inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Abusi familiari e ordini di protezione in Italia e in Europa

autore: M. Paladini

Sommario: 1. Tipologia degli ordini di protezione. - 2. L’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso come provvedimento di assegnazione dell’immobile in favore della vittima. - 3. La successione nel contratto di locazione in favore della vittima dell’abuso. - 4. L’opponibilità ai terzi del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso. - 5. Ambito applicativo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare: a) convivenza fondata sul matrimonio. - 6. Segue: b) unione civile. - 7. Segue: c) convivenza more uxorio. - 8. Assegno di mantenimento a carico dell’autore degli abusi. - 9. La lacuna normativa in punto di “affidamento della prole”. - 10. Il divieto di frequentazione di determinati luoghi. - 11. Estinzione delle misure. - 12. Profili processuali. - 13. L’ordine di protezione europeo e il riconoscimento reciproco delle misure di protezione. - 14. Il rapporto tra tutela civile e penale in Europa. - 15. Il certificato europeo per l’esecuzione delle misure di protezione



1. Premessa



La legge 4 aprile 2001 n. 1541 ha introdotto una serie di misure di protezione, finalizzate a reprimere un fenomeno sociale assai più diffuso di quanto comunemente non si sia indotti a ritenere. La violenza in famiglia, infatti, non appartiene soltanto a contesti sociali degradati, caratterizzati da immanente aggressività reciproca tra i suoi componenti e dal disprezzo verso i valori del rispetto e della tolleranza. Anche in ambienti familiari agiati, o composti da soggetti con elevata collocazione sociale, può manifestarsi la degenerazione del contrasto e l’assunzione di comportamenti lesivi della dignità, libertà o integrità psico-fisica dell’altro. La cronaca e le statistiche non confermano neppure il diverso assunto secondo cui, a fondamento dell’abuso familiare, si collocherebbe necessariamente il disagio personale di qualcuno dei membri della famiglia, dovuto a problematiche di patologia psichiatrica, alcolismo o tossicodipendenza. Si può constatare, al contrario, una tendenza alla “trasversalità” sociale e culturale degli abusi familiari e, in alcuni casi, anche la smentita della tradizionale ripartizione tra uomo e donna dei rispettivi ruoli di autore e di vittima della violenza. Le caratteristiche del fenomeno sociale e le sollecitazioni che da altri ordinamenti provenivano in senso favorevole alla regolamentazione normativa hanno reso assolutamente opportuno l’intervento del legislatore del 2001, che merita di essere apprezzato, in linea di principio, sotto tre fondamentali profili.

a) In primo luogo, gli ordini di protezione risultano flessibili e funzionali alle conseguenze dell’abuso sul piano sia personale (si pensi, ad esempio, all’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso dalla casa familiare o al divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima) sia patrimoniale (in particolare, l’ordine di pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi), e, dunque, tendenzialmente idonei ad apprestare − grazie alla prudente traduzione applicativa del giudice − la specifica tutela richiesta nel caso concreto.

b) La scelta di separare nettamente l’azionabilità del rimedio privatistico dalla repressione penalistica delle condotte abusive costituenti reato − scelta definitivamente adottata in seguito alla riforma operata con legge 6 novembre 2003 n. 304 − ha certamente reso più agevole il ricorso agli ordini di protezione, impedendo le inevitabili complicazioni (originariamente emerse in sede di prima applicazione) connesse alla possibile difficoltà di qualificazione della condotta come reato e al rischio della sovrapposizione di misure o, ancor peggio, del contemporaneo rifiuto di tutela.

c) Felice si è rivelata, inoltre, l’adozione di forme processuali che − indipendentemente dalla loro natura e qualificazione appaiono agili e finalizzate alla celerità della decisione e all’effettività della sua attuazione, senza alcuna significativa limitazione dei principi del contraddittorio e della difesa.

Il contenuto e le caratteristiche degli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono disciplinati agli artt. 342-bis342-ter c.c., ove è previsto che, nel caso in cui la condotta di un coniuge o di un convivente sia causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, ovvero di altro componente del nucleo familiare (art. 5, legge n. 154/01), il giudice ordina all’autore dell’abuso la cessazione della condotta e può disporre, altresì, una serie di misure in via alternativa o cumulativa:

i) In primo luogo, viene in rilievo l’ordine di allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente autore della condotta pregiudizievole.

ii) In secondo luogo, in giudice può ordinare all’autore dell’abuso di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dal familiare o convivente leso, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine o di altri prossimi congiunti e in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia.

iii)Il Giudice può ordinare altresì all’autore dell’abuso il pagamento di un assegno in favore delle persone conviventi che, in conseguenza dell’allontanamento dell’autore dalla casa familiare, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione. La durata degli ordini di protezione – originariamente della durata massima di mesi sei – è stata elevata a un anno dalla legge 23 aprile 2009 n. 38 sulla di repressione dello stalking, ferma la possibilità di un’ulteriore proroga disposta dal giudice per gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.



