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Risposta di Ondif consegnata all’Autorità Garante per l’infanzia, Roma 20 luglio 2018

autore: E. Comand - C. Cecchella

L’Autorità garante dell’infanzia ha convocato OnDiF ad un’audizione sul tema dei diritti del minore,

il 20 luglio 2018; hanno partecipato all’incontro, oltre al Presidente di ONDiF, l’Avv. Emanuela

Comand e l’Avv. Michela Labriola, si pubblica il documento consegnato all’Autorità, qualche giorno

prima, redatto dall’Avv. Emanuela Comand e dal Prof. Avv. Claudio Cecchella.

Ill.ma

Dott. Filomena Albano Autorità garante

per l’infanzia e l’adolescenza Roma, sede

Faccio seguito, nella mia qualità di Presidente dell’Osservatorio Nazionale sul diritto di Famiglia, al

cortese invito per un’audizione sul tema delicato dei diritti del minore nella crisi familiare, a cui

volentieri aderisco.

Le rimetto in calce una breve e sintetica riposta, redatta con la collaborazione dell’Avv. Emanuela

Comand, ai temi che ha ritenuto di sottoporre alla mia Associazione, pur precisandole che è in

corso nella nostra Associazione un dibattito sul tema, anche alla luce di preannunciate riforme, al

termine solo del quale potrà emergere definitivamente l’opinione dell’Osservatorio.

Nel contempo mi permetto di evidenziare, non rivenendo questo profilo nei quesiti che ha

ritenuto di sottoporci, come il tema della tutela giurisdizionale dei diritti in caso di conflitto,

quando la rappresentanza dei genitori entra in crisi nel procedimento che ha ad oggetto (anche o

solo) i diritti del minore, alla luce proprio delle Convenzioni di New York e di Ginevra, entrambe

ratificate dall’Italia, nonché delle leggi speciali in materia di adozione e di responsabilità

genitoriale, che ha novellato l’art. 336 c.c., renda necessario la soluzione di uno dei nodi più

delicati che è quello della rappresentanza, non solo sul piano sostanziale (con il curatore speciale),

ma anche e soprattutto sul piano processuale (con un difensore tecnico) del minore, come accade

in numerosi altri ordinamenti.

Il minore è anche parte formale dei procedimenti che lo riguardano, normalmente è

rappresentato dal genitore e dal suo difensore, con il limite tuttavia del conflitto di interessi.

Mi permetterò quindi di soffermarmi anche su questo delicato tema, ricco di implicazioni sul piano

delle garanzie e della tutela dei diritti e probabilmente necessitante di un intervento legislativo.

1a DOMANDA

Cosa si intende per bi-genitorialità e come si declina nell’interesse della persona di minore età?

Il concetto di bi-genitorialità rappresenta il punto di arrivo di un processo di trasformazione dei

rapporti genitori-figli, che corrisponde ad una precisa evoluzione della normativa in materia.

Grazie alla Convenzione di N.Y. che ha trovato una sicura sponda nella legge n. 154/2013,

preceduta dalla legge n. 54 del 2006, il rapporto genitori-figli si è totalmente trasformato e da un

concetto patrio-centrico della famiglia e della genitorialità, si è passati ad un concetto paido-

centrico, mettendo al centro della complessa rete di rapporti, diritti e doveri familiari, il fanciullo,

ogni fanciullo (usando il linguaggio convenzionale).

Ciò significa che tutti i minori, matrimoniali e non, sono i protagonisti del rapporto affettivo ed

educativo.

Il termine bigenitorialità rappresenta tuttavia la codificazione dottrinale e giurisprudenziale di un

concetto che estrapoliamo dall’art. 337-ter c.c., che identifica come essenziali per l’interesse

morale materiale del minore, tre elementi:

– il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore;

– il diritto di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi i genitori;

– il diritto di mantenere rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo

genitoriale.

Tali elementi dovrebbero concorrere assieme al soddisfacimento del benessere del minore.

