modo di chiarire che non poteva operarsi alcuna

comparazione tra giudizio di separazione e giudizio di divorzio non essendo sovrapponibili

“(omissis) L’identità delle parti è fuori discussione. Il rapporto dedotto in entrambi i giudizi è il

vincolo matrimoniale. La situazione giuridica dedotta nei due giudizi non è tuttavia sovrapponibile.

Nella separazione personale la parte ricorrente (o le parti) azionano il diritto a vedere accertata

l’irreversibilità della loro crisi coniugale, una verifica che costituisce condizione necessaria ai fini

dell’esercizio del diritto allo scioglimento definitivo del vincolo, ottenibile mediante il giudizio di

divorzio. Tale ulteriore passaggio non è, tuttavia, obbligato ben potendo le parti scegliere di

mantenere in essere il vincolo, nonostante l’accertamento giudiziale della sussistenza dei requisiti

di legge per la separazione personale. Ciò costituisce un ulteriore indicatore della diversità della

causa petendi ed introduce alle più rilevanti diversità riscontrabili in ordine al petitum ed agli

effetti del giudicato separativo e divorzile”.

11 Cfr. anche Cassazione civile, sez. I, 25 luglio 2006, n. 16978 che ha statuito “(omissis) ... In tema

di riconoscimento di sentenza straniera di divorzio, la circostanza che il diritto straniero (nella

specie, il diritto di uno Stato degli USA) preveda che il divorzio possa essere pronunciato senza

passare attraverso la separazione personale dei coniugi e il decorso di un periodo di tempo

adeguato tale da consentire ai coniugi medesimi di ritornare sulla loro decisione, non costituisce

ostacolo al riconoscimento in Italia della sentenza straniera che abbia fatto applicazione di quel

diritto, per quanto concerne il rispetto del principio dell’ordine pubblico, richiesto dall’art. 64

comma 1, lettera g), della legge 31 maggio 1995, n. 218, essendo a tal fine necessario, ma anche

sufficiente, che il divorzio segua all’accertamento dell’irreparabile venir meno della comunione di

vita tra i coniugi”; Conforme Tribunale di Monza, sez. iv, 11 aprile 2011, n. 1104.

12 Regolamento n. 2201/2003 adottato il 27 novembre 2003 ed entrato in vigore il 1° agosto 2004

e pubblicato in Gazz Uff. Un. eur n. l. 338. Si richiama il c.d. fenomeno della comunitarizzazione del

diritto internazionale privato, che ha investito diversi settori rilevanti per la materia civile, tra i

quali il diritto di famiglia, da ricondurre al Trattato di Amsterdam, entrato in vigore il 1° maggio

1999: l’art. 61, Titolo IV della Parte Terza denominato “visti, asilo, immigrazione d altre politiche

connesse con la libera circolazione delle persone” che attribuiva alla Comunità il potere di

adottare misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile che presenti

implicazioni transfrontaliere, allo scopo di istituire progressivamente uno spazio di libertà,

sicurezza e giustizia, come indicato al successivo art. 65 del Trattato. Il Trattato di Lisbona, ultimo

intervento modificativo del quadro comunitario, pubblicato in versione consolidata in Gazz. Uff.

Un. Eur. n. C 83 del 30 marzo 2010, ha confermato le competenze dell’Unione nel settore: in

materia di famiglia, le misure relative al settore sono stabilite dal Consiglio che delibera

all’unanimità, previa consultazione del Parlamento Europeo, informandone poi i Parlamenti

Nazionali.

13 de CeSari, Diritto internazionale privato dell’Unione europea, Torino, 2011, 193. Il sistema di

distribuzione della competenza giurisdizionale stabilito dalla disciplina europea ha la funzione di

escludere l’applicazione dei criteri nazionali di competenza, quando si tratti di materie comprese



nel campo di applicazione del regolamento. Per l’Italia non possono quindi operare i titoli di

giurisdizione previsti dagli artt. 3, 4, 32 e 37 della legge n. 218/1995.

14 Corte d’Appello di Firenze, I sezione civile, n. 1601 del 17 ottobre 2013.

15 Art. 31 l. 218/1995 Separazione personale e scioglimento del matrimo-

nio “1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge

nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del

matrimonio; in mancanza si applica la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta

prevalentemente localizzata. 2. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio,

qualora non siano previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana”.