2. L’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso Il primo ordine di protezione consiste nell’“allontanamento dalla casa familiare” del coniuge o del convivente che abbia tenuto la condotta abusiva. Considerato il tempo per il quale tale allontanamento può protrarsi – che, come per gli altri ordini di protezione, non può essere superiore a un anno, salvo proroga da parte del giudice se ricorrano gravi motivi e per il tempo strettamente necessario – occorre considerare il titolo del godimento della casa familiare da parte del coniuge o convivente a tutela del quale la misura sia stata emanata. Le ipotesi, che possono concretamente verificarsi, sono soprattutto le seguenti:

a) può accadere, anzitutto, che l’immobile, in cui ha sede la casa familiare, sia oggetto di un diritto reale o personale di godimento, spettante al coniuge o convivente a tutela del quale l’ordine di protezione sia stato emesso;

b) può verificarsi, però, che il diritto reale o personale di godimento appartenga al coniuge o convivente autore della condotta abusiva;

c) è possibile, infine, che i soggetti rispettivamente autore e vittima dell’abuso siano contitolari del diritto reale o personale di godimento sul bene immobile. Mentre nell’ipotesi sub a) l’ordine di allontanamento dalla casa familiare del coniuge o convivente autore della violenza familiare non determina alcun mutamento nell’appartenenza e nell’esercizio della facoltà di godimento della casa familiare da parte della vittima, nei due ulteriori casi si pone, invece, il problema di definire il titolo giuridico, in virtù del quale il soggetto tutelato permane nel godimento esclusivo dell’immobile. Posto che, in concreto, l’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso può rappresentare una sorta di misura “anticipatoria” dell’assegnazione della casa stessa nella successiva ed eventuale (ma probabile) crisi della convivenza coniugale o more uxorio, deve ammettersi che gli stessi problemi già emersi nelle prime applicazioni dell’art. 155, quarto comma, c.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta con l. 54/2006 e alla ulteriore recente riformulazione normativa contenuta nell’art. 337-sexies c.c.) possano riproporsi con riferimento all’ordine di protezione dell’allontanamento dalla casa familiare. Occorre rilevare, preliminarmente, che – a differenza di quanto contenuto nella disciplina legislativa in tema di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e di procedimenti relativi a figli nati fuori del matrimonio (art. 337-quater c.c.) – l’art. 342-ter c.c. non contiene alcun esplicito riferimento testuale ad un provvedimento di “assegnazione” della casa familiare al coniuge o convivente vittima della violenza. Il dato non appare, tuttavia, di per sé significativo, posto che nell’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso deve ritenersi implicitamente contenuta la statuizione giudiziale concernente il diritto della vittima al godimento esclusivo dell’abitazione familiare per il tempo di efficacia della misura di protezione. D’altra parte, nessuno dubita che il provvedimento di assegnazione della casa familiare, emesso dal giudice della dissoluzione della convivenza tra genitori, “includa” l’ordine di allontanamento dalla stessa casa rivolto al genitore non assegnatario, com’è dimostrato dalla pacifica possibilità di esecuzione forzata del provvedimento proprio nei confronti di quest’ultimo2 . Come, dunque, nella separazione, nel divorzio o nella cessazione della convivenza more uxorio, nel provvedimento di assegnazione in favore di un genitore è “compreso” l’ordine di allontanamento nei confronti dell’altro, allo stesso modo deve ritenersi che l’ordine di allontanamento previsto dall’art. 342-ter c.c. includa automaticamente l’assegnazione della casa familiare in favore del genitore vittima dell’abuso (o convivente con la vittima). Per quel che concerne la natura del godimento esercitato sulla casa familiare da parte del soggetto tutelato dall’ordine di protezione, si tratta – in perfetta analogia con la natura del diritto spettante al genitore assegnatario della casa familiare ex art. 337-sexies c.c. – di un diritto personale di godimento, avente titolo nel provvedimento giudiziale che dispone l’allontanamento dell’autore dell’abuso. Tale qualificazione deve essere certamente confermata anche in seguito all’entrata in vigore della legge n. 54/2006 e del d.lgs. n. 154/13, che, con la nor ma dell’art. 337-sexies, 1° comma, c.c. (corrispondente all’abrogato art. 155-quater c.c.), ha sancito la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare “ai sensi dell’art. 2643 c.c.”. Come è stato autorevolmente illustrato3 , “si tratta di un rinvio recettizio all’art. 2643, n. 14, c.c., il quale, a sua volta, opera un rinvio indiretto agli atti suscettibili di trascrizione, di cui ai numeri precedenti, sicché, de relato, l’atto di assegnazione non potrebbe, a sua volta, non trovare una propria collocazione, se non nell’elenco di cui all’art. 2643 c.c., nella più ampia previsione di cui all’art. 2645 c.c., trattandosi di un diritto di godimento atipico”. Dalle norme in materia di affidamento condiviso della prole non è dato desumere, pertanto, alcun indice normativo in grado di sovvertire la tesi della natura personale del diritto di godimento spettante al genitore assegnatario della casa familiare: tesi accolta dalla giurisprudenza di legittimità e dalla prevalente dottrina4 e definitivamente accolta dal legislatore con la riforma del divorzio del 1987, che ha introdotto nell’art. 6, comma 6, l. n. 898/70, ai fini dell’opponibilità ai terzi, il richiamo alla norma dell’art. 1599 c.c., compresa del capo dedicato alla locazione5 . Non possono sorgere dubbi, pertanto, sulla natura personale del godimento dell’assegnatario dell’immobile nella disciplina sugli abusi familiari, là dove si aggiunge, peraltro, l’espressa previsione di un limite temporale massimo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare dell’autore della condotta abusiva.



