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La sottrazione internazionale di minori. Profili processuali

autore: M. A. Lupoi

Sommario: 1. Introduzione: le fonti normative. - 2. Funzione e struttura della convenzione dell’Aja del 1980. - 3. Regole procedimentali. - 4. Peculiarità processuali nell’ambito italiano. - 5. La sottrazione internazionale di minori nel regolamento n. 2201. - 6. Regole processuali uniformi in materia di child abduction. - 7. Il riesame della decisione sul diniego di rientro ai sensi dell’art. 13. - 8. Il coordinamento tra norme uniformi europee e disciplina processuale interna. - 9. L’esecuzione dei provvedimenti in materia di rientro del minore. - 10. Conclusioni.



1. Introduzione: le fonti normative



In uno scenario in cui si diffonde sempre più la mobilità delle famiglie attraverso le frontiere, assume particolare rilevanza, in occasione delle crisi delle coppie, il fenomeno della sottrazione dei minori da uno Stato all’altro1 . Le situazioni in cui tale fenomeno si estrinseca sono diverse, anche se si possono individuare due principali tipologie di sottrazione: da un lato, quella operata dalla madre (normalmente convivente con la prole), per allontanarsi dal luogo ove la famiglia risiede per tornare nel proprio paese di origine anche (ma non necessariamente) per sfuggire a situazioni di pericolo o di violenza; dall’altro, quella posta in essere dal padre (di norma non convivente), che lamenti di essere ostacolato nella sua frequentazione con i figli minori2 . Si tratta di situazioni di notevole gravità, rispetto alle quali la normativa unilaterale degli Stati non può dare risposte efficienti: fuori da meccanismi multilaterali di cooperazione giudiziaria tra Stati diversi, infatti, il genitore che ha subito la sottrazione e che agisce nello Stato in cui è residente sconta le incertezze dell’esecuzione del relativo provvedimento nello Stato estero in cui il minore è stato portato o trattenuto. Ove, invece, si attivi direttamente nello Stato in cui si trova il minore, rischia di scontrarsi con atteggiamenti “protezionistici” dei propri cittadini da parte delle corti locali ed in ogni caso deve sostenere gli elevati costi di un’azione instaurata all’estero. Il problema sta ricevendo risposte adeguate solo in epoca recente, grazie ad alcune normative internazionali multilaterali che hanno creato un efficiente sistema di cooperazione tra le corti di Stati diversi. La fonte normativa principale, come noto, è costituita dalla convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 su taluni aspetti civili della sottrazione internazionale di minori, ratificata dall’Italia con la legge n. 64 del 15 gennaio 19943 . Le disposizioni della convenzione del 1980 sono rafforzate da quelle della convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 20164 . Nell’ambito dell’Unione europea, inoltre, la materia trova una disciplina integrativa (e in parte modificativa) nel regolamento n. 2201 del 20035 . La sottrazione internazionale di minori, in effetti, entra a pieno titolo nell’ambito della responsabilità genitoriale cui si applica la disciplina europea. Da tale sovrapposizione di fonti, deriva, per l’Italia, la necessità di coordinare le norme in materia di abduction della convenzione del 1980 e quelle del regolamento del 2003. In effetti, in base all’art. 59 del regolamento Bruxelles II bis, quest’ultimo, nei rapporti tra gli Stati membri, si sostituisce a tutte le normative convenzionali già in vigore tra tali Stati prima della sua entrata in vigore. Inoltre, ai sensi dell’art. 60, nei rapporti tra gli Stati che ne sono parte, il regolamento prevale anche su alcune importanti convenzioni multilaterali, nella misura in cui queste riguardino materie da esso disciplinate, tra le quali appunto la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 19806.

In realtà, come bene si desume anche dal suo art. 627 , il regolamento n. 2201 non aspira a sostituirsi alla convenzione del 1980, ma, semmai, ad integrarsi ad essa8 , dando alla sottrazione di minori tra Stati membri dell’Unione soluzioni meglio rispondenti ai principi ispiratori dello spazio europeo di giustizia, in particolare quelli della fiducia reciproca tra gli Stati membri e dell’equivalenza tra l’attività giudiziaria svolta dalle giurisdizioni nazionali. Tale approccio emerge dal considerando 17, per cui, in caso di trasferimento o mancato rientro illeciti del minore, si dovrebbe ottenerne immediatamente il ritorno e a tal fine dovrebbe continuare ad essere applicata la convenzione dell’Aia del 25 ottobre 1980, come integrata dalle disposizioni del regolamento n. 2201, in particolare il suo art. 11. I giudici dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito o trattenuto illecitamente, inoltre, dovrebbero avere la possibilità di opporsi al suo rientro in casi precisi, debitamente motivati: tuttavia, una simile decisione dovrebbe poter essere sostituita da una decisione successiva emessa dai giudici dello Stato membro di residenza abituale del minore prima del suo trasferimento illecito o mancato rientro. In questa ultima frase sta tutta la “filosofia” dell’approccio del regolamento alla sottrazione internazionale dei minori, che, sul punto, come si vedrà, si discosta significativamente dalla convenzione del 19809 .



2. Funzione e struttura della convenzione dell’Aja del 1980



Gli obiettivi della convenzione dell’Aja, come il suo art. 1 mette in chiaro, sono assicurare l’immediato rientro dei minori infra-sedicenni (v. art. 4)10 illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente nonché l’effettivo rispetto negli altri Stati contraenti dei diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente. In caso di istanza proposta entro un anno dalla sottrazione, l’autorità giudiziaria, come regola generale, deve disporre l’immediato rientro del minore. E anche dopo la scadenza di tale termine, il ritorno va di regola ordinato, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente (art. 12)11. In linea generale, la convenzione, nel bilanciamento tra la posizione del genitore che porta via con sé o trattiene illegittimamente il figlio e quella del genitore che subisce tale situazione tende a valorizzare quest’ultima, seppure di riflesso rispetto alla tutela dell’interesse prevalente del minore. Non si tratta però di una scelta di valore “definitivo”, quanto della reazione immediata (anche in ottica deterrente) a comportamenti unilaterali del genitore in merito alla localizzazione del centro degli interessi del minore. In quest’ottica, le norme della convenzione mirano a ricostruire, il più in fretta possibile e con il minor numero di ostacoli, lo status quo precedente alla sottrazione12, per poi rimettere al giudice dello Stato da cui il minore è stato sottratto ogni decisione in merito alla potestà genitoriale sul minore stesso, alla sua collocazione e alla regolamentazione dei rapporti con ciascuno dei due genitori. L’art. 3 della convenzione definisce la nozione di trasferimento o mancato rientro illecito di un minore13, con riferimento, in particolare, alla violazione dei diritti di custodia14 assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro, sul presupposto che tali diritti fossero effettivamente esercitati, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o avrebbero potuto esserlo se non si fossero verificate tali circostanze15. Le nozioni di diritto di affidamento e di diritto di visita al minore sono definite dall’art. 5. In particolare, il primo comprende i diritti concernenti la cura della persona del minore, ed in particolare quello di decidere riguardo al luogo di residenza del minore, mentre il secondo include il diritto di condurre il minore stesso in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo. Come si è già accennato, la regola, in questo ambito, è che il giudice dello Stato richiesto ordini l’immediato rientro del minore. Tale regola è esplicitata dall’art. 12, che distingue a seconda che la relativa istanza sia proposta entro un anno dal trasferimento/trattenimento o in un periodo successivo. Nel primo caso, si prevede che l’autorità adita debba ordinare il ritorno immediato del minore; nel secondo, tale rientro deve comunque essere disposto, salvo che si dimostri che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente. Affermata la regola, peraltro, la convenzione, sul rilievo che il rientro automatico del minore possa non corrispondere sempre al migliore interesse di quest’ultimo16, all’art. 1317, stabilisce alcune eccezioni, ovvero ipotesi che mettono l’autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto in condizione di negare il ritorno del minore. Ciò potrà avvenire, in particolare, qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno dimostri:

a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno18; al riguardo, la Cassazione ha precisato che il giudice deve verificare che il diritto di affidamento, pur astrattamente previsto dalla normativa applicabile in capo al genitore ricorrente, fosse da quest’ultimo esercitato effettivamente, e dunque in concreto19; o:

b) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile20; tale situazione deve essere adeguatamente esaminata e motivata dal giudice, alla luce del principio del “best interest of the child”, analizzando tutte le rilevanti circostanze21; ovvero:

c) se si accerti che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere22. A tali motivi di diniego si affianca quello previsto, a mo’ di chiusura del sistema, dall’art. 20 (invero assai poco utilizzato, atteso il suo carattere eccezionale), alla cui stregua il ritorno del minore può essere rifiutato anche qualora non fosse consentito dai princìpi fondamentali dello Stato richiesto relativi alla protezione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali23. Per quanto i presupposti elencati dall’art. 13 siano interpretati in senso stretto24, sono tutt’altro che rari i casi in cui l’ordine di rientro viene negato da parte del giudice dello Stato in cui il minore è trattenuto, le cui decisioni, dunque, possono mettere nel nulla quelle emesse dallo Stato “di partenza”, creando conflitti di provvedimenti dai toni molto aspri25 e che però la convenzione in qualche modo tollera.



3. Regole procedimentali



Sul piano operativo, il sistema della convenzione dell’Aja si poggia sulle c.d. Autorità centrali (art. 6), che, in ogni Stato contraente, sono incaricate di adempiere agli obblighi imposti dalla convenzione e che collaborano tra loro per garantirne l’attuazione26. L’intervento di tali Autorità consente inoltre di garantire la gratuità del procedimento per la parte “vittima” della sottrazione. Per l’Italia, il ruolo di Autorità centrale è svolto dal Dipartimento per la Giustizia minorile del Ministero di Giustizia, al cui interno è stato creato l’Ufficio delle Autorità Centrali convenzionali27. Nel contesto della convenzione dell’Aja, assume importanza fondamentale la nozione di residenza abituale del minore: in effetti, l’intero sistema presuppone che il minore sottratto fosse abitualmente residente in uno Stato membro prima del suo “rapimento”. Della residenza abituale del minore, il regolamento n. 2201 non fornisce una definizione28. È peraltro pacifico che si tratti di una nozione autonoma29, non giuridica ma fattuale, da verificare in base alle circostanze del caso concreto30: con la precisazione che la nozione in esame deve avere un significato uniforme nel contesto di tutto il regolamento n. 220131. In generale, la residenza abituale viene intesa come il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza, anche di fatto, ha il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, derivanti dallo svolgersi in detta località la sua quotidiana vita di relazione32. La residenza abituale di un minore, peraltro, non coincide, di necessità, con quella dei genitori o del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale33. La sua posizione, dunque, deve essere valutata in modo autonomo34, anche se, come si vedrà, a certe condizioni, il rapporto con un adulto di riferimento sarà determinante ai fini dell’analisi35. I problemi ovviamente si pongono quando un minore non abbia un centro di gravità facilmente localizzabile e, in particolare, laddove, prima della proposizione della domanda, si sia (o sia stato) trasferito da uno Stato all’altro. In casi del genere, l’individuazione del luogo di residenza abituale del minore diviene estremamente rilevante, dal momento che da tale analisi deriva l’attribuzione della giurisdizione ad uno Stato piuttosto che ad un altro. Nei casi di (asserita) sottrazione di un minore, poi, la localizzazione della residenza abituale nello Stato del genitore che propone l’istanza determina la stessa possibilità di accedere ai rimedi offerti dalla convenzione dell’Aja del 1980. È significativo, a questo riguardo, che, almeno nell’ambito dei rapporti tra Stati membri dell’Unione, anche come reazione al meccanismo di riesame introdotto dal regolamento n. 2201 rispetto all’art. 13 della convenzione (v. infra), uno dei motivi più ricorrenti per rifiutare il rientro del minore sia costituito proprio dal fatto che quest’ultimo non sia ritenuto abitualmente residente nello Stato da cui viene inoltrata la relativa richiesta36. Nell’analisi sulla residenza abituale, dunque, secondo i giudici del Lussemburgo, si deve, in particolare, tenere conto della durata, della regolarità, delle condizioni e delle ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, della cittadinanza del minore, del luogo e delle condizioni della frequenza scolastica, delle conoscenze linguistiche nonché delle relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato37. La residenza abituale di un neonato, inoltre, per la Corte di giustizia, coincide con l’ambiente sociale e familiare della cerchia di persone da cui dipende (nella specie, la madre che lo aveva accudito dalla nascita)38. La Cassazione ha invece rilevato che la residenza dei genitori durante la gravidanza non può essere calcolata ai fini della residenza abituale del minore non ancora nato in quel periodo39.

