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Riconoscimento e determinazione dell’assegno post-matrimoniale: il ritrovato equilibrio ermeneutico (nota a Cass. Civ., Sez. Un., sent. 11 luglio 2018, n. 1828)

autore: G. Savi

Sommario: 1. Premessa. - 2. La soluzione sancita dalle Sezioni Unite in chiave di concreta meritevolezza (l’art. 5, comma 6°, l. div., il sintagma “mezzi adeguati” ed i fattori di riferimento; tramonto delle tentazioni eteronormative e del metodo decisorio c.d. bifasico; richiamo ai valori della famiglia fondata sul matrimonio). - 3. L’ulteriore presa di distanza dalla svolta del maggio 2017. - 4. Il significativo allontanamento anche dall’indirizzo avallato dalle Sezioni Unite del 1990. - 5. Il nuovo metodo decisorio ed il peso dei singoli fattori di riferimento. - 6. Le allegazioni e gli oneri probatori nel nuovo impianto. - 7. La questione della revisione del giudicato. - 8. Conclusioni.



1. Premessa



L’attesa sentenza del più ampio Collegio della Suprema Corte di legittimità in commento pone un punto fermo in merito alla retta interpretazione del comma 6°, dell’art. 5, l. div., superando il severo contrasto ripresentatosi dopo circa ventisette anni – pur mai sopite incertezze di vario profilo –, in esito alla svolta impressa dalla sentenza della prima sezione civile del 10 maggio 2017, n. 115041 . Quest’ultima statuizione, mutando radicalmente l’anteriore diritto vivente in ordine al riconoscimento ed alla determinazione dell’assegno divorzile, ha dato origine a commenti e discussioni del più vario genere, ovviamente affollando subito i sommari delle riviste di settore2 , ed animando convegni di studio diffusi sul territorio, soprattutto nell’ambito della c.d. formazione forense e di aggiornamento dei magistrati. Lo stesso “dirompente” arresto di legittimità ha in verità riproposto argomenti risalenti (minoritari), balzando prepotentemente agli onori delle cronache come una rivisitazione di sistema del diritto di famiglia, in chiave innovativa rispetto al c.d. criterio del tenore di vita, asseritamente conforme ai tempi, in una visione che in buona sostanza può cristallizzarsi come di “liberazione” dai pesi del matrimonio che prendono titolo dallo scioglimento dello status, attribuendo all’assegno divorzile, una natura meramente assistenziale, sul dato di partenza del principio di autoresponsabilità personale, più incline alla prospettiva alimentare che al ragionevole rispetto dei valori sottesi all’impegno matrimoniale sanciti nell’art. 29 Cost.; linea accentuata dal coevo arresto della stessa sezione, del 16 maggio 2017, n. 121963 , inerente l’assegno di contributo al mantenimento tra coniugi separati, di cui all’art. 156, comma 1°, c.c., sul quale diritto invece veniva mantenuto fermo l’orientamento consolidato teso a garantire il livello di vita raggiunto, segnando così tra le due previsioni una distanza incolmabile. La soluzione proposta dalle Sezioni Unite, innegabilmente densa di questioni e temi che esigono riflessione, resterà al centro dell’analisi di dottrina e giurisprudenza di settore con l’agevole prognosi di sicura vivacità del dibattito (peraltro, ben idonea a richiamare anche l’attenzione di un legislatore distante e distratto), si pone sulla linea della ragionevole fedeltà al complessivo dato legislativo vigente, interpretando il ruolo nomofilattico con indubbia autorevolezza. Opportuno appare un tale esordio di approvazione, tanto più che il risultato corrisponde in buona sostanza all’auspicio di fondo espresso commentando criticamente sia la richiamata svolta del maggio 20174 , come le successive difficoltà delle Corti di merito, ed il diffuso senso di “confusione” purtroppo prodottosi5 .

In verità, nei successivi arresti della stessa prima sezione civile, del gennaio/marzo 2018, dopo di che ha ritenuto di dover attendere proprio il responso delle Sezioni Unite in commento, erano emerse anche rilevanti incertezze6 , autocertificando così che la soluzione innovativa proposta non era in grado di regolare agevolmente tutte le fattispecie. Opportuna appare l’ulteriore premessa inerente il caso concreto regolato dalle Sezioni Unite. La coniuge che aveva visto riconosciuto in proprio favore l’importante assegno divorzile di €. 4.000,00= mensili dal tribunale di prime cure, risultata soccombente avanti alla corte territoriale adita dal marito, che revocava la statuizione aderendo al nuovo corso segnato dalla Corte di legittimità nel maggio 2017, insorgeva assumendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6°, l. div., essenzialmente lamentando che il criterio dell’indipendenza economica non ha alcun riscontro nella norma; che, viceversa il consolidato criterio del tenore di vita, ritenuto legittimo anche dalla Corte delle leggi, fa parte dell’intero impianto normativo del divorzio ed è conforme al principio di solidarietà post-coniugale come scolpito nelle norme positive; che nessuna inferenza poteva trarsi dall’art. 337-septies c.c., giusta la diversità degli istituti e delle finalità delle distinte previsioni. Da rimarcare come il ricorso è approdato alle Sezioni Unite per iniziativa della stessa moglie ricorrente, assunta ai sensi dell’art. 376, comma 2°, codice di rito, dopo la reiezione seriale delle istanze della Procura Generale in tal senso (che evidenziava l’esatta ricorrenza della previsione ex art. 374, comma 3°), da parte della prima sezione civile.



2. La soluzione sancita dalle Sezioni Unite in chiave di concreta meritevolezza (l’art. 5, comma 6°, l. div., il sintagma “mezzi adeguati” ed i fattori di riferimento; tramonto delle tentazioni eteronormative e del metodo decisorio c.d. bifasico; richiamo ai valori della famiglia fondata sul matrimonio)



Utile alla presente esposizione segnare subito il risultato. In estrema sintesi, decisiva appare l’affermazione secondo cui i criteri enumerati dalla norma – tutti e solo essi – valgono con efficacia equiordinata per il riconoscimento del diritto all’assegno periodico che prende titolo dalla sentenza di status divorzile, come per la sua determinazione nel quantum. Il sintagma “mezzi adeguati” contenuto nell’ultima parte della norma, deve pertanto trovare il suo unico termine di paragone nei fattori elencati nell’esordio dettato nel comma 6°, dell’art. 5, l. div., in quanto rivelatori della retta valutazione del principio di solidarietà da realizzare. Riconosciuto infatti apertamente che l’interpretazione della norma non può prescindere dall’evidente nesso testuale di dipendenza logica, che perciò impone la sua unitaria esegesi; tutti i fattori rilevano e vincolano, cosicché non sono ammesse separazioni e/o graduazioni; in sostanza, il giudizio sull’adeguatezza o meno dei mezzi non può che condursi in senso relativo rispetto a quella data famiglia – quindi del suo peculiare contesto relazionale e sociale complessivamente inteso – costituita secondo il vincolo matrimoniale ed entrata in crisi, tenuto conto dei fattori certi elencati nella prima parte della norma; in tal modo è stata giustamente abbandonata la nota dicotomia comportante rigida distinzione tra criteri attributivi e criteri determinativi. Il metodo decisorio cosiddetto bifasico, sino ad oggi consolidato e che in sostanza accomunava entrambi gli indirizzi fronteggiatisi, che per semplicità espositiva e con partizione estremamente sommaria proseguiamo a definire del “tenore di vita” quanto a quello consolidato e dell’“autosufficienza personale” quanto a quello innovato nel maggio 2017, è stato reputato frutto di errore ermeneutico; come noto, tale metodo si sviluppa in senso progressivo, su una prima valutazione inerente l’an debeatur e, solo al positivo scrutinio di questa, ammette il passaggio alla seconda valutazione inerente il quantum debeatur. Respinta consequenzialmente con decisione ogni ipotesi di eterointegrazione della norma, e con ciò, allontanate tutte le insidie di deriva interpretativa che finivano per produrre la segnalata “amputazione” abrogatrice della norma stessa7 , che un tale metodo di giudizio finiva giocoforza per incarnare, obbedendo in sostanza a questo o quell’arbitrio, pur in un ambito caratterizzato da apprezzamenti discrezionali. Soccombente anche l’altra teorizzazione secondo cui per il riconoscimento dell’assegno divorzile si dovrebbe aver riguardo unicamente alla condizione personale del coniuge richiedente, con ciò escludendo proprio la valutazione comparativa (e così, implicitamente, anche all’inverso, nella soluzione apprestata dal c.d. criterio del tenore di vita, secondo cui si dovrebbe aver riguardo unicamente al coniuge onerato), dettata giustamente dalla norma positiva, che non autorizza alcuna visione unilaterale, rimarcando invece l’esigenza contraria della valutazione di confronto e reciprocità. Il principio di diritto dettato impone ai giudici del merito l’analisi compiuta del singolo caso concreto, che abbia effettivo riguardo a null’altro che a quella singola vicenda esistenziale matrimoniale, tra quel singolo uomo e quella singola donna, come in concreto sviluppatasi nel tempo, alla ricerca delle scelte di vita condivise, del ruolo, della realizzazione, della lealtà e della dignità di ognuno, dei peculiari tratti eventualmente causativi di ricadute pregiudizievoli, in prospettiva proiettata alla vita futura del coniuge svantaggiato rispetto al momento della crisi del rapporto; ricadute pregiudizievoli rilevanti ove in nesso eziologico con il ruolo endofamiliare assunto durante il rapporto. Inoltre, richiamando tutti gli artefici del processo ad abbandonare “scorciatoie” decisorie, ovvero prassi distorsive tese ad automatismi, fondati soltanto su questo o quell’elemento relazionale o sociale, quali, a titolo esemplificativo saliente, la conservazione dell’astratto tenore di vita nelle possibilità dei coniugi, la mera comparazione aritmetica del dato reddituale e la deresponsabilizzazione che sottende, la stretta funzione assistenziale declinando l’ultrattività del coniugio solo in virtù del principio di autoresponsabilità del richiedente e delle scelte di libertà, l’esclusiva verifica dell’autosufficienza personale del richiedente, e simili. Il severo richiamo non manca alla puntuale considerazione dei valori incarnati dall’istituto matrimoniale, secondo la sua disciplina positiva, evidenziando i cardini di riferimento costituzionale, armonicamente letti, della composita posizione inalienabile dei singoli, della realizzazione personale e dei doveri di solidarietà che comporta, dell’uguaglianza e della pari dignità, dell’autonomia e della responsabilità dei coniugi, e con ciò, rimarcando l’imprescindibile necessità di ricondurre la norma sancita nel ridetto comma 6°, dell’art. 5, l. div., nell’alveo dell’art. 29 Cost.; magistrale risulta l’inquadramento sistematico – così lineare nella sua semplicità ma non per questo scontato –, dipinto senza tentennamenti, prima nei fondamenti dettati dalla carta costituzionale agli artt. 2, 3 e 29 e poi negli artt. 143 e 144 c.c., ribadendo puntualmente la concezione del matrimonio quale formazione sociale di eguali; senza mancare infine alle opportune verifiche con i disposti ex artt. 8 e 12, CEDU, nonché 7, 9 e 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, nei loro tratti univocamente significativi. Questo percorso motivo di obiettivo spessore, ha condotto il Supremo Collegio all’enunciazione del concetto di ragionevole “meritevolezza”8 della solidarietà economica post-coniugale, in chiave sì solidaristica, sì perequativa, ma non mancando di riconoscere anche l’eventuale componente compensativa, cui il Collegio dichiara apertamente di tenere in massimo riguardo a cagione dei sacrifici personali che presuppone, come risultano in concreto sostenuti nell’arco di durata del rapporto. Con ciò significando la piena rilevanza contraria del ruolo endofamiliare del coniuge “deresponsabilizzato”, o se si vuole “recalcitrante al senso di impegno e sacrificio matrimoniale”, o che comunque non incappa in alcun pregiudizio personale in prospettiva futura, in nesso eziologico con il venir meno dello status. Al di là delle residue perplessità, che la casistica – le Corti di merito sono ora chiamate a svolgere un ruolo attuativo imponente – non mancherà di evidenziare, non può sottacersi la valenza della statuizione, tutta protesa ad individuare valori fondanti, significativa persino nell’eleganza del linguaggio e nel dotto excursus storico e comparatistico; l’impressione prima, conforme all’agevole indicazione che già si era evidenziata, secondo cui il tema involgeva strettamente il valore attuale del vincolo coniugale, segna anche un garbato ma forte richiamo al significato autentico della famiglia costituita secondo il millenario modello coniugale; infatti, attraverso la lucida riaffermazione della norma positiva nella sua valenza significativa più ampia, segna un freno al dilagante modernismo di varia matrice che nei fatti, diciamo che ha posto “sotto incessante assedio” l’istituzione matrimoniale – con le significative indulgenze o comunque le timide prese di posizione della dogmatica giuridica –, in visione protesa unicamente all’esaltazione individualista più esasperante delle relazioni familiari, dimenticando in troppe occasioni e con disinvoltura il peso specifico delle norme giuridiche fondanti la formazione sociale preesistente e ciò, nonostante l’odierno “arcipelago familiare”9 . Questa conclusione “controcorrente” merita di essere segnalata al di là della precipua ottica giuridica, evidentemente segno di istanze culturali e sociali maggiormente consapevoli. La logica saliente, diciamo il dato “filosofico”, dell’indirizzo impostosi nel maggio 2017, che finiva, da un lato, per “accentuare” il significato dello status libertatis del “già coniuge” o meglio dell’individuo senza passato10, da “liberare” quanto più agevolmente possibile da ogni peso connesso all’impegno assunto con il matrimonio e, dall’altro, per “amputare” il composito dettato ex art. 5, comma 6°, l. div., i cui criteri non rilevano nella prima fase del giudizio, cioè ai fini del riconoscimento del diritto, ma solo nella successiva fase di fissazione del quantum (fase quest’ultima che però può aprirsi solo al positivo esito del primo scrutinio in punto an), ne esce così radicalmente sconfessata. D’altronde, il sotteso tentativo di cancellare persino le “tracce” od il “ricordo” del vincolo coniugale, non poteva che entrare in stridente collisione con la natura dell’istituto e con le numerose norme positive, tanta e tale era la sua carica “irriguardosa” della dignità dello status coniugale. Sebbene le Sezioni Unite prendano rilevante distanza anche dal cosiddetto criterio del tenore di vita, in realtà descrivono le caratteristiche di questo criterio riducendolo ad eccesiva semplificazione poiché nel concreto risultavano maggiormente strutturate rispetto all’assunta “presupposizione” secondo cui, con tale criterio, la giurisprudenza intendeva unicamente prendere in considerazione il confronto delle sostanze degli ex coniugi, con evidente locupletazione sine die (stigmatizzando l’inaccettabilità di una concezione matrimoniale come forma di “sistemazione personale”) a favore del c.d. coniuge svantaggiato, priva di causa giustificatrice razionalmente rinvenibile nell’ordinamento positivo. Probabilmente ha giocato un ruolo il senso di responsabilità istituzionale, nel contenimento dell’espressione di critica alla svolta del maggio 2017.

Invero, come ci si sforzerà di dimostrare ancora in questa sede, le Sezioni Unite non hanno percorso la “solita” terza via, sostenendo in verità lo sforzo di indicare la prima via disponibile all’interprete che serenamente non manchi al proprio ruolo: la ricerca proprio della giustizia del caso concreto, secondo le peculiarità di quel singolo rapporto coniugale entrato in crisi irreversibile, analisi valutativa che non può che essere il frutto della considerazione di tutti i fattori indicati dalla norma, contemporaneamente rilevanti nell’articolazione del giudizio, non solo e non tanto scevri da una gerarchia, ma da integrare l’uno con l’altro in senso “equiordinato”, armonicamente letti sia con il dato sovraordinato che con quello codicistico. Da salutare comunque positivamente il contestuale abbandono di tale linguaggio convenzionale: già nella comune percezione, sia il riferimento gergale all’autosufficienza (o indipendenza) personale, come al tenore di vita, evoca solo pregiudizi persino ideologici, o di entusiastica approvazione o di netta ripulsa; inoltre, nel corso del tempo, soprattutto il c.d. criterio del tenore di vita ha finito per assumere un significato giuridico, ben oltre il suo costrutto originario e comunque oltre il dato normativo, tanto che oramai incarnava – come rileva anche la Corte – una sorta di automatismo preconcetto, aggiungiamo, arduo da mettere in discussione, persino nelle dinamiche del confronto processuale. Anticipando il tratto conclusivo, le Sezioni Unite danno giusto rilievo alla responsabilità paritetica dei coniugi, riconoscendone il più ampio significato, e cioè, declinandola secondo tutti i suoi possibili profili e soprattutto in senso di piena reciprocità, non in quel senso unilaterale dell’autoresponsabilità del solo coniuge richiedente. Perciò, ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile secondo la norma in questione, che si fonda sui principi costituzionali di pari dignità e solidarietà che permeano l’unione matrimoniale anche dopo lo scioglimento del vincolo, rilevano soltanto i compositi metodi e criteri enumerati (i soli che alla luce della valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-patrimoniali, consentono di concretizzare efficacemente i fattori stessi).