3. La successione nel contratto di locazione in favore della vittima dell’abuso



Anche il problema dell’ammissibilità della misura dell’allontanamento nell’ipotesi in cui l’autore dell’abuso sia titolare di un diritto personale di godimento sull’immobile (ad esempio, in virtù di un contratto di locazione o di comodato) deve essere risolto in senso affermativo. L’analogo dubbio interpretativo, con riguardo all’assegnazione della casa familiare nella separazione personale tra coniugi, era stato risolto dal legislatore con l’art. 6 l. 392/1978, il quale, prevedendo la successione del coniuge assegnatario nel contratto di locazione dell’immobile destinato a casa familiare (secondo comma), aveva implicitamente chiarito che l’esistenza del rapporto giuridico col locatore non poteva costituire un fattore preclusivo al riconoscimento del diritto all’assegnazione della casa familiare. L’art. 6 della legge sull’equo canone era valso, peraltro, a chiarire l’effetto giuridico del provvedimento giudiziale di assegnazione sul contratto di locazione, stabilendo la successione nel rapporto contrattuale in favore del coniuge assegnatario. La giurisprudenza ha chiarito, in seguito, che tale successione deve essere interpretata nel senso della totale sostituzione dell’originario conduttore nei diritti e nelle obbligazioni contrattuali, con integrale e automatico subentro da parte del coniuge assegnatario6 . L’art. 342-ter c.c. non prevede gli effetti giuridici dell’allontanamento dell’autore dell’abuso familiare sul contratto (attributivo del diritto personale di godimento sull’immobile) che sia stato in precedenza stipulato proprio dal soggetto destinatario dell’ordine di allontanamento. Posto che – per le ragioni esposte – deve affermarsi che la misura dell’allontanamento sia altresì provvedimento di assegnazione in favore della vittima dell’abuso, appare consequenziale ritenere che, anche in tale fattispecie, si verifichi la successione dell’assegnatario nel contratto di locazione. La successione nel contratto non è ancora oggetto di organica regolamentazione né a livello legislativo né sul piano dell’applicazione giurisprudenziale. L’orientamento prevalente dei giudici si rivela propenso alla configurazione della successione nel contratto in termini di modificazione “coattiva” di uno dei soggetti del rapporto obbligatorio, con conseguente perdita, per l’originario contraente, della qualità di parte7 . Se la conseguenza dell’allontanamento dell’autore-conduttore consiste, dunque, nella successione della vittima nel contratto di locazione, appare assai opinabile che l’originario contraente possa essere considerato, sul presupposto della permanenza della sua qualità di parte del contratto, ancora obbligato (in via principale) al pagamento del canone di locazione8 . Il subentro del beneficiario dell’ordine protettivo nel ruolo di controparte esclusiva del locatore garantisce, invero, un più elevato livello di tutela, in virtù della legittimazione diretta all’esercizio dei diritti derivanti dal contratto9 . La successione nel contratto, d’altra parte, non comporta necessariamente l’automatico esonero dell’originario conduttore dall’obbligazione sussidiaria (in caso di inadempimento della parte succeduta) del pagamento del canone, così come affermato, invece, da una discutibile giurisprudenza di merito10. Non v’è dubbio, infine, che la condivisibile esigenza che l’allontanamento dell’autore delle violenze non debba compor tare aggravi economici a carico della vittima tutelata possa (e debba) essere perseguita attraverso l’emanazione di quell’altra misura protettiva consistente nel pagamento periodico di un assegno, congruamente determinato in misura comprensiva dell’importo corrispondente al canone di locazione. L’opportunità (oltre che la necessità di carattere sistematico, quale emerge dall’esame delle parallele previsioni normative in materia di separazione e divorzio) di configurare il familiare che conserva il godimento della casa, per effetto dell’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso, alla stregua di un successore nel contratto di locazione emerge con evidenza qualora si ipotizzi che il soggetto allontanato esercitasse il godimento dell’immobile in virtù di un contratto di comodato. Qualora non si riconoscesse, infatti, il subentro nel contratto in favore del familiare protetto, dovrebbe coerentemente ammettersi la legittimità della restituzione volontaria del bene nei confronti del comodante, nonché la facoltà del comodante di richiedere la restituzione stessa in mancanza della determinazione della durata del contratto (art. 1810 c.c.). Al contrario, soltanto l’attribuzione della qualifica di successore nel contratto consente l’applicazione al caso di specie del principio giurisprudenziale, affermato dalle Sezioni Unite11, secondo cui la destinazione a casa familiare costituisce un termine implicito di durata del comodato, con conseguente diritto del comodante di ottenere la restituzione immediata soltanto se sopravviene un suo urgente e impreveduto bisogno (art. 1809, secondo comma, c.c.).