Al riguardo, in effetti, si pone un dubbio la cui soluzione è solo apparentemente scontata, ovvero se sia possibile che un minore risieda abitualmente in uno Stato in cui non ha mai messo piede: una fattispecie di questo tipo è stata esaminata (e peraltro risolta su altre basi) dalla Corte suprema del Regno Unito nel 2013, con riferimento al figlio nato in Pakistan da una madre che era ivi trattenuta contro la sua volontà dal marito, che ne impediva il rientro in Inghilterra40. La Corte di giustizia, peraltro, pronunciandosi dapprima su una fattispecie diversa, ha affermato che la determinazione della residenza abituale di un minore in un dato Stato membro richiede, quanto meno, che il minore sia stato fisicamente presente in tale Stato41. Più di recente42, poi, i giudici del Lussemburgo si sono espressi su un caso analogo a quello inglese sopra menzionato. Nella fattispecie, in particolare, i due genitori avevano la propria residenza abituale in Italia, ma la moglie greca, d’accordo con il marito italiano, si era recata a partorire in Grecia, ove il figlio era in effetti nato, con la dichiarata intenzione successivamente di tornare in Italia, come poi non era avvenuto. La Corte ha ritenuto che il figlio minore delle parti fosse residente abitualmente in Grecia, non essendo in principio decisiva l’intenzione dei genitori di determinare la residenza abituale di un minore in uno Stato in cui il minore non si sia mai recato, potendo ciò costituire solo un indizio. Al riguardo, si evidenzia che una nozione di fatto come quella di residenza abituale sarebbe difficilmente conciliabile con la necessità di considerare l’intenzione iniziale dei genitori circa il fatto che il minore risieda in un luogo determinato, anche alla luce delle complessità istruttorie per la verifica di tale intenzione, incompatibili, in particolare con l’urgenza di provvedere sull’istanza per il ritorno di un minore che si ritiene illegittimamente sottratto da un genitore all’altro. Al riguardo, d’altro canto, la Corte osserva che sarebbe contraria alla finalità della procedura di ritorno di un minore sottratto fissare la residenza abituale del minore stesso in uno luogo in cui non si è mai recato, poiché tale procedura mira a ristabilire lo status quo ante, ovvero della situazione che esisteva anteriormente al trasferimento o al mancato ritorno illeciti del minore43. I casi di trasferimento di un minore da uno Stato all’altro poco tempo prima della proposizione della domanda giudiziale pongono problemi poiché il concetto stesso di residenza abituale implica che la presenza del minore sul territorio si sia stabilizzata per un significativo lasso di tempo (elemento oggettivo)44. Da questo punto di vista, superato un determinato periodo temporale, la presenza di un minore si può ritenere “abituale” a prescindere da qualsiasi considerazione di quel soggetto di restare a tempo indeterminato in un certo luogo (elemento soggettivo)45. Nei casi di presenza di breve durata, si tratta sovente di stabilire se si tratti di una presenza solo provvisoria e temporanea e dunque inidonea a fondare il criterio di collegamento giurisdizionale46. Il primo aspetto da considerare è se il trasferimento in uno Stato del minore sia stato o meno concordato o almeno approvato da entrambi i genitori. I trasferimenti di residenza di un minore insieme ad uno solo dei genitori, infatti, devono di norma essere concordati o approvati anche dall’altro per determinare uno spostamento di residenza abituale ai fini giurisdizionali47. In effetti, come coerentemente prevede il criterio di collegamento stabilito dall’art. 10 del reg. n. 2201 (v. infra), il fatto di trasferire illecitamente un minore all’estero da parte di un genitore costituisce un atto illecito48 che non determina un immediato spostamento della residenza abituale del minore stesso. Da questo punto di vista, si deve verificare se il trasferimento non si configuri come mero espediente per sottrarre il minore alla vicinanza dell’altro genitore o alla disciplina generale della competenza territoriale49. In tale contesto, gli accordi su trasferimenti “a tempo” di un minore all’estero tendono ad essere problematici, poiché, dopo il decorso di un certo lasso di tempo, la presenza di un minore in uno Stato si presta a consolidare il quel luogo la sua residenza abituale, a prescindere dalla iniziale intenzione dei genitori circa la natura temporanea del suo trasferimento nello Stato50. Sarà poi necessaria una prognosi sulla possibilità che la nuova dimora diventi l’effettivo stabile e duraturo centro di affetti ed interessi del minore51. Più in generale, rispetto a presenze in uno Stato di breve durata per le quali diviene rilevante l’elemento soggettivo sopra menzionato, per la Corte di giustizia, l’intenzione dei genitori di stabilirsi con il minore in un altro Stato membro, manifestata attraverso determinate circostanze esterne, come l’acquisto o l’affitto di un alloggio nello Stato membro ospitante, può costituire un indizio del trasferimento della residenza abituale della famiglia. Un ulteriore indizio in tal senso può essere la presentazione di una domanda per ottenere un alloggio sociale presso i relativi servizi del detto Stato52. Per contro, la circostanza che dei minori soggiornino in uno Stato membro in cui, per un breve periodo, non hanno fissa dimora può essere un indizio che la residenza abituale di tali minori non si trova in questo Stato53. Nella giurisprudenza italiana, si è, inoltre, affermato che il trasferimento del genitore con il minore in un altro Stato, poco prima del deposito del ricorso introduttivo del giudizio avanti all’autorità giudiziaria italiana, nel corso dell’anno scolastico e con connotati di repentinità (quindi senza una sicura programmazione che prefigurasse il proposito del suo radicarsi), non attribuisce alla nuova dimora del minore il carattere della stabilità54. Un trasferimento di residenza del nucleo familiare in uno Stato che possa essere ritenuto “provvisorio e sperimentale”, in quanto utilizzato dai genitori nel tentativo (fallito) di porre rimedio ad una crisi relazionale e durato pochi giorni, non determina la localizzazione della residenza di un minore in tale Stato55. Ad analoghe conclusioni si è giunti rispetto a periodi di trasferimento in uno Stato di breve durata e che non abbiano inciso sul concreto luogo di svolgimento della vita personale del minore56. Può essere considerata come “provvisoria” anche la presenza di un minore a seguito dello spostamento della residenza di quest’ultimo all’estero in forza di un provvedimento giudiziario interinale ed urgente57 ovvero di una decisione di primo grado, soggetta ad impugnazione. Con la conseguenza che, ove tale provvedimento legittimante fosse successivamente revocato o riformato, non si potrebbe ritenere che il minore abbia comunque trasferito la sua residenza abituale in quello Stato. La tematica si pone anche nel contesto della sottrazione internazionale dei minori, nel quale si è posto il dubbio se possa considerarsi “illecito” il trasferimento di un minore da uno Stato all’altro operato in attuazione di un provvedimento di rientro provvisorio, poi totalmente riformato in sede di impugnazione58. Al riguardo, la Corte di giustizia ha rilevato che, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro in forza di provvedimento giudiziario provvisoriamente esecutivo e gravato da impugnazione, il trasferimento della residenza abituale del minore viene messo in discussione, poiché il genitore, al momento di trasferirsi in un altro Stato, non poteva essere sicuro che il soggiorno in detto Stato membro non sarebbe stato solo temporaneo59. In casi del genere, si deve dunque operare un bilanciamento tra tutti gli elementi di fatto, per dimostrare se, dal momento del suo trasferimento, il minore abbia raggiunto una certa integrazione in un ambiente familiare e sociale, e, in particolare, il tempo trascorso tra il trasferimento e la deci sione giudiziaria che annulla decisione di primo grado e fissa la residenza del minore presso il domicilio del genitore che rimane nello Stato membro d’origine60. Ciò detto, anche in caso di trasferimento non autorizzato o comunque illecito, la residenza del minore può consolidarsi nel nuovo Stato dopo il decorso di un significativo lasso di tempo (indicato in un anno nella normativa sulla sottrazione internazionale dei minori) durante il quale il genitore legittimato a dolersi del torto subito sia rimasto inerte61. Sul piano probatorio, si è affermato che la residenza abituale di un minore può essere desunta da pubblici documenti e certificati attestanti la presenza del minore nel territorio62, anche se le risultanze anagrafiche hanno una rilevanza solo presuntiva63. Rispetto al criterio in esame, inoltre, non rileva che alcuna autorità giudiziaria abbia stabilito formalmente la residenza abituale di un minore64. La residenza abituale del minore va accertata alla data di proposizione della relativa domanda65, conformemente all’art. 16 del regolamento66. L’accertamento della residenza abituale del minore è riservato all’apprezzamento del giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, salvo il riesame ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.67. La convenzione, all’art. 8, stabilisce che l’istanza per il rientro del minore sottratto può essere chiesta, in via alternativa, all’Autorità centrale della residenza abituale del minore stesso nonché a quella di ogni altro Stato contraente, sul presupposto che il minore vi si trovi o vi siano indicazioni in tal senso. D’altro canto, un’istanza può essere proposta anche prima di scoprire il luogo in cui il minore sia stato portato o si trovi trattenuto, rientrando tra i compiti dell’Autorità centrale anche quello di cercare di rintracciare il minore stesso. La convenzione, all’art. 16, stabilisce poi che, dopo aver ricevuto notizia di un trasferimento illecito di un minore o del suo mancato ritorno ai sensi dell’art. 3, le autorità giudiziarie o amministrative dello Stato contraente nel quale il minore è stato trasferito o è trattenuto, non possono deliberare per quanto riguarda il merito dei diritti di affidamento, fino a quando non sia stabilito che le condizioni della convenzione, relativa al ritorno del minore sono soddisfatte, a meno che non venga presentata una istanza, in applicazione della convenzione stessa, entro un periodo di tempo ragionevole a seguito della ricezione della notizia. In altre parole, anche nella convenzione opera un meccanismo che impedisce, almeno temporaneamente, alle corti dello Stato in cui il minore è stato portato o è trattenuto di pronunciarsi sul merito del suo affidamento, frustrando così eventuali tentativi di forum shopping del genitore responsabile della sottrazione68. La domanda volta ad ottenere assistenza ai fini del ritorno del minore può essere proposta ad una delle Autorità centrali competenti, ai sensi dell’art. 8 della convenzione, da ogni persona, istituzione od ente, che adduca che un minore è stato trasferito o trattenuto in violazione di un diritto di affidamento. La persona in questione, ovviamente, deve essere il titolare del diritto di affidamento violato. Il medesimo art. 8 indica gli elementi che la domanda deve contenere, ovvero le informazioni concernenti l’identità del richiedente, del minore o della persona che si adduce abbia sottratto o trattenuto il minore; la data di nascita del minore, qualora sia possibile procurarla; i motivi addotti dal richiedente nella sua istanza per esigere il rientro del minore; ogni informazione disponibile relativa alla localizzazione del minore ed alla identità della persona presso la quale si presume che il minore si trovi. La domanda può essere accompagnata o completata da una copia autenticata di ogni decisione o accordo pertinente ovvero da un attestato o una dichiarazione giurata, rilasciata dall’Autorità centrale, o da altra Autorità competente dello Stato di residenza abituale, o da persona qualificata, concernente la legislazione dello Stato in materia nonché da ogni altro documento pertinente. Ai sensi dell’art. 24 della convenzione, la domanda deve essere accompagnata da una traduzione in una delle lingue ufficiali dello Stato “richiesto”69. L’Autorità centrale che riceve una domanda ha il compito di trasmetterla all’Autorità centrale dello Stato contraente in cui abbia motivo di ritenere che si trovi il minore, dando di ciò comunicazione all’Autorità centrale richiedente, o, se del caso, al richiedente (art. 9). La convenzione non fornisce ulteriori dettagli sul procedimento da seguire nello Stato membro in cui si trova il minore ai fini della decisione sull’istanza di rientro. Essa si limita a stabilire che l’Autorità centrale dello Stato in cui si trova il minore debba prendere o fare prendere ogni adeguato provvedimento per assicurare la sua riconsegna volontaria del minore stesso (art. 10). Il procedimento deve inoltre svolgersi in tempi rapidi: l’art. 2 stabilisce, in modo programmatico, che gli Stati contraenti, per la realizzazione degli obiettivi della convenzione, debbano avvalersi delle procedure d’urgenza a loro disposizione70. Il concetto è ribadito dall’art. 11, ove si afferma che le Autorità giudiziarie o amministrative di ogni Stato contraente devono procedere d’urgenza per quanto riguarda il ritorno del minore, con la specificazione che, qualora l’Autorità giudiziaria o amministrativa richiesta non abbia deliberato entro un termine di sei settimane dalla data d’inizio del procedimento, il richiedente (o l’Autorità centrale dello Stato richiesto), di sua iniziativa, o su richiesta dell’Autorità centrale dello Stato richiedente, può domandare una dichiarazione in cui siano esposti i motivi del ritardo. A livello di best practices, si raccomanda che l’autorità centrale richiesta riscontri la ricezione di una domanda di rientro entro 2 o 3 giorni lavorativi, tramite e-mail o fax71. È possibile che la domanda stessa sia respinta, anche se si raccomanda che ciò avvenga solo in casi “ovvi”, come qualora il minore abbia più di 16 anni oppure sia indicata una residenza abituale del minore in uno Stato non contraente. In tali casi, peraltro, l’autorità richiesta dovrebbe avvertire l’istante, il quale dovrebbe essere in condizione di fornire informazioni supplementari72. Il giudice competente deve accertare in modo autonomo la sussistenza delle condizioni previste dalla convenzione per il rientro del minore, svolgendo, ove necessario una propria istruzione probatoria73. Ai sensi dell’art. 15, della convenzione, inoltre, le Autorità giudiziarie o amministrative di uno Stato contraente hanno facoltà, prima di decretare il ritorno del minore, di domandare che il richiedente stesso produca una decisione o attestato emesso dalle Autorità dello Stato di residenza abituale del minore, comprovante che il trasferimento o il mancato rientro era illecito ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, sempre che tale decisione o attestato possa essere ottenuto in quello Stato. Le Autorità centrali degli Stati contraenti assistono il richiedente, per quanto possibile, nell’ottenimento di detta decisione o attestato. Nella giurisprudenza italiana, si è affermato che il provvedimento emesso ai sensi dell’art. 15 è privo di contenuto decisorio e che la richiesta dell’autorità straniera competente nella procedura di rientro del minore avrebbe natura meramente facoltativa, con la conseguenza che la relativa istanza potrebbe essere azionata dalla parte interessata ancora prima e a prescindere dalla formale richiesta da parte dell’autorità giudiziaria procedente dello Stato estero dove il minore è stato condotto74.