Lo strumento individuato dalla giurisprudenza, in linea con la legge, come più aderente a tali

esigenze è sicuramente l’affidamento condiviso, da intendersi quale mezzo di conservazione di



quella unità familiare che si è disgregata, con riferimento al rapporto matrimoniale, deve

continuare sotto il profilo della condivisione della genitorialità, scevra, se possibile, da conflitti.

In realtà il perseguimento della bi-genitorialità si è dimostrato molto più complesso rispetto alle

auspicabili iniziali interpretazioni e applicazioni.

La ricerca applicativa della stabile convivenza con uno o entrambi i genitori, si è via via trasformata

in un’applicazione alle volte viziata da una notevole dose di automatismo, tra affidamento

condiviso (credendosi con ciò di aver rispettato il principio di bi-genitorialità) e la collocazione

prevalente presso l’uno o l’altro genitore (anche in questo caso tale termine non ha trovato

ingresso nell’art. 337-ter c.c. ed è stato frutto di interpretazione giurisprudenziale).

Ciò che va evidenziato è:

1. la bi-genitorialità è un diritto del minore e non un diritto

dei genitori;

2. la bi-genitorialità non corrisponde automaticamente al

regime di affidamento condiviso, ma abbraccia un concetto più ampio che vede nel mantenimento

dei rapporti con entrambi i genitori la sua massima espressione;

3. la continuità dei rapporti tra genitori e figli non corrisponde necessariamente ad una loro

paritetica collocazione, ma deve essere valutata caso per caso con specifico riferimento alla

residenza dei genitori, alla loro prossimità, alle incombenze dei figli, alla loro età, ai loro desideri

ed alle loro esigenze;

4. nessun automatismo può giustificare un regime predeterminato dal punto di vista legislativo,

ma ogni caso deve corrispondere all’accordo dei genitori o ad un provvedimento giudiziario che

ponga al centro l’interesse del minore.

2a DOMANDA

Quali sono i comportamenti auspicabili che i genitori devono tenere nella separazione e quali

quelli negativi (specificare tre degli uni e tre degli altri)?

I genitori devono anteporre la loro genitorialità alla loro conflittualità.

Poiché i sentimenti di dolore, frustrazione, rancore, ecc., sono spesso collegati alla crisi ed alla fine

del rapporto coniugale o di convivenza, qualora siano consapevoli di non essere in grado di

superare tale condizione, dovrebbero accettare un supporto quali la mediazione familiare e/o il

sostegno terapeutico (psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatri, ecc.).

Tuttavia la mediazione, essendo un percorso basato sulla volontarietà dei soggetti, non può essere

coattiva, ma deve essere frutto di un profondo mutamento culturale che sostituisca al concetto di

fallimento, quello di crisi, da intendersi quale fase di cambiamento.

Ciò in generale.

Per quanto attiene ai singoli COMPORTAMENTI POSITIVI:

A) COMUNICAZIONE: comunicare ai figli insieme tutte le

decisioni che si sono assunte e che li riguardano, con particolare riferimento alla volontà di

separarsi, valorizzando il mantenimento del legame genitori-figli, al di là e a prescindere dal

mantenimento del rapporto tra i due genitori.

B) COMPORTAMENTO: disponibilità, tolleranza, elasticità.

Qualunque processo separativo comporta una notevole ca-

rica di dolore, stress, frustrazione.

I genitori devono, compatibilmente con le loro possibilità

e senza pretese di assurdi comportamenti compiacenti, mantenere nei confronti dei figli un

atteggiamento di apertura verso le loro esigenze.

C) LINGUAGGIO: ci esprimiamo con le parole quindi la parola assume un’importanza essenziale nei

confronti dei figli che attraversano un periodo di crisi separativa.



Evitare in tutti i modi possibili critiche, aggressioni, ingiurie nei confronti dell’altro genitore e nel

contempo mantenere un atteggiamento coerente, evitando inutili menzogne, quando il rapporto è

definitivamente compromesso.

I figli hanno più buon senso degli adulti e dobbiamo metterli nella condizione di elaborare il loro

lutto.

Ciò non significa adottare un linguaggio crudo, ma esporre la situazione, tenendo conto dell’età

dei figli, affinché comprendano ciò che sta realmente accadendo.

COMPORTAMENTI NEGATIVI

A) COMUNICAZIONE: ai figli non va comunicata brutalmente la ragione per cui due genitori si

separano ed anche se la colpa appartiene apparentemente ad uno solo, i doveri che assumiamo

con la nascita di un figlio devono darci la forza di mantenere nei loro confronti quella lucidità che

ci permette di non aggredire verbalmente l’altro coniuge, anche se ha ragione oppure di incolparlo

in via esclusiva della crisi. Ciò senza mai dimenticare che i figli tendono ad assumersi la colpa del

fallimento dei loro genitori. Frasi del tipo: “Tuo padre, tua madre, ci hanno abbandonato per

quello, per quella, ragione, ecc.” tendono ad essere rielaborati dai figli come espressione di una

loro colpa.

B) COMPORTAMENTO: mantenere ove possibile la quotidianità, anche se si possono verificare

cambiamenti; mantenere per quanto possibile inizialmente anche la stabilità abitativa, tenendo

tuttavia presente che la differenza è determinata dalle abitudini di ogni famiglia, dall’età del figlio,

dal numero dei figli. Evitare una convivenza immediata con il nuovo o la nuova partner e

comunque interromperla, dando una priorità al figlio, in caso di palese rifiuto. Il tempo cura le

ferite, ma va rispettato il ruolo prevalente dell’altro genitore, evitando qualunque confusione o

sostituzione.

Specialmente di fronte a figli molto piccoli.

C) LINGUAGGIO: evitare critiche, accuse all’altro genitore,

utilizzando linguaggi violenti e scurrili.

3a DOMANDA

Quali sono le esigenze delle persone di minore età che emergono nella separazione?

ANNI 0-5

Senza trascurare le difficoltà individuali dei figli, la prima infanzia presenza problematiche più

materiali che psichiche.

Da valutare e valorizzare la figura del genitore non convivente, tenendo presente che vanno

rispettate le esigenze del neonato, ma nel contempo, senza spezzare il legame con la madre,

mantenere in tutti i modi il legame con la figura del padre.

Valutare il fatto, non secondario, che se apparentemente la separazione nei primi anni di vita

viene assorbita con modalità più semplici da parte dei figli, nell’adolescenza possono sorgere

problematiche legate all’assenza della figura materna o paterna.

ANNI 6-10

Età scolare. In questo periodo è possibile aumentare decisamente la frequentazione tra figli e

genitore non collocatario prevalente, tenendo presente che il figlio comincia a non considerare la

famiglia come l’unico centro di interesse e di affetti e che pertanto la funzione dei genitori, pur

rispettosa dei rispettivi ruoli, deve essere particolarmente elastica ed improntata alla disponibilità.

Fondamentale la partecipazione attiva ed effettiva dei genitori a tutte le attività dei figli.

ANNI 11-13

Preadolescenza. Massima attenzione ai desideri, esigenze dei figli.

Si tratta di un periodo delicatissimo in cui si verificano le prime critiche, le contestazioni alle scelte

dei genitori.

Massima collaborazione tra i genitori.



Necessità di un ascolto del minore nel processo, prima di assumere determinazioni che lo

riguardano.

ANNI 14-18

È fatto notorio che uno dei periodi peggiori per affrontare una separazione sia quello

dell’adolescenza.

In questo periodo il figlio ha comunemente un atteggiamento provocatorio nei confronti dei

genitori.

Ne discende che i genitori dovranno cercare di creare un fronte comune sia verbale che

comportamentale, evitando di dare la possibilità ai figli di sfruttare le loro divergenze per crearsi

spazi di libertà incontrollati.

4a DOMANDA

Quando e come pensate che il figlio minorenne possa e debba partecipare alla riorganizzazione

familiare?

L’età è un elemento fondamentale ed il bambino piccolo non deve in alcun modo essere

responsabilizzato per adattarsi a nuovi regimi di vita, che non siano adeguati alle sue esigenze.

Diverso se il discorso si sposta verso la preadolescenza e l’adolescenza.

I figli non sono nostri amici e la loro sicurezza dipende da un dialogo sempre aperto, mai

condizionato dal timore di perdere il loro affetto.

Di fronte ad una decisione comune, anche se frutto di compromesso, daremo al figlio la giusta e

corretta indicazione che al di là della fine dei rapporti legati al legame coniugale, il rapporto tra

genitori è sempre mantenuto sul piano del rispetto e della convivenza civile.

In quest’ottica il figlio minorenne (ma con tutti i correttivi relativi alle varie fasce di età) può

partecipare alla riorganizzazione familiare, solo nel senso di essere un componente consapevole

delle decisioni dei genitori, ma mai responsabile direttamente di queste.

5a DOMANDA

Quale peso dare al desiderio del figlio minore nella fase separativa?

Sia la Convenzione di N.Y. (art. 12) sia la Convenzione di Strasburgo (art. 6) – i cui principi sono

stati trasfusi nell’art. 337-octies c.c. – impongono al Giudice di ascoltare e tenere conto dei

desideri del figlio ultradodicenne; anche più piccolo se capace di discernimento.

Ciò significa che gli dovrà essere data la possibilità di essere informato sulle ragioni che stanno alla

base delle decisioni che lo riguardano e di esprimersi.

Al di là del precetto normativo (allo stato adeguatamente disciplinato dall’art. 337-octies c.c.)

l’ascolto va al di là dell’idea “dei desideri del minore”.

L’ascolto è nel contempo mezzo e strumento per comprendere le esigenze del minore, esigenze

che devono essere valutate anche a prescindere dai suoi desideri contingenti.

Con l’ovvia conseguenza che maggiore sarà l’età del figlio, maggiore dovrà essere la

considerazione che genitori e giudici dovranno avere nei suoi confronti.

Resta comunque la necessità di una valutazione discrezionale del Giudice all’esito dell’ascolto sulle

soluzioni più opportune alla salvaguardia del suo interesse, imponendosi l’obbligatorietà l’ascolto,

ma non un vincolo sui suoi esiti.

6a DOMANDA

Come e quando e se ritenete opportuno il ricorso alla mediazione familiare?

La mediazione è uno strumento fondamentale per dirimere il conflitto tra genitori, ma lo

strumento non può essere utilizzato con l’introduzione dell’obbligatorietà, come accade in materie

aventi ad oggetto diritti disponibili.

In questo caso è essenziale che, ove sussista una forte conflittualità nella fase propedeutica alla

separazione, gli avvocati abbiano la sensibilità per capire quando il suo utilizzo è fondamentale per

far recuperare ai coniugi o partners in crisi, un sufficiente dialogo.



Anche il giudice durante e dopo la separazione, come già accade, ha la possibilità di consigliare,

come pure il ctu, un percorso di mediazione, ma la decisione deve essere frutto di un’indicazione

persuasiva e non potestativa.

La mediazione deve rappresentare una libera scelta, mai il rispetto di un ordine, anche se proviene

dall’autorità giudiziaria.

Questo perché può trasformarsi in una composizione della conflittualità fasulla, al solo fine di

evitare conseguenze sul piano processuale.

Si tratta di un cambiamento di mentalità che deve riguardare giudici, avvocati, consulenti, servizi

sociali, psicologi, ecc. e che solo la specializzazione può offrire.

Si aggiunga che è necessaria una legge sui requisiti anche formativi dei mediatori familiari

professionali e sugli Enti in grado di offrire un servizio di mediazione in grado di rispondere alle

esigenze del conflitto nelle relazioni familiari.

In attesa di incontrarLa colgo l’occasione per porgerLe i più cordiali saluti.

Prof. Avv. Claudio Cecchella