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L’ascolto del minore: la giurisprudenza della Corte di Cassazione

autore: P. Cristofani Mencacci

Sommario: 1. Premessa. - 2. La Corte di Cassazione e le Convenzioni internazionali. - 3. I poteri discrezionali del Giudice. - 4. Gli aspetti processuali. - 5. Sull’opinione fornita dal minore in sede di ascolto. - 6. Sulle modalità dell’ascolto del minore.



1. Premessa



I diritti del minore e la loro tutela nell’ambito giurisdizionale affondano le proprie radici nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, che all’art. 12 stabilisce l’impegno degli stati contraenti a garantire al minore capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, e che detta opinione debba essere debitamente presa in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità; a tal fine, deve essere data al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. Successivamente, la Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti dei minori, adottata dal Consiglio d’Europa il 25 gennaio 1996, ha affermato nel preambolo la necessaria promozione dei diritti e degli interessi dei minori, definiti “superiori”; a tal fine tali diritti dovrebbero essere esercitati in tutte le procedure che li vedono coinvolti, in particolar modo in materia di diritto di famiglia, ed all’art. 6 la Convenzione dispone che nei procedimenti che riguardano un minore l’autorità giudiziaria, prima di giungere a qualunque decisione, debba in primo luogo esaminare se esso disponga di informazioni sufficienti al fine di tutelare l’interesse superiore del minore e, se necessario, ottenere informazioni supplementari, in particolare da parte dei detentori delle responsabilità genitoriali. Quando il diritto interno ritiene che il minore abbia una capacità di discernimento sufficiente l’autorità giudiziaria deve consultare lo stesso personalmente, se necessario in privato, direttamente o tramite altre persone od organi, con una forma adeguata alla sua maturità, a meno che ciò non sia manifestamente contrario agli interessi superiori del minore. Il giudice deve, sempre nel rispetto della Convenzione, permettere in ogni momento al minore di esprimere la propria opinione e tenerla in debito conto. Non meno importante è la tutela garantita dalla Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, il cui art. 24, par. 1, prevede che i bambini abbiano diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, e possano esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. Venendo alla normativa interna, la legge 219/12 ed il d.lgs. 154/13 hanno contribuito al riassetto ed alla risistemazione del complesso normativo in materia, che trova la propria collocazione negli articoli 315-bis, 336-bis e 337-octies del codice civile come attualmente formulati.

L’art. 315-bis del codice civile, manifesto dello status di figlio non a caso rubricato “Diritti e doveri del figlio”, al III comma dispone che il minore che abbia compiuto gli anni dodici, e che anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e procedure che lo riguardano; più specificamente l’art. 336-bis stabilisce che se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato; al comma successivo si dispone che l’ascolto sia condotto dal giudice anche avvalendosi di esperti o altri ausiliari, ed i genitori, i difensori delle parti, il curatore del minore ed il PM possono partecipare solo se autorizzati dal magistrato, al quale possono proporre argomenti prima che sia iniziato l’adempimento. Prima dar corso all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento, e dell’ascolto è redatto verbale che descriva il contegno del minore o è effettuata registrazione audio-video. Infine l’art. 337-octies del codice civile, nell’ambito delle controversie relative all’esercizio della responsabilità genitoriale in seguito alla fine del rapporto matrimoniale o per i figli nati fuori da esso, prevede che il giudice debba procedere all’ascolto del minore nelle modalità sopra descritte.



2. La Corte di Cassazione e le Convenzioni internazionali



Su questo tessuto normativo, da tenere a mente anche nella sua scansione temporale sia per quanto riguarda la normativa interna che quella sovranazionale, si snoda il percorso compiuto dalla Cassazione negli anni, con pronunciamenti che via via necessariamente hanno preso atto dei diversi impulsi, come detto in primo luogo provenienti dalle convenzioni internazionali, andando ad incidere significativamente sui vari istituti via via trattati adeguandoli ai principi formulati nelle Convenzioni sopra ricordate. Si fa riferimento ad esempio nella sentenza n. 13657 del 7 dicembre 1999, sezione I, oltre che alla già richiamata Convenzione di New York, anche all’art. 13 comma 2 della Convenzione dell’Aja del 1980 in materia di sottrazione internazionale di minore, per affermare che le suddette convenzioni non prevedono una indiscriminata possibilità per il minore di esprimere la sua opinione su ogni questione che lo interessa, ma l’ascolto è subordinato, secondo un apprezzamento discrezionale da parte del giudice, alla capacità di discernimento, all’età ed al grado di maturità del minore stesso. Anche le sentenze n. 15145 del 10 ottobre 2003, sezione I, così come con la di poco successiva n. 19544 del 19 dicembre 2003, recepiscono il contenuto delle Convenzioni dell’Aja, di New York e Strasburgo; in particolare riguardo a quest’ultima la Suprema Corte ha osservato come essa imponga agli Stati contraenti di esaminare l’opportunità di concedere ai minori il diritto di esercitare le prerogative di “parte processuale”, ma mentre nei procedimenti ex art. 336 c.c. il minore è da considerarsi parte, nelle procedure sommarie, in difetto di una espressa previsione legislativa, questa non è una via obbligata. La sentenza n. 16753 del 27 luglio 2007, sezione I detta inoltre un principio che, prendendo lo spunto ancora una volta dalla materia della sottrazione internazionale dei minori, ha valenza generale: sebbene lo Stato italiano, al momento del deposito dello strumento di ratifica della convenzione di Strasburgo del 1996, esercitando il dovere di designare “almeno tre categorie di controversie familiari dinnanzi ad un’autorità giudiziaria cui la presente Convenzione può applicarsi” (art. 1, comma 4 della legge di ratifica), abbia elencato come campo di applicazione della stessa (comunicato del Ministero degli affari esteri 10 settembre 2003, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 210 del 10 settembre 2003) soltanto quattro procedimenti – quelli in materia di intervento del Giudice in caso di disaccordo tra i genitori, quelli in tema di azione di disconoscimento di paternità, quelli in tema di autorizzazione ad impugnare il riconoscimento, e quelli in materia di amministrazione dei beni del minore da parte dei genitori –, senza includervi i procedimenti di sottrazione internazionale dei minori e, in genere, di controllo della potestà genitoriale, le disposizioni di detta Convenzione relative all’ascolto del minore, per la loro valenza di principio e per il loro significato promozionale, sono comunque e sempre suscettibili di influenzare l’attività interpretativa anche nei procedimenti che si collocano al di fuori dell’elenco delle categorie di controversie formulato dallo Stato italiano, orientando il senso delle disposizioni di cui il Giudice è chiamato a fare diretta applicazione.



3. I poteri discrezionali del Giudice



Orientamento costante della Suprema corte attribuisce al magistrato un potere discrezionale in merito alla valutazione circa la capacità di discernimento del minore, infra o ultra dodicenne, ed alla effettiva utilità dell’audizione del stesso. La sentenza n. 4124 del 21 marzo 2003, sezione I, in tema di adozione, ha disposto che l’adottando debba essere personalmente sentito se ha compiuto i dodici anni, e ciò sia possibile anche nel corso del corso del giudizio di opposizione alla dichiarazione di adattabilità nonché in quello di appello; in ogni caso la necessità o l’opportunità di procedere ad un nuovo ascolto del minore e di valutarne le dichiarazioni sul piano del giudizio rientrano nei poteri discrezionali del giudice di merito, il cui mancato uso non è censurabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione di legge. Secondo la prima Sezione infatti l’esigenza di ascoltare il minore costituisce una costante – ed anche qui viene richiamata la Convenzione di New York – intesa ad attribuire rilievo alla personalità ed alla volontà della persona in relazione a provvedimenti che trovano la loro ragion d’essere proprio nell’interesse di quest’ultimo. Sul punto la Suprema Corte è tornata in seguito, con la sentenza n. 19202 dell’11 settembre 2014, sezione I, onerando il giudice dell’appello che non intende dar seguito alla richiesta di nuovo ascolto del minore dell’esposizione dei motivi per cui ritenga superfluo procedere nuovamente.

L’accertamento della capacità di discernimento del minore, secondo la Suprema Corte, rientra (nel caso di specie, trattandosi di sottrazione internazionale di minori) nell’insindacabile giudizio del Tribunale per i Minorenni, senza che sussista l’obbligo per il giudice specializzato, istituzionalmente competente per natura, composizione e funzioni a rendersi direttamente conto del grado di sviluppo intellettivo del minore, di disporre specifici mezzi di accertamento di tale capacità, come la consulenza tecnica di ufficio, considerati anche i ritmi serrati in cui il procedimento è scandito, essendo la materia caratterizzata dall’urgenza di provvedere (Cass. Civ. Sez. I n. 7479 del 31 marzo 2014, Cass. Civ. Sez. I. n. 6081 del 18 marzo 2006); in ogni caso, ove sussistano particolari ragioni che sconsigliano l’audizione del minore, esse devono essere indicate specificamente (Cass. Civ. Sez. I, n. 3319 dell’8 febbraio 2017). La capacità del minore peraltro non può essere esclusa con mero riferimento al dato anagrafico dello stesso, mentre può presumersi in genere ricorrente, anche considerati temi e funzioni dell’audizione, quando si tratti di minori per età soggetti ad obblighi scolastici e, quindi, normalmente in grado di comprendere l’oggetto del loro ascolto e di esprimersi consapevolmente (Cass. Civ. Sez. I. n. 752 del 19 gennaio 2015). Sempre in merito ai poteri discrezionali del giudice, la sentenza n. 13241, sezione I, del 16 giugno 2011, precisa inoltre che l’ascolto del minore, pur essendo caratterizzato nella sua concreta modalità da profili inevitabilmente connessi alla discrezionalità del magistrato procedente, consente di dar forma al diritto dello stesso di partecipare alla sua tutela attraverso un interlocutore che lo ascolta e che lo considera in ciò che dice, ma ciò solo a condizione che il minore stesso riceva le informazioni pertinenti ed appropriate con riferimento alla sua età ed al suo grado di sviluppo, a meno che tali informazioni nuocciano al suo benessere. Prima dell’avvento delle riforme del 2012 e del 2013 peraltro particolarmente significativo era stato l’impatto della l. 54 del 2006 che ha introdotto, in tema di ascolto del minore, l’art. 155-sexies del codice civile, contenente la disciplina dell’ascolto del minore prima che essa trovasse la sua definitiva formulazione con la riforma portata dal d.lgs. 54/2013; la legge 54 fa assumere maggiore centralità all’interesse della prole rispetto alle conseguenze della disgregazione del rapporto della coppia, interesse tutelato dalla disciplina, appunto, dell’ascolto del minore (Cass. sez. I n. 10265 del 10 maggio 2011). Con la sentenza n. 18538 del 2 agosto 2013, sez. I, la Cassazione prende in considerazione per la prima volta l’art. 315- bis del codice civile, come introdotto dalla l. 219/2012, per evidenziare che il diritto all’ascolto del minore debba essere sempre previsto per tutte le questioni e i procedimenti che lo riguardano, salvo che quest’ultimo possa essere in contrasto con il suo superiore interesse (in senso conforme anche Cass. civ. Sez. I n. 19327 del 29 settembre 2015). Relativamente ai motivi per derogare all’obbligo di ascolto del minore, la Suprema Corte ha ritenuto che essi non siano validamente integrati dal riferito stress causato dall’audizione in considerazione dell’affermato precario equilibrio psicoemotivo della minore stessa con conseguente possibilità che la volontà non venisse espressa in modo genuino (Cass. Civ. Sez. I n. 18469 del 27 luglio 2017).

Con la pronuncia n. 5676, sez. I, del 7 marzo 2017 la Suprema Corte si sofferma sulle condizioni dell’ascolto del minore infradodicenne. Premesso che la capacità di discernimento dell’ultradodicenne si ha per presunta, per quanto riguarda i più giovani in capo al giudice si pongono una serie di poteri ed obblighi, che la richiamata sentenza elenca. In particolare, il giudice ha il potere discrezionale ufficioso di disporre l’ascolto dell’infradodicenne, anche al fine di verificarne la capacità di discernimento e quindi di partecipare alle scelte che lo concernono in modo consapevole ed effettivo; a fronte di una specifica istanza di parte, deve essere disposto l’ascolto o motivata l’omissione (incombente altrimenti non necessario in assenza di una specifica sollecitazione); il giudice deve in ogni caso procedere all’ascolto, anche di ufficio, in caso si compimento dei dodici anni in corso di causa, anche nel giudizio di appello, motivando altrimenti l’omissione.



4. Gli aspetti processuali



Per quanto riguarda gli aspetti processuali, la Cassazione interviene in materia di filiazione e riconoscimento della prole naturale (procedimento disciplinato dall’art. 250 IV comma del codice civile) per affermare che l’audizione del minore non va disposta se il giudice non lo ritenga capace, per ragioni di età o altre cause, di affrontare l’esame e di rispondere coerentemente alle domande; non vanno comunque motivate espressamente le ragioni del mancato nel caso in cui il giudice abbia fondato il proprio convincimento ricorrendo ad altri mezzi di indagine, compresa la consulenza tecnica di ufficio. In ogni caso, in sede di gravame, l’omissione immotivata dell’audizione del minore non è rilevabile di ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte. La Suprema Corte ha inoltre precisato che la prescrizione concernente l’audizione del minore è rivolta a soddisfare l’esigenza di accertare se il rifiuto del consenso dell’altro genitore, che per primo abbia proceduto al riconoscimento (sempre in tema di riconoscimento), risponda o meno all’interesse del figlio; tale audizione può essere disposta anche di ufficio, con il solo limite dell’incapacità del minore, ed il giudice ha l’obbligo di esporre le ragioni che hanno impedito l’incombente solo se il relativo adempimento sia stato a lui richiesto o il mancato ascolto sia stato eccepito (Cass. Civ. Sez. I, n. 395 dell’11 gennaio 2006). Il susseguirsi delle diverse Convenzioni internazionali ha inoltre portato la Cassazione a pronunciarsi a Sezioni Unite con la sentenza n. 22238 del 21 ottobre 2009; nell’enunciare nuovamente il carattere necessario dell’ascolto del minore in tutti i procedimenti che li riguardano, come previsto dall’art. 12 della Convenzione di New York e dall’art. 6 della Convenzione di Strasburgo (nonché all’epoca dell’art. 155-sexies del codice civile), la Suprema Corte ha stabilito che l’omissione di detto adempimento costituisce violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo, salvo che il mancato ascolto sia sorretto da espressa motivazione sull’assenza di discernimento che ne può giustificare l’omissione, in quanto il minore è portatore di interessi contrapposti e diversi da quelli del genitore in sede di affidamento e diritto di visita, e pertanto per tale profilo è qualificabile come parte in senso sostanziale. L’influenza del riassetto della normativa in materia si percepisce anche nella sentenza n. 28645 del 24 dicembre 2013, Sez. I, che prevede che nel procedimento proposto a seguito dell’opposizione del genitore che per primo abbia riconosciuto il figlio nato fuori dal matrimonio al successivo riconoscimento da parte dell’altro, il giudice deve procedere, a pena di nullità all’ascolto del figlio anche infrasedicenne, o deve motivare le ragioni dell’omissione. Nel contesto del nuovo quadro normativo, peraltro, l’ascolto del minore assume una importanza tale da far sì che la nomina del curatore speciale e del difensore al minore trovi applicazione soltanto per i provvedimenti limitativi ed eliminativi della potestà genitoriale, ove si pone in concreto un problema di conflitto di interessi tra genitori minore, e non nelle controversie relative al regime di affidamento e visita, nel qual caso la partecipazione del minore nel conflitto genitoriale si esprime, quando ne ricorrano i presupposti, mediante il suo ascolto (Cass. Civ. Sez. I, n. 8100 del 21/4/2014, Cass. Civ. Sez. I, sentenze n. 7478 e 7479 del 31 marzo 2014). Caso particolare è quello esaminato dalla Cassazione con la sentenza n. 6129 del 26 marzo 2015, Sez. I, in cui la Suprema Corte prende in esame la fattispecie della valutazione delle indicazioni date dal minore data in sede di appello: il giudice del gravame, qualora il minore stesso sia stato già sentito nel precedente grado di giudizio, non è tenuto a reiterarne l’ascolto, né è vincolato dalle indicazioni che il minore aveva dato; qualora intenda disattenderle, tanto già se in riforma del provvedimento di prime cure, deve motivare sul perché da un lato abbia ritenuto non necessaria una nuova audizione, dall’altro perché abbia individuato il genitore affidatario o collocatario in contrasto com la volontà espressa dal minore, dovendo altrimenti dispone nuovamente l’ascolto; peraltro, a prescindere dal fatto che il minore sia stato sentito o meno nella fase del primo grado, ove nella fase di appello il Giudice provveda non può prescindere dal tener conto delle relative risultanze, in quanto tale incombente costituisce una modalità tra le più rilevanti di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonché elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse, anche nel quadro del necessario bilanciamento tra l’esigenza di affermare la verità biologica con l’interesse alla stabilità dei rapporti familiari (Cass. Civ. Sez. I, n. 11890 del 9 giugno 2015, Cass. Civ. Sez. I, n. 2770 del 2 febbraio 2017, Cass. Civ. Sez. I, n. 7762 del 27 marzo 2017).



5. Sull’opinione fornita dal minore in sede di ascolto



Sull’importanza da attribuire alle dichiarazioni rese dal minore, anche tenendo evidentemente a mente quanto enunciato nelle varie convenzioni internazionali, pronunciandosi in tema di sottrazione internazionale di minori la Cassazione ha stabilito che all’opinione espressa dal minore (nel caso di specie contrario al rimpatrio) può attribuirsi efficacia non di causa esclusiva del rigetto dell’istanza, bensì di elemento corroborante il convincimento del giudice sulla sussistenza del pregiudizio psichico (nello stesso senso, poi, Cass. Civ. Sez. I, n. 17201 dell’11 agosto 2011 e Cass. Civ. Sez. I, n. 29118 del 5 dicembre 2017); sono tuttavia emersi anche orientamenti più “sfumati”, con Cass. Civ. Sez. I, n. 5237 del 5 marzo 2014, per cui la volontà contraria manifestata in ordine al proprio rientro da un minorenne ritenuto sufficientemente maturo può costituire ipotesi distintamente valutabile ostativa all’accoglimento della domanda di rimpatrio Più dettagliatamente, con altra decisione sul medesimo tema, la Suprema Corte ha precisato che la Convenzione dell’Aja impone l’ascolto del minore al fine di verificare se vi sia una precisa opposizione del medesimo ove munito di discernimento, ritenendo tale opposizione un motivo ostativo autonomo all’ordine di rientro; il tribunale per i minorenni non può dunque opporre una valutazione alternativa della relazione con il genitore con il quale il predetto minore dovrebbe vivere in esito al rientro, salvo procedere a un approfondimento istruttorio autonomo (Cass. Civ. Sez. I, n, 18846 del 26 settembre 2016). Sempre sul tema della rilevanza da riconoscersi all’opinione espressa dal minore, la già richiamata Sentenza n. 16753 del 27 luglio 2007, sezione I, conferma la circostanza per cui la volontà di esso di opporsi al rientro (ancora in tema di sottrazione internazionale) non integra di per sé una condizione preclusiva dell’emanazione dell’ordine di rimpatrio da parte del giudice dello Stato richiesto quando provenga da un minore che, secondo il motivato apprezzamento del Tribunale per i minorenni, non abbia raggiunto l’età ed il grado di maturità tali da giustificare il rispetto della sua opinione; in tal caso l’ascolto del minore, avente capacità di discernimento, ha una rilevanza cognitiva, in quanto l’esito di quel colloquio consente giudice di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore medesimo, di essere esposto per il fatto del suo ritorno a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. Ferma restando poi la possibilità per il giudice di discostarsi dal convincimento espresso dal minore in sede di audizione solo a tutela del superiore interesse di esso, la Suprema Corte impone in tal caso un più stringente obbligo di motivazione, onere la cui entità deve ritenersi direttamente proporzionale al grado di discernimento attribuito, nel caso di specie, al figlio della coppia opposta nella causa di separazione (Cass. Civ. Sez. I n. 7773 del 17 maggio 2012, Cass. Civ. Sez. I n. 16658 del 22 luglio 2014, Cass. Civ. Sez. I n. 19007 del 10 settembre 2014, Cass. Civ. Sez. I, n. 21101 del 7 ottobre 2014).



6. Sulle modalità dell’ascolto del minore



Con successive decisioni la Suprema Corte ha precisato che, pur essendo obbligatoria l’audizione del minore, tanto da rendere invalido in sua mancanza il provvedimento assunto, tuttavia non sono indicate le modalità dell’ascolto dello stes so, che potrà in circostanze particolari quindi essere sentito dal Giudice direttamente o tramite un ausiliare, psicologo o educatore, che riferirà in ordine anche alla sua capacità di discernimento (Cass. Civ. sez. I n. 21651 del 19 ottobre 2011 e n. 11687 sez. I n. 11687 del 15 maggio 2013). Particolare è il caso dell’ascolto del minore con cui la Cassazione si misura nella sentenza n. 6694 del 3 maggio 2012, sezione I, vale a dire quello dell’espulsione del parente del minore straniero: in questo caso, l’inespellibilità del suddetto parente si configura anche nel caso di minorenne non ancora capace di discernimento a causa dell’età e, per la Cassazione, il diritto all’ascolto si configura non solo direttamente, ma anche tramite un rappresentante o un organo appropriato. La Suprema Corte ha inoltre inquadrato l’audizione del minore come un momento normale del procedimento finalizzato a raccogliere le opinioni ed i bisogni rappresentati dal minore in merito alla vicenda in cui è coinvolto e deve espletarsi in modo tale da garantire l’esercizio effettivo del diritto del minore di esprimere liberamente la propria opinione. Il giudice deve, dunque, verificare il grado di maturità del minore, sia al fine di escluderne giustificatamente l’audizione, se necessario, sia al fine di adeguare le modalità dell’ascolto alle esigenze del caso concreto, anche delegando l’audizione ad un organo più appropriato e professionalmente più attrezzato, in modo da adottare delle le cautele e le modalità atte ad evitare interferenze, turbamenti e condizionamenti; in ogni caso, non può ritenersi sufficiente a tale scopo, che il minore sia stato interpellato o esaminato sa soggetti (come gli assistenti sociali) le cui relazioni vengano poi successivamente acquisite al fascicolo processuale. La mancata audizione, pertanto, non determina in via automatica la nullità processuale per violazione del principio del contraddittorio, dovendo essere verificata in concreto la ragione di tale esclusione (Cass. civ. Sez. I n. 21662 del 4 dicembre 2012, in senso conforme anche Cass. civ. Sez. I n. 9780 del 12 maggio 2016). L’ascolto del minore costituisce inoltre strumento principe, tra tutti quelli propri della materia, in materia di accertamento della sussistenza di condotte espressive di “PAS”, sindrome da alienazione parentale, poste in essere dal genitore collocatario o affidatario nei confronti dell’altro, pur imponendo al giudice uno stringente obbligo di motivazione a tutela del diritto alla bigenitorialità in capo al minore (Cass. Civ. Sez. I. n. 6919 dell’8 aprile 2016).