3. L’ulteriore presa di distanza dalla svolta del maggio 2017



Nell’animo del giurista albergano l’ambizione del dissenso ideale e non infrequentemente l’ispirazione o l’attesa di un nuovo ordine, praticamente connaturate (senza con ciò ovviamente disconoscerne l’intrinseca nobiltà); questo perenne anelito evolutivo, non ha altro freno se non quello attinente alla funzione eventualmente ricoperta da questo o quel singolo giurista nell’ordinamento statuale, che non può non rispondere ai vincoli di una concezione normativa. Sol che si abbia sereno riguardo all’esperienza, ad esempio, proprio i temi salienti e di primaria rilevanza del legame esistenziale dei singoli basato sul moto d’affetto, viepiù quello solennemente celebrato, della solidarietà e dell’autonomia privata, in una parola, la famiglia, stanno dentro il nostro ordinamento giuridico, ma prima ancora ci giungono come espressione di una complessa natura, che storicamente ha incessantemente ispirato dottrine filosofiche, politiche e sociologiche. Cogliendo il tessuto sociale nella sua vivida essenza, si tratta di temi che esigono rigore concettuale ed ovviamente precisione linguistica; ancora esemplificando, si tratta di temi che nascono e si sviluppano alieni dalla logica antagonista della parte, quale ad esempio risulta quella ben diversa del mercato, intrinsecamente fondata su vincitori e vinti. La famiglia sin dalle origini, pur in stretta interdipendenza con l’aggregato sociale generale, lega in rapporto di reciproca dipendenza i suoi membri ed il dato è certamente incarnato dall’ordinamento giuridico positivo, che ne garantisce i tratti di libertà e di dignità umana. Questa considerazione, pur così fugace, appare quanto mai calzante, a mo’ di ulteriore premessa, rispetto all’analisi dell’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, come segnata dall’arresto della prima sezione civile dell’11 maggio 2017 n. 11504, che ha dato infine luogo all’intervento delle Sezioni Unite in commento, per la soluzione del contrasto emerso. La decisione ha avuto senz’altro il merito di riproporre un tema che risultava di fatto come “archiviato”, nonostante diffuse prassi semplicistiche, distorsive o comunque intrise di opachi automatismi, che trascuravano largamente la norma positiva e l’impegno che essa esige proprio nelle dinamiche delle sedi giurisdizionali e nell’epilogo decisorio che conduce alla formazione del giudicato. La sua motivazione ha però evidenziato plurimi errori. Commentandone i tratti11, era già risultato praticamente inconfutabile che il richiamo dell’art. 23 Cost. a proposito della prima formazione sociale – quale è senz’altro la famiglia fondata sul vincolo matrimoniale –, non coglie la benché minima possibile rilevanza; difatti, il quadro normativo di riferimento è unicamente quello disegnato negli artt. 2, 3 e 29 Cost. (contenuti nei principi fondamentali e nel regolamento dei rapporti etico-sociali della nostra carta costituzionale), quadro che esclude in radice il preteso fondamento della stessa prospettazione innovativa, siccome inerente il ben diverso regolamento di ogni rapporto civile comportante l’imposizione di prestazione personale o patrimoniale del cittadino verso lo Stato, la cui previsione è giustamente sottoposta alla stretta riserva di legge. Non sembra perciò condivisibile che il richiamo costituisca un mero enunciato logico, coerente con la conclusione raggiunta. Parimenti a dirsi del tentativo di ricorso all’analogia (per similitudine o per materia, a tenore dell’art. 12, comma 2, prima parte, preleggi), con la previsione avente ad oggetto la posizione giuridica del figlio maggiorenne, di cui all’art. 337-septies c.c., che regolando i doveri dei genitori segna il percorso verso l’autonomia personale adulta del figlio, proteso per natura e per dovere sociale al raggiungimento dell’indipendenza. Il rapporto di coniugio ed il rapporto di filiazione risultano difatti così ontologicamente differenziati, da non consentire certo il ricorso alla residuale interpretazione suggerita dall’analogia legis; le Sezioni Unite hanno comunque smentito tale ipotesi, sussistendo l’elemento impeditivo primo del ricorso al caso simile od alle materie analoghe, costituito dallo specifico dettame di cui all’art. 5, comma 6°, l. div., nel suo significato rettamente interpretato in punto alla condizione del coniuge privo di “mezzi adeguati” (condizione su cui si era attivata la ricerca del paragone onde poterne ricavare soluzione analoga), da correlarsi a null’altro che ai fattori elencati nell’incipit della stessa norma. Risultata ugualmente improponibile la prospettazione secondo cui la solidarietà post-coniugale non possa giungere al punto da legittimare una visione di “criptoindissolubilità del matrimonio sul solo versante economico-patrimoniale”; cosicché lo scioglimento del vincolo coniugale deve considerarsi avere l’efficacia di recisione di una tale ultrattività, salva la mera assistenza al fine di assicurare l’autosufficienza personale, ove peraltro non risulti al contempo frutto di scelte aliene da un fattivo impegno per il raggiungimento di una tale condizione minimale (impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per “ragioni oggettive”). Un tale approdo ermeneutico ed il disvalore frustrante che intrinsecamente contiene, è risultato giustamente smentito, attraverso l’analisi di alcune delle previsioni salienti che attestano l’efficacia ultrattiva del vincolo di coniugio, nonostante il suo scioglimento o cessazione degli effetti. Ma ancor prima, è risultato smentito dal richiamo grandemente pertinente, secondo cui, pur vero che il divorzio estingue il rapporto anche sul piano economico-patrimoniale, legittimamente l’ordinamento prevede diritti e doveri patrimoniali in capo agli artefici della famiglia destrutturata; numerose norme poste a cardine del sistema, con in testa l’art. 29 Cost., ma non meno significativi sono gli artt. 2 e 3 Cost., cui è bene aggiungere anche le ulteriori previsioni di cui agli artt. 30, 31 e 37 Cost., sanciscono che spetta al legislatore disporre misure di protezione per il futuro degli ex coniugi che hanno visto naufragare la loro unione, prospettiva peraltro non negata dall’arresto n. 11504 del 2017, che ha inteso solo relegarla nell’angusta prospettiva sostanzialmente alimentare, esaltando il divorzio come una sorta di liberazione dall’altro ed ancor prima di indifferenza per le sue sorti. La prospettiva in chiave meramente assistenziale, così esasperata, contraddice l’armonia del sistema che il legislatore ha invece avuto cura di disegnare, in particolare attraverso gli artt. 143, 144, ma anche gli artt. 107, 108, 78, 147, 148, 149, 156, 315-bis e 316-bis, e l’impianto complessivo della l. div., solo per limitarci a quelle maggiormente rilevanti; rendendo comunque ampia ragione del fatto che se da un lato il matrimonio è un vincolo personale in principio risolubile, frutto di scelta di libertà inviolabile (come la sua instaurazione), d’altro canto, la stessa parità e la stessa dignità dello status vissuto impone che i coniugi, coerentemente, escano dal matrimonio nello stesso solco della pari dignità morale e giuridica. Ciò giustifica senz’altro la residua solidarietà, in funzione perequativa, che quindi non cessa ma si modifica, in senso protettivo del coniuge svantaggiato12. L’efficacia ultrattiva percorre allora la strada della dignitosa considerazione del vissuto secondo il progetto di vita comune concordato, senza che con ciò possa risultare di pregiudizio ad alcuno, appunto la responsabilità declinata in senso ambivalente conforme al rapporto relazionale. Questa lettura dell’art. 5, comma 6°, l. div., difatti, ribadendo la fondamentale rilevanza della solidarietà post-coniugale, pur senza negare l’importanza che ognuno sia responsabile per se stesso, ed escludendo la finalità semplicistica della ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, assolve allora ad una funzione equilibratrice correlata alla singola fattispecie ed integrata, eventualmente anche in chiave compensativa, idonea a riconoscere il ruolo ed il contributo dell’ex coniuge svantaggiato, così da assicurare l’adeguatezza di mezzi non solo per sopperire alla loro eventuale mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione al prodursi di effetti vantaggiosi di cui si giovi uno soltanto, con corrispondente pregiudizio unilaterale. La garanzia è ordinata attraverso l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, non solo formale ma effettiva, principio rimarcato come centrale, anche per la conferma che discende dal quadro giuridico europeo e convenzionale, con l’efficace precisazione che “i coniugi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio ed in caso di suo scioglimento”. L’elemento dell’uguaglianza come quello della salvaguardia dell’unità familiare (la regolamentazione dello scioglimento del vincolo incide all’evidenza sulla conduzione dell’organizzazione familiare, proprio in ossequio al principio di consapevole autoresponsabilità), ne segna la dignità ed impone all’interprete di rimanere all’interno del binario che da un lato esige giusto riconoscimento dell’intero e concreto contesto familiare entrato in crisi, quindi, anche del contributo endofamiliare dato dal coniuge con limitazione delle proprie prospettive individuali su arco temporale significativo; dall’altro, esige che non si trascenda nell’arricchimento ingiustificato di uno a danno dell’altro.



4. Il significativo allontanamento anche dall’indirizzo avallato dalle Sezioni Unite del 1990



L’unica presa di distanza dal criterio c.d. del tenore di vita, coincide con l’unico punto di condivisione della svolta del maggio 2017. Il confronto logico riconosce apprezzamento per il richiamo all’autoresponsabilità dei coniugi, che segna il punto di partenza della svolta del medesimo arresto n. 11504 del 2017. Nelle scelte esistenziali la libertà di autodeterminazione individuale costituisce il valore portante originario che permea il sistema dei diritti della persona; anche nel rapporto matrimoniale l’autodeterminazione è per sua natura dinamica, comportante sempre un prima, un durante ed un dopo; tale libertà personale costituisce diritto inalienabile, intimamente connesso e condizionato dalla possibilità concreta di poterlo esercitare, tanto che risulta declinabile solo in termini di dignità personale; dignità che evoca per ciò stesso l’autoresponsabilità dei coniugi, in primo luogo come consapevole rispetto dell’altro, secondo la descritta parità morale e giuridica. Da questa prospettiva le Sezioni Unite rilevano come l’assoluta preminenza della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei coniugi nel giudizio sul diritto all’assegno periodico che trae titolo dalla sentenza di status, ove costituisca il fattore determinante dell’an debeatur non collima con la libertà di scelta dignitosa ed autoresponsabile. In buona sostanza, il criterio c.d. del tenore di vita non consente di cogliere il rischio di ingiustificata locupletazione sine die del coniuge richiedente, persino in situazioni di piena autonomia od addirittura di agiatezza o di ruolo endofamiliare obiettivamente deresponsabilizzato, comunque scevro di significativo contributo e/o di pregiudizi connessi allo scioglimento del vincolo. Da qui la conclusione secondo cui i parametri indicati nell’incipit del comma 6°, dell’art. 5, l. div., non possono fungere soltanto da criteri moderatori, partendo dalla disparità di condizioni e sostanze quale massimo tetto ipotizzabile, per poi diminuirne il risultato stesso attraverso la considerazione di tutti od alcuni dei medesimi fattori, sino al possibile azzeramento, secondo l’interpretazione avallata dalla Corte delle leggi, con la sentenza n. 11 del 2015. Rileva la Corte che in tal modo i criteri determinativi finiscano nei fatti per risultare marginalizzati, con conseguente ingiustificata sottovalutazione proprio del canone dell’autoresponsabilità, evenienza che si presenta maggiormente critica in relazione al parametro che esige la valutazione dell’apporto fornito dall’ex coniuge nella conduzione e nello svolgimento della complessa attività endofamiliare. Commentando la ridetta svolta della prima sezione civile del maggio 2017 si è tentato di dimostrare che il richiamato metodo, non risultava in principio inidoneo a garantire quella moderazione perequativa alla ricerca della stessa meritevolezza cui mira la sentenza delle Sezioni Unite, ma alla condizione imprescindibile che ci si fosse fatti carico della compiuta ed effettiva analisi della concreta vicenda familiare da regolare nel suo epilogo fallimentare, riconoscendo al contempo che effettivamente numerose erano le insidie pratiche, fatte evidenti dalle troppe prassi distorsive emerse, dalle scorciatoie inaccettabili, dalla mancanza di consapevolezza, ecc. Questa la vera evoluzione segnata dalle Sezioni Unite: d’ora in avanti le Corti di merito non potranno considerare quei fattori sino ad oggi qualificati fattori di moderazione del caso concreto, enumerati dal ridetto comma 6°, dell’art. 5, l. div., come ad efficacia meramente eventuale, in seconda battuta a mero “aggiustamento” del risultato determinato in virtù del c.d. tenore di vita goduto o fruibile in costanza della convivenza coniugale, secondo l’unico rilievo della comparazione delle condizioni economico-patrimoniali. Tali fattori devono invece incidere tutti, senza l’anteposizione pregiudiziale ed assorbente richiamata, che relega in posizione subordinata gli altri, appunto unitariamente con l’indicata valenza logica equiordinata. L’imposizione irrinunciabile di questa valutazione concreta e precipua, reputato l’unico metodo fedele alla norma positiva ed idoneo ad impedire risultati inaccettabili, evidentemente è stata ritenuta soluzione che meglio garantisce la considerazione concreta dei valori effettivamente rilevanti, facendo emergere il convincimento per cui la sola correzione del metodo utilizzato dalla giurisprudenza per lungo tempo, in applicazione del c.d. criterio del tenore di vita, non era sufficiente a dissipare le insidie di nuove prassi similarmente distorsive o, se si vuole, “spicce”.