16 Art. 3 Reg. CE 2201/2003 Competenza generale “1. Sono competenti a decidere sulle questioni

inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio le

autorità giurisdizionali dello Stato membro: 1. a) nel cui territorio si trova: la residenza abituale dei

coniugi, o l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o la residenza

abituale del convenuto, o in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o

la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente

prima della domanda, o la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei

mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso o, nel caso

del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio ‘domicile’; (omissis)”.

17 Art. 7 Reg. CE 2201/2003 Competenza residua “1. Qualora nessun giudice di uno Stato membro

sia competente ai sensi degli articoli 3, 4 e 5, la competenza, in ciascuno Stato membro, è

determinata dalla legge di tale Stato. (omissis)”.

18 Il regolamento CE 2201/2003 non contiene una definizione della residenza e si ritiene che la

residenza abituale coincida con il “luogo in cui l’interessato ha fissato, con voluto carattere di

stabilità, il centro permanente o abituale dei propri interessi, fermo restando che, ai fini della

determinazione del luogo di residenza abituale, occorre tener conto di tutti gli elementi di fatto

che contribuiscono alla sua costituzione”. Si tratta di una nozione che era stata elaborata in seno

alla conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato e che viene utilizzata nelle convenzioni

adottate nell’ambito di tale organizzazione. Cfr. in questo senso la Relazione esplicativa della prof.

BorràS, n. 32, 38. Si veda pure lupoi, Il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27

novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in

materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, in AA.VV., Manuale di diritto

processuale europeo, a cura di taruffo, varano, Torino, 2011, 115; de CeSari, Diritto internazionale

privato dell’Unione europea, Torino, 2011, 196.

19 Dalla sentenza di primo grado – n. 75/2013 Tribunale di Pistoia – emerge infatti che i coniugi

avevano vissuto ad Uzzano (PT).

20 Art. 32 l. 218/1995 Giurisdizione in materia di nullità, annullamento, separazione personale e

scioglimento del matrimonio. “1. In materia di nullità e di annullamento del matrimonio, di

separazione personale e di scioglimento del matrimonio, la giurisdizione italiana sussiste, oltre che

nei casi previsti dall’articolo 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è

stato celebrato in Italia”.

21 Art. 3 l. 218/1995 Ambito della giurisdizione “1. La giurisdizione italiana sussiste quando il

convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare

in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista

dalla legge. 2. La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del

titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni

in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi

con la legge 21 giugno 1971, n. 804, e successive modificazioni in vigore per l’Italia, anche allorché

il convenuto non sia domiciliato nel territorio di uno Stato contraente, quando si tratti di una delle



materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la

giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio”.

22 de CeSari, Diritto internazionale privato dell’Unione europea, cit., 207.

23 Questa previsione che già figurava nel Regolamento CE n. 1347/2000,

viene sostanzialmente ad estendere la disciplina in materia di litispendenza internazionale a

situazioni che, ai sensi della disciplina di diritto comune, potrebbero al più e solo in senso lato,

qualificarsi di connessione. Si veda MaronGiu, Buonaiuti, Litispendenza internazionale, in Diritto

internazionale privato, a cura di Baratta, Milano, 2010, 211.

24 davì, Il diritto internazionale privato italiano della famiglia e le fonti di origine internazionale o

comunitaria, in Riv. dir. int., 2002, 881 ss. L’originalità delle soluzioni adottata dall’art. 19 del Reg.

2201/2003 consiste nel fatto che vengono assimilate alla litispendenza ipotesi di connessione di

cause, tutte relative allo stesso rapporto matrimoniale al fine di evitare giudizi inconciliabili.

25 La prevenzione vale in tutte le cause disciplinate dal regolamento e pendenti “tra le stesse

parti”: non occorre che vi sia identità del titolo. Una volta che il primo giudice abbia accertato la

propria competenza, l’autorità giurisdizionale successivamente adita deve dichiararsi

incompetente. Ai sensi dell’art. 19, par. 3, la parte che aveva proposto la domanda davanti

all’autorità giurisdizionale successivamente adita potrà trasferire l’azione dinanzi all’autorità che

era stata adita per prima.

Sul punto, v. lupoi, Il regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo

alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in

materia di responsabilità genitoriale, in AA.VV., Manuale di diritto processuale europeo, a cura di

taruffo, varano, Torino, 2011, 128. La norma in esame introduce una forma di translatio iudicii

internazionale.

26 de CeSari, Diritto internazionale privato dell’Unione europea, cit., 2011, 210.

27 Cfr. Corte d’Appello di Brescia, sentenza n. 4/2018, pubblicata in data 11 gennaio 2018, Rel.

Dott.ssa Simona Francesca Maria Bruzzese. Trattasi di un altro caso in cui si è fatta corretta

applicazione del principio di diversità ontologica tra separazione e divorzio, secondo

un’interpretazione ristretta della litispendenza internazionale, al di fuori dell’ambito di operatività

del Reg. UE trattandosi di sentenze emesse in un Paese Extraeuropeo. Veniva accertata infatti la

competenza giurisdizionale del Tribunale Bosniaco – se pur adito successivamente – per la

pronuncia di scioglimento del matrimonio, confermando sul punto la sentenza di primo grado del

Tribunale di Brescia, sent. N. 1322/17 del 3 maggio 2017, Dr.ssa Fedele.

28 Articolo 24 Reg. UE 2201/2003 Divieto di riesame della competenza giurisdizionale dell’autorità

giurisdizionale d’origine: “Non si può procedere al riesame della competenza giurisdizionale del

giudice dello Stato membro d’origine. Il criterio dell’or-dine pubblico di cui agli articoli 22, lettera

a), e 23, lettera a), non può essere applicato alle norme sulla competenza di cui agli articoli da 3 a

14”.

29 Articolo 3 REG UE 2201/2003 Competenza generale: “1. Sono competenti a decidere sulle

questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del

matrimonio le autorità giurisdizionali dello Stato membro: a) nel cui territorio si trova: – la

residenza abituale dei coniugi, o – l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede

ancora, o – la residenza abituale del convenuto, o – in caso di domanda congiunta, la residenza

abituale di uno dei coniugi, o – la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno

per un anno immediatamente prima della domanda, o – la residenza abituale dell’attore se questi

vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello

Stato membro stesso o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha ivi il proprio ‘domicile’; b) di cui

i due coniugi sono cittadini o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del ‘domicile’ di entrambi i



coniugi. 2. Ai fini del presente regolamento la nozione di ‘domicile’ cui è fatto riferimento è quella

utilizzata negli ordinamenti giuridici del Regno Unito e dell’Irlanda”.

30 REG. UE 2201/2003 articolo 14 Competenza residua: “Qualora nessuna autorità giurisdizionale

di uno Stato membro sia competente ai sensi degli articoli da 8 a 13 la competenza, in ciascuno

Stato membro, è determinata dalla legge di tale Stato”.

31 La Corte d’Appello affermava (p. 7 ordinanza n. 15183 del 20 giugno 2017 Cassazione Civile): “...

omissis – c) la violazione della disciplina della litispendenza eurounitaria da parte degli organi

giudiziari dello stato membro successivamente adito, non rileva ai fini dell’esame dei requisiti per

il riconoscimento dei provvedimenti definitivi assunti da tale stato, poiché la litispendenza attiene

alla competenza giurisdizionale ed è assoggettata esclusivamente alle forme di controllo del

singolo ordinamento interno; d) ai fini di tale riconoscimento, la valutazione deve fondarsi

esclusivamente sulle norme dei Regolamenti CE che contengono i motivi ostativi al

riconoscimento; e) non sussistono, nella specie, motivi ostativi al riconoscimento dei

provvedimenti romeni sul divorzio ... omissis”.

32 Ordinanza n. 15183 del 20 giugno 2017 Cassazione Civile, 30: “... omissis Ove si ritenga che l’art.

19 REG UE sia soltanto una norma integrativa del sistema di regole sull’attribuzione della

competenza giurisdizionale, il criterio dell’ordine pubblico non potrà essere applicato alle norme

sulla competenza ai sensi dell’art. 24 Reg. Ue. A conclusioni opposte si giungerà ove si osservi che

l’art. 24 rinvia soltanto alle norme contenute negli artt. 3 e 14, riguardanti i criteri attribuitivi della

competenza, senza comprendere il rinvio all’art. 19. Questa norma è infatti collocata nel Capo

secondo relativo alla competenza ma in una Sezione diversa, la Terza denominata ‘disposizioni

Comuni’. Si tratta di un insieme di regole inderogabili volte ad evitare la coesistenza di giudizi

paralleli e di decisioni contrastanti in uno spazio comune che deve essere caratterizzato da fiducia

e lealtà processuale reciproca tra gli Stati membri, proprio perché al suo interno è previsto il

riconoscimento automatico e la libera circolazione delle decisioni, ivi ovviamente comprese quelle

incidenti – come nella specie – sui diritti fondamentali delle persone”.

33 Applicabile ratione temporis al caso affrontato art. 21 Convenzione di Bruxelles del 1968

concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e

commerciale (Gazzetta ufficiale n. C 027 del 26 gennaio 1998, 1-27): “Qualora davanti a giudici di

Stati contraenti differenti e tra le stesse parti siano state proposte domande aventi il medesimo

oggetto e il medesimo titolo, il giudice successivamente adito sospende d’ufficio il procedimento

finché sia stata accertata la competenza del giudice preventivamente adito. Se la competenza del

giudice preventivamente adito è stata accertata, il giudice successivamente adito dichiara la

propria incompetenza a favore del giudice preventivamente adito”.

34 Art. 64, l. 218/1995: “1. La sentenza straniera è riconosciuta in Italia senza che sia necessario il

ricorso ad alcun procedimento quando: omissis e) essa non è contraria ad altra sentenza

pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato; omissis.

35 Art. 32 della legge 218/1995: “la giurisdizione italiana sussiste, oltre che nei casi previsti

dall’articolo 3, anche quando uno dei coniugi è cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato

in Italia” e art. 3 lett. b) del Reg. UE 2201/2003: “1. Sono competenti a decidere sulle questioni

inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio le

autorità giurisdizionali dello Stato membro: 1. omissis b) di cui i due coniugi sono cittadini o, nel

caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del ‘domicile’ di entrambi i coniugi”.

36 Il Procuratore Generale, nel richiesto parere, ha ritenuto che il ricorso non investisse la

giurisdizione, ma assumesse i tratti del regolamento di competenza, avendo ad oggetto il

provvedimento di sospensione del procedimento e, previa conversione del ricorso in istanza di

regolamento di competenza, sussistendone i presupposti, ha concluso per il suo rigetto.

37 L’ordinanza di rimessione ha posto il seguente quesito “Se è vero che nel caso di litispendenza

internazionale, atteso che il giudice successivamente adito deve sospendere il processo fino a che

quello adito per primo non abbia affermato la propria giurisdizione, non si disciplini un’ipotesi di

sospensione necessaria del processo, ma una questione di giurisdizione, comportando un difetto

temporaneo di quest’ultima, in quanto volta a privare il giudice successivamente adito della sua

potestas iudicandi, sino a che non sia compiuto l’accertamento della competenza del giudice

preventivamente adito” Ricorso 2015 n. 11740 Sez. S.U. ud. 7 febbraio 2017, 5.

38 In un primo momento venne affermata l’esperibilità del regolamento preventivo di

giurisdizione: Cass., Sez. U, 12 dicembre 1988, n. 6756; Cass., Sez. U., 15 ottobre 1992, n. 11262.

Intervenne poi un radicale mutamento che ammetteva il regolamento di competenza ex art. 42

c.p.c. negando che l’impugnazione del provvedimento di sospensione del procedimento per

litispendenza ponesse una questione di giurisdizione, tanto da estendere il rimedio anche contro il

provvedimento negatorio della sospensione (cfr. Cass., Sez. U., 13 febbraio 1998, n. 1514).

39 Sull’orientamento che confermava come l’applicazione delle norme sulla litispendenza

internazionale non costituisse una questione di giurisdizione Cass., Sez. U, 29 aprile 1999, n. 274 in

relazione all’art. 21 della Convenzione di Bruxelles; Cass. 15 dicembre 2000, n. 15843, Cass., Sez.

U.,, 17 ottobre 2002, n. 14769; Cass., Sez. U., 7 maggio 2004, n. 8748; Cass., Sez. U., 15 febbraio

2007, n. 3364; Cass. Sez. U. 15 maggio 2007, n. 11185.

40 Cass., Sez. U., 28 novembre 2012, n. 21108.

41 Cass. Sez. U., 26 novembre 1990, n. 11366.

42 Corte di Giustizia 27 giugno 1991, C-351/89.