4. Peculiarità processuali nell’ambito italiano



In Italia, la disciplina processuale della convenzione è integrata da quella della legge di ratifica n. 64 del 199475, la quale regolamenta un procedimento qualificato come di volontaria giurisdizione76, sottoposto alle regole della camera di consiglio77 semplificato ed “ispirato a tempi brevissimi”78 e dunque caratterizzato da un’istruttoria sommaria79. La legge, in particolare, prevede, all’art. 7, che le richieste tendenti ad ottenere il ritorno del minore presso l’affidatario al quale è stato sottratto, o a ristabilire l’esercizio effettivo del diritto di visita, sono presentate per il tramite dell’Autorità centrale (ovvero il Dipartimento per la giustizia minorile), la quale, premessi se del caso i necessari accertamenti, trasmette senza indugio gli atti al Procuratore della repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo in cui si trova il minore che, a sua volta, richiede con ricorso in via d’urgenza al Tribunale l’ordine di restituzione o il ripristino del diritto di visita. La competenza del Tribunale per i minorenni in questa materia non è stata “toccata” dalla riforma operata della legge n. 219 del 2012 e dunque resta tuttora ferma80. Un ricorso per mancato rientro di un minore proposto avanti al Tribunale ordinario è, invece, stato dichiarato inammissibile dal Tribunale di Milano81. La Cassazione, di recente, ha affermato la competenza del Tribunale specializzato anche rispetto alla domanda di rientro in Italia di un minore portato illegittimamente all’estero (nella specie, in Polonia), nonostante la pendenza di un procedimento di separazione avanti al giudice ordinario, sul rilievo che tale competenza, nella legge n. 64 del 1994 sia stabilita per tutte le questioni in cui può essere coinvolto un minore nei casi previsti, per quanto ci interessa qui, dalla convenzione dell’Aja del 198082. A rigore, poiché l’azione è promossa in via esclusiva dal p.m.83, le parti del procedimento sono quest’ultimo84 e il genitore che ha portato il minore all’estero o che si oppone a un regolare esercizio del diritto di visita dell’altro. Giurisprudenza e dottrina, però, hanno qualificato come parte necessaria anche la persona che propone l’istanza di rientro85, la cui mancata convocazione, anzi, dà luogo ad una nullità del procedimento, sanzionabile in sede di legittimità86. Per la Cassazione, invece, non assume tale qualità il minore, così che non si potrebbe configurare, nel contesto in esame, un conflitto di interessi tra quest’ultimo e i genitori né si porrebbe la questione della sua difesa tecnica87. Il Presidente del Tribunale per i minorenni, assunte se del caso sommarie informazioni, fissa con decreto l’udienza in camera di consiglio, dandone comunicazione all’Autorità centrale nonché, per attuare il necessario contraddittorio, alla persona presso la quale si trova il minore e a quella che ha presentato la richiesta di rientro, che deve essere messa in condizione di comparire a sue spese per chiedere di essere sentita88. La legge, peraltro, non prevede un termine minimo per la comparizione delle parti e, in una decisione, la Cassazione ha ritenuto “congruo” un termine di ventiquattro ore tra la convocazione del genitore “convenuto” e la data dell’udienza89. Per le parti non si prevede la necessaria assistenza del difensore tecnico90.

Il Tribunale è chiamato a decidere entro trenta giorni dalla data di ricezione della richiesta91, sentiti la persona presso cui si trova il minore, il pubblico ministero, e, se del caso, il minore medesimo. Tempi così ristretti possono creare problemi rispetto alla garanzia del contraddittorio: le parti, d’altro lato, possono essere sentite anche con i meccanismi del regolamento n. 1206 (sulla raccolta delle prove all’estero) o tramite videoconferenza92. Il termine in questione ha comunque natura ordinatoria, sicché, per la Cassazione, il provvedimento al riguardo, pur tardivamente adottato, non è affetto né da nullità né da decadenza93. Poiché il procedimento è caratterizzato dall’estrema urgenza di provvedere nell’interesse del minore, la Cassazione, sul rilievo che la legge non prevede, per il deposito di atti, la citazione di testimoni, i preavvisi alle parti, le controdeduzioni, i termini e le modalità ordinariamente posti a garanzia del contraddittorio, essendo questo assicurato dalla fissazione dell’udienza in camera di consiglio e dalla comunicazione alle parti del relativo decreto, è giunta ad affermare che non costituisce motivo di nullità del procedimento la mancata concessione alle parti di un termine per esame e controdeduzione in ordine ad una relazione informativa del consultorio, acquisita agli atti il giorno precedente quello dell’udienza camerale, allorché di tale relazione sia stata comunque consentita la visione alle parti presenti94. In coerenza con questa ricostruzione, l’attività istruttoria è rapida e deformalizzata, con ampio utilizzo delle informazioni (tipiche del rito camerale) assunte del giudice nei modi ritenuti più opportuni nel caso concreto95, senza il necessario ricorso alle fonti di prova disciplinate nel codice di rito96. D’altra parte, come ha evidenziato la Corte di giustizia, in relazione all’accertamento della residenza abituale di un minore, una domanda di ritorno deve essere fondata su elementi rapidamente e facilmente verificabili e, per quanto possibile, univoci97. Sul piano dell’onere della prova, il genitore che ha chiesto il rientro del minore deve provare la legittimità del proprio diritto di affidamento o di custodia, mentre sta all’altro genitore, eventualmente, dimostrare la liceità del suo comportamento98. Si afferma inoltre che la persona, l’ente o l’organismo che si oppone al rientro del minore è tenuto a specificare la ragione dell’opposizione, fornendone adeguata dimostrazione, anche se non si esclude che il giudice possa e debba accertare, coi mezzi a sua disposizione, trattandosi di materia dominata dal principio dell’interesse del minore e dall’impulso ufficioso, la reale sussistenza e le caratteristiche del motivo ostativo al rimpatrio come, nel caso, la gravità del rischio99.

D’altro canto, l’onere per la persona, l’ente o l’organismo che si oppone al rientro del minore di dimostrare la sussistenza di una delle circostanze previste dall’art. 13 della convenzione non autorizza alcuna limitazione delle fonti di prova utilizzabili dal giudice, proprio perché si tratta di materia dominata dal principio dell’interesse del minore. Ciò detto, in considerazione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione della procedura in esame100, la Cassazione ha escluso che il giudice adito sia obbligato a disporre una consulenza tecnica (ritenuta peraltro compatibile con il procedimento in esame)101 o a chiedere informazioni all’Autorità centrale o ad altra Autorità dello Stato di residenza del minore, essendo piuttosto tenuto a considerare le informazioni eventualmente fornite da tali Autorità senza attribuire loro un valore peculiare o addirittura poziore rispetto alle prove raccolte nel procedimento diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’emanazione dell’ordine di rientro102. In sostanza, il giudice competente non è tenuto a condividere le valutazioni dell’autorità giudiziaria estera103. In quest’ottica, la scelta delle fonti del convincimento del giudice è affidata in via esclusiva al “prudente apprezzamento” del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, salva la decisività del dato probatorio omesso104. Il Tribunale decide con decreto, di cui si prevede l’immediata esecutività. Contro tale provvedimento può essere proposto ricorso per cassazione105, anche da parte della persona che ha presentato l’istanza di rientro106 e pure dal p.m.107, ma la presentazione del ricorso non ne sospende l’esecuzione. Il relativo termine breve, attesa la natura bilaterale del procedimento, decorre solo dalla notifica del provvedimento, in mancanza della quale opera il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c.108. In una materia come questa, d’altro canto, i margini per proporre un’impugnazione di legittimità non sono particolarmente ampi. In particolare, si è negato che il controllo di legittimità possa riguardare il riesame della valutazione degli elementi probatori considerati dal giudice di merito, essendo l’ambito del giudizio limitato al riscontro, sulla base delle censure prospettate, della carenza e della esaustività della motivazione109. Tale ambito appare oggi ancora più limitato, almeno in base alla formulazione letterale del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., come modificato dalla recente riforma dell’estate 2012. Il fatto che il decreto del Tribunale per i minorenni sia soggetto solo a ricorso in cassazione fa dire alla dottrina che esso non sia soggetto al regime della piena revocabilità ex art. 742 c.p.c. ma solo a quello della c.d. revoca impropria, richiedibile al verificarsi di un mutamento nelle circostanze110. Rispetto all’esecuzione del decreto, si prevede l’iniziativa del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, il quale potrà avvalersi anche dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia. Il p.m. deve dare immediatamente avviso all’Autorità centrale dell’esecuzione da lui intrapresa111. Qualora, nel corso della procedura di rimpatrio, il genitore a cui il minore dovrebbe essere restituito muoia, il relativo iter dovrà essere interrotto, in attesa che l’autorità competente dello Stato richiedente individui il soggetto legittimato a proseguire la procedura stessa112. In alternativa a quanto precede, resta salva la facoltà per l’interessato (ovvero il genitore che ha subito la sottrazione del minore) di adire direttamente le competenti autorità giudiziarie, a norma dell’articolo 29 della convenzione.



5. La sottrazione internazionale di minori nel regolamento n. 2201



Nell’ambito dello spazio comune di giustizia europeo, i conflitti tra giurisdizioni in materia di child abduction sono considerati idonei ad intaccare i pilastri su cui quello stesso spazio è costruito e dunque da prevenire in ogni modo113. Per tale motivo, ad integrazione di quanto previsto dalla convenzione dell’Aja, il regolamento stabilisce, sul piano sostanziale, che un’autorità giurisdizionale non possa rifiutare di ordinare il ritorno di un minore in base all’art. 13, lett. b) della convenzione stessa qualora sia dimostrato che, nello Stato membro di provenienza, sono previste misure adeguate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno114 ovvero, a livello procedurale, senza avere dato la possibilità di essere ascoltata alla persona che abbia chiesto il ritorno del minore (art. 11, para. 5). Tale ultima previsione vuole, ovviamente, garantire il diritto del genitore istante di farsi sentire direttamente dal giudice cui si è rivolto, in applicazione del principio dell’immediatezza. Si è però evidenziato che si tratta di una disposizione di dubbia utilità, dal momento che, come si è visto, la parola finale sul rientro la può pronunciare soltanto il giudice dello Stato da cui il minore è stato illegittimamente prelevato115. Il regolamento, inoltre, esprime un favor rafforzato per il rientro del minore nello Stato d’origine116: policy che, almeno sulla carta, appare compatibile con i principi sulla cui base è stato edificato il sistema di cooperazione e collaborazione tra le autorità giurisdizionali degli Stati membri117, ovvero la fiducia reciproca tra gli Stati membri e l’equivalenza delle giurisdizioni. La normativa europea, dunque, “supera” la convenzione, mirando ad escludere conflitti tra le decisioni emesse nello Stato di partenza ed in quello di arrivo, attribuendo, a tal fine, prevalenza esclusiva ai provvedimenti sul rientro del minore emessi nel primo Stato118 ed escludendo che le corti dello Stato in cui si trova il minore possano neutralizzare tali provvedimenti con proprie decisioni di segno contrario119. Tra convenzione del 1980 e regolamento n. 2201 vi sono evidenti assonanze testuali: in effetti, in questa materia, il legislatore europeo ha chiaramente inteso adattarsi alla “terminologia” della convenzione. Ai sensi dell’art. 2, n. 9 del regolamento, infatti, sulla falsariga di quanto già esaminato rispetto alla convenzione (v. supra), il “diritto di affidamento” è definito con riferimento ai diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza. Il “diritto di visita”, invece, viene inteso, in particolare, come il diritto di condurre il minore in un luogo diverso dalla sua residenza abituale per un periodo limitato di tempo (art. 2, n. 10). Anche rispetto alla nozione di trasferimento o mancato rientro illecito di un minore si registra “assonanza terminologica” tra regolamento e convenzione120. Ai sensi dell’art. 2, n. 11 del regolamento, infatti, per “trasferimento illecito o mancato ritorno del minore”121 deve intendersi il trasferimento o il mancato rientro di un minore che avvenga in violazione dei diritti di affidamento122 derivanti da una decisione, dalla legge o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato membro nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (lett. a) 123 e se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato, individualmente o congiuntamente, al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro, o lo sarebbe stato se non fossero sopravvenuti tali eventi (lett. b) 124. Non è inclusa in tale definizione, però, la violazione di un diritto di visita o di ospitare125. Per la Corte, integra una violazione del diritto di affidamento, inteso nel senso che precede, il mancato ritorno del minore nello Stato membro d’origine in seguito ad una decisione giudiziaria di tale Stato membro che fissa la residenza del minore presso il domicilio del genitore residente in tale Stato, poiché il diritto di affidamento include, secondo l’art. 2, n. 9, il diritto di decidere sul luogo di residenza del minore126. La norma specifica anche che l’affidamento si considera esercitato congiuntamente da entrambi i genitori quanto uno dei titolari della responsabilità genitoriale non possa, conformemente ad una decisione o al diritto nazionale, decidere il luogo di residenza del minore senza il consenso dell’altro titolare della responsabilità genitoriale. Rispetto alla sottrazione internazionale di minori, la normativa europea opera su due livelli: in primo luogo, introduce un sistema integrato di norme sulla giurisdizione, per risolvere i conflitti di attribuzioni tra corti nazionali che di sovente sorgono in questo contesto; inoltre, prevede regole processuali ad hoc per la trattazione delle istanze di rientro presentate ai sensi della convenzione dell’Aja del 1980, di cui si giunge ad integrare la disciplina procedimentale. Dal primo punto di vista, il regolamento n. 2201 non interferisce con l’art. 6 della convenzione ma introduce alcune regole per disciplinare il conflitto di giurisdizioni tra gli Stati membri, rispetto alle controversie in materia di responsabilità genitoriale su un minore, in caso di illecito trasferimento/ trattenimento del minore stesso. In tale ipotesi, infatti, ai sensi dell’art. 10, la giurisdizione resta comunque radicata nello Stato in cui il minore stesso era in precedenza abitualmente residente127. In questo modo, si cerca di evitare che il genitore che sottrae la prole possa adire le corti dello Stato in cui lo ha illecitamente portato per cercare di farselo affidare128. Il giudice dello Stato della (precedente) residenza abituale sarà così in grado di emettere un provvedimento comunque destinato a prevalere su quello eventualmente emesso nell’altro Stato membro129. Nella sostanza, si viene a creare uno sdoppiamento di competenza tra procedimento sul merito dell’affidamento e procedimento sul rientro ai sensi della convenzione dell’Aja130. Al riguardo, la nostra Cassazione ha precisato che uno spostamento della residenza abituale del minore non si realizza neppure quando questi sia stato portato all’estero in forza di un provvedimento giudiziario interinale ed urgente131. La giurisdizione dello Stato d’origine è comunque destinata a venire meno dopo il decorso di un lasso di tempo ritenuto sufficiente per considerare la prole ormai inserita nel nuovo contesto sociale e familiare in cui si è venuta a trovare a seguito dell’abduction132. In particolare, tale competenza cessa di operare quando il minore abbia fissato la propria residenza abituale nel nuovo Stato e ciascuna persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia accettato il trasferimento o il mancato rientro133, ovvero se, trascorso un anno da quando la persona, istituzione o altro ente titolare del diritto di affidamento abbia avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, del luogo in cui il minore si trovava134, il minore si sia integrato nel nuovo ambiente, e, entro tale lasso di tempo: – non sia stata presentata una domanda di ritorno del minore dinanzi alle autorità competenti dello Stato membro nel quale il minore è stato trasferito o dal quale non ha fatto rientro135, ovvero

– sia stata ritirata una domanda di ritorno presentata dal titolare del diritto di affidamento e non ne sia stata presentata una nuova, o

– un procedimento dinanzi all’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del trasferimento o del mancato rientro sia stato definito a norma dell’art. 11, para. 7;

– l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del mancato ritorno abbia emanato una decisione di affidamento che non prevede il ritorno del minore. A quest’ultimo riguardo, i giudici europei hanno spiegato che tale disposizione deve essere intesa in senso restrittivo, con riferimento solo a una decisione definitiva, adottata sulla scorta di una disamina completa dell’insieme degli elementi pertinenti, con la quale il giudice competente si pronuncia sulla disciplina della questione dell’affidamento del minore, ancorché passibile di revisione o riesame periodico entro un certo periodo136. Al verificarsi delle condizioni appena elencate, nei rapporti tra Stati membri dell’Unione, il criterio di collegamento dell’art. 10 viene meno e torna ad operare il criterio generale posto dall’art. 8 (ovvero la – attuale – residenza abituale del minore). In sostanza, il termine di un anno, a fronte dell’inerzia dell’altro genitore, è ritenuto congruo ai fini del radicamento del minore nel suo nuovo contesto di riferimento137: il medesimo limite temporale, d’altro canto, nella convenzione dell’Aja, come si è visto, segna il confine tra il rientro obbligatorio e quello “discrezionale”.