4. L’opponibilità ai terzi del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso



Altro problema consiste nell’individuazione dei limiti di opponibilità ai terzi del provvedimento di “allontanamento da” - “assegnazione della” casa familiare. La questione – com’è noto – si pose nell’applicazione dell’art. 155, 4° comma, c.c. (nella formulazione anteriore alla novella introdotta con l. 54/2006), in quanto il coniuge proprietario dell’immobile assegnato dal giudice all’altro coniuge, al fine di impedire il godimento da parte di quest’ultimo, poneva in essere atti di disposizione del proprio diritto nei confronti di terzi che, in quanto ignari del provvedimento di assegnazione, rivendicavano il diritto sul bene e la sua restituzione12. Il problema fu risolto dalla riforma del divorzio (l. 74/1987) che, nel prevedere espressamente l’assegnazione della casa familiare anche in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, stabilì la possibilità di trascrizione del provvedimento di assegnazione (art. 6, 6° comma, ultima alinea, l. 898/1970). A causa, peraltro, del principio di tassatività delle norme in tema di pubblicità immobiliare, l’estensione della trascrivibilità al provvedimento di assegnazione disposto nel procedimento di separazione personale richiese l’immediato intervento della Corte Costituzionale13. Gli ambiti di opponibilità ai terzi dell’assegnazione della casa familiare sono stati estesi, in seguito, dall’interpretazione dell’art. 6, 6° comma l. 898/1970, adottata dalle Sezioni Unite14, che, in virtù del rinvio all’art. 1599 c.c. contenuto nella citata norma, hanno ritenuto l’opponibilità del provvedimento di assegnazione, pur in difetto di trascrizione, nei limiti del novennio. Infine, in seguito all’introduzione dell’art. 155-quater (oggi art. 337-sexies c.c.) – secondo cui “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643” – la trascrivibilità del provvedimento di assegnazione è espressamente sancita, ma si pone il problema della compatibilità tra la recente previsione normativa e l’art. 6, 6° comma, legge n. 898/70. Invero, l’art. 1599 c.c. deve essere considerata norma speciale rispetto all’art. 2643 c.c., poiché non regola il conflitto tra il conduttore e qualunque altro titolare di un diritto incompatibile, ma si limita a stabilire le condizioni affinché la locazione sia opponibile al terzo acquirente della cosa locata. Poiché, dunque, lex posterius specialis non derogat priori generali, deve affermarsi che − mentre il conflitto tra l’assegnatario e il titolare di altro diritto incompatibile (ad esempio, un conduttore in base a locazione ultranovennale) è risolto dall’art. 2644 c.c. − l’opponibilità nei confronti del terzo acquirente resta disciplinata, invece, dall’art. 1599 c.c.15. Anche per il provvedimento di allontanamento dell’autore dell’abuso familiare si pone il problema della tutela del godimento del detentore nei confronti di eventuali terzi aventi causa, i quali, acquistando il diritto di proprietà dell’immobile, ne pretendano la restituzione. Né il problema può considerarsi di modesta portata soltanto in considerazione della breve durata della misura protettiva che – come si è detto – non può eccedere un anno, salvo proroga da parte del giudice. In una situazione di profondo disagio, quale quella solitamente prodotta dalla consumazione di abusi e violenze endofamiliari, il godimento dell’immobile per il periodo di un anno (o per quello più lungo risultante dalla proroga giudiziale) può costituire una misura di estrema importanza, grazie alla quale la vittima può compiere le proprie più opportune e approfondite riflessioni in ordine alla prosecuzione della convivenza. L’eventuale sottrazione del bene immobile da parte del terzo, che si renda prontamente alienatario, porrebbe indubbiamente la vittima in situazione di comprensibile difficoltà sul piano materiale ed esistenziale. Occorre considerare, inoltre, che l’abuso familiare e il conseguente ordine di protezione possono costituire sintomi disgregativi della convivenza e, in caso di famiglia fondata sul matrimonio, possono preludere a procedimenti di separazione personale. Poiché nell’ambito del procedimento di separazione l’ordinanza presidenziale contenente i provvedimenti temporanei e urgenti (art. 708 c.p.c.) estingue l’efficacia dell’ordine di protezione e può contenere l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei figli, il coniuge autore dell’abuso, proprio allo scopo di prevenire tale assegnazione da parte del giudice della separazione – che sarebbe opponibile ai terzi, in quanto trascritta o, comunque, nei limiti del novennio – potrebbe affrettarsi all’alienazione dell’immobile in mancanza di un analogo strumento di opponibilità ai terzi della misura dell’allontanamento dalla casa familiare. Appare indubbia, pertanto, la necessità di prevedere uno strumento di opponibilità nei confronti dei terzi della misura protettiva avente ad oggetto il godimento dell’immobile. Posto che, per le considerazioni esposte, l’art. 342-ter c.c. descrive un provvedimento di assegnazione della casa familiare, parrebbe opportuna l’introduzione della trascrivibilità di tale provvedimento grazie a una modifica legislativa o a un intervento del giudice delle leggi, il quale ultimo, dinanzi alla questione, non potrebbe verosimilmente svolgere, per l’esigenza di assicurare la più ampia tutela giuridica alla vittima di abusi familiari, valutazioni diverse da quelle che già condussero alla ricordata declaratoria di incostituzionalità dell’art. 155, 4° comma, c.c.16.



5. Ambito applicativo della misura dell’allontanamento dalla casa familiare:

a) convivenza fondata sul matrimonio



Il problema più delicato, che concerne la misura dell’allontanamento dall’immobile del titolare di un diritto reale o personale di godimento, consiste nell’esatta individuazione delle situazioni in cui la misura stessa può essere emanata. L’estromissione del titolare del diritto reale o personale sul bene immobile pone, infatti – come è stato evidenziato17 – problemi, anche costituzionali (art. 14 Cost.), connessi alla tutela del domicilio. Appare opportuno prendere le mosse dalla disamina della ratio dell’ordine di protezione, che mira ad assicurare la cessazione di condotte violente perpetrate all’interno di una comunità di persone fondata o su un rapporto coniugale o di filiazione ovvero in ragione un accordo di convivenza more uxorio. Nel caso in cui sussista il vincolo coniugale, l’abuso familiare costituisce violazione dei doveri reciproci di assistenza morale e materiale nonché di collaborazione nell’interesse della famiglia (art. 143 c.c.). Orbene, in presenza di una violazione degli obblighi coniugali, l’ordine di allontanamento costituisce una misura temporanea funzionale, nelle intenzioni del legislatore, alla ricostituzione di una vita familiare improntata al reciproco rispetto e alla regola dell’accordo come modalità esclusiva per la soluzione dei contrasti tra coniugi (art. 144-145 c.c.). L’ordine di protezione rappresenta, quindi, una misura “preventiva” rispetto alla separazione personale dei coniugi, posto che – prima della legge n. 154/2001 – l’abuso familiare aveva la sua esclusiva rilevanza civilistica (salva l’autonoma qualificazione in sede penale) come “fatto tale da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla prole” (art. 151, primo comma, c.c.) e, altresì, come “comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio” (art. 151, secondo comma, c.c.) ai fini dell’addebito della separazione personale. Con la nuova disciplina sugli ordini di protezione, il legislatore ha inteso esprimere, pertanto, un’istanza di soluzione “preventiva” del conflitto e un intento di salvaguardia dell’unità della famiglia in luogo della sua (solitamente definitiva) disgregazione conseguente alla separazione dei coniugi18. Ne è riprova la regolamentazione dei rapporti tra il procedimento di emanazione degli ordini di protezione e i procedimenti di separazione o divorzio:

– l’avvenuta instaurazione di tali procedimenti rende inapplicabile la disciplina degli artt. 342-bis e 342-ter c.c.;

– al giudice della separazione o del divorzio è attribuita unicamente la potestà di emanare provvedimenti “aventi i contenuti indicati nell’art. 342-ter c.c.” (art. 8, 1° comma, l. 154/2001);

– gli ordini di protezione, adottati prima del procedimento di separazione o divorzio, perdono efficacia con la pronuncia dei provvedimenti temporanei e urgenti, emessi del presidente del tribunale (art. 8, secondo comma, l. 154/2001). Nell’ottica del legislatore, dunque, gli ordini di protezione costituiscono misure volte al mantenimento della regolare attuazione degli obblighi coniugali; sicché, allorché la domanda di separazione personale o di divorzio riveli, allo stato, il fallimento del tentativo di soluzione preventiva del conflitto e di ricostituzione della pacifica e collaborativa unità familiare, non v’è più alcun margine per l’applicazione degli ordini di protezione a tutela della convivenza tra i coniugi. Per queste ragioni, in presenza di condotte abusive commesse nel corso della vita familiare, l’estromissione del titolare del diritto non configura alcuna “requisizione” temporanea del bene, bensì l’indispensabile salvaguardia dell’integrità morale e fisica e della libertà della vittima dei soprusi e delle violenze, commessi da quel coniuge che pure si era obbligato, all’atto del matrimonio, all’osservanza dei doveri coniugali e alla determinazione consensuale dell’indirizzo della vita familiare. Il difetto di qualsivoglia sospensione degli obblighi coniugali rende pienamente ammissibile l’allontanamento del titolare del diritto sul bene anche in assenza di figli conviventi con il coniuge assegnatario della casa familiare. Non valgono, pertanto, in tal caso, i (condivisibili) principi, ripetutamente affermati dal Supremo Collegio19, concernenti la necessità che, nella separazione e nel divorzio, l’assegnazione della casa familiare sia disposta soltanto in presenza (e a tutela) di figli minorenni affidati al coniuge assegnatario o maggiorenni conviventi con quest’ultimo. Allo stesso modo, l’allontanamento del titolare del diritto è pienamente giustificato a protezione di altri componenti del nucleo familiare (ex art. 5 l. 154/2001) e, in particolare, quando l’abuso sia stato consumato ai danni del figlio dei coniugi conviventi. In tal caso, l’estromissione del genitore violento e la permanenza nella casa familiare del figlio-vittima e dell’altro genitore risponde a una ratio per molti aspetti analoga a quella che presiede l’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio.



6. Segue: b) unione civile



L’applicabilità degli ordini di protezione contro gli abusi familiari tra le parti dell’unione civile deriva dall’espressa previsione del comma 14 dell’art. 1, legge n. 76/2016, che riproduce testualmente – riferendolo all’unione civile – il testo dell’art. 342-bis c.c. Ci si potrebbe chiedere come mai il legislatore non abbia richiamato l’intero titolo IX-bis, così come avvenuto, ad esempio, per il titolo IV e per il titolo XIII, da parte rispettivamente del comma 13 e 19, legge n. 76/2016. La spiegazione risiede nella preoccupazione del legislatore di non accostare all’unione civile alcun richiamo alla nozione di “famiglia”, posto che l’integrale richiamo del titolo IX-bis avrebbe comportato la qualificazione della condotta abusiva di una parte dell’unione civile ai danni dell’altra in termini di “abuso familiare”. Di ciò si ha conferma sia nel comma 1 sia nel comma 11, legge n. 76/2016, che parimenti evitano ogni riferimento o accostamento alla famiglia fondata sul matrimonio e agli obblighi familiari. Tuttavia, con riguardo al titolo IX bis dedicato agli abusi familiari, la preoccupazione legislativa deve ritenersi ultronea, posto che le norme degli art. 342- bis e 342-ter già estendono gli ordini di protezione all’ipotesi di abusi perpetrati ai danni del “convivente”, così dimostrando che il legislatore ha accolto, in tale contesto (per evidenti ragioni di repressione di condotte violente o abusive e di tutele delle vittime) una nozione lata e atecnica di famiglia, includendovi anche la convivenza tra persone non legate dal vincolo matrimoniale. Pertanto, anche in difetto dell’espressa previsione del comma 14, l’applicazione delle norme sugli abusi familiari nell’ambito dell’unione civile, si sarebbe potuta realizzare anche per effetto della previsione generale di cui al comma 20, legge n. 76/2016. Anche nell’unione civile, deve ritenersi ammissibile l’allontanamento del titolare del diritto sul bene anche in assenza di figli dell’unito civile assegnatario dell’immobile adibito a residenza comune20. Può ribadirsi, infatti, che, in presenza di condotte abusive commesse nel corso della vita comune, l’estromissione dell’unito civile/titolare del diritto non configura alcuna “requisizione” temporanea del bene, bensì l’indispensabile salvaguardia dell’integrità morale e fisica e della libertà della vittima dei soprusi e delle violenze.



7. Segue: b) convivenza more uxorio



Più complessa si rivela l’applicabilità dell’art. 342-ter c.c. nell’ipotesi in cui, in luogo di una relazione di coniugio o di filiazione, una mera convivenza more uxorio si ponga a fondamento della comunità all’interno della quale si è consumato l’abuso. Occorre suddividere, inoltre, l’analisi di tale ipotesi a seconda che la relazione more uxorio sia intrattenuta unicamente dai conviventi, oppure ad essa si aggiunga la presenza di figli di uno o di entrambi i conviventi stessi. Nel primo caso – convivenza more uxorio tra due soli soggetti, senza figli – non appaiono riproponibili le considerazioni sopra svolte con riguardo alla ratio e alle finalità degli ordini di protezione. La convivenza more uxorio si caratterizza per l’assenza di vincoli giuridici alla prosecuzione della convivenza e per l’assoluta libertà e informalità dell’interruzione della relazione. In tal caso, quindi, non avrebbe alcun senso la qua lificazione dell’ordine di protezione come misura preventiva rispetto alla disgregazione della convivenza. Proprio l’assenza di vincoli giuridici alla prosecuzione della convivenza rende legittima la richiesta, rivolta all’altro convivente da parte del titolare del diritto reale o personale di godimento sul bene immobile in cui la convivenza stessa si svolge, ad abbandonare l’immobile entro un termine congruo e con modalità tali da non configurare uno spoglio (art. 1168 c.c.)21. A fronte del rifiuto del convivente di abbandonare l’immobile, il convivente proprietario o titolare di altro diritto può agire in giudizio per pretendere la restituzione del bene22. Orbene, in una situazione nella quale ciascuno dei conviventi può interrompere ad nutum la relazione affettiva, occorre domandarsi come, in caso di condotta abusiva da parte di un convivente ai danni dell’altro, possa ritenersi ammissibile un ordine di allontanamento ai sensi dell’art. 342-ter c.c. Qualora, infatti, la condotta violenta sia tenuta dal convivente non titolare di alcun diritto sull’immobile, non v’è ragione per negare al convivente – vittima la potestà di autotutela attraverso l’estromissione – in tal caso, anche nelle forme configuranti astrattamente spoglio ai sensi dell’art. 1168 c.c. – dell’autore dell’abuso. Ma, allo stesso modo, deve ritenersi che, nella situazione opposta – in quella in cui, cioè, l’autore della condotta abusiva sia il titolare del diritto reale o personale sull’immobile, l’autotutela della vittima debba manifestarsi nel volontario abbandono del luogo della convivenza, senza margini applicativi per la richiesta di allontanamento dalla casa del convivente violento23. L’abuso familiare, nell’ambito della convivenza more uxorio nella quale non siano presenti figli, costituisce, in definitiva, il più grave ed evidentemente sintomo della crisi della relazione affettiva, crisi che, qualora assurga al livello della improseguibilità nella rappresentazione soggettiva della vittima dell’abuso, legittima quest’ultima all’immediata cessazione e alla conseguente interruzione della comunanza abitativa mediante l’abbandono volontario dell’immobile, salve le ordinarie conseguenze risarcitorie che la vittima potrà far valere nei confronti dell’autore dell’abuso24. A diverse conclusioni dovrà giungersi, tuttavia, nel caso in cui l’autore dell’abuso si sia obbligato a consentire il godimento dell’abitazione per effetto di un contratto di convivenza stipulato ai sensi del comma 50, legge n. 76/2016.

Argomentazioni analoghe potrebbero essere svolte nell’ipotesi di convivenza estesa a figli di uno solo dei due conviventi. Anche in tal caso, infatti, l’estromissione del convivente violento da parte del convivente−genitore titolare del diritto sull’immobile, ovvero l’abbandono dell’immobile stesso da parte del convivente−genitore non titolare del diritto si rivelerebbero le soluzioni più appropriate, tali da rendere superfluo l’intervento giudiziale “protettivo” di una convivenza che dimostra di aver perso i propri fondamenti di affettività e spontanea comunione di vita. Non può trascurarsi, tuttavia, la rilevanza che gli interessi dei minori assumono in una tale situazione, sicché l’opportunità di evitare alla prole – anche nel contesto delle cc.dd. famiglie ricomposte – il trauma dell’allontanamento volontario dal luogo ove si è svolta fino a quel momento la loro personalità induce a privilegiare l’interpretazione estensiva e a ritenere applicabile la misura dell’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso, anche in difetto di un rapporto di filiazione tra l’autore stesso e la prole convivente25. Deve essere considerato, infatti, che l’instaurazione di una convivenza con persona a sua volta genitore comporta spesso l’accettazione di quel ruolo di c.d. “genitorialità sociale”, che non può essere trascurato nella prospettiva della necessaria tutela della prole. Vi è, infine, l’ipotesi della convivenza che includa la presenza di figli di entrambi i conviventi. Non v’è dubbio che, in tale situazione, occorra tutelare l’interesse della prole (o dei figli maggiorenni) al mantenimento dell’ambiente familiare in cui si svolge la sua esistenza, specie in presenza di condotte lesive della propria integrità o di quella dell’altro genitore, né rileva in alcun modo il fatto che i genitori non abbiano contratto matrimonio, come è dimostrato – a tacer d’altro – dalla recente riforma che ha espunto ogni residua forma di discriminazione tra figli a seconda della sussistenza o no del legame familiare tra i genitori (legge n. 219/12). Allorché, dunque, o il convivente o il figlio sia vittima dell’abuso commesso dall’altro convivente-genitore, si potrà adire il giudice per domandare l’allontanamento dalla casa familiare dell’autore dell’abuso ai sensi dell’art. 342-ter c.c., a prescindere dalla titolarità del diritto reale o personale sul bene immobile. Il fondamento normativo del potere di estromissione del convivente violento risiede nell’art. 315-bis c.c., che attribuisce al figlio il diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, indipendentemente dalla presenza di una famiglia fondata o no sul vincolo matrimoniale La presenza della prole, inoltre, giustifica pienamente le finalità preventive dell’ordine di protezione rispetto alla disgregazione della convivenza more uxorio. Il recupero, in tal caso, dell’unità della convivenza risponde all’interesse dei figli a conservare la contemporanea presenza nella vita familiare della doppia figura genitoriale, in linea con l’esigenza di un equilibrato sviluppo educativo della persona.



8. Assegno di mantenimento a carico dell’autore degli abusi



In caso di allontanamento dell’autore dell’abuso, quest’ultimo può essere obbligato al versamento di un contributo di mantenimento in favore del nucleo “familiare” ove si trova la vittima degli abusi. Una parte della dottrina26 aveva sostenuto, ritenendo la sussistenza di un obbligo di mantenimento tra conviventi non coniugati in presenza di abusi familiari, si sarebbe dovuta logicamente e giuridicamente ammettere tout court l’obbligo di mantenimento tra conviventi. La tesi – pur assai discutibile nel precedente assetto normativo – appare comunque non più riproponibile in seguito alla legge n. 76/2016, che ha confermato l’inesistenza di un obbligo legale di mantenimento tra conviventi. Tuttavia, la medesima legge prevede che “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento” (comma 65). Poiché l’abuso familiare costituisce una modalità (sia pure quella più incivile e antigiuridica) di cessazione della convivenza, deve ritenersi che l’obbligo di corresponsione degli alimenti possa essere sancito anche dal giudice investito del ricorso ex artt. 342-bis342-ter c.c. L’assegno alimentare costituirà, in tal caso, il contenuto dell’ordine di protezione di natura economica nell’ipotesi di convivenza senza figli, e pertanto, in assenza di figli, in caso di famiglia fondata sul matrimonio l’assegno dovrà essere determinato secondo il criterio previsto in caso di separazione (art. 156 c.c.), mentre, in presenza di convivenza non matrimoniale l’importo dovrà essere commisurato in conformità al disposto dell’art. 438 c.c. Nel caso di coniugi o conviventi con figli, l’assegno dovrà essere quantificato secondo gli ordinari criteri previsti in giurisprudenza in attuazione degli artt. 147 e 315-bis c.c. Il legislatore, al comma 2 dell’art. 342-ter c.c., ha previsto che il giudice fissi “modalità e termini del versamento e prescriva, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione ad esso spettante”. Tale previsione è stata oggetto in dottrina di critiche27 perché, a differenza della disciplina in tema di separazione e divorzio, la disposizione del comma 2 prevede, a garanzia del pagamento dell’assegno periodico, la sola misura della distrazione dei crediti da lavoro; il che riduce notevolmente le forme di tutela cautelare esperibile, poiché esclude la prestazione obbligata di garanzie reali o personali, il sequestro, la distrazione di altri crediti non derivanti dall’attività lavorativa. Una siffatta disparità di trattamento appare effettivamente di dubbia coerenza costituzionale posto che la crisi della famiglia determinata dalla violenza domestica impone l’affermazione del medesimo livello di tutela garantito in caso di separazione e divorzio. La giurisprudenza28 ha affermato altresì il potere del giudice di disporre le adeguate cautele per assicurare anche alla persona allontanata, se non autosufficiente, il mantenimento. È ciò che accade, in particolare, nel caso in cui la persona allontanata sia il figlio, rispetto al quale i genitori conservano l’obbligo di mantenimento e – come avvenuto nel caso concreto – la prosecuzione degli studi universitari.



9. La lacuna normativa in punto di “affidamento della prole”



Alla luce dell’analisi fin qui svolta, non può non rilevarsi la particolare analogia tra le misure sopra descritte e quelle solitamente adottate nei procedimenti di separazione, divorzio o cessazione della convivenza more uxorio, ove l’assegnazione della casa familiare e l’attribuzione del contributo di mantenimento rappresentano frequentemente l’oggetto di principale contesa tra i genitori. Nello stesso tempo, tuttavia, tale analogia contrasta con la manifesta lacuna legislativa concernente le modalità di frequentazione dei figli da parte del genitore al quale sia stato ordinato l’allontanamento dalla casa familiare. Appare difficile sostenere, infatti, che – nonostante la gravità della condotta dell’abuso – il Giudice non sia chiamato, in sede di adozione degli ordini di protezione, a riconoscere e garantire il diritto del minore a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori], di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale” (art. 337-ter, 1° comma, c.c.). Sarebbe stato assai opportuno, pertanto, che il legislatore, nel disciplinare gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, avesse previsto il potere-dovere del giudice di adottare il provvedimento di affidamento della prole e di regolamentazione della (eventuale) frequentazione tra il genitore allontanato e i figli minori. In mancanza di una previsione legislativa in tal senso, è opportuno che l’applicazione giurisprudenziale si muova parimenti nel senso della fissazione di regole per disciplinare le modalità dell’auspicabile ripristino della convivenza tra il genitore-allontanato e il figlio minore che permanga nella casa familiare.



10. Il divieto di frequentazione di determinati luoghi



Il giudice, con l’ordine di cessazione della condotta e di allontanamento dalla casa familiare, può prescrivere all’autore dell’abuso, ove occorra, il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati da chi abbia richiesto la misura protettiva, come, ad esempio, il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia d’origine o di altri prossimi congiunti, il luogo di istruzione dei figli della coppia. La misura è finalizzata ad evitare ogni occasione di contatto fisico e di frequentazione tra l’autore dell’abuso e le sue vittime o i familiari di queste ultime, in modo da garantire l’adeguata protezione e prevenire la reiterazione di condotte moleste o violente. L’elenco dei luoghi che il giudice può inibire è meramente esemplificativo e la legge stessa fa salvo il caso in cui l’autore degli abusi debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze lavorative, salva la necessità, in tal caso, di adottare cautele a contenuto atipico per proteggere la vittima. È stato opportunamente sottolineato che, poiché la misura incide su libertà costituzionalmente tutelate (artt. 13 e 16 Cost.), il provvedimento dovrà indicare in maniera specifica – a pena di nullità o, comunque, di inefficacia della misura – i luoghi oggetto del divieto di frequentazione, anche allo scopo di consentire il controllo dell’effettivo rispetto delle prescrizioni29.



11. Estinzione delle misure

Le misure di protezione contro gli abusi familiari perdono efficacia nelle seguenti ipotesi.



Termine massimo di efficacia



Gli ordini di protezione sono strutturalmente temporanei e la legge prevede che il giudice, col provvedimento di adozione, ne stabilisca anche la durata, la quale, in seguito alla legge n. 38/09, non può essere superiore a un anno a far data dal momento di effettiva esecuzione (art. 342-ter, 3° comma, c.p.c.). Secondo la giurisprudenza, la mancata indicazione del termine di durata deve intendersi come implicita previsione del massimo stabilito dall’art. 343-ter c.p.c.30. Alla scadenza, il giudice, su istanza di parte, può prorogare la durata dell’ordine di protezione, purché sussistano di “gravi motivi” e per il tempo “strettamente necessario”. Con riferimento ai gravi motivi, è stata opportunamente sostenuto31 che si impone un’interpretazione non particolarmente rigorosa, “nel senso di riconoscere rilevanza anche a fatti e comportamenti che, pur senza tradursi direttamente in nuovi episodi di violenza, tuttavia siano tali, tenuto conto delle contingenze del caso concreto e in particolare della situazione di conflitto venutasi a determinare, da generare ulteriori occasioni di contrasto ed esporre nuovamente a pregiudizio la persona protetta”.



Per sopravvenuto procedimento di separazione L’art. 8, 2° comma, legge n. 154/01 prevede che “L’ordine di protezione adottato ai sensi degli artt. 2 e 3 perde efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l’ordinanza contenente provvedimenti temporanei ed urgenti prevista, rispettivamente, dall’art. 708 c.p.c. e dall’art. 4, l. 1 dicembre 1970, n. 898 e successive modificazioni”. Sebbene, infatti, gli ordini di protezione siano tendenzialmente funzionali al “recupero” dell’unità della famiglia, in concreto la consumazione degli abusi familiari costituisce una condotta con elevata potenzialità di definitiva dissoluzione del legame affettivo e della comunione di vita tra i familiari conviventi, al punto che la richiesta delle misure protettive si risolve spesso in un prologo alla decisione di porre fine alla convivenza. Del tutto coerentemente, pertanto, il legislatore ha previsto che l’ordinanza presidenziale di adozione dei provvedimenti provvisori costituisca causa di estinzione dell’efficacia degli ordini di protezione, salva tuttavia la possibilità che il giudice della separazione o del divorzio adotti provvedimenti del medