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La tutela dei crediti professionali per attività giudiziali secondo la giurisprudenza di legittimità

autore: B. Maranò

1. Introduzione



Henry Peter Brougham, politico britannico, avvocato scozzese scriveva: “L’avvocato è un uomo che

salva i vostri beni dai vostri nemici tenendoli per sé”. Purtroppo di questi tempi non è un brocardo

di moda perché per sé l’avvocato non riesce a trattenere neanche l’importo di una parcella.

Argomento pertanto attualissimo specie nelle realtà del Sud Italia dove è diventato davvero

difficile inseguire il proprio cliente per il pagamento della parcella. Intanto il danno oltre la beffa è

che bisogna accuratamente studiare e alacremente lavorare pure per farsi pagare. Le Sezioni Unite

civili, nel febbraio scorso sono intervenute in materia di procedimenti da adire con riferimento ai

crediti per spese giudiziali dell’avvocato. Facciamo un passo indietro secondo l’art. 28 ed i

successivi art. 29 e 30, della previgente legge 13 giugno 1942 n. 794 un avvocato determinato a

recuperare un credito professionale per prestazioni giudiziali poteva scegliere tra tre strade: 1) il

procedimento speciale di cui agli artt. 28 e ss. l. n. 794/1942 (limitatamente ai crediti relativi a

procedimenti civili);2) il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo; 3) il giudizio ordinario di

cognizione. L’art. 34 d.lgs. n. 150/2011 ha abrogato i citati artt. 29 e 30 legge n. 794/1942 ed ha

così modificato l’art. 28: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del

proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende

seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi

dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”. Allo stato il povero malcapitato

avvocato che intende recuperare l’onorario ora ha due strade: 1) il decreto ingiuntivo; 2) il

procedimento previsto dall’articolo 14 del d.lgs. n. 150/2011 che disciplina attualmente le

controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”, prevedendo

testualmente quanto segue: “Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942,

n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’articolo 645 del codice di procedura civile contro il

decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni

giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal

presente articolo”. Pertanto se l’avvocato preferisce scegliere la strada del decreto ingiuntivo,

l’opposizione al decreto ingiuntivo è comunque regolata dal rito sommario di cognizione, in

alternativa potrà comunque usare il procedimento del rito sommario di cognizione (ex art. 14

d.lgs. 150/2011 che ha modificato l’art. 28 legge 13 giugno 1942 n. 794). Però, la normativa del

capo III bis relativa al processo sommario di cognizione prevede che si può passare dal rito

sommario al procedimento ordinario e viceversa ed occorre valutare se tale scelta è esercitabile

anche per le controversie che hanno ad oggetto il recupero delle spese e l’onorario dell’avvocato.

L’ulteriore domanda da porre è se il procedimento sommario di cognizione è applicabile ad ogni

contestazione relativa all’onorario (quantum, ma anche all’esistenza del rapporto), oppure se tale

procedimento è applicabile solo quando è contestato il quantum e non quando si contesta

l’esistenza del rapporto, oppure, in modo più generico, ci si potrebbe chiedere “se” è derogabile il

procedimento delineato dal decreto legislativo n. 150/2011. Le conseguenze derivanti dallo

scegliere una tesi piuttosto che un’altra portano, nel caso di contestazioni sull’an del rapporto

professionale ad una pronuncia di inammissibilità da parte del giudice del procedimento speciale,

al contrario, secondo una diversa ricostruzione il ricorso sommario proposto dall’avvocato sarebbe

suscettibile di evolvere, previa conversione del rito ex art. 4 d.lgs. n. 150/2011 in rito ordinario,

allorché il convenuto contesti anche l’an o proponga domanda riconvenzionale. Ipotizzando una

terza tesi, l’intero giudizio di liquidazione dei compensi, quando comprende la contestazione

sull’an debeatur, dovrebbe essere trattato con il “nuovo” rito sommario (quale procedimento

inderogabile) e di conseguenza, nel caso in cui il giudizio in tale materia venga introdotto con rito

ordinario e, dunque, con atto di citazione (o con atto di citazione in opposizione avverso il decreto

ingiuntivo), il Presidente del Tribunale o della Sezione tabellarmente competente dovrebbe, in



primis disporre il mutamento del rito da ordinario in sommario ai sensi dell’art. 4 d.lgs. n.

150/2011, nominare il Giudice relatore; ed infine fissare l’udienza di comparizione partì avanti al

Collegio per la trattazione.



2. Corte di Cassazione sez. civile 29 febbraio 2016 n. 4002



La Cassazione del 29 febbraio 2016 n. 4002 ha stabilito che le controversie previste dall’art. 28

legge 13 giugno 1942 n. 794 (come modificato dall’art. 34 d.lgs. n. 150/2011) per la liquidazione

delle spese, degli onorari e dei diritti dell’avvocato devono essere trattate con la procedura

prevista dall’articolo 14 del decreto legislativo del 1° settembre 2011 n. 150 anche quando la

domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice di trasformare il rito sommario

in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda. Quest’ultima tesi è quella accolta

dalla Corte di Cassazione, perché il legislatore scegliendo per questo caso il procedimento

sommario obbligatorio disciplinato dall’art. 3, d.lgs. n. 150/2011, ha compiuto una verifica,

astratta ed irrevocabile, a monte sulla base delle caratteristiche riscontrate in alcune specie di

controversie che hanno ad oggetto determinate specifiche materie. Una tale soluzione ha evidenti

vantaggi di economia processuale e sarebbe conforme al principio di conservazione degli atti

processuali, evitando la declaratoria di inammissibilità che è espressamente esclusa dall’art. 3, 1°

comma, d.lgs. 150/2011, nella parte in cui esclude l’applicabilità dell’art. 702-ter, 2° comma, c.p.c.

Tale soluzione è in linea con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 26 aprile

2014 n. 65 che, con riferimento alla dedotta violazione dei principi della legge delega riferita

all’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011, ed in particolare all’esclusione della convertibilità

del rito sommario, ha rilevato che la norma in esame costituisce immediata applicazione del

criterio direttivo di cui all’art. 54, comma 4, lettera b), numero 2), della legge n. 69 del 2009, il

quale riconducendo al modello del procedimento sommario quei procedimenti nei quali sono

prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, afferma che

resta “esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario”. La non

convertibilità del rito sommario discende quindi dalla espressa prescrizione impartita dalla legge

delega (art. 54, comma 4, lettera b, numero 2, della legge n. 69 del 2009) e corrisponde altresì alla

inammissibilità – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento

speciale previsto dalla legge n. 794 del 1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a

questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso. Il divieto di conversione del rito è

chiaro nell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2011 per le controversie regolate dal rito

sommario di cognizione, conseguentemente prevedere che questo divieto cada con riferimento ai

soli procedimenti di liquidazione degli onorari forensi, costituirebbe un’eccezione rispetto al

modello procedimentale prescelto dal medesimo d.lgs. n. 150 del 2011. Siffatta eccezione

risulterebbe incompatibile con le finalità, perseguite dalla riforma del 2011, di riduzione e

semplificazione dei riti civili. Le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n.

794, come modificato dall’art. 34 d.lgs. n. 150/2011, ed a seguito dell’abrogazione degli artt. 29 e

30 legge n. 794/1942, per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del

proprio cliente da parte dell’avvocato devono essere trattate con la procedura prevista

dall’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150 anche in ipotesi che la domanda

riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in

rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda.



3. Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4485



Anche le sezione unite della Cassazione con sentenza del 23 febbraio 2018, n. 4485 in particolare

hanno affermato che è esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione

ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. I

fatti posti a fondamento di questa sentenza erano i seguenti: il difensore del ricorrente adiva il

Tribunale di Civitavecchia con ricorso ex art. 702-bis cod. proc. civ. e assumeva di avere svolto

attività professionale giudiziale sia nel primo che nel secondo grado del giudizio di separazione

personale fra la sua assistita ed il coniuge, rispettivamente davanti al Tribunale di Roma ed alla

Corte d’Appello di Roma, sia richiedendo ed ottenendo vari decreti ingiuntivi dal Giudice di Pace di

Roma per somme dovute dal coniuge a titolo di assegno mensile di mantenimento per i figli ed a

titolo di contribuzione in spese straordinarie. Adducendo di avere inutilmente chiesto alla sua

assistita di provvedere al saldo delle relative competenze professionali, ne chiedeva la condanna

alla corresponsione. Con un decreto iniziale il Giudice designato alla trattazione fissava per la

comparizione “l’udienza collegiale” (così detto espressamente nel provvedimento) ma, su istanza

del ricorrente nella quale egli rappresentava di avere introdotto, come si evinceva dalle

conclusioni del ricorso, un “ordinario” procedimento sommario ai sensi dell’art. 702-bis e seguenti,

del codice di procedura civile (da trattarsi e decidersi, pertanto, dal Tribunale in composizione

monocratica) – lo stesso Giudice, con decreto in pari data, revocava il precedente decreto e fissava

l’udienza di comparizione ai fini della trattazione in composizione monocratica. All’udienza di

comparizione il Tribunale si riservava e, con ordinanza, dichiarava l’inammissibilità del ricorso a

norma dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, perché a) competente a decidere le controversie di

cui all’art. 28 della legge n. 794 del 1942 è l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel

quale l’avvocato ha prestato la propria opera, e quindi gli uffici giudiziari di Roma; b) perché parte

resistente aveva eccepito la sussistenza di cause estintive dell’obbligazione; tenuto conto che lo

speciale procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 non trova applicazione laddove,

anche a seguito delle eccezioni sollevate dal cliente convenuto in giudizio, si verifichi un

ampliamento del thema decidendum oltre la semplice determinazione degli onorari forensi, come

si desume sia dai lavori preparatori del citato testo di legge sia dalla giurisprudenza formatasi nel

vigore degli artt. 28 e 29 della legge n. 794 del 1942, costantemente ritenuta applicabile anche al

“nuovo” procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011 (cfr. in tal senso Cass.

17053/2011; Cass. 13640/10; Cass. 23344/2008; Cass. 17622/2007) ed infine perché la convenuta

risiede in Roma; Avverso l’ordinanza l’avvocato proponeva ricorso per regolamento di

competenza, chiedendo dichiararsi la competenza del Tribunale di Civitavecchia in composizione

monocratica ed a sostegno adduceva: di avere introdotto il giudizio con un ricorso ai sensi dell’art.

702-bis cod. proc. civ. secondo il rito sommario ordinario e che ad esso era applicabile la regola di

competenza di cui all’art. 18 cod. proc. civ. e che il Tribunale di Civitavecchia aveva errato, perché

il d.lgs. n. 150 del 2011 aveva lasciato inalterati gli strumenti ordinari di tutela utilizzabili dal

difensore in alternativa al procedimento speciale già regolato dalla l. n. 794 del 1942 e, dunque,

sia il procedimento di cognizione ordinario sia il procedimento sommario ordinario ex art. 702-bis

cod. proc. civ. Al ricorso per regolamento non vi è stata resistenza. La Sesta Sezione-2 richiedeva al

Pubblico Ministero presso la Corte di formulare, ai sensi dell’art. 380-ter cod. proc. civ. le sue

conclusioni scritte ed all’esito del loro deposito veniva fissata la trattazione in adunanza camerale,

in vista della quale il ricorrente depositava memoria. A seguito dell’adunanza la Sesta Sezione-2,

con ordinanza n. 13272 del 25 maggio 2017, ravvisata l’esistenza nella giurisprudenza delle sezioni

semplici di un contrasto sulla ricostruzione dei limiti e dell’oggetto del giudizio di cui all’art. 14 del

d.lgs. n. 150 del 2011, nonché di discordi opinioni della dottrina e della giurisprudenza di merito,

rimetteva il procedimento al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite. Competenza:

vecchio art. 28 l. 794/42 e nuovo art. 28 sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011



4. Competenza: vecchio art. 28 l. 794/42 e nuovo art. 28 sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011



Riguardo al ricorso per regolamento di competenza è stato doveroso per le sezioni unite l’esame

del tessuto motivazionale del grado impugnato, che si sviluppa con due affermazioni, l’una iniziale

e l’altra a chiusura, che esprimono o comunque implicano la negazione della competenza del

tribunale adito e sono fra loro intervallate da una valutazione di “inammissibilità” del

procedimento ricollegata all’atteggiarsi delle difese della convenuta: in tal senso si deve ritenere

che l’ordinanza impugnata debba interpretarsi come una decisione che ha inteso negare la

competenza. E, pertanto, sulla base di questi rilievi si deve allora ritenere che il tribunale, pur

avendo conclusivamente dichiarato il procedimento inammissibile, risulta, in realtà, avere

declinato su di esso la propria competenza, come se avesse inteso negare la propria competenza

sia ai sensi degli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ, cioè secondo il procedimento sommario

codicistico (con un’ordinanza ai sensi del primo comma dell’art. 702-ter), sia ai sensi dell’art. 14

del d.lgs. n. 150 del 2011. Ne consegue che, avuto riguardo alla sostanza del decisum, risulta

corretta la valutazione con cui il ricorrente ha ritenuto di assoggettare la pronuncia a regolamento

di competenza, sicché l’impugnazione con tale mezzo risulta ammissibile, perché la decisione non

si può considerare come effettiva pronuncia ai sensi dell’art. 702-ter, secondo comma, cod. proc.

civ.ma si deve, invece, reputare pronuncia ai sensi del primo comma di quella norma. Non può

avere rilievo in senso contrario la circostanza che, negando la propria competenza sia ai sensi

dell’art. 14 citato, sia ai sensi dell’art. 702-ter, primo comma, cod. proc. civ. il Tribunale di

Civitavecchia si sia astenuto, dal fornire espressamente l’indicazione del giudice competente, ove

tale indicazione si considerasse mancata, il regolamento sarebbe stato in ogni caso ammissibile,

perché è esperibile quando il giudice di merito non indichi il giudice ritenuto competente (si veda

già Cass. n. 777 del 1963; più di recente, Cass. n. 9515 del 1992 e Cass. (ord. interloc.) n. 27373 del

2005. Nella sentenza è inoltre contenuta un interessante dissertazione su come la competenza era

regolata prima della riforma. Il vecchio testo dell’art. 28, sotto la rubrica “Forma dell’istanza di

liquidazione degli onorari e dei diritti” recitava: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei

diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato (o il procuratore), dopo la decisione della causa o

l’estinzione della procura, deve, se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti

del codice di procedura civile, proporre ricorso al capo dell’ufficio giudiziario adito per il processo”.

Il nuovo testo dell’art. 28, sostituito dall’art. 34, n. 16, lettera a) del d.lgs. 1° settembre 2011 n.

150, sotto la stessa rubrica, dispone ora che: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei

diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della

procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli art. 633 e ss. del codice di procedura

civile, procede ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 1° settembre 2011 n. 150”. Occorre fare una

preliminare osservazione contenuta in sentenza: quell’art. 28 del vecchio testo contenuto nella

legge n. 794 del 1942 coincise con la data di efficacia del codice di procedura civile disposta

dall’art. 1 del r.d. 28 ottobre 1940 n. 1443, ciò escludeva che alla disciplina della legge del 1942 si

potesse attribuire il ruolo di lex specialis. A supporto di tale contemporaneità vi è l’uso da parte

del legislatore nell’art. 28 (testo originario) del verbo “deve”, condizionato all’altra espressione “se

non intende”, tanto più che l’art. 30 della l. n. 794 del 1942, per il caso in cui l’azione fosse stata

esercitata con il rito monitorio, prevedeva nel primo comma la trattazione con il rito camerale e

non con quello di cognizione piena, giacché al secondo comma, rinviava all’art. 29, che regolava lo

svolgimento del procedimento introdotto ai sensi dell’art. 28. Nella logica del legislatore

dell’epoca questa opzione era in funzione della garanzia al professionista di un mezzo rapido per

ottenere le sue spettanze e, quindi, suonava come privilegiata, anche se, come contraltare vi era la

previsione della inimpugnabilità del provvedimento e, prima ancora, il carattere deformalizzato o

poco formalizzato delle regole del processo camerale, pur con le specificazioni di cui alle due citate

norme. Entrata in vigore la Costituzione, d’altro canto, la negatività della prima previsione

risultava, poi, neutralizzata dall’art. 111 della stessa che garantiva l’impugnazione per violazione di

legge in Cassazione. Restava solo la seconda. L’interpretazione della dottrina e della

giurisprudenza variegata negli anni posero, nei primi anni di applicazione della legge speciale, il

problema della concorrenza con le due forme di azione previste dall’art. 28 e ss. L’opzione

esegetica che lasciava al difensore la possibilità di introdurre la lite individuata dall’art. 28 anche

con un ordinario giudizio di cognizione risultò affermata, di seguito, da Cass. n. 152 del 1966

secondo la quale: “L’espressione dell’art. 28 della l. 13 giugno 1942, n. 794 – a norma del quale per

la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente, l’avvocato o il

procuratore, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, deve, se non intende

seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del cod. proc. civ. proporre ricorso al capo

dell’ufficio giudiziario adito per il processo – va intesa nell’ambito della possibilità di addivenire,

sulla base della parcella, alla sollecita creazione di un titolo esecutivo, e non esclude la facoltà di

ottenere l’accertamento giudiziale del credito secondo le norme ordinarie”. Successivamente la

soluzione positiva non consta aver dato adito a contenzioso arrivato in Cassazione. Ma la domanda

da fare è interrogarci sul se il criterio dell’invarianza della competenza sia stato rispettato con la

sostituzione del testo dell’art. 28 e l’introduzione del procedimento di cui all’art. 14 e la questione

esige che ci si debba chiedere se la permanenza o meno della possibilità di agire con il rito

ordinario interferisca con quel criterio, in tal senso è necessario individuare il giudice che – prima

delle modifiche legislative e stante il ricordato approdo della giurisprudenza di questa Corte –

sarebbe stato competente sulla domanda identificata nell’art. 28 della legge n. 794 del 1042. Chi

avesse voluto individuare quella competenza avrebbe dovuto dare – limitando il discorso alla

situazione ordinamentale esistente al momento della sopravvenienza dell’art. 14 – le seguenti

risposte:

a) l’azione avrebbe potuto essere introdotta con le forme della cognizione ordinaria, di cui agli

artt. 163 e ss. cod. proc. civ., nel qual caso, trattandosi di pretesa relativa a somma di danaro,

operavano le ordinarie regole di competenza per valore, con la conseguenza che l’azione poteva

incardinarsi davanti al giudice di pace o davanti al tribunale in composizione monocratica, mentre,

sotto il profilo della competenza territoriale, avrebbero trovato applicazione i criteri generali di

radicazione della competenza di cui agli artt. 18 e 19 e quello speciale ex art. 20 cod. proc. civ.;

b) l’azione si sarebbe potuta, inoltre, introdurre con le forme degli artt. 633 e ss. cod. proc. civ, nel

qual caso – ferma l’applicazione alla eventuale successiva opposizione del rito di cui agli artt. 29 e

30 della l. n. 794 del 1942 – la competenza risultava regolata dall’art. 637 cod. proc. civ. e, quindi,

secondo il testo vigente al momento dell’introduzione del procedimento di cui all’art. 14 (che era

ed è quello sostituito dall’art. 100 del d.lgs. n. 51 del 1998), negli stessi termini indicati per l’azione

intraducibile con il procedimento di cognizione ordinaria (primo comma), giusta il disposto del

primo comma dell’art. 637, ma anche, ferma sempre la successiva applicazione del rito camerale

di cui agli artt. 28 e 29 citati;

c) ai sensi del secondo comma della norma, con la previsione di un criterio concorrente di

competenza per materia (nel quale la materia era rappresentata dall’essere il credito inerente a

prestazioni svolte presso l’ufficio adito) e per territorio, quello dell’ufficio giudiziario cui il credito

si riferiva (che in tal caso poteva essere il giudice di pace, il tribunale o anche la corte d’appello ed

appariva sostanzialmente coincidente con quello individuato dall’art. 29 della l. n. 794 del 1942);

d) ai sensi del terzo comma della norma con quella del giudice competente per valore (giudice di

pace o tribunale monocratico) del luogo sede del consiglio dell’ordine di iscrizione dell’avvocato;

e) l’azione si sarebbe potuta introdurre con ricorso “al capo dell’ufficio adito per il processo “e,

quindi, con attribuzione di una competenza per materia, secondo il procedimento ex artt. 28 e ss.

della legge del 1942 e si sarebbe dovuta trattare con il procedimento camerale previsto in

relazione ad essa, giusta il disposto dell’art. 30;

f) inoltre, a seguito della introduzione, con la l. n. 69 del 2009, del procedimento di cognizione

sommario di cui agli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ. qualora la domanda fosse stata introducibile

ratione valoris davanti al tribunale in via ordinaria e, dunque, davanti al tribunale monocratico,

essa avrebbe potuto essere introdotta secondo quel procedimento;

g) alquadrodescrittooccorreva,tuttavia,aggiungereglieffetti della introduzione della disciplina del

c.d. foro del consumatore che veniva in considerazione allorquando il cliente contro il quale fosse

stata proposta la domanda individuata dall’art. 28 avesse rivestito la qualità di consumatore.



5. Art. 14 del d.lgs. 150 del 2011 e praticabilità dei diversi riti



La riforma del 2011 non ha determinato alcun effetto sulla possibilità che l’azione venga

introdotta con le forme del procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e ss. cod.

proc. civ. atteso che l’art. 28 della l. n. 794 del 1942, pur nel testo sostituito dal d.lgs. n. 150 del

2011, la prevede e l’art. 14 la disciplina. Ne deriva che l’operatività della competenza ai sensi

dell’art. 637 cod. proc. civ. (secondo tutte le ipotesi colà previste) è rimasta immutata ed

immutata è rimasta pure l’omologia di rito con l’introduzione diretta con il (nuovo) procedimento

sommario speciale, poiché l’art. 14 dispone che a seguito dell’opposizione al decreto il giudizio si

tratti con la forma speciale del procedimento sommario, non diversamente da quanto accadeva

secondo vigente la disciplina della l. n. 794 del 1942. Viceversa, ritengono le Sezioni Unite

(23.2.2018, n. 4485 cfr. nota 3) non è sostenibile che sia rimasta praticabile – come invece aveva

supposto la ricorrente nel ricorso – né la possibilità di esercitare l’azione di cui all’art. 28 citato con

il rito sommario codicistico di cui agli artt. 702-b/s e ss. cod. proc. civ., né la possibilità di

esercitarla con il rito ordinario. Il “procede” di cui all’art. 28, coniugato con l’alternativa previsione

del solo procedimento monitorio, destinato, però, ad evolversi nell’opposizione secondo il rito

sommario, giustifica l’affermazione che la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942

deve necessariamente introdursi con le due alternative forme da tale norma previste, restando

escluso, invece, che si possa introdurre con il rito ordinario e con quello sommario codicistico.

Pertanto la prima questione posta dall’ordinanza di rimessione deve, concludersi con

l’affermazione del seguente principio di diritto: “A seguito dell’introduzione dell’art. 14 del d.lgs. n.

150 del 2011, la controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal citato

d.lgs., può essere introdotta: 1) o con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bis, cod. proc. civ. che dà

luogo ad un procedimento sommario “speciale”, disciplinato dal combinato disposto dell’art. 14 e

degli artt. 3 e 4 del citato d.lgs. e dunque dalle norme degli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ. salve le

deroghe previste dalle dette disposizioni del d.lgs.; 2) o con il procedimento per decreto ingiuntivo

ai sensi degli artt. 633 e ss. cod. proc. civ. l’opposizione avverso il quale si propone con ricorso ai

sensi dell’art. 702-bis e ss. cod. proc. civ. ed è disciplinata come sub a), ferma restando

l’applicazione delle norme speciali che dopo l’opposizione esprimono la permanenza della tutela

privilegiata del creditore e segnatamente degli artt. 648, 649 e 653 cod. proc. civ. (quest’ultimo da

applicarsi in combinato disposto con l’ultimo comma dell’art. 14 e con il penultimo comma

dell’art. 702-ter cod. proc. civ.). Resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il

rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di

cui agli artt. 702-bis e ss. cod. proc. civ.



6. Quantum e an debeatur



La recente sentenza di Cassazione (23 febbraio 2018, n. 4485) ha affrontato altresì il problema di

quale contenuto si debba attribuire, nel nuovo regime di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011,

alle controversie che dall’art. 28 della l. n. 794 del 1942, come sostituito dal d.lgs. n. 150 del 2011.

Il nuovo testo, infatti, ha conservato non solo la stessa rubrica, che allude alla “Forma dell’istanza

di liquidazione degli onorari e dei diritti”, ma anche lo stesso tenore, che individua le controversie

che (ne erano e) ne sono oggetto in quelle introducibili dall’avvocato “per la liquidazione delle

spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente [...] dopo la decisione della causa o

l’estinzione della procura”. È noto che per un lungo periodo, anche registrando l’eco di dibattiti

dottrinali, la giurisprudenza della Corte aveva ritenuto che, nonostante l’espressione

“liquidazione”, intesa alla lettera, sembrasse alludere all’attivazione del procedimento in casi nei

quali la lite fra legale e cliente avesse riguardato solo la determinazione del quantum dovuto, il

procedimento speciale potesse esperirsi utilmente o restare praticabile anche quando fosse

sussistita già all’atto della introduzione o fosse insorta controversia non solo sul quantum, ma

anche sull’an debeatur, restando escluso solo dall’insorgenza di una contestazione circa l’esistenza

del rapporto di clientela, che di quella procedura costituisce l’indefettibile presupposto.

Successivamente però, salvo qualche eccezione la limitazione della impraticabilità all’ipotesi di

contestazione del rapporto di clientela, venne superata, a partire sostanzialmente da Cass. n. 1920

e Cass. n. 12748 del 1993, che statuiva che lo speciale procedimento, previsto dalla legge 13

giugno 1942 n. 794 per la determinazione della misura del compenso spettante al difensore di un

giudizio civile non è applicabile quando si controverta in ordine all’an del credito del legale, con la

conseguenza che, in questa ultima ipotesi, la trattazione e la decisione della lite devono avvenire

con il rito ordinario, nonché la seconda pronuncia che prevede, nei casi in cui l’opponente abbia

introdotto, ampliando il thema decidendum, una eccezione di compensazione per credito non

liquido o non esigibile o una eccezione o domanda riconvenzionale sulla quale il giudice investito

della domanda del professionista ritenga di pronunciarsi, il giudizio di opposizione non può

procedere con il rito semplificato previsto dalla disposizione dell’art. 30 della legge 13 giugno 1942

n. 794 e deve essere definito con sentenza impugnabile con i normali mezzi e non con il ricorso per

cassazione di cui all’art. 111 della Costituzione, che è previsto solo contro le sentenze (o i

provvedimenti ad esse assimilabili, perché decisori) non altrimenti impugnabili”. Il nuovo principio

che così si venne affermando (che riguardava anche l’opposizione proposta contro il decreto

ingiuntivo, ove il legale avesse scelto la via monitoria) può essere riassunto nella massima di Cass.

n. 7652 del 2004, secondo cui la controversia deve essere trattata con il rito speciale, qualora il

cliente, nell’eccepire l’estinzione totale o parziale del credito in considerazione dei pagamenti

effettuati, non abbia esteso il thema decidendum. Ora, è vero che la rubrica ha il seguente tenore:

“Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”. Ma, il lettore

della norma deve considerare che il legislatore delegato avrebbe potuto limitarsi, in coerenza con

tale rubrica, alludente allo stesso concetto di “liquidazione” presente nell’art. 28 (e tanto

nell’immutata rubrica, quanto nella disposizione), a riferirsi alle “controversie indicate nell’art.

282, poiché una simile formulazione non avrebbe potuto che comprendere sia la controversia

introdotta direttamente ai sensi dell’alt. 14 stesso ed indicata dall’art. 28 con l’espressione

“procede ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 20112, sia la controversia introdotta con il ricorso

monitorio ed indicata con l’espressione “se non intende seguire il procedimento di cui agli artt.

633 e ss. del codice di procedura civile”. E tanto perché la rubrica dell’art. 28, nel, riferirsi alla

“forma dell’istanza”, attribuisce ad essa l’efficacia di accomunarle e di disciplinare direttamente

appunto la forma di introduzione, che nel primo caso è quella diretta di cui all’art. 14 e nel

secondo è invece quella degli artt. 633 e ss. del cod. proc. civ. Sulla seconda questione allo stato la

soluzione dell’ordinanza di rimessione è la seguente: “La controversia di cui all’art. 28 della l. n.

794 del 1942, tanto se introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 702-b/s cod. proc. civ., quanto se

introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al

pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato tanto se prima della lite vi sia una

contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta (nel

secondo caso a seguito dell’opposizione) al rito indicato dall’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011

anche quando il cliente dell’avvocato non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione

del credito alla stregua della tariffa, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto,

alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’an. Soltanto qualora il convenuto svolga una

difesa che si articoli con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione, di

accertamento con efficacia di giudicato di un rapporto pregiudicante), l’introduzione di una

domanda ulteriore rispetto a quella originaria e la sua esorbitanza dal rito di cui all’art. 14

comporta – sempre che non si ponga anche un problema di spostamento della competenza per

ragioni di connessione (da risolversi ai sensi delle disposizioni degli artt. 34, 35 e 36 cod. proc. civ.)

e, se è stata adita la corte di appello, il problema della soggezione della domanda del cliente alla

competenza di un giudice di primo grado, che ne impone la rimessione ad esso – che, ai sensi

dell’art. 702-ter, quarto comma, cod. proc. civ., si debba dar corso alla trattazione di detta

domanda con il rito sommario congiuntamente a quella ex art. 14, qualora anche la domanda

introdotta dal cliente si presti ad un’istruzione sommaria, mentre, in caso contrario, si impone di

separarne la trattazione e di procedervi con il rito per essa di regola previsto (non potendo trovare

applicazione, per l’esistenza della norma speciale, la possibilità di unitaria trattazione con il rito

ordinario sull’intero cumulo di cause ai sensi dell’alt. 40, terzo comma, cod. proc. civ.)”.