6. Regole processuali uniformi in materia di child abduction



La ratio delle norme del regolamento in materia di trasferimento illecito di minore, in caso di valutazioni divergenti tra il giudice della residenza abituale del minore e quello del luogo in cui egli è stato portato illegalmente, è di attribuire competenza esclusiva a decidere sul ritorno del minore stesso al primo giudice, senza interferenze da parte del secondo138. In questo modo, si cerca di frustrare le aspettative di quei genitori che, dopo aver portato illecitamente un minore all’estero, ne chiedano poi l’affidamento alle autorità del paese ove questi è stato condotto, per ottenere una sorta di ratifica ex post del proprio operato. Per realizzare tale obiettivo (e, in generale, per rendere più efficienti le procedure in materia di sottrazione internazionale di minori), il regolamento introduce, all’art. 11, alcune regole processuali uniformi, per l’ipotesi in cui una persona, un’istituzione o un altro ente titolare del diritto di affidamento adisca le autorità competenti di uno Stato membro affinché emanino un provvedimento in base alla convenzione de L’Aja del 1980 per ottenere il ritorno di un minore illecitamente trasferito o trattenuto in uno Stato membro diverso dallo Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno (art. 11)139. Si tratta di norme che, in sostanza, senza avere natura autonoma140, entrano di diritto nella disciplina processuale degli Stati membri, integrandosi e, se del caso, imponendosi alle disposizioni nazionali che disciplinano la materia. Ovviamente, tali norme comuni possono operare solo qualora lo Stato di origine e quello di “arrivo” del minore appartengano entrambi all’Unione141. Esse, inoltre, vengono in rilievo solo in caso di applicazione dell’art. 13 della Convenzione del 1980142. Anche il regolamento n. 2201 esprime l’urgenza di decidere sull’istanza di rientro, ribadendo a sua volta che l’autorità giurisdizionale adita deve procedere al pronto trattamento della domanda, utilizzando le procedure più rapide previste nella legislazione nazionale. Il regolamento, al riguardo, stabilisce che, salve circostanze eccezionali, il provvedimento debba essere emanato entro sei settimane143. Si tratta di una disposizione priva di valore precettivo144 ma di cui si deve apprezzare l’intento di sensibilizzare il legislatore e le Corti nazionali a dedicare a queste procedure regole idonee a garantire la rapidità delle decisioni e un canale preferenziale rispetto ai giudizi “ordinari”145. Le enunciazioni del regolamento impongono, in effetti, agli Stati membri di predisporre meccanismi procedurali improntati all’urgenza, con una cognizione rapida, che valorizzi la natura lato sensu cautelare del provvedimento che mira a ricostituire, senza dilazioni, lo status quo esistente prima della sottrazione o del mancato rientro del minore. A ben vedere, il procedimento in esame non ha ad oggetto il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, ma solo il ripristino della situazione precedente146.

Sul piano delle best practices, per rispettare il limite temporale posto dal regolamento, viene raccomandato, tra l’altro, l’utilizzo del case management, l’attribuzione di un canale preferenziale ai casi internazionali rispetto a quelli interni, la formazione specializzata dei giudici, la standardizzazione delle procedure147. L’Italia, da questo punto di vista, a differenza da altri ordinamenti, non ha ancora ritenuto di introdurre una normativa di raccordo tra regolamento e disciplina processuale interna: come si vedrà, questo ha “costretto” la Cassazione a ricorrere all’applicazione analogica delle norme procedurali della legge n. 64 del 1994 (di ratifica in Italia della Convenzione de L’Aja del 1980) anche ai fini dell’applicazione dell’art. 11 del regolamento. Il regolamento n. 2201, integrando le disposizioni della convenzione, precisa che, nell’applicare gli art. 12 e 13 della convenzione stessa, il giudice nazionale durante il procedimento debba ascoltare il minore, se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età148 o del suo grado di maturità149. Oggi, in effetti, il principio che il minore debba essere sentito nei procedimenti che lo riguardano è entrato a pieno titolo nel diritto processuale degli Stati membri. Il legislatore europeo ha comunque voluto introdurre una regola uniforme, da applicare e rispettare, se del caso in integrazione (o anche contro) le disposizioni nazionali in materia. In Italia, peraltro, come ben noto, da tempo si è affermata la necessità di tale ascolto come condizione di validità del procedimento riguardante il minore: il nuovo art. 315-bis c.c., introdotto dalla legge n. 219 del 2012, ha, in effetti, previsto tale ascolto in ogni procedimento che riguarda il minore. Nell’ambito del giudizio per il mancato rientro nella originaria residenza abituale, peraltro, la Cassazione aveva inizialmente rilevato che l’audizione del minore non fosse imposta per legge, in ragione del carattere urgente e meramente ripristinatorio della situazione di tale procedura. Tuttavia, anche alla luce dell’art. 11 del regolamento n. 2201, aveva aggiunto che pure nel procedimento in questione l’audizione del minore fosse in via generale necessaria, onde potere valutare, ai sensi dell’art. 13, comma 2 della convenzione, l’eventuale opposizione del minore al ritorno150. Più di recente, però, la Corte di legittimità ha preso una posizione più netta, invertendo i termini della questione, nel contesto normativo innovato dalla riforma del 2012, affermando che anche in questo contesto l’ascolto del minore costituisce adempimento necessario ai sensi dell’art. 315-bis c.c., anche in mancanza di previsione normativa di obbligatorietà desumile dall’art. 7, comma 3 della legge n. 64 del 1994151. La Suprema Corte ha, peraltro, precisato che, pure in questo ambito, l’ascolto del minore può essere escluso, oltre che da una valutazione di non idoneità della prole a renderla (per età o stati psichici particolari), anche qualora essa possa recare danni gravi alla serenità del destinatario152 o esser comunque contrario agli interessi del minore153. Questo approccio appare compatibile con il testo dell’art. 11 che, invero, non si esprime in termini di “doverosità” dell’ascolto da parte del giudice quanto di “possibilità” per il minore di fare sentire la propria voce: formulazione che porta alcuni interpreti a dubitare che la corte debba, di propria iniziativa, interpellare il minore per verificare se questi voglia essere ascoltato154. La Cassazione155 ha pure specificato, già prima dell’introduzione dell’art. 336-bis, comma 3° c.c. ad opera del decreto legisl. n. 154 del 2013, che il minore, prima di essere ascoltato, deve ricevere ogni informazione pertinente al caso, in modo da consentirgli di meglio comprendere i termini della vicenda in cui è coinvolto e che l’esito del colloquio consente al giudicante di valutare direttamente se sussista o meno il fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile156. Le dichiarazioni e le risposte del minore, anche in questo ambito, d’altro canto, non sono vincolanti per il giudice, che delle stesse può non tenere conto, dandone adeguata motivazione157. Anche qualora il minore esprima parere contrario al ritorno (circostanza rilevante ai sensi dell’art. 13 della convenzione dell’Aja, come si è visto), in particolare, la suprema Corte ha ribadito che il giudice di merito non è vincolato da tale volontà, conservando al riguardo un potere discrezionale di valutazione, che esclude qualsiasi automatismo, dovendosi al riguardo considerare anche l’esistenza di eventuali “ragioni diverse”158. La valutazione del giudice dovrà tenere conto, a questo riguardo, del discernimento del minore, in ragione dell’età e della maturità del minore stesso, la cui volontà può essere valorizzata per respingere l’istanza di rientro159. Per la Cassazione, nello specifico, ove le risposte del minore siano indeterminate e non consentano di rilevare la volontà di questi, non potrebbe dirsi integrata la condizione ostativa previ sta dall’art. 13 della convenzione. A diverse conclusioni deve invece giungersi a fronte di una chiara determinazione di volontà. In caso, poi, di permanenza del dubbio, pur a fronte di rifiuto del minore, si deve procedere ad un approfondimento istruttorio e autonomo, ad esempio mediante c.t.u. o con modelli di ascolto del minore più adeguati160.



7. Il riesame della decisione sul diniego di rientro ai sensi dell’art. 13



Come si è anticipato, il legislatore europeo ha creato un sistema in cui la decisione finale in materia di ritorno del minore spetta al giudice dello Stato “di provenienza”, ove sia tempestivamente attivato un procedimento in tal senso, anche dopo un provvedimento di non rientro emesso dal giudice dello Stato in cui il minore si trova: la pronuncia di un tale provvedimento in forza all’art. 13 della convenzione dell’Aia, infatti, non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8)161. Il presupposto applicativo di tale meccanismo processuale è che la richiesta ai sensi della convenzione dell’Aja provenga dallo Stato membro in cui il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del mancato rientro162. In effetti, nei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, qualora un giudice nazionale respinga la richiesta di ritorno di un minore in base all’art. 13 della convenzione163, non si può limitare ad un provvedimento di rigetto della relativa istanza164: egli, infatti, ai sensi dell’art. 11, para. 6 del regolamento, è tenuto immediatamente a trasmettere (direttamente ovvero tramite la sua Autorità centrale) una copia del proprio provvedimento e dei pertinenti documenti (in particolare, una trascrizione delle audizioni svoltesi dinanzi a lui)165 all’autorità giurisdizionale competente166 o all’Autorità centrale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o mancato ritorno, come stabilito dalla legislazione nazionale. Tale comunicazione deve avvenire entro un mese dall’emanazione del provvedimento contro il ritorno. A questo punto, salvo che l’autorità giurisdizionale dello Stato membro nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima dell’illecito trasferimento o del man cato ritorno non sia già stata adita da una delle parti, l’autorità giurisdizionale o l’Autorità centrale che riceve le informazioni appena menzionate deve informarne le parti e invitarle a presentare le proprie conclusioni, conformemente alla legislazione nazionale, entro tre mesi dalla data della notifica, affinché l’autorità esamini la questione dell’affidamento del minore. La Corte di giustizia ha osservato che l’art. 11, para. 7 non sia una norma volta ad individuare l’autorità giurisdizionale competente, ma piuttosto una disposizione di natura tecnica intesa principalmente a determinare le modalità di comunicazione delle informazioni relative al provvedimento contro il ritorno167. Rientra, dunque, nella discrezionalità degli Stati membri individuare il giudice nazionale competente ad esaminare le questioni relative al ritorno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura di cui all’art. 11, para. 6-8, anche nell’ipotesi in cui, alla data della notifica del provvedimento contro il ritorno di un minore, una corte o un tribunale siano già investiti di un procedimento di merito relativo alla responsabilità genitoriale nei confronti dello stesso minore. In altre parole, è compatibile con il sistema del regolamento il fatto che uno Stato membro attribuisca a un’autorità giurisdizionale specializzata la competenza a esaminare le questioni relative al ritorno o all’affidamento del minore nel contesto della procedura prevista all’articolo 11, para. 7 e 8, anche qualora una corte o un tribunale siano, peraltro, già investiti di un procedimento di merito relativo alla responsabilità genitoriale nei confronti del minore. Si è comunque specificato che una siffatta attribuzione di competenza debba essere rispettosa dei diritti fondamentali del minore quali enunciati all’articolo 24 della Carta e, in particolare, dell’obiettivo relativo alla rapidità di tali procedimenti. In particolare, per quanto concerne l’obiettivo della rapidità, i giudici europei ricordano che, nell’applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno, il giudice nazionale chiamato ad interpretarle debba farlo alla luce del diritto dell’Unione e, segnatamente, del regolamento168. Rispetto al meccanismo previsto dalla norma in esame, d’altro canto, la dottrina evidenzia che il termine “parti” è qui utilizzato in senso improprio, dal momento che, nello Stato di origine del minore, potrebbe non essere stato ancora instaurato alcun procedimento169. Tale termine va dunque riferito a tutti i soggetti che esercitino responsabilità genitoriale sul minore (di norma il genitore cui il minore sia stato “sottratto”), che la corte dovrà identificare e localizzare. Allo stesso tempo, non viene specificato il termine entro il quale la Corte d’origine debba inviare alle “parti” la documentazione inviata dal giudice dello Stato in cui si trova il minore: ovviamente, si presuppone l’urgenza e tempi rapidi anche in tale comunicazione170. Qualora tali conclusioni non siano fatte pervenire entro il termine stabilito, l’autorità giurisdizionale in questione archivia il procedimento e, ai sensi dell’art. 10, lett. b), iii), la competenza giurisdizionale si sposterà alla corte della “nuova” residenza abituale del minore (v. supra). In caso contrario, nello Stato verrà instaurato un procedimento che la Cassazione171, in mancanza di precisazioni da parte del legislatore europeo172, ha qualificato come riesame sommario delle valutazioni compiute dal giudice straniero con nuova e globale valutazione degli elementi probatori acquisiti da quest’ultimo, eventualmente da integrare con quelli ulteriormente acquisiti a seguito di sommarie informazioni, ed una autonoma interpretazione della pertinente disciplina sostanziale, al cui esito viene emessa una decisione o confermativa del provvedimento di diniego del ritorno – eventualmente anche per ragioni diverse od ulteriori da quelle addotte dall’altro giudice –, ovvero “sostitutiva” dello stesso provvedimento, prescrivendo il ritorno del minore173, senza che del procedimento stesso sia oggetto necessario il diritto di affidamento come questione preliminare da decidere prima di esaminare la questione del ritorno del minore174. Con tale procedimento, in effetti, il regolamento mira ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva prima dell’abduction, ma anche a mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro175. Al riguardo, la Corte di giustizia ha affermato che la pronuncia del giudice d’origine sul ritorno del minore non è subordinata all’esistenza di una decisione definitiva dello stesso giudice in merito al diritto di affidamento176 né tale pronuncia risolve la questione dell’affidamento del minore stesso177. In questa sede, anzi, l’oggetto del giudizio riguarda soltanto l’eventuale violazione del “diritto di affidamento” del titolare della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di intervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore178 e non il merito della responsabilità genitoriale179. Alla luce di ciò, la Corte ha precisato che non può sussistere litispendenza tra il procedimento per il rientro di un minore e quello di merito sull’affidamento di quello stesso minore180. La decisione sull’affidamento, dunque, resta l’obiettivo finale del procedimento che si svolge nello Stato della residenza abituale del minore, ma non pregiudica la pronuncia di provvedimenti urgenti sul rientro del minore181. Per contro, anche in caso di rigetto dell’istanza di rientro per mancanza dei presupposti di cui all’art. 11 (in particolare, per il rilievo che l’istanza non proviene dallo Stato in cui il minore aveva la sua residenza abituale prima del mancato rientro), deve affermarsi il prevalere della decisione di merito sull’affidamento del minore emessa dal giudice straniero, senza che, in merito all’esecuzione di questo provvedimento, possano sollevarsi contestazioni in merito alla residenza abituale del minore182. In questa sede, in effetti, l’oggetto del giudizio riguarda soltanto l’eventuale violazione del “diritto di affidamento” del titolare della responsabilità genitoriale, inteso quale diritto di intervenire nella decisione riguardo al luogo di residenza del minore183. Si ritiene, peraltro, che il giudice di merito possa emettere la decisione di cui all’art. 11 anche in assenza di una formale trasmissione del provvedimento straniero e degli atti relativi, affermandosi che l’esame delle motivazioni addotte dal giudice straniero possa avvenire anche qualora, nella decisione, non si faccia espressamente riferimento all’art. 13 della convenzione dell’Aja184.