5. Il nuovo metodo decisorio ed il peso dei singoli fattori di riferimento



Giunti a questo risultato di principio le Sezioni Unite ne hanno tratto le conseguenze concrete. Resta difatti da analizzare come si struttura il nuovo percorso decisorio, che presenta indubbiamente dei passaggi logici progressivi, secondo un quadro che può fissarsi almeno nei seguenti termini:

a) Le Sezioni Unite non potevano che prendere le mosse dall’inquadramento primo della singola fattispecie, costituito dall’accertamento della sussistenza di una disparità di condizione economico-patrimoniale tra le parti; questo elemento comparativo è basilare e logicamente anteposto all’ulteriore valutazione, siccome solo l’evenienza di una disparità di condizioni dei coniugi all’atto dello scioglimento fa insorgere la questione, cioè l’esigenza solidaristica stessa, in chiave perequativa; non sembra potersi dubitare che rilevano sia il reddito come ogni altra utilità economicamente valutabile delle parti, atteso che oltre alla dizione “reddito di entrambi”, la norma esordisce con “tenuto conto delle condizioni dei coniugi”, riferendosi poi anche al “patrimonio di ciascuno o di quello comune”; tale portato è conforme alla consolidata interpretazione dell’art. 5, comma 6°, l. div.13; la Corte sottolinea da un lato la significativa importanza che assume l’accertamento dell’effettiva posizione economicopatrimoniale delle parti, anche attraverso il legittimo ricorso alle indagini di Polizia tributaria previsto dalla stessa norma, al comma 9°, nonostante la disponibilità del diritto in contesa; mentre, d’altro canto, sottolinea la particolare rilevanza delle capacità reddituali proiettate al futuro siccome si deve aver riguardo all’impossibilità per il coniuge richiedente di poter colmare autonomamente l’inadeguatezza di mezzi per ragioni oggettive; questa valutazione può intersecarsi nel concreto con le esigenze della prole non autosufficiente ed in particolare di quella in età minore, il cui accudimento può riflettere maggiori ostacoli di realizzazione lavorativa e professionale dell’ex coniuge nella sua veste di genitore collocatario (ed ancor più ove affidatario in via esclusiva); inoltre, secondo il corrente rilievo per cui la disgregazione familiare comunque impoverisce tutti i suoi membri, rilevante può risultare il godimento della ex casa familiare per effetto dell’eventuale provvedimento di assegnazione in uso al genitore collocatario non proprietario (o non proprietario esclusivo), comportando sacrificio dell’uno e corrispondente vantaggio indiretto dell’altro, senz’altro apprezzabile nel suo significato economico;

b) proseguono le Sezioni Unite, rilevando che l’eventuale disparità di condizione economico-patrimoniale tra gli ex coniugi, deve risultare “rilevante”; il significato di questa qualificazione quantitativa, che spetterà alla giurisprudenza di merito circoscrivere, non sembra potersi relegare come a tutela dei soli casi ove gli scostamenti risultano minimi; la qualificazione sembra invece protesa ad individuare una soglia che possa apparire significativa, onde giustificare l’imposizione della peculiare obbligazione costituita dall’assegno periodico, stante anche la natura in genere non esattamente fissa e costante dei redditi correnti; una divergenza che non assuma, in termini assoluti e/o in termini percentuali, uno scostamento significativo non potrà mai dichiararsi “rilevante”, cioè considerevole; se si passa all’esemplificazione concreta, diciamo quella di massa nel suo segmento che sembra più vicino a criticità (la casistica dei coniugi meglio dotati di risorse ed in condizione di forte disparità risulta di agevole soluzione sul punto trovando importante limitazione per effetto dell’abbandono del criterio c.d. del tenore di vita), il differenziale tra un ex coniuge che gode di uno stipendio mensile di €. 3.000,00=, rispetto all’altro che gode di uno stipendio mensile di €. 1.500,00= risulta pari al 50%, perciò considerevole sia in termini assoluti che percentuali; ma se il primo si troverà privato del godimento della casa (per effetto dell’assegnazione in uso all’altro, quale genitore collocatario di prole non autosufficiente) e giocoforza deve procurarsi il godimento di altra abitazione a titolo oneroso per sopperire allo stesso dignitoso bisogno (che dovrebbe perciò risultare di una certa omogeneità), ecco che il differenziale vede un secco ridimensionamento del primo che scende ad €. 2.500,00= mensili (ove il canone locativo corrisponda ad €. 500,00= mensili) ed al contempo un miglioramento del secondo che sale ad €. 2.000,00= (ove il valore locativo risulti similare); a questo punto il differenziale tra l’uno e l’altro si riduce alla somma di soli €. 500,00= in termini assoluti, che all’evidenza perde della qualità “rilevante”, mentre in termini percentuali il differenziale è pari soltanto a ⅕; tanto più risulta evidente la marginalità differenziale in parola nel caso che lo stesso ex coniuge con maggiore reddito sia chiamato a contribuire al mantenimento della prole non convivente attraverso misura perequativa mensile corrisposta al coniuge/genitore convivente, attese le note economie tipiche del convivere nel quotidiano (utenze, vitto, ecc.). Suffraga comunque il convincimento appena espresso il rilievo, invero fondamentale, per cui una disparità così connotata non attenta certo alla dignità degli ex coniugi, tanto più se la condizione economico-patrimoniale svantaggiata, rilevata al momento dello scioglimento del vincolo, non risulta in nesso causale con i compiti endofamiliari concordemente assunti come meglio si vedrà infra, magari per cause originarie, ovvero nell’ipotesi che addirittura ricorra violazione di questo o quel dovere matrimoniale o genitoriale, condotta indebita da cui abbia preso causa la crisi che ha prodotto la destrutturazione della famiglia;

c) la sussistenza di un divario economico rilevante, all’atto dello scioglimento del vincolo, deve poi superare la coincidente verifica che deve condursi in ordine alla possibilità da parte dell’ex coniuge richiedente di colmare autonomamente la rilevata inadeguatezza di mezzi, attraverso il consolidamento od il recupero delle proprie capacità reddituali; giudizio prognostico sulle potenzialità personali che se da un lato risponde al ridetto principio di autoresponsabilità, deve dall’altro considerare la concreta possibilità di recuperare adeguato collocamento sul mercato del lavoro, rispetto al quale incidono il fattore età e la salute, ma anche la durata dell’impegno endofamiliare (che invero potrebbe parzialmente proseguire anche dopo lo scioglimento in relazione alle necessità di cura della prole in diretta connessione del regime di affidamento statuito, ove risulti esclusivo o comunque per il ricorrere di un ruolo genitoriale prevalente) e le capacità obiettive; la chiamata all’impegno che questa verifica sottende evoca anch’essa i fondamenti del coniugio (i noti doveri di collaborazione e contribuzione costituiscono portato inconfutabile), che di certo non tollera le condotte deresponsabilizzate, ma sulla base di una ragionevolezza concreta e ponderata, appunto secondo la regola dell’uguaglianza morale e giuridica, in una parola, in conformità alla dignità matrimoniale; in ciò risiede il carattere oggettivo delle ragioni che impediscono l’autonomo superamento dello squilibrio; per concretizzare un esempio ostativo per evidente difetto della coincidente condizione in parola, si pensi al caso dell’ex coniuge che ha interrotto volontariamente la propria attività lavorativa in epoca prossima alla crisi del rapporto, con decisione assunta unilateralmente o contro la volontà dell’altro;

d) a questo punto la Suprema Corte, sul presupposto del rilevante squilibrio acclarato nei sensi appena ripercorsi, non colmabile o colmabile solo parzialmente dal richiedente per ragioni oggettive, impone come imprescindibile, una rigorosa analisi di correlazione e confronto con tutti gli altri parametri certi, parimenti rilevanti14, enumerati dall’art. 5, comma 6°, l. div., di cui si è discorso nei precedenti punti; questo stadio valutativo si profila come saliente oltre che denso di maggiori difficoltà processuali, in particolare sotto il profilo delle allegazioni e della prova; la direttiva impressa è quella della concreta verifica dei tratti che hanno caratterizzato l’unione con peculiare attenzione alla sua evoluzione nel tempo di durata del rapporto e perciò delle scelte di conduzione della vita familiare, adottate e condivise in costanza di matrimonio; tutti i fattori debbono verificarsi in tale ottica, con valenza equiordinata, mentre il fattore di durata del rapporto e, quindi, per logica connessione, l’età raggiunta dall’ex coniuge richiedente che versi nella detta posizione di rilevante svantaggio, assurge a “cruciale importanza”, incidendo, secondo regola d’esperienza indubitabile, per la futura condizione di vita degli ex coniugi, insomma una cartina di tornasole; ma, non basta; si aggiunge, con particolare sottolineatura, che l’evenienza non infrequente, per cui uno degli ex coniugi abbia apportato alla realizzazione della vita familiare un contributo personale tale da aver sacrificato totalmente o parzialmente la propria realizzazione personale, le proprie aspettative lavorative, professionali ed economiche, secondo concorde indirizzo della condivisione esistenziale instaurata con il coniugio, assume un peso specifico particolarmente significativo, tale da legittimare una perequazione anche in senso compensativo per la spendita di questo “capitale umano”, di cui l’altro si è al contempo obiettivamente avvantaggiato; viene esplicitamente chiarito che il coniuge che abbia acquisito maggiori capacità reddituali e professionali grazie all’apporto fornito ed ai sacrifici sopportati dall’altro, vieppiù se la dedizione familiare si è strutturata su lungo arco temporale, deve trovare riconoscimento in guisa da proteggere chi quel contributo abbia dato e si ritroverebbe suo malgrado in condizione pregiudicata; il profilo può rilevare proprio come contributo alla formazione del patrimonio sia esclusivo che comune, al pari dell’eventuale contribuzione economica in senso stretto; la ricerca di riequilibrio risulta significativa già nel linguaggio, richiamando i valori sottesi e situazioni altrimenti connotate persino in termini di iniquità; difatti, un ruolo endofamiliare preponderante, tutto proteso alla conduzione familiare, evoca sacrifici che possono incidere profondamente dopo la fine dell’unione matrimoniale, proprio sotto il profilo economicopatrimoniale da rivolgere prospetticamente al futuro, pur costituendo il frutto di decisioni concordate dai coniugi, libere e responsabili, come prefigurate nella regola prima di cui all’art. 144 c.c.15;

e) se dunque l’analisi progressiva della singola fattispecie evidenzia una disparità di condizione economico-patrimoniale rilevante, se questo divario non risulta superabile autonomamente dal richiedente l’assegno per ragioni oggettive, il Giudice si trova infine di fronte ad ulteriore verifica: deve acclarare che tale portato sia connesso causalmente con le scelte fatte in costanza di convivenza; deve cioè verificare se sussiste o meno un nesso eziologico tra la condizione di pregiudizio che si produce in capo al coniuge richiedente al momento delle scioglimento del vincolo con lo sguardo rivolto al futuro e le scelte che hanno caratterizzato la convivenza familiare, viepiù se in termini di vero e proprio sacrificio personale nell’interesse dell’altro e della famiglia; tutti i fattori relazionali/contributivi di riferimento enumerati nell’incipit del comma 6°, dell’art. 5, l. div., concatenati ed unitariamente rilevanti, debbono apprezzarsi in tal senso, confermando la meritevolezza della protezione solidaristica riconosciuta dalla norma, in funzione perequativa ed eventualmente compensativa;

f) superata positivamente anche tale verifica il Giudice riconosce un assegno divorzile, ma la sua misura pur da determinarsi in termini correlati all’intero contesto della famiglia disgregatasi non può avere come termine di paragone – da colmare – il tenore di vita coniugale (tanto meno quello potenziale), ma non può avere come termine di paragone neppure la frustrante assicurazione della mera autosufficienza economica personale del richiedente, eventualmente da garantire ovvero da integrare; all’interno di questo ampio binario sono i ridetti fattori enumerati dalla norma a rilevare per l’individuazione dei termini di adeguatezza concreta rispetto alla specificità dell’unione, alle scelte operate, all’impegno profuso ed al contributo apportato alla realizzazione della vita familiare, sino al vero proprio sacrificio delle legittime aspettative di realizzazione personale ed economica. Si parva licet, ammettendo che anche il giurista possa occasionalmente utilizzare un linguaggio informale in tono dimesso ma efficace, sembra evidente che la norma positiva che regola l’assegno post-coniugale, rettamente interpretata, “non regala niente a nessuno”, mentre il “meritato” riconoscimento a salvaguardia della dignità matrimoniale presuppone un positivo vaglio frutto di ardue dinamiche processuali.

Come si coglie a piene mani, trattasi di un percorso decisorio davvero complesso, siccome proteso alla ricerca fluida della Giustizia del caso concreto, tutta tesa al rinvenimento degli elementi di meritevolezza della protezione solidaristica post-matrimoniale. D’altronde, non risultano più ammissibili casi in cui, da un lato, l’assegno divorzile è riconosciuto in favore di chi versa in condizione personale già estremamente agiata ovvero nonostante un rapporto effimero; e, dall’altro lato, ove riconosciuto, massivamente relegato nella sostanza in anguste determinazioni, secondo una tipica funzione tendenzialmente “alimentare”. L’abbondante esposizione motiva della sentenza e le stesse parole di commento qui spese nell’immediatezza pur volutamente limitate allo schematico, sembrano come circonvolute, quasi a correre il rischio di finire per indurre una qualche confusione; invero, è solo una impressione di prima lettura, essendosi ricercata una complessiva chiave di soluzione razionale, compiuta e definitiva, in una materia ove la molteplicità delle esperienze concrete, appunto tra quel singolo uomo e quella singola donna, sono davvero innumerevoli, mentre la norma che vi presiede deve essere in grado di risolvere tutte le fattispecie, nessuna esclusa. Ciò significa che l’elemento delle difficoltà concrete di un giudizio sì fatto, come appena ripercorso e solo per sommi capi di mero orientamento iniziale, emerge fortemente anche in chiave di preoccupazione operativa, rendendo ad esempio chiarissimo che tali controversie debbono riservarsi a Corti e, prima ancora, ad Avvocati, di rango specialistico, esigenza non più rinviabile. Da qui anche la constatazione che il nostro ordinamento appare maturo ad ammettere che l’esercizio dell’autonomia negoziale dei coniugi possa fare ulteriore passo avanti, abilitando i nubendi a fissare già al momento del matrimonio i patti che presiederanno alla soluzione dell’eventuale crisi del rapporto. Nell’attesa, dovendo tutti rimanere fedeli alla norma positiva, come all’autorevole richiamo delle Sezioni Unite, non mancano certo i dubbi e le perplessità, diciamo le prime che subito si affollano nelle riflessioni. Sembra sorgere all’impronta qualche ragionevole perplessità, indotta dal recupero della chiave “compensativa”, quale possibile componente funzionale dell’assegno divorzile. L’interrogativo che sembra affacciarsi può essere così formulato: la Suprema Corte nel suo chiaro intendimento di disapplicare qualunque automatismo, ha finito per discriminare ovvero per segnare una gerarchia tra i vari fattori certi di paragone enumerati dalla norma? In connessione, non v’è contraddizione tra il principio secondo cui tutti i criteri debbono incidere con valenza equiordinata e l’altra secondo cui la componente compensativa per gli eventuali “sacrifici matrimoniali” assume particolare importanza? Si reputa però che una tale impressione sia da scartare. I Giudici del merito debbono cogliere il radicale cambio di visuale o, se si vuole, l’essenza autentica dell’insegnamento loro fornito dalle Sezioni Unite, secondo cui il riconoscimento dell’assegno post-coniugale passa solo attraverso la valutazione complessiva e comparata della condizione delle parti: partendo dal dato obiettivo al momento della celebrazione del matrimonio e cogliendo parimenti il dato finale al momento dello scioglimento del vincolo, sono i comportamenti tenuti in costanza di matrimonio a risultare decisivi per il riconoscimento e la determinazione della misura di protezione; l’evenienza ulteriore del ricorrere addirittura di “sacrifici matrimoniali” che pregiudicano il futuro dell’ex coniuge, risponde invero alla stessa logica di meritevolezza, cogliendo solo un tratto specifico particolarmente significativo (si licet, ancor più meritevole) e null’altro; non ponendosi in contrapposizione con gli altri criteri si spiega la coerenza del tessuto motivo della Suprema Corte. I fattori di riferimento enumerati al comma 6°, dell’art. 5, l. div., allora sono e restano tutti unitariamente rilevanti ed equiordinati. Certo non può escludersi che nel singolo caso si rinvengano fattori pro e fattori contro, l’uno positivo e l’altro negativo per la conclusione di meritevolezza della protezione o comunque della sua biunivoca adeguatezza determinativa; tanto per intenderci le “ragioni della decisione” potrebbero stagliarsi in recisa contrapposizione con l’eventualità di “sacrifici matrimoniali”, oppure sussistere sacrifici reciproci di ardua “pesatura”; ma questo non muta che entrambi tali fattori debbano essere valutati, unitamente a tutti gli altri, traendone la conclusione ponderata di prevalenza in un senso o nell’altro, come accade in ogni apprezzamento di merito. È vero che questi fattori, seppur anteriormente qualificati fattori di moderazione o ponderazione rispetto al c.d. tenore di vita coniugale, che costituiva l’apice monetario astratto di partenza (dato che attraverso l’analisi di tali fattori serenamente può persino azzerarsi), risultavano nei fatti sostanzialmente inapplicati e comunque calati con grande riluttanza nei singoli casi di specie, come evidenziato nell’occasione del commento della svolta della prima sezione civile del maggio 2017, ma è proprio questa l’essenza fluida da cui non si può più prescindere. Non è peraltro fuori luogo osservare come, a proposito dell’eventuale ricorrenza dei “sacrifici matrimoniali”, se è vero che la Corte ha avuto l’obiettivo di tutelare giustamente sia il coniuge che lavora che quello che si sacrifica all’interno della casa, ciò non toglie che il Giudice del merito deve pur sempre acclarare che di sacrificio si sia trattato realmente. Quest’ultimo inciso ci consente peraltro di evidenziare il caso, non infrequente, secondo cui tutti i fattori di riferimento elencati nella norma stessa non risultino di alcun particolare significato da poter coniugare nei ridetti termini di meritevolezza, rimanendo solo la condizione di disparità rilevante (od addirittura la totale assenza di redditi e sostanze in capo al richiedente), nell’impossibilità di colmarla per ragion oggettive; la solidarietà post-coniugale in questo caso si staglierà solo su questo elemento, ma ovviamente per assicurare una misura solidaristica in termini di mera salvaguardia della dignità matrimoniale. Tutto ciò sta anche a significare che la lucida sentenza in commento non si presta affatto ad illusioni prospettiche, o meglio, a poterci legittimamente vederci ciò che ognuno vorrebbe vederci.



6. Le allegazioni e gli oneri probatori nel nuovo impianto



Le Sezioni Unite pongono qualche cenno a proposito del riparto dell’onere probatorio. È ben evidente che il ruolo degli Avvocati assume un connotato critico, siccome il percorso valutativo sopra descritto esige grandissimo impegno, da profondere nella ricostruzione dei tratti di vita concreta della coppia, circostanze spesso cu stodite all’interno delle mura domestiche, viepiù ove la convivenza si è strutturata sulle connaturate evoluzioni che inevitabilmente caratterizzano i rapporti di lunga durata, magari con più figli, od anche su più decenni, o vicissitudini similari. Le Sezioni Unite stesse si esprimono consapevolmente affermando che si potrà e dovrà inevitabilmente ricorrere alla prova per presunzioni. Questo però non toglie che l’opera allegativa prima e quella probatoria poi, debbano risultare particolarmente attente, vaste e specifiche, dovendo acquisirsi tutti gli elementi utili che qui occupano; inoltre, una tale attività è da espletarsi opportunamente già per la fase presidenziale, in tutti quei casi in cui si intenda domandare l’anticipazione di provvedimenti temporanei e urgenti, ai sensi dell’art. 4, comma 8, l. div., magari a modificazione od integrazione dei provvedimenti vigenti in regime di separazione personale (non raro il caso in cui neppure sussista una previsione di mantenimento ex art. 156, commi 1° e 2°, c.c., in sede di separazione e venga invece domandato l’assegno divorzile, stante le ontologiche diversità tra l’una e l’altra posizione di diritto). L’inciso ci consente di segnalare come l’assegno post-coniugale prende titolo dalla sentenza di status e sino a questo momento vige comunque il regime dettato in sede di separazione personale16, ragione per cui l’eventuale anticipazione, in via temporanea ed urgente, pur astrattamente possibile salvo il regolamento definitivo che poi dovrà farne la sentenza, dovrebbe limitarsi, come indica la norma, all’eccezionale ipotesi secondo cui risulti “strettamente necessario”. Il riparto dell’onere probatorio non si colloca in senso difforme rispetto alla regola generale, salva l’espansione dei poteri officiosi in relazione all’accertamento della disparità rilevante tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti, di cui al comma 9°, dello stesso art. 5, l. div. – ricorso ad indagini anche di Polizia tributaria17 –, sui quali la sentenza si sofferma con una certa pregnanza di significato; in verità, la sottolineatura sarebbe propriamente coerente soltanto con la natura solidaristica della protezione prefigurata dalla norma; difatti, anche a voler prescindere dalla disponibilità del diritto, è stata recisamente esclusa la sua natura prettamente assistenziale. Dall’ordinario riparto dell’onere della prova ex artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., salva l’eventuale attivazione dei detti poteri officiosi, deriva che il coniuge richiedente è onerato della prova di tutti gli elementi costitutivi necessari all’accoglimento della domanda; anche il ricorso alla prova per presunzioni deve comunque trovare i suoi fisiologici punti fermi di partenza. Tuttavia, nell’ipotesi in cui il coniuge richiesto della prestazione post-coniugale, non intenda limitarsi alla contestazione allegativa e alla prova contraria, seguendo in tal guisa l’impostazione circostanziata dal richiedente, ma intenda fornire anche la prova diretta del “fatto contrario”, queste costituiscono dinamiche di scelta e strategia processuale che ovviamente comportano il correlato onere probatorio, che pertanto non potrà che risultare modulato in conformità; particolarmente significativa risulterà allora l’allegazione e la prova del fatto contrario che possa dimostrare come la disparità economicopatrimoniale non trova origine nei “sacrifici matrimoniali”, bensì ad esempio in condotte disimpegnate. Il punto in questione delle difficoltà allegative e probatorie, sollecita invero una riflessione che può risultare rilevante; fermo il fatto che allo stato delle cose il nostro ordinamento non ammette la valida stipulazione di pattuizioni cosiddette prematrimoniali18, sappiamo che le convenzioni matrimoniali sul regime patrimoniale della famiglia non possono derogare né ai diritti, né ai doveri che nascono dal matrimonio (art. 160 c.c.); di contro, le intese correnti e duttili con cui i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare, oggetto nel quale tipicamente rientra la conduzione della famiglia nel quotidiano, secondo la regola aurea prefigurata nel fondamentale art. 144 c.c. (meglio, nei limiti ivi sanciti, la ricerca dell’accordo corrisponde ad un preciso dovere coniugale), possono validamente attestarsi per iscritto; sia attraverso atto bilaterale che unilaterale, con dichiarazioni che esprimano o consentano di ricostruire meglio la volontà dell’uno, dell’altro o di entrambi; una evidenza pattizia di tal fatta che provi l’incontro del comune volere, consente anche di far risultare le evoluzioni prodottesi in prosieguo di tempo, attesa la naturale instabilità o, se si vuole, la temporaneità di tali intese, esposte a continue modificazioni od aggiustamenti; cosicché, ai nostri fini, l’evidenza documentale può risultare idonea ad assumere valore probatorio, che certamente può agevolare l’istruttoria, altrimenti affidata alle maggiori incertezze della prova costituenda. Questa non è peraltro la sola riflessione che si può cogliere utilmente; difatti, sul fronte strettamente processuale, emerge l’importanza dell’audizione personale dei coniugi19, quantomeno durante il confronto prefigurato innanzi al presidente del tribunale, all’esordio del giudizio, che impone la comparizione personale delle parti (art. 4, comma 7°, l. div.); questo momento può risultare preziosa occasione atta ad acquisire un quadro almeno sommario, seppur il suo valore probatorio non si eleva oltre una sostanza indiziaria, direttamente dalla voce degli artefici del coniugio disgregatosi.



7. La questione della revisione del giudicato



L’art. 9, comma 1°, l. div., riconosce il diritto di domandare in ogni tempo, su istanza di parte, la revisione del giudicato che contiene la previsione dell’assegno post-coniugale, di durata vitalizia20. Il presupposto è testualmente sancito con la dizione: “Quando sopravvengano giustificati motivi dopo la sentenza…”. L’interpretazione consolidata reclama la sopravvenienza di fatti circostanziali idonei ad influire sul quadro valutativo a base dell’accertamento conclusosi con la sentenza divorzile, segnando certamente indifferenza rispetto ai mutamenti di indirizzo giurisprudenziale. Ora ci troviamo nuovamente al cospetto di un cambio di indirizzo e l’effetto su una massa di statuizioni che sono titolo di obbligazioni periodiche che proseguono nel tempo, assume nei fatti una certa gravità obiettiva. Già dopo la svolta del maggio del 2017 si presentò rudemente questa stessa problematica e persino la giurisprudenza della Corte di Cassazione esprimeva senso di incertezza, giungendo però infine alla considerazione secondo cui la nuova interpretazione della norma poteva incidere, ma solo alla condizione imprescindibile che la riconsiderazione della situazione potesse legittimamente fondarsi sulla sopravvenienza di un fatto idoneo a modificare il quadro delle circostanze sostanziali su cui si era formato il giudicato21, appunto allo stato delle cose22, secondo la nota clausola di salvaguardia in materia espressa con il brocardo rebus sic stantibus. È vero che la norma esige soltanto la sopravvenienza di “giustificati motivi”, ma salvo che non si voglia percorrere la via dell’integrale risistemazione dell’istituto, secondo prospettazione della dottrina processual-civilistica che dovrebbe proporre ex professo le nuove basi sistematiche, magari partendo dal rilievo che l’obbligazione periodica si compone di tante, diverse, obbligazioni singole, rispetto a quelle anteriori ed a quelle future (e qui rileverebbero solo queste ultime), appare arduo prospettare una soluzione che prescinda dal concetto stesso di cosa giudicata come idonea a coprire “il dedotto ed il deducibile”; ragione per cui la diversa interpretazione della norma che può fondare o meno un diritto soggettivo rientra negli oneri allegativi di chi agisce in giudizio, esposto come tale alle scelte operate. Tuttavia, quid iuris nei casi in cui la parte che abbia agito in giudizio affidandosi ragionevolmente all’interpretazione operata dal Collegio all’apice del potere giurisdizionale, cui è attribuita la specifica funzione nomofilattica, ribaltato il giorno dopo? Tra gli scenari apertisi, non è da trascurare il fatto che tutti i contenziosi pendenti presenterebbero quantomeno una istruttoria erratica, avendo le parti fatto affidamento sul “diritto vivente” non conforme o parzialmente conforme rispetto al responso delle Sezioni Unite in commento. Come cennato, i “giustificati motivi” rilevanti ai fini dell’accoglimento di una domanda di revisione delle condizioni divorzili, in virtù della natura del giudicato, soggetto appunto all’eccezionale rimedio della “revisione” in forza del mutamento delle condizioni soggettive delle parti, rispetto alla ricognizione comparativa già scrutinata, o meglio, rispetto alle condizioni sussistenti sino al momento in cui si è prodotta la preclusione deduttiva nel procedimento che ha condotto alla statuizione resa, sono stati intesi, da granitica giurisprudenza di legittimità, sempre ed esclusivamente come “circostanze di fatto”. Ben noto, rispetto ad una “patologia” postmatrimoniale da accertarsi sì anch’essa in via retrospettiva come d’ordinario, che il giudicato in parola non è insensibile all’evolversi delle condizioni di vita degli attori del rapporto, siccome prodottesi nei fatti in prosieguo di tempo. Appare certo come un qualsivoglia indirizzo giurisprudenziale, per quanto autorevole sia l’organo da cui promana e convincenti le sue motivazioni, non possa essere ricondotto neppure nell’alveo dello ius superveniens; peraltro, come noto, anche questo costituisce elemento sopravvenuto di norma precluso dal giudicato; tanto che il nostro ordinamento presenta dettami anche recenti – specificatamente in ambito familiare – nei quali il legislatore ha rettamente disciplinato la modalità di adeguamento delle statuizioni giudiziali vigenti, assistite dalla cosa giudicata, all’introduzione di radicali riforme di sistema (un esempio su tutti, l’art. 4, comma 2°, l. 8 febbraio 2006 n. 54), altrimenti appunto intangibili ex art. 2909 c.c. Sul tema la giurisprudenza di legittimità, espressasi nei vari settori, si staglia comunque nitida23. Ora, incide anche l’altalenarsi degli indirizzi della Suprema Corte che solo con l’arresto in commento ha composto i contrasti, ragione che fa propendere per il mantenimento del solco tradizionale, secondo cui, come detto, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, potendosi semmai ipotizzare l’applicazione della previsione che ammette la rimessione in termini, ovvero un intervento legislativo “tampone”, che rimetta in termini le parti per l’esplicazione dell’attività deduttiva e probatoria, in un termine decadenziale, ponendo rimedio ad una questione di così vasta rilevanza sociale. A proposito della revisione debbono evidenziarsi altri due aspetti. Rilevano le Sezioni Unite che nel caso in cui l’obbligato domandi la riduzione o l’eliminazione dell’assegno già riconosciuto all’ex coniuge, sull’assunto del superamento della disparità determinata dalle cause sopraindicate (cioè secondo tutto quanto abbiamo sopra ripercorso), deve fornire la prova contraria. Il criterio del riparto dell’onere probatorio in sede di revisione è chiaro: grava su chi agisce la prova del/i fatto/i sopravvenuto/i e della incidenza idonea a modificare la complessiva valutazione su cui è già sceso il giudicato. L’equivocità dell’espressione, risalta per il fatto che ci troviamo di fronte a più mutamenti nell’interpretazione della norma, susseguitisi nel tempo, che nel momento in cui muta la situazione di fatto abbisogna obiettivamente di una complessiva riconsiderazione, ed allora la modulazione dell’onere probatorio è tutt’altro che scontata in quei termini. Ancora, sottolinea la sentenza in commento, come nell’esperienza di altri ordinamenti del contesto Europeo è diffusa la soluzione che vede estinguersi la protezione post-matrimoniale, con il decorso di un certo tempo e che questa costituisce soluzione da non trascurare, con eloquenza rivolta evidentemente all’orecchio del legislatore. Questo inciso motivo però va oltre, e cioè pone una sorta di elogio dell’ordinamento interno, paragonando la sensata soluzione straniera alla nostrana possibilità di procedere in revisione del giudicato divorzile, che sarebbe persino da preferire. L’assunto, al di là dell’evidente diversità obiettiva, può assumere però il peso di una indicazione di tutto rilievo; infatti, abbiamo visto che il nesso causale tra le caratteristiche della vita matrimoniale ed il futuro del coniuge svantaggiato, conforme a dignità matrimoniale, deve ricorrere in uno alla prova dell’impossibilità a colmare autonomamente il divario e, quindi, presuppone anche un impegno responsabile in prosieguo di tempo; se di ciò non può dubitarsi, evidente che il trascorrere del tempo costituisce di per sé elemento circostanziale di fatto, ed il persistere dell’impossibilità oggettiva a colmare il ridetto divario deve essere giustificato da prova rigorosa (in senso crescente proporzionalmente al trascorrere del tempo), prova che scansi ogni dubbio in ordine al ricorrere di condotte deresponsabilizzate, tanto più quanto ci si allontani dalla data del giudicato divorzile.



8. Conclusioni



Il diritto del coniuge che si ritrova in condizione economicopatrimoniale svantaggiata, privo di mezzi adeguati in misura rilevante, al momento dello scioglimento del vincolo e legittimato a tenore dell’art. 5, comma 6°, l. div., ad invocare l’assistenza solidaristica che trae titolo dalla sentenza di status, finalmente recupera un equilibrio interpretativo. Superando tutti gli indirizzi che si sono alternati nel tempo, il risultato sancisce il metodo della comparazione e della reciproca responsabilità, escludendo sia l’epilogo dell’arricchimento, come quello dell’impoverimento frustrante, irrispettosi della dignità matrimoniale; la ricerca fattiva della Giustizia del caso concreto, secondo le sue specifiche peculiarità relazionali, trova quale termine di paragone valutativo fluido i soli fattori enumerati nella norma, tutti unitariamente da analizzare con valenza equiordinata e biunivoca, sia per il riconoscimento che per la determinazione dell’assegno post-matrimoniale; la sostanza di una tale ricerca si traduce nel riconoscimento secondo meritevolezza della protezione stessa, in conformità ai valori fondanti della famiglia coniugale, come sancito in primo luogo negli artt. 2, 3 e 29 Cost.; meritevolezza anche del risultato secondo il livello del ruolo endofamiliare e contributivo in concreto assunto manente matrimonio, sino al riconoscimento della componente compensativa nel caso ricorrano significativi “sacrifici matrimoniali”, risultati in nesso eziologico con il divario incolmabile prodottosi in pregiudizio dell’ex coniuge richiedente e di corrispondente vantaggio per l’onerato. Alla casistica avanti alle Corti di merito ora il compito imponente di attuare lo schema di principio e della specificazione dei suoi confini concreti, recependo il metodo affermato dalla Corte di legittimità, come l’unico modus procedendi conforme al comando positivo, e con la consapevolezza dell’impegno che una tale opera decisoria rivendica.

NOTE

1 In questa Rivista, 2017, 80, con nota di saVi, La rilevanza del “tenore di vita” dei con-sorti nel

riconoscimento del contributo al mantenimento in regime di separazione personale e dell’assegno

post-coniugale; la cortesia del lettore è rinviata peraltro allo studio ampliato nel successivo saggio,

Il riconoscimento dell’assegno divorzile: dal parametro del “tenore di vita” dei con-sorti alla

verifica dell’autosufficienza personale del richiedente?, in Riv. dir. privato, 2017, 599; con la

precisazione che la presente notazione, licenziata a pochi giorni dalla pubblicazione della sentenza,

costituisce un unico percorso di studio, presupponendo tali anteriori scritti.

2 Cfr., tra altri, Bianca, L’ultima sentenza della Cassazione in tema di assegno divorzile: ciao

Europa?, in www.giustiziacivile.com, editoriale 9 giugno 2017, 1; casaBuri, Tenore di vita ed

assegno divorzile (e di separazione): c’è qualcosa di nuovo oggi in Cassazione, anzi d’antico, in Foro

it., 2017, 1895; Bona, Il revirement sull’assegno divorzile e gli effetti sui rapporti pendenti, ivi,

1900; MonDini, Sulla determinazione dell’assegno divorzile la sezione semplice decide “in

autonomia”. Le ricadute della pronuncia sui giudizi di attribuzione e sui ricorsi per revisione

dell’assegno, ivi, 1903; patti, Assegno di divorzio: un passo verso l’Europa?, ivi, 2017, 2707; Bianca,

Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, ivi, 2017, 2715; astone,

Assegno post-matrimoniale ed autoresponsabilità degli ex coniugi, in questa Rivista, 2017, 1208;

quaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e

“autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, in Corr. giur., 2017, 885; Dosi, Presupposti

dell’assegno divorzile e condizione femminile: perché la prima sezione civile della Cassazione non

è convincente, in www.lessicodidirittodifamiglia.com; al MureDen, L’assegno divorzile tra

autoresponsabilità e solidarietà post-coniugale, in Fam dir., 2017, 642; DanoVi, Assegno di divorzio

e tenore di vita matrimoniale: il valore del precedente per i giudizi futuri e l’impatto sui divorzi già

definiti, ivi, 2017, 655; iD., La Cassazione e l’assegno di divorzio: en attendant Godot (ovvero le

Sezioni Unite), ivi, 2018, 51; iD., la meritevolezza dell’assegno di divorzio va valutata nel concreto

svolgimento della vita coniugale, ivi, 2018, 373; roMa, Assegno di divorzio: dal tenore di vita

all’indipendenza economica, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 1001; Di MaJo, Assistenza o

riequilibrio negli effetti del divorzio?, in Giur. it., 2017, 1304; riMini, Assegno di mantenimento e

assegno divorzile: l’agonia del fondamento assistenziale, ivi, 1799; sesta, La solidarietà post-

coniugale tra funzione assistenziale ed esigenze compensative, in Fam. dir., 2018, 509.

3 In questa Rivista, 2017, 85.

4 Cfr. opp. citt. in nota 1.

5 Cfr., tra le espressioni maggiormente significative, App. Genova, 12 ottobre

2017, in Dir. fam. pers., 2018, 83, con nota di saVi, Il diritto all’assegno divorzile avanti alle Corti di

merito, ovverosia, l’ennesima “torre di babele” nella cittadella della famiglia; App. Milano, 16

novembre 2017, in Giur. it., 2017, 2625, con nota di Di MaJo, Passato e presente nell’assegno

divorzile; App. Napoli, 22 febbraio 2018, in Fam. dir., 2018, 360, con nota di DanoVi, cit. in nota 2.

Da segnalare anche gli interessanti itinerari di giurisprudenza di piantaniDa, L’assegno di divorzio

dopo la svolta della Cassazione: orientamenti (e disorientamenti) nella giurisprudenza di merito, in

Fam. dir., 2018, 65; e di Mangano, La giurisprudenza del Tribunale di Roma dopo il revirement

della Corte di cassazione sull’assegno divorzile, in Questione Giustizia, 10 maggio 2018.

6 Il percorso della giurisprudenza di legittimità intervenuta successivamente alla svolta del maggio

2017, tra altre, al di là dell’arresto di Cass., sez. I, 22 giugno 2017 n. 15481, in banca dati Pluris,

peculiarmente afferente l’ulteriore tema della revisione del giudicato (poi meglio rimeditata con

l’arresto della stessa sezione del 26 gennaio 2018 n. 2043, ivi, sulla quale questione si tornerà

infra, annoverava gli arresti di, Cass., sez. VI-1, 21 luglio 2017 n. 18111, ivi (pur riprendendo lo

specifico tema della totale rescissione del legame tra ex coniugi nell’ipotesi ricorrente della

formazione di nuovi rapporti familiari di fatto); Id, 8 agosto 2017 n. 19721, ivi; Id., 29 agosto 2017

n. 20525, ivi; Id., 9 ottobre 2017 n. 23602, ivi; Id., 25 ottobre 2017 n. 25327, ivi; Id. 27 ottobre

2017 n. 25697, ivi; Id. 5 dicembre 2017 n. 28994, ivi; evidenziando tutte in sostanza un mero

rimando motivo al precedente dell’11 maggio 2017 n. 11504. In verità, come cennato nel testo,

non sono mancati successivi segni di accentuazione o di incrinatura, quali, a titolo esemplificativo,

possono cogliersi negli arresti di, Cass., sez. I, 28 gennaio 2018 n. 2042, in Fam. dir., 2018, 321, con

nota di Figone, Assegno divorzile e valutazione ponderata dell’autosufficienza economica: un

“apripista” per le Sezioni Unite?; e di, Cass., sez. VI-1, 7 febbraio 2018 n. 3015, in banca dati Pluris,

ove addirittura si legge il seguente tratto motivo: “La conservazione del tenore di vita

matrimoniale, richiamato dalla ricorrente a sostegno della richiesta di quantificazione dell’assegno

in misura superiore a quella riconosciutale, non costituisce più un parametro di riferimento

utilizzabile né ai fini del giudizio sull’an debeatur né di quello sul quantum debeatur, la cui

determinazione è finalizzata a consentire all’ex coniuge il raggiungimento dell’indipendenza

economica”. Infine la prima sezione civile ha rinviato a nuovo ruolo le decisioni dei ricorsi ove era

agitato il tema che qui ci occupa.

7 Secondo la fondamentale critica diffusamente esposta negli scritti citt. in nota 1.

8 Corrispondente in sostanza allo sforzo critico prospettato nei due scritti citati in nota 1

(paragrafo 3, p. 94, della notazione, e p. 609 del saggio), come ancor prima nel commento adesivo

a Corte Cost. 11 febbraio 2015 n. 11, anche ivi diffusamente richiamato. Questa la testuale

espressione che si era reputato di rimarcare: “Come a dire, la solidarietà post-coniugale dovrà

risultare sostanzialmente connotata in termini di ‘ragionevole meritevolezza’, con analisi concreta

ex post dei tratti comportamentali, dell’impegno rispetto al progetto di vita comune, delle

dinamiche del moto d’affetto, del senso di autoresponsabilità e condivisione, del rispetto e

dedizione reciproca, della lealtà, come pure del sacrificio personale ed economico ove volto a

privilegiare l’unione o l’altro rispetto all’individualità personale”.

9 Busnelli, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 509. Opportuno anche il

richiamo da un lato di, rescigno, Matrimonio e famiglia. Cinquant’anni del diritto italiano, Torino,

2000, ad esempio a p. 11, sulla fermezza dell’istituzione; d’altro lato, Bianca, Diritto civile, 2.1, La

Famiglia, 2014, 298; ma anche di, De Benoist, I demoni del bene. Dal nuovo ordine morale

all’ideologia del genere, Napoli, 2015, ad esempio nei rilievi a p. 162, a proposito della

declinazione puramente individuale e di tipo contrattuale.

10 quaDri, I coniugi e l’assegno di divorzio tra conservazione del “tenore di vita” e

“autoresponsabilità”: “persone singole” senza passato?, cit., in nota 2.

11 Si rinvia ancora agli scritti menzionati in note 1, 4 e 5, ma anche alle opere degli Autori citati.

12 Il rilievo emerge diffusamente in dottrina, tra altri, cfr., sesta, Manuale di diritto di famiglia,

Padova, 2015, 183; ruscello, Diritto di famiglia, Pisa, 2017, 179. Sul versante giurisprudenziale

ricorre in tal senso copiosa ed univoca conclusione, in particolare dopo la sistemazione risalente

alle Sezioni Unite del 1990, non mancando di rilevare che un tale presupposto riaffiora

costantemente, ad esempio, di recente, nelle sentenze di Cass., sez. un., 17 luglio 2014 n. 16379 e

n. 16380 (in Nuova giur. civ. comm., 2015, 36, con nota di roMa, Ordine pubblico, convivenza

coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite suppliscono

all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento; e l’approfondimento di

quaDri, Il nuovo intervento delle sezioni unite in tema di convivenza coniugale e delibazione delle

sentenze ecclesiastiche di nullità, ivi, II, 47; inoltre, carBone, Risolto il conflitto giurisprudenziale:

tre anni di convivenza coniugale escludono l’efficacia della sentenza canonica di nullità del

matrimonio, in Corr. giur., 2014, 1196), che ha sottolineato la valenza delle disposizioni che

tutelano i diritti che assicurano al coniuge debole il mantenimento successivamente al divorzio,

come quella corrispondente a norme di ordine pubblico, individuando ancora nell’art. 29 Cost. il

dettame su cui affonda le radici la disciplina della solidarietà post-coniugale. Invero, si coglie



qualcosa di più che una impressione casuale, in ordine al fatto che la Suprema Corte sembra

proprio proseguire nello stesso solco.

13 Cfr., tra altri, Bonilini, toMMaseo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 c.c. e l. 1° dicembre

1970, n. 898, in Commentario cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 614; totaro, Gli effetti

del divorzio, in Trattato dir fam. Zatti, 1, II, Milano, 2011, 1641; Bonilini, natale, L’assegno post-

matrimoniale, in Trattato di dir. fam. Bonilini, Torino, 2016, III, 2900.

14 Sino ad oggi, come già sottolineato, è risultato prevalente il canone della scelta discrezionale di

questo o quel parametro, seppur principalmente valorizzato – in sede di determinazione –

soltanto quello della comparazione delle condizioni economiche delle parti; cfr., tra molteplici, a

titolo esemplificativo, le recenti, Cass., sez. I, 20 febbraio 2018 n. 4091, in banca dati Juris; Cass.

sez. VI-1, 18 novembre 2016 n. 23574, ivi.

15 Cfr., tra altri, paraDiso, I rapporti personali tra coniugi, artt. 143-148, in Commentario cod. civ.

Schlesinger-Busnelli, Milano, 2012, 170 ss.

16 Regime che difatti si estingue con il passaggio in giudicato della sentenza di status divorzile; la

questione non vede una quantità di precedenti, attesa l’ovvietà del principio connaturato allo

status coniugale in regime di vita separata ex art. 156 c.c.; cfr. ad ogni modo, Cass., sez. I, 13

maggio 2011 n. 10648, in banca dati Juris; Id., 1° agosto 1986 n. 4915, in Giust. civ., 1987, I, 2929;

App. Genova, 17 luglio 1996, in Dir. fam. pers., 1999, 88, con nota di scaraBello, In tema di

conseguenze patrimoniali della sentenza non definitiva di divorzio; Trib. Reggio Calabria, 3

novembre 2003, in Giur. merito, 2004, 220.

17 Cfr., tra altri, Bonilini toMMaseo, Lo scioglimento del matrimonio. Art. 149 c.c. e l. 1° dicembre

1970, n. 898, in Commentario cod. civ. Schlesinger-Busnelli, Milano, 2010, 759.

18 Cfr., ex pluribus, Cass., sez. I, 21 dicembre 2012 n. 23713, in Giur. it., 2013, 1795. Si veda anche,

Cass., sez. I, 13 gennaio 2017 n. 788, in Foro it., 2017, I, 1286. Tuttavia non è da trascurare la

contraria tesi minoritaria, sostenuta in particolare da oBerto, da ultimo con peculiare sintonia a

quanto qui in discorso, in Fam. dir., 2014, 88, Suggerimenti per un intervento in tema di accordi

preventivi sulla crisi coniugale; iD., Gli accordi prematrimoniali in cassazione, ovvero quando il

distinguishing finisce nella haarspaltemaschine, ivi, 2013, 323.

19 Cfr., saVi, Audizioni personali ed ascolto del minore, in Avv. fam., 2015, 3-4, 36.

20 Bianca, Diritto civile. 2.1. La famiglia, Milano, 2014, 289.

21 Cfr., l’iniziale indirizzo di Cass., sez. I, 22 giugno 2017 n. 15481, in banca dati Pluris, poi corretto

con il successivo arresto di Cass., sez. I, 26 gennaio 2018 n. 2043, in Fam. dir., 2018, 324.

22 Cfr., caponi, L’efficacia del giudicato civile nel tempo, Milano, 1991. Rilevante interesse ha

suscitato in tema, Cass., sez. I, 18 settembre 2013 n. 21331, in Dir. fam. pers., 2014, 111, con nota

di canonico, Nullità matrimoniale e pretesa sopravvivenza dell’assegno divorzile.

23 Cfr., ex plurimis, Cass., sez. I, 10 dicembre 2010 n. 24996, in banca dati Juris; Cass., sez. un., 16

giugno 2014 n. 13676, in banca dati Pluris; Cass., sez. VI-5, 9 gennaio 2015 n. 174, in Nuova giur.

civ. comm., 2015, 501, con nota di Molinaro, Mutamento di giurisprudenza e tutela

dell’affidamento: alla ricerca di una soluzione coerente; Cass. sez. I, 28 ottobre 2015 n. 22008, in

Giur. it., 2016, 663, con nota di DalMotto, Mezzi di impugnazione della declinatoria di competenza

e clausola per arbitrato societario; iD. 1° febbraio 2016 n. 1863, in banca dati Pluris; Cass., sez. lav.,

23 febbraio 2016 n. 3488, ivi; Cass., sez. II, 11 marzo 2016 n. 4826, ivi; Cass., sez. VI-5, 27 luglio

2016 n. 15530, ivi; Cass., sez. lav., 12 aprile 2017 n. 9398, ivi; Cass., sez. III, 20 aprile 2017 n. 9954,

ivi.