8. Il coordinamento tra norme uniformi europee e disciplina processuale interna



In molti ordinamenti, sono state emesse normative per coordinare le disposizioni dell’art. 11 del regolamento con le norme procedurali interne185. L’Italia, dal canto suo, non ha ancora ritenuto di introdurre una normativa di questo genere. Tale lacuna ha “costretto” la Cassazione a ricorrere all’applicazione analogica delle norme procedurali della legge n. 64 del 1994. La suprema Corte ha, infatti, affermato che il rito da seguire in questo ambito è lo stesso prefigurato dall’art. 7, commi 3 e 4 della legge n. 64 del 1994 (v. supra): anche qui, dunque, avrà luogo un procedimento di volontaria giurisdizione, a natura lato sensu cautelare, sottoposto alle norme della camera di consiglio186. La competenza viene attribuita, sempre per analogia, al Tribunale per i minorenni, il quale potrà assumere sommarie informazioni. Il giudice adito potrà assumere sommarie informazioni e la decisione viene presa con decreto, ricorribile in Cassazione (sempre in base ad un’applicazione analogica delle norme procedurali stabilite dall’art. 7 della legge n. 64)187. Questa soluzione interpretativa risolve il problema relativo alla decisione sul ritorno del minore ma ha bisogno di adattamento qualora l’oggetto del procedimento sia più ampio e riguardi l’affidamento del minore: si può ipotizzare un procedimento bifasico, con una prima fase a carattere sommariocautelare, con le caratteristiche sopra evidenziate dalla Cassazione ed una seconda governata dalle ordinarie regole del procedimento camerale applicato dal Tribunale per i minorenni.



9. L’esecuzione dei provvedimenti in materia di rientro del minore



Le previsioni appena esaminate mirano ad assicurare non solo il ritorno immediato del minore nello Stato in cui risiedeva, ma anche di mettere in condizione le corti d’origine di valutare le ragioni e le prove alla base dell’eventuale decisione di non rientro188. Con tali disposizioni, peraltro, il legislatore europeo ha confermato che la decisione finale in materia di ritorno del minore spetta al giudice dello Stato “di provenienza”, ove sia tempestivamente attivato un procedimento in tal senso, anche dopo un provvedimento di non rientro da parte del giudice ad quem. A tal riguardo, infatti, si prevede espressamente che l’emanazione di un provvedimento contro il ritorno del minore in base all’arti. 13 della convenzione dell’Aia, non impedisce l’esecuzione di una successiva decisione che ne prescriva il ritorno emanata da un giudice competente ai sensi del regolamento, conformemente alla sezione 4 del capo III (art. 11, para. 8)189. Vengono a questo punto in rilievo i profili esecutivi dei provvedimenti emessi in questo ambito particolare. La convenzione dell’Aja del 1980 si rivolge al giudice dello Stato in cui il minore è stato trasferito illecitamente: l’ordine di rientro emesso da quest’ultimo, in quanto provvedimento “interno”, sul piano esecutivo non pone dunque problemi di exequatur190, quanto di attuazione. L’approccio del regolamento n. 2201 è invece più ampio, dal momento che esso detta anche una disciplina uniforme in materia di circolazione delle decisioni emesse nella materia matrimoniale e della responsabilità genitoriale tra gli Stati membri dell’Unione. In particolare, la normativa comune europea contiene disposizioni ad hoc sull’esecuzione transfrontaliera dei provvedimenti di rientro emessi in uno Stato membro rispetto a minori illecitamente trasferiti in uno Stato diverso. Per quanto ci interessa qui, il regolamento n. 2201 prevede l’esecuzione immediata, senza necessità di previa concessione di un exequatur nello Stato ospite e senza possibilità di opposizione, per quanto ci riguarda qui, per i provvedimenti dello Stato di origine che dispongono il rientro del minore illegittimamente trasferito all’estero ai sensi dell’art. 11, para. 8, a seguito del diniego di rientro pronunciato dal giudice straniero ai sensi dell’art. 13 della convenzione191. I provvedimenti in questione, infatti, richiedono, di norma, un’attuazione rapida, incompatibile con i tempi (e i meccanismi) del procedimento di exequatur192. L’esecuzione diretta di una decisione con cui sia stato ordinato il ritorno di un minore è disciplinata dall’art. 42, il quale richiede che la decisione in questione sia esecutiva nello Stato d’origine e certificata dal giudice d’origine sulla base di un apposito modello standard. In tale certificato (redatto nella lingua della decisione), in particolare, il giudice dello Stato di origine deve attestare che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato, salvo che l’audizione sia stata ritenuta inopportuna in ragione della sua età o del suo grado di maturità193, che le parti abbiano avuto la possibilità di esse re ascoltate e che l’autorità giurisdizionale abbia tenuto conto, nel rendere la sua decisione, dei motivi e degli elementi di prova alla base del provvedimento emesso conformemente all’art. 13 della convenzione dell’Aia del 1980. Il certificato deve, inoltre, contenere i dettagli delle misure eventualmente adottate per assicurare la protezione del minore dopo il suo ritorno nello Stato della residenza abituale. La Corte di giustizia ha chiarito che l’emissione del certificato in questa ipotesi presuppone che, nello Stato in cui il minore sia stato trasferito illecitamente, sia stata previamente pronunciata una decisione contraria al ritorno dello stesso nello Stato di origine: secondo i giudici europei, infatti, l’art. 11, para. 8. implica un rapporto di successione temporale tra una decisione di non-rientro e la decisione successiva che dispone invece il ritorno del minore. Da questo punto di vista, una volta che una decisione di ritorno sia stata certificata, le vicende processuali che riguardano la decisione di non-rientro (ad esempio, un eventuale appello o la sua sospensione) diventano irrilevanti rispetto all’applicazione delle norme del regolamento194. Il certificato in questione può essere emesso d’ufficio, al momento in cui la decisione diventa esecutiva e può essere rettificato in conformità alla legge dello Stato di appartenenza del giudice stesso (art. 43). Contro il rilascio di tale attestazione non è però ammesso alcun mezzo di impugnazione. Si prevede solo un procedimento di controllo e correzione di eventuali errori materiali, quando il certificato non rispecchi correttamente il contenuto della decisione (considerando n. 24). La decisione sul rientro del minore può essere eseguita nello Stato ad quem dietro esibizione di una copia autentica della stessa e del relativo certificato, debitamente tradotto in una delle lingue accettate dallo Stato (art. 45): per l’Italia, l’italiano, l’inglese o il francese. Ai sensi dell’art. 47, l’attuazione materiale del provvedimento straniero nello Stato dell’esecuzione è assoggettata alla lex fori, a parità di condizioni con le decisioni nazionali. L’art. 48, peraltro, prevede che, in sede esecutiva, l’autorità giurisdizionale richiesta possa stabilire modalità pratiche volte ad organizzare l’esercizio del diritto di visita, qualora le modalità necessarie non siano o siano insufficientemente previste nella decisione straniera, a condizione che siano rispettati gli elementi essenziali di quella decisione. Tali modalità “integrative” cessano di essere applicabili a seguito della pronuncia di una decisione posteriore emessa dalle autorità giurisdizionali dello Stato membro competenti a conoscere del merito. Come messo in evidenza dai giudici del Lussemburgo, in questi casi, il giudice dello Stato di esecuzione non può che constatare l’efficacia esecutiva di una decisione certificata ai sensi del regolamento dal giudice dello Stato di origine del minore195. L’unico limite a tale esecuzione diretta è previsto dall’art. 47, per l’ipotesi in cui la decisione “certificata” sia incompatibile con un’altra decisione esecutiva emessa posteriormente. A questo riguardo, comunque, si è chiarito che la decisione incompatibile successiva deve essere emessa dal giudice d’origine e non da quello dello Stato dell’esecuzione196: si conferma ancora una volta che il regolamento mira ad escludere conflitti di decisioni tra Stati membri diversi in questa materia. Si è pure affermato che l’esecuzione nello Stato non possa essere negata adducendo un mutamento delle circostanze, sopravvenuto dopo la sua emanazione: un simile mutamento, infatti, dovrebbe essere dedotto dinanzi al giudice dello Stato d’origine, con un’eventuale istanza di sospensione dell’esecuzione della sua decisione197. La Corte ha escluso pure che il giudice dello Stato di esecuzione possa opporsi all’esecuzione di una decisione certificata sul ritorno di un minore, adducendo che il giudice d’origine avrebbe violato l’art. 42 del regolamento, con grave violazione dei diritti fondamentali (nella specie, non sarebbe stato ascoltato il minore). I giudici europei, in effetti, non hanno negato che una simile violazione possa essere accertata, ma hanno riservato tale esame alle corti dello Stato d’origine, precisando che l’art. 42, n. 2, comma 1, non autorizza affatto il giudice dello Stato membro dell’esecuzione ad esercitare un controllo sulle condizioni, ivi enunciate, di rilascio del certificato emesso dal giudice d’origine, per non compromettere l’effetto utile del sistema istituito dal regolamento198. Escludendo qualsiasi opposizione avverso la decisione “certificata”, d’altro canto, si assicura che l’efficacia delle disposizioni del regolamento non sia vanificata da abusi procedurali199.



10. Conclusioni



Il regolamento n. 2201, come si è visto, aspira a dare più efficace implementazione all’obiettivo della convenzione dell’Aja del 1980, facendo leva sui principi cardine dello spazio giudiziario europeo. Come la giurisprudenza della Corte di giustizia dimostra, peraltro, anche nei rapporti tra Stati membri dell’Unione continuano a registrarsi conflitti tra le corti nazionali coinvolte in episodi di abduction. L’impressione è che, in alcuni casi, si fatichi a liberarsi da un certo “protezionismo” nei confronti di propri cittadini responsabili di una sottrazione internazionale di minore. D’altro canto, l’approccio del regolamento alla materia appare caratterizzato da un’enfasi eccessiva sull’immediato rientro del minore, potenzialmente a scapito di altri valori rilevanti in questo contesto, in particolare la sicurezza del minore stesso e del genitore che lo ha sottratto200. Nell’applicazione pratica delle disposizioni comune europee, dunque, non si deve dimenticare che né la convenzione né il regolamento mirano ad assicurare in ogni caso il rientro del minore nello Stato di partenza e che la partita dell’integrazione e della cooperazione giudiziaria attraverso le frontiere si gioca anche sulla capacità delle corti dello Stato di origine del minore di valutare le ragioni che hanno indotto il giudice straniero a negare il rientro senza preconcetti, in modo sereno ed obiettivo, seguendo le linee guida emergenti dalle decisioni della Corte di giustizia e della Corte europea sui diritti umani, che in questo ambito ha emesso alcune importanti pronunce201.

NOTE

1 V., di recente, paton, The correct approach to the examination of the best interests of the child

in abduction convention proceedings following the decision of the Supreme Court in Re E

(children) (Abduction: custody appeal), in 8 Jour. priv. int. law, 2012, 547 ss. Le sottrazioni stanno

aumentando anche nell’ambito dei rapporti tra gli Stati membri dell’Unione, come si evince

dall’analisi compiuta da triMMings, Child abduction within the European Union, Oxford, 2013, 104.

2 L’esperienza applicativa della convenzione dell’Aja dimostra, peraltro, come, da una prima fase

in cui il genitore che sottraeva la prole era soprattutto il padre non affidatario, si è giunti oggi ad

una situazione in cui, per la grande maggioranza, gli adbuctors sono genitori affidatari, spesso le

madri: v. silBerMan, The Hague Convention on child abduction and unilateral relocation by

custodial parents: a perspective from the United States and Europe, Abbott, Neulinger, Zarraga, in

63 Okla. law rev., 2011, 736. Il dato è confermato dall’esperienza dell’Autorità centrale italiana,

alla quale si rivolgono, in ampia maggioranza, padri (oltre l’80%) che chiedono di fare rientrare

minori illegittimamente portati all’estero dalle madri. Di recente v. paton, op. cit., 550; MceleaVy,

Judicial communication and co-operation and the Hague convention on international child

abduction, in Int. jour. proc, law, 2012, 40. Per un’analisi empirica triMMings, op. cit., passim. Da

tale analisi, emerge che in più del 50% dei casi, il genitore che sottrae porta il figlio nel proprio

Stato di origine (v. 79, 150 ss.).

3 Si tratta di uno strumento normativo di grande successo, ratificato da un numero consistente di

Stati, rispetto al quale esiste una bibliografia sterminata: mi limito a richiamare anton, The Hague

convention on international child abduction, in Int. comp. law quar., 1981, 537; Bucher, L’enfant

en droit international privé, Ginevra, 2003; carella, La convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti

civili della sottrazione internazionale dei minori, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 1994, 777; Fiorini,

Habitual residence and the newborn A French perspective, in 61 Int. comp. law quar., 2012, 530;

Kruger, International child abduction. The inadequacies of the law, Oxford, 2011; lena,

Affidamento e custody quali presupposti per il rimpatrio del minore, tra convenzione de l’Aja e

diritto interno, in Fam. dir., 2004, 190; salzano, La sottrazione internazionale di minori. Accordi

internazionali a tutela dell’affidamento e del diritto di visita, Milano, 1995; silBerMan, Hague

convention on international child abduction: a brief overview and case law analysis, in Fam. l.

quar., 1994, 9; Vigers, Mediating international child abduction cases. The Hague convention,

Oxford, 2011.

4 Su cui v. BaruFFi, La convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori nell’ordinamento

italiano, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2016, 977 ss.

5 Nelle parole di Lord Wilson in Supreme Court del Regno Unito, 15 gennaio 2014, c. In the matter

of LC (Children), in 2014 UKSC 1: “B2R has added a dramatic further dimension to proceedings

under the Convention in which the application is for the child’s return to a fellow EU state”. Si

tratta di una novità rispetto al testo del precedente regolamento n. 1327 del 2000, oggetto

peraltro di critiche sotto diversi profili: per un’analisi della questione v., di recente, triMMings, op.

cit., passim.

6 V. Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, in Nuova giur. civ. comm., 2011, I, 130, nota pesce.

7 Per cui gli accordi e le convenzioni di cui all’art. 59, para. 1, e agli artt. 60 e

61 continuano a produrre effetti nelle materie non disciplinate dal regolamento.

Inoltre, al par. 2, si stabilisce che le convenzioni di cui all’art. 60, in particolare quella dell’Aia del

1980, continuano ad avere efficacia tra gli Stati membri che ne sono parti contraenti,

conformemente all’art. 60.

8 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

9 V. pure Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.



10 Il rispetto di tale soglia d’età deve essere verificato rispetto al momento di deposito dell’istanza

di rientro: spina, La sottrazione internazionale di minori, in paDalino, pricoco, spina, La tutela

sommaria e cautelare nel diritto di famiglia e nel diritto minorile, Torino, 2007, 398.

11 V. in arg. caMBoni Miller, The return of children to their non-taking parents after their

kidnapping by the taking parents: the legal remedies under the 1980 Hague convention and a

comparison of its implementation and enforcement in the United States and Italy, in 22 The Digest

National Italian American Bar Association Law Journal, 2014, 102, che osserva: “A court’s

determination of whether the child is settled in its new environment depends upon the particular

facts of the case. The respondent must establish this defense by a preponderance of the

evidence”.

12 V. Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2012, 690.

13 Per una fattispecie v. Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19664, in cui si discute in merito alla

natura temporanea della permanenza in Portogallo di due minori ivi portati dalla madre, la quale

aveva manifestato al padre l’intenzione di tornare con loro in Italia.

14 Il diritto di custodia citato sub a) può, in particolare, derivare direttamente dalla legge, da una

decisione giudiziaria o amministrativa, o da un accordo in vigore in base alla legislazione del

predetto Stato.

15 V. spina, op. cit., 401 ss.

16 V. anche paton, The correct approach, cit., 548 che scrive: “The exceptions are ‘safety valves’

designed to strike a balance between the interests of children generally, and the interests of an

individual child”.

17 La convenzione dell’Aja, infatti, non prevede né consente il rimpatrio automatico del minore,

avendo le autorità nazionali un certo margine di apprezzamento al riguardo: C.e.d.u., 12 luglio

2011, c. Sneersone e Kampanella c. Italia, n. 14737/09, in Fam. dir., 2012, 63. Per alcune

fattispecie italiane, Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 373; Cass., 5

ottobre 2011, n. 20365, in Dir. fam., 2012, 627, che nega il rientro della minore in Canada.

18 Cass., 29 luglio 2015, n. 16043, mette in risalto come l’accertamento del presupposto

dell’“effettivo esercizio del diritto di affidamento da parte del richiedente” debba essere

puntualmente eseguito dal giudice e non possa essere omesso. Per una fattispecie in cui il giudice

ritiene che il padre avesse inizialmente dato il proprio consenso al trasferimento della prole

all’estero con la madre, v. App. Catania, 16 agosto 2013, decr., in www.ilcaso.it.

19 Cass., 26 marzo 2015, n. 6139.

20 paton, op. cit., 553, osserva: “This is the reason most frequently cited by

national courts globally where return of a child is refused”; v. pure MceleaVy, Judicial

communication and co-operation, cit., 40; per una prospettiva statunitense, v. anche caMBoni

Miller, op. cit., 103. Al riguardo, la nostra Cassazione evidenzia che l’accertamento del rischio

grave per il minore “implica un’indagine di fatto, riservata al giudice del merito, censurabile in

sede di legittimità soltanto se non congruamente e logicamente motivata”: Cass., 11 agosto 2011,

n. 17201, cit.; Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Corr. giur., 2012, 515; Cass., 4 luglio 2003, n.

10577, in Fam. dir., 2004, 357. Per una fattispecie, Cass., 29 luglio 2015, n. 16043. V. anche spina,

op. cit., 410.

21 Cass., 29 luglio 2015, n. 16043. Per Cass., 12 maggio 2015, n. 9632, nel valutare le circostanze di

cui agli artt. 12, 13 e 20, il giudice può tener conto delle attitudini educative del genitore

affidatario.

22 In materia, di recente Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.; Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.;

Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5; spina, op. cit., 415.

23 V. De santi, Sottrazione internazionale di minori e rischio per la loro incolumità, in Corr. giur.,

2012, 518; triMMings, op. cit., 116 ss.



24 Sul punto v. paton, op. cit., 548 ss.; per l’Italia, v. Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.

25 Ciò sembra attenuare la portata precettiva dell’art. 16 della convenzione, per cui, in pendenza

del procedimento sul ritorno, le questioni inerenti ai diritto di affidamento possono essere

esaminate solo di fronte ai giudici dello Stato della residenza abituale: v. anche pesce, Sottrazione

internazionale di minori nell’Unione europea: il coordinamento tra il regolamento (CE) n.

2201/2003 e la convenzione dell’Aja del 1980, in 3 Cuad. der. trans., 2011, 237.

26 I compiti delle Autorità centrali sono elencati nell’art. 7: in particolare, esse sono chiamate e

prendere tutti i provvedimenti necessari per localizzare un minore illecitamente trasferito o

trattenuto, per assicurare la consegna volontaria del minore, o agevolare una composizione

amichevole, per scambiarsi reciprocamente, qualora ciò si riveli utile, le informazioni relative alla

situazione sociale del minore, per avviare o agevolare l’instaurazione di una procedura giudiziaria

o amministrativa, diretta ad ottenere il rientro del minore e, se del caso, consentire

l’organizzazione o l’esercizio effettivo del diritto da visita, per assicurare che siano prese, a livello

amministrativo, le necessarie misure per assicurare, qualora richiesto dalle circostanze, il rientro

del minore in condizioni di sicurezza. In arg., v. Dereatti, La tutela del provvedimento di

affidamento nei rapporti internazionali, in L’affidamento dei figli nella crisi della famiglia, a cura di

Sesta, Arceri, Torino, 2012, 1088; DisteFano, Interesse superiore del minore e sottrazione

internazionale di minori, Padova, 2012, 79 ss. Sulla funzione “conciliativa” delle autorità centrali v.

Article 11 Working Group Information on national proceedings, reperibile online all’indirizzo

https://e-justice.europa.eu/fileDownload. do?id=6c30ffe7-40e7-4d9a-96b0-7c9a14370c3c, 8.

27 Da dati non ufficiali emerge che la nostra autorità centrale tratta in larga maggioranza istanze

per ottenere il rimpatrio di minori portati all’estero. Minoritaria (sotto il 40 per cento) è invece

l’assistenza c.d. passiva, con riferimento ad istanze provenienti da paesi stranieri. Sempre in base a

dati non ufficiali, il paese verso il quale si registra il più alto numero di sottrazioni sarebbe la

Romania, seguita da Polonia, Ucraina e Bulgaria. Anche l’analisi empirica di triMMings, op. cit., 76,

nota 22, conferma che l’Italia è il secondo paese dell’Unione quanto a richieste di ritorno “in

uscita”.

28 In arg., di recente, v. Kruger, International child abduction. The inadequacies of the law, Oxford,

2011, 20 ss.; carBallo pineiro, Cooperacion procesal internacional y determinacion de la

competencia judicial internacional en materia de proteccion de menores, in Rev. mex. derecho int.

priv. y comparado, 2012, 131 ss.

29 Corte giust., 8 giugno 2017, c. 111/17, OL c. PQ.

30 V. anche carpaneto, Giurisdizione in materia di responsabilità genitoriale: il regolamento n.

2201/2003, in Il nuovo diritto di famiglia. Profili sostanziali, processuali e notarili, cit., 928.

31 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.

32 V. di recente Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr.; Cass., 10 febbraio 2017, n.

3555, in www.questionididirittodifamiglia.it. Per una fattispecie, v. Court of Appeal, Civ. Div., 16

dicembre 2014, c. LR (A child), in 2014 EWCA Civ. 1624, che, a fronte di una pluriennale residenza

di una minore in Germania, ritiene irrilevante che ella si fosse lamentata con il padre di non avere

amici.

33 V. Supreme Court del Regno Unito, 4 dicembre 2013, c. In the matter of KL (A child), in EWCA

Civ, 2013, 865.

34 V. anche Frassinetti, Quando il cambio di residenza del minore è idoneo a determinare il

mutamento della giurisdizione, in Int’l lis, 2014, 92.

35 Per una interessante fattispecie v. Supreme Court del Regno Unito, 15 gennaio 2014, c. In the

matter of LC (Children), in 2014 UKSC 1, cit., in cui la maggioranza della Corte valorizza lo “state of

mind” della figlia maggiorenne, che non aveva mai accettato la Spagna, ove la madre l’aveva

portata insieme ai fratelli, come sua nuova “casa”. L’analisi della Corte è particolarmente



interessante poiché considera l’atteggiamento mentale della ragazza “durante” la sua permanenza

nello Stato in cui era stata portata dalla madre (ciò che esclude in formarsi di una residenza

abituale in Spagna) e non il desiderio della stessa di restare in Inghilterra “dopo” che il padre si era

rifiutato di riconsegnarla alla madre al termine di un periodo di vacanze (ciò che avrebbe potuto

rilevare come motivo per negare il rientro ai sensi dell’art. 13 della convenzione).

36 V. triMMings, Child abduction within the European Union, Oxford, 2013, 128 ss. Per una lucida

analisi della contestazione della residenza abituale al fine di mettere fuori gioco il meccanismo

introdotto dall’art. 11 del regolamento v. Lord Wilson, in Supreme Court, c. In the matter of LC

(Children), cit.

37 Corte giust., c. A., cit.; per un’applicazione, Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527, in Fam. dir., 2014,

151.

38 Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 497/10 PPU, Mercredi c. Chaffe, cit. V. anche Corte giust., c.

OL c. PQ, cit.

39 Cass., sez. un., 13 febbraio 2012, n. 1984, in Giust. civ., 2012, I, 915.

40 Supreme Court del Regno Unito, c. In the matter of A (Children) AP, cit., con prese di posizioni

contrastanti tra Lady Hale e Lord Hughes, il quale, punto 90, accetta “the possibility that habitual

residence may exist in a State which is the home of the family unit of which the infant is part, and

is where he would be but for force majeure”.

41 Corte giust., c. W, V. c. X, cit.

42 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.

43 Corte giust., c. OL c. PQ., cit., che osserva che il presunto comportamento

illecito di uno dei genitori non può da solo giustificare l’accoglimento di una domanda di ritorno e

il trasferimento del minore dallo Stato membro dove è nato ed ha soggiornato regolarmente in

modo ininterrotto verso uno Stato membro che non gli è familiare.

44 Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr., parla, ad esempio, di “periodo significativo di tempo”. Lord

Reed, in Supreme Court, 22 maggio 2015, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent) (Scotland), in 2015

UKSC 35, al punto 16, mette in rilievo “it is [...] the stability of the residence that is important, not

whether it is of a permanent character”.

45 V. Lord Reed, in Supreme Court, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent) (Scotland), cit.: “The

absence of a joint parental intention to live permanently in the country is a question by no means

decisive”.

46 V. anche Corte giust., c. OL c. PQ, cit. Per una fattispecie, Trib. Milano, 22 luglio 2014, ord.,

www.ilcaso.it.

47 Per una fattispecie, relativa al trasferimento non approvato dal padre di un minore in Romania

v. App. Catania, 3 giugno 2015, decr., in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2016, 1115; in una fattispecie

“interna”, invece, sul dissenso del padre al trasferimento della residenza della prole v. Trib. Roma,

19 giugno 2015, decr.

48 V. anche Trib. Milano, 17 dicembre 2014, decr., in www.ilcaso.it.

49 Cass., 20 ottobre 2015, n. 21285.

50 Per una fattispecie, v. Supreme Court, c. AR (Appellant) v. RN (Respondent)

(Scotland), cit.: qui, i genitori si erano accordati nel senso che la madre avrebbe trascorso 12 mesi

in Scozia coi figli durante il suo congedo di maternità. Decorso tale termine, ella aveva deciso di

non tornare dal padre in Francia. Per la Corte inglese, la prole minorenne aveva acquisito “the

necessary quality of stability. For the time being, their home was in Scotland”.

51 Cass., 20 ottobre 2015, n. 21285, in un contesto “interno”.

52 Ad esempio, per Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in www.mino-

riefamiglia.it, la stabilità del trasferimento di un minore può essere dimostrata dall’iscrizione dello

stesso presso una classe della scuola elementare dello Stato in cui si è trasferita, frequentata con



assiduità e buoni risultati, nonché dalla circostanza che l’affitto dell’appartamento in cui abita

viene corrisposta dai servizi sociali del luogo.

53 Corte giust., c. A., cit.

54 App. Catania, 15 ottobre 2008.

55 Trib. min. Emilia Romagna, 31 ottobre 2016, decr., www.ilcaso.it.

56 Cass., 18 marzo 2016, n. 5418, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2017, 105;

Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr.; Trib. Milano, 22 luglio 2014, ord., www. ilcaso.it.

57 Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29.

58 V. Supreme Court del Regno Unito, c. In the matter of KL (A child), cit., che giunge a dare

risposta positiva a tale quesito, ordinando il ritorno del minore dal padre in Texas.

59 Corte giust., 9 ottobre 2014, c. 376/14, C c. M, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2015, 200. Anche

Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29, ritiene che non si verifichi uno

spostamento di residenza abituale quando il minore sia stato portato all’estero in forza di un

provvedimento giudiziario interinale ed urgente.

60 Corte giust., c. C c. M, cit. V. pure Corte giust., c. OL c. PQ, cit.

61 Trib. Milano, 17 dicembre 2014, decr., in www.ilcaso.it, per il quale la nuo-

va residenza abituale del minore, frutto di scelta unilaterale, va contestata senza indugio dal

genitore per evitare spostamenti di giurisdizione o competenza.

62 Nella specie, l’iscrizione, la frequenza e la valutazione sostanziale del suo profitto e della sua

condotta presso la scuola (tedesca) nella quale era stato inserito: Trib. min. Milano, 23 dicembre

2011, decr., in Dir. fam., 2012, 1171.

63 Trib. min. Catania, 23 luglio 2008, decr., in www.minoriefamiglia.it; sulla necessaria effettività

del criterio della residenza abituale, nel prisma del principio di prossimità anche App. Bologna, 4

agosto 2014, n. 79, in www.giuraemilia.it; Trib. Roma, 19 giugno 2015, decr.

64 Trib. min. Emilia Romagna, 14 gennaio 2010, decr., in www.giuraemilia.it.

65 Corte giust., 1° ottobre 2014, c. 436/13, E.c.B., in Riv. dir. internaz. priv.

proc., 2015, 199.

66 Corte giust., c. W, V. c. X, cit.

67 Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr.; Frassinetti, Quando il

cambio di residenza del minore, cit., 91.

68 paton, op. cit., 548, osserva che la norma valorizza i vantaggi pratici assicurati dal fare decidere

in merito all’affidamento del minore le corti della residenza abituale di quest’ultimo. V. anche U.S.

Court of appeals, II Circuit, 11 febbraio 2013, c. Ozaltin v. Ozaltin.

69 V. Article 11 Working Group Information on national proceedings, cit., 3.

70 A questo riguardo, peraltro, è condivisibile l’osservazione di MceleaVy, op. cit., 41: “Expedition

and the protection of children are not easy bed-fellows”.

71 Article 11 Working Group Information on national proceedings, cit., 3.

72 Article 11 Working Group Information on national proceedings, cit., 4.

73 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5.

74 Trib. Ancona, 15 luglio 2016, decr., ined.

75 Anche molti altri Stati contraenti hanno introdotte norme di raccordo. V.

MceleaVy, op. cit., 41 ss. Ad es., negli Stati Uniti il 29 aprile 1988 è stato approvato l’International

Child Abduction Remedies Act (Icara): U.S. Court of appeals, c. Ozaltin v. Ozaltin, cit.

76 V. chizzini, in Fam. dir., 1999, 342. Alcuni, peraltro, riconducono il procedimento in esame ai

processi a contenuto oggettivo, non aventi ad oggetto un diritto soggettivo della parte, ma

caratterizzati dal dovere del giudice di provvedere in presenza di specifiche situazioni previste

dalla legge: v. preDini, in Fam. dir., 2001, 147.

77 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, in Fam. dir., 2004, 357.



78 Cass., 29 novembre 2000, n. 15295, in Fam. dir., 2001, 144.

79 Ma non superficiale: preDini, op. cit., 148.

80 Trib. Ancona, 15 luglio 2016, decr., ined. ritiene peraltro che, sulla dichiarazione ex art. 15 della

convenzione, sarebbe competente il Tribunale ordinario, in quanto la norma in questione non è

tra quelle espressamente attribuite alla competenza del Tribunale per i minorenni dalla legge n. 64

del 1994.

81 Trib. Milano, 31 marzo 2014, decr., in www.ilcaso.it.

82 Cass., 11 giugno 2013, n. 14720, in Questioni dir. fam., 13 giugno 2013. 83 ciVinini, Sottrazione

internazionale di minori e legittimazione nel procedimento

di rimpatrio, in Fam. dir., 2000, 379.

84 spina, op. cit., 427, afferma che l’attività di impulso processuale del p.m.

dà luogo ad “una sorta di rappresentanza dell’autorità centrale”, nell’interesse del richiedente,

nell’adempimento di un obbligo internazionale.

85 chizzini, op. cit., 344 ss.

86 Cass., 28 gennaio 1999, n. 746, in Fam. dir., 1999, 341.

87 Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.

88 spina, op. cit., 429.

89 Cass., 29 novembre 2000, n. 15295, cit., con nota critica di preDini, che ri-

tiene sufficiente che la persona presso la quale il minore si trova e la parte istante siano stati

informati dell’udienza e posti in grado di parteciparvi.

90 spina, op. cit., 435.

91 Il termine previsto dalla norma è effettivamente piuttosto breve per gli standards italiani, ma i

dati statistici dimostrano che l’attesa della decisione sulla richiesta di restituzione si colloca nel

77% dei casi sotto i sei mesi, in conformità alla legge di ratifica, la quale prevede che la decisione

sia pronunciata entro trenta giorni dalla data di ricezione del ricorso del p.m.

92 spina, op. cit., 434.

93 Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471.

94 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.

95 Su questi aspetti v. spina, op. cit., 435, il quale esclude, in questo ambito,

la possibilità per il presidente di delegare ad un componente del collegio l’assunzione delle

informazioni in questione.

96 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, cit.

97 Corte giust., 8 giugno 2017, c. 111/17, OL c. PQ.

98 spina, op. cit., 408. Di contrario parere tirini, La prova dei “diritti di affida-

mento” e della “residenza abituale” nel procedimento di sottrazione internazionale del minore”, in

Aiaf Rivista, 2012, 1, 90, per cui il ricorrente dovrebbe provare anche che il minore sia stato

trasferito senza il suo consenso. V. 93 ss. sulla prova delle condizioni ostative al rientro, ai sensi

dell’art. 13 della con dell’Aja.

99 Cass., 4 luglio 2003, n. 10577, cit.

100 Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.

101 Cass., 19 dicembre 2003, n. 19546, in Giust. civ. Mass., 2004, 2.

102 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; De santi, Sottrazione internazionale

di minori e rischio per la loro incolumità, in Corr. giur., 2012, 518. A questo riguardo Cass., 4 luglio

2003, n. 10577, cit., afferma che la norma dell’art. 13 della convenzione non può limitare il giudizio

da rendersi allorché il rischio di danno prospettato non dipenda esclusivamente da circostanze

verificabili nel luogo della residenza abituale.

103 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5.

104 Cass., 23 gennaio 2013, n. 1527, cit.



105 spina, op. cit., 450 definisce “inusuale” la scelta di tale mezzo di impugna-

zione. ciVinini, op. cit., 380, evidenzia che, sul piano pratico, i tempi del proce-

dimento in Cassazione non potranno revocare le conseguenze dell’immediata

esecutività del provvedimento impugnato.

106 chizzini, op. cit., 345.

107 Cass., 8 febbraio 2017, n. 3319.

108 chizzini, op. cit., 344.

109 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, cit.

110 V. chizzini, op. cit., 344; spina, op. cit., 448.

111 Maggiori dettagli in spina, op. cit., 453.

112 In questo senso Trib. min. Roma, 9 novembre 1999, cit., in una fatti-

specie molto drammatica, in cui, dopo la pronuncia del decreto di rientro, il padre “rapitore”

aveva ucciso la madre: la procedura era dunque stata sospesa in attesa della nomina del soggetto

legittimato a portarla avanti (nella specie, il nonno materno).

113 Per un’attenta analisi statistica dell’applicazione dell’art. 13 della convenzione nei rapporti tra

gli Stati membri, triMMings, op. cit., passim, che giunge a concludere che, sebbene i casi previsti

da tale norma – ed in particolare quello della lettera b) – siano i più utilizzati per negare il rientro

dei minori sottratti, dal punto di vista percentuale il ruolo della norma è tutto sommato

contenuto. L’a. giunge così a confutare la tesi per cui fosse necessario introdurre nel regolamento

n. 2201 le norme qui in esame per contrastare un utilizzo troppo ampio delle eccezioni previste

dall’art. 13.

114 Su tali “misure adeguate” v. pataut, Commento all’art. 11, in Brussels II bis Regulation, a cura

di Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 137; v. pure DisteFano, Interesse superiore del minore e

sottrazione internazionale di minori, Padova, 2012, 105 ss. Per alcuni, tale norma imporrebbe un

vero e proprio obbligo per le corti del paese di origine del minore di valutare la necessità di

adottare misure cautelari in modo tale da ottenere la cosiddetta “restituzione senza pericolo”,

ovvero il ritorno del minore presso la sua residenza abituale, con la garanzia di potervi permanere

in una situazione protetta: con queste parole salzano, Sui rapporti intercorrenti (e sulle reciproche

implicazioni) tra il c.d. Regolamento di Bruxelles II bis e la Convenzione de L’Aja del 25 ottobre

1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori: per una maggiore effettiva loro

tutela, in Dir. fam., 2012, 106. L’a. segnala anche la diversità di posizioni tra quanti ritengono che

le “misure adeguate” dovrebbero essere “concrete, effettivamente applicate e finalizzate alla

protezione giuridica, materiale e psicologica del minore” e quelli per cui, invece, sarebbe

sufficiente il fatto che le misure protettive siano contemplate dall’ordinamento e possano, alla

bisogna, essere tempestivamente attivate. Critica rispetto all’efficacia di questa previsione

triMMings, op. cit., 137 ss.

115 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 139, per cui la previsione in esame potrebbe essere

soddisfatta anche da una mera deposizione scritta.

116 V. anche pataut, Commento all’art. 11, cit., 129. Per una critica a tale impostazione triMMings,

op. cit., passim: l’a., in particolare, contesta l’approccio del legislatore europeo, volto a favorire il

rientro dei minori sottratti senza troppo preoccuparsi della sicurezza dei minori stessa e del

genitore che sia costretto a tornare con loro, spesso la madre che si afferma vittima di violenza

domestica (v. in particolare 151 ss. rispetto all’inefficacia della disposizione introdotta dall’art. 11,

para. 4 del regolamento n. 2201).

117 V. MceleaVy, op. cit., 46.

118 Per Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit., il giudice della “residenza abituale immediatamente

prima del trasferimento o del mancato rientro” del minore è quello più vicino all’ambiente



familiare e sociale vissuto dal minore prima dell’illecito trasferimento”. Sull’evoluzione del

regolamento n. 2201 in questo ambito, pataut, Commento all’art. 10, in Brussels II bis Regulation,

a cura di Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 120.

119 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 130; paton, op. cit., 550; Corte giust., 22 dicembre 2010,

c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

120 Mette in evidenza questa assonanza terminologica Trib. min. Bari, 12 gennaio 2011, decr., in

Riv. dir. internaz. priv. proc., 2011, 1113.

121 In realtà, parte maggioritaria della dottrina sembra ritenere che il regolamento, in coerenza

con quanto previsto dalla convenzione de L’Aja del 1980, non si applichi a tutti i “minorenni”, ma

solo a quelli di età inferiore ai 16 anni: v. Kruger, op. cit., 17 ss. L’A., 27 ss., mette in evidenza che

la grande maggioranza dei figli “sottratti” ha meno di 7 anni.

122 La norma qui esame, come la Corte di giustizia ha chiarito, pur facendo riferimento ad una

nozione da interpretare in modo autonomo, rinvia, quanto al concetto di “diritto di affidamento”

alla legge nazionale applicabile (nella fattispecie decisa, con riferimento alla posizione di un padre

nei confronti del figlio naturale): Corte giust., 5 ottobre 2010, c. 400/10 PPU, J.McB. c. L.E.

123 Della determinazione della residenza abituale di un minore trasferito all’estero in forza di un

provvedimento giudiziario non definitivo ma immediatamente esecutivo, poi revocato in sede di

impugnazione, si è occupata Corte giust., 9 ottobre 2014, c. 376/14 PPU, C.c. M, in Riv. dir.

internaz. priv. proc., 2015, 200.

124 In materia, Cass., 4 luglio 2012, n. 11156, per cui l’accertamento in ordine al concreto ed

effettivo esercizio del diritto di affidamento di un genitore non è sindacabile in Cassazione se

sorretto da sufficiente motivazione immune da vizi logici.

125 Corte giust., c. C c. M, cit.

126 Corte giust., c. C c. M, cit.

127 In Italia, alla stessa conclusione si giunge anche nella determinazione del

giudice territorialmente competente in caso di trasferimento occulto o avvenuto contro il dissenso

dell’altro genitore: v. ad esempio, App. Bari, 11 maggio 2012, n. 732, in Guida dir., 2013, 2, 66, che

richiama espressamente, in motivazione, i principi sottesi alla convenzione del 1980 e al

regolamento Bruxelles II bis. Come afferma App. min. Bologna, 26 aprile 2012, n. 612, in

www.giuraemilia. it: “la residenza abituale che deve prendersi in considerazione ai fini della

giurisdizione è sempre quella che aveva il minore immediatamente prima del trasferimento”.

128 Al riguardo, App. min. Bologna, 26 aprile 2012, n. 612, cit., afferma che la norma “è volta ad

impedire che colui il quale ha consumato un’illecita sottrazione di minore possa anche scegliersi

l’autorità giurisdizionale competente a conoscere il caso, sottraendola a quella dell’altro stato che

ritiene meno favorevole”.

129 V. pure Cass., 12 maggio 2015, n. 9632.

130 Cass., 12 maggio 2015, n. 9632.

131 Cass., sez. un., 2 agosto 2011, n. 16864, in Fam. dir., 2012, 29.

132 V. pure pataut, Commento all’art. 10, in Brussels II bis Regulation, a cura di

Magnus, Mankowski, Monaco, 2012, 121.

133 V. pataut, op. cit., 123, che osserva: “the courts should be particularly cau-

tious and ensure that acquiescence is certain, even if it is not expressly given”. L’Autore evidenzia

che un comportamento meramente “passivo” del titolare della potestà non dovrebbe essere

sufficiente per essere considerato come “accettazione” del trasferimento.

134 A questo riguardo, il regolamento prevede una regola “temporale” diversa rispetto alla

convenzione: qui, infatti, il decorso dell’anno è collegato alla possibilità di conoscere il luogo in cui

il minore sia stato trasportato. In altre parole, un eventuale periodo di “clandestinità” non rileva ai

fini dell’integrazione del minore nella nuova realtà: v. anche BaruFFi, Discrezionalità del giudice e



rimpatrio del minore in caso di legal kidnapping, in Int’l lis, 2005, 2, 84, con riferimento al caso

deciso da Court of appeal inglese, 19 ottobre 1984, c. Cannon v. Cannon, ivi, 82. pataut, op. cit.,

125, evidenzia che da questo “iato” tra convenzione e regolamento può derivare una situazione in

cui una Corte si trovi nell’impossibilità di ordinare il rientro al minore, essendo al contempo priva

di giurisdizione per decidere in merito all’affidamento del minore stesso. In questo scenario,

peraltro, si deve oggi tenere conto dell’art. 7 della convenzione dell’Aja del 1996 che fa decorrere

il termine di un anno ai fini del radicamento della nuova residenza del minore dal momento in cui

si è acquisita o si sarebbe dovuto acquisire la conoscenza del luogo in cui il minore si trova: v.

BaruFFi, La convenzione dell’Aja del 1996 sulla tutela dei minori nell’ordinamento italiano, in Riv.

dir. internaz. priv. proc., 2016, 994.

135 Trib. min. Bologna, 19 dicembre 2013, in Int’l lis, 2014, 89 mette in rilievo che il mancato

rientro di un minore non può radicare la giurisdizione presso lo Stato di dimora attuale del minore

stesso, tutte le volte in cui il genitore non sia rimasto inerte, ma abbia inteso far valere l’autorità

del giudicato presso lo Stato di dimora attuale.

136 Corte giust., 1° luglio 2010, c. 211/10 PPU, Povse c. Alpago.

137 L’inerzia del genitore richiedente, della durata di circa sette mesi, è uno

degli argomenti considerati da Trib. min. Emilia Romagna, 13 ottobre 2016, decr. per respingere la

domanda di rientro presentata da un padre residente in Inghilterra, molti mesi dopo essere stato

citato in giudizio in Italia dalla moglie per la decisione sull’affidamento della prole minorenne.

138 Corte giust., 22 dicembre 2010, c. 491/10 PPU, Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz.

139 Corte giust., c. C c. M, cit., pone l’accento appunto sul fatto che l’art. 11, para. 1 possa essere

applicato per accogliere la domanda di ritorno solo se il minore, immediatamente prima del

presunto mancato ritorno illecito, aveva la sua residenza abituale nello Stato membro d’origine. È

dunque compito del giudice dello Stato membro in cui il minore è stato trasferito verificare se il

minore avesse la sua residenza abituale nello Stato membro d’origine immediatamente prima del

presunto trasferimento o mancato ritorno illecito, avendo presente tutte le circostanze di fatto

specifiche di ciascuna fattispecie, in ossequio ai criteri di valutazione forniti dalla giurisprudenza

della Corte.

140 pataut, op. cit., 130, osserva che esse “giv[e] a complete legal framework for international

abduction litigation”, con una combinazione tra diritto europeo e diritto internazionale.

141 pataut, Commento all’art. 11, in Brussels II bis Regulation, a cura di Magnus, Mankowski,

Monaco, 2012, 131.

142 pataut, Commento all’art. 11, cit., 138.

143 L’analisi statistica compiuta da triMMings, op. cit., 93 ss., 161 ss., dimostra che, di media, in

nessun paese europeo tale termine è in effetti rispettato e che dal 2003 al 2008 la situazione è

pure peggiorata, in particolare per quanto riguarda la durata dei procedimenti che si chiudono con

un rifiuto del rientro. L’Inghilterra è la giurisdizione che garantisce i tempi più rapidi per la

definizione dei procedimenti in questo ambito.

144 Scrive al riguardo Kruger, op. cit., 123: “there is no sanction attached to this rule, and one can

hardly think of a possible sanction”.

145 V. pure pataut, Commento all’art. 11, cit., 134; l’a. affronta anche la questione se, nel termine

di sei mesi, il procedimento si debba sviluppare in tutti i suoi possibili gradi di giudizio oppure si

debba giungere soltanto ad un provvedimento eseguibile. La seconda soluzione appare preferibile,

anche perché la prima sembra difficilmente realizzabile anche negli ordinamenti giudiziari più

rapidi ed efficienti (salva la possibilità, ovviamente, che un ordinamento escluda tout court

qualsiasi possibilità di impugnare il provvedimento di prime cure).



146 Cass., 5 ottobre 2011, n. 20365, in Corr. giur., 2012, 515; Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.;

Trib. min. Milano, 23 dicembre 2011, decr., in Dir. fam., 2012, 1171. spina, op. cit., 372, peraltro,

evidenzia che il procedimento in questione non è finalizzato alla tutela possessoria del genitore cui

è stato sottratto il figlio bensì alla tutela del diritto del bambino a vivere nel suo ambiente di vita e

a beneficiare del complesso di relazioni interpersonali che fanno parte del suo mondo. In questo

senso anche Trib. min. Roma, 9 novembre 1999, decr., in Fam. dir., 2000, 375. Al riguardo, si è

coerentemente affermato che tra il procedimento speciale per il rimpatrio del minore e il giudizio

ex art. 317-bis c.c., sull’affidamento del minore stesso, non esiste un nesso di pregiudizialità

idoneo a giustificare la sospensione del secondo procedimento ex art. 295 c.p.c. Trib. min. Roma,

23 novembre 1999, decr., in Dir. fam., 2000, 1143, con nota DanoVi, Sottrazione internazionale di

minori e conflitti di giurisdizione, ivi, 1149.

147 Article 11 Working Group Information on national proceedings, cit., 14.

148 Per Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471, un bam-

bino di 4 anni correttamente non è stato ascoltato dal giudice di merito, anche in ragione delle

forti pressioni cui il minore stesso era esposto. V. ippoliti Martini, Sottrazione internazionale di

minori e mancata audizione del fanciullo in tenera età, in Fam. dir., 2014, 154.

149 Al riguardo, v. triMMings, op. cit., 182 ss.

150 Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2011,

225; Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.

151 Cass., 8 febbraio 2017, n. 3319. V. anche Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir.,

2017, 5.

152 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.; Cass., 19 maggio 2010, n. 12293, cit.; Cass., 23 gennaio

2013, n. 1527, cit., con riferimento ad un bambino di quattro anni.

153 Cass., 31 marzo 2014, n. 7479, in Foro it., 2014, I, c. 1471, che ritiene congrua la motivazione

del giudice di merito che aveva escluso l’ascolto del minore, comunque sentito dai servizi sociali,

per l’elevata conflittualità esistente tra i coniugi.

154 pataut, Commento all’art. 11, cit., 133.

155 Cass., 27 luglio 2007, n. 16753, cit.

156 In questo senso, di recente, Cass., 11 agosto 2011, n. 17201, cit.

157 pataut, Commento all’art. 11, cit., 132 afferma peraltro, con riferimento

all’analoga norma della convenzione del 1980: “statistics show that this provision [...] is seldom

used as a basis for the non-return order”; triMMings, op. cit., 196.

158 Cass., 27 aprile 2004, n. 8000, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2005, 115; Cass., 26 settembre

2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5. Cass., 5 marzo 2014, n. 5237, in Foro it., 2014, I, c. 1067,

peraltro, ritiene che possa costituire autonoma fattispecie ostativa al rientro la volontà contraria

manifestata dal minore il quale, ascoltato dal giudice, abbia un’età ed una maturità tali da

giustificare il rispetto della sua posizione. In arg., taccini, Sottrazione internazionale: sul rimpatrio

sceglie il minore capace di discernimento, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 796.

159 Cass., 25 maggio 2016, n. 10817, in Fam. dir., 2016, 808.

160 Cass., 26 settembre 2016, n. 18846, in Fam. dir., 2017, 5, su cui toMMaseo, La Cassazione sul

rientro dei minori in caso di sottrazione internazionale, in Fam. dir., 2017, 8.

161 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 145.

162 Corte giust., c. C c. M, cit.

163 Come osserva pataut, Commento all’art. 11, cit., 140, il meccanismo intro-

dotto dall’art. 11 non si applica qualora il rientro del minore sia negato ai sensi degli artt. 12 e 20

della convenzione. triMMings, op. cit., 107, 110 ss., avanza il dubbio che il meccanismo introdotto



dal regolamento n, 2201 possa indurre I giudici degli Stati membri a motivare il rifiuto del rientro

del minore su basi diverse da quelle offerte dell’art. 13, n. 1, lett. b).

164 Lord Wilson, in Supreme Court, c. In the matter of LC (Children), cit., afferma che, nel sistema

di Bruxelles I bis, il provvedimento dello Stato ad quem “may well provide no more than a

breathing-space”.

165 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 141 afferma al riguardo: “The list of the documents that

need to be transmitted is open-ended. [...] The decision of the number and the nature of the

documents to be transmitted is left to the requested court, which should try to convince the court

of origin that its non-return order was justified and should not be reversed”.

166 pataut, Commento all’art. 11, cit., 141, a questo riguardo, osserva: “in the European

Community context, there is a strong tendency to favour direct communication between courts”.

167 Corte giust., 9 gennaio 2015, c. 498/14, Bradbrooke c. Aleksandrowicz. 168 Corte giust., c.

Bradbrooke c. Aleksandrowicz, cit.

169 pataut, Commento all’art. 11, cit., 143.

170 V. pataut, Commento all’art. 11, cit., 143.

171 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

172 V. su tale “lacuna” pesce, Sottrazione internazionale di minori, cit., 238.

173 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit. Per una fattispecie, relativa al rifiuto

delle corti svedesi, di ordinare il rientro in Italia di un minore, confermata dal giudice italiano, v.

App. Bologna, 10 dicembre 2015, decr., n. 353, c. C. c. M.

174 Sul prospettabile carattere preliminare della decisione sull’affidamento del minore conteso

rispetto a quella del ritorno v. pesce, op. cit., 239.

175 Corte giust., 11 luglio 2008, c. 195/08 PPU, Inga Rinau, in Guida dir., 2008, fasc. 31, 110.

176 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

177 Corte giust., c. OL c. PQ, cit.

178 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

179 Corte giust., c. C c. M, cit.

180 Corte giust., c. C c. M, cit.

181 È peraltro possibile che il giudice dello Stato di origine, con unico proce-

dimento, si pronunci sul rientro del minore ai sensi dell’art. 11 del regolamento e, più in generale,

sull’affidamento del minore: sembra questa la fattispecie su cui si pronuncia App. Bologna, 12

ottobre 2015, decr., in www.giuraemilia.it.

182 Corte giust., c. C c. M, cit.

183 Cass., 14 luglio 2010, n. 16549, cit.

184 Trib. min. Emilia Romagna, 7 maggio 2009, in Fam. dir., 2010, 38.

185 V. MceleaVy, Judicial communication, cit., 41 ss.

186 Per una fattispecie v. Trib. Milano, 9 luglio 2015, decr., in www.ilcaso.it. 187 Cass., 14 luglio

2010, n. 16549, cit.; Cass., 21 marzo 2011, n. 6319, in

Dir. fam., 2011, 1227. App. Bologna, 12 ottobre 2015, decr., in www.giuraemilia.it. 188 Corte

giust., c. Inga Rinau, cit.

189 pataut, Commento all’art. 11, cit., 145 sostiene: “Article 11 (8), is probably the most radical

change in the scheme of the 1980 Convention and the best proof that the Brussels II bis Regulation

is indeed a major change from that which has been achieved up until now”.

190 V. pesce, op. cit., 242.

191 Al riguardo, App. Catania, 21 luglio 2011, in Nuova giur. civ. comm., 2012,

I, 363, ritiene che il provvedimento cui la norma fa riferimento non può essere sommario e

anticipatorio, dovendosi trattare piuttosto della statuizione di merito definitiva.



192 Magnus, Introductory remarks, in Brussels II bis Regulation, cit., 343, parla della necessità, in

questo contesto, di un “fast track” enforcement.

193 La Corte di giustizia, al riguardo, ha specificato che l’opportunità di tale audizione è rimessa in

via esclusiva al giudice che deve statuire sul ritorno di un minore, non rappresentando essa un

obbligo assoluto ma il risultato di una valutazione discrezionale in funzione delle esigenze legate

all’interesse superiore del minore in ogni caso di specie. In altre parole, per i giudici europei, il

diritto del minore ad essere sentito non esige che sia necessariamente tenuta un’audizione dinanzi

al giudice dello Stato membro d’origine, ma richiede che siano messe a disposizione di tale minore

le procedure e condizioni legali che gli consentono di esprimere liberamente la sua opinione e che

quest’ultima sia raccolta dal giudice: Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.

194 Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

195 Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit

196 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

197 Corte giust., c. Povse c. Alpago, cit.

198 Corte giust., c. Andoni Aguirre Zarraga c. Pelz, cit.: nella fattispecie, la ma-

dre, che si opponeva all’esecuzione in Germania di un provvedimento spagnolo che ordinava il

ritorno della figlia in Spagna, sosteneva che il certificato attestasse che era stato ottemperato

l’obbligo di sentire il minore prima della pronuncia della decisione, mentre tale audizione non

aveva in realtà avuto luogo.

199 Corte giust., c. Inga Rinau, cit.

200 Anche Magnus, Introductory remarks, in Brussels II bis Regulation, cit., 343, esprime dubbi

rispetto all’opportunità di dare esecuzione agli ordini di rientro del minore “under all

circumstances”, poiché ciò essere contrario al “best interest of the child”.

201 Per un’analisi approfondita dei rapporti tra c.e.d.u. e regolamento Bruxelles II bis, v. honorati,

Sottrazione internazionale dei minori e diritti fondamentali, in Riv. dir. internaz. priv. proc., 2013, 5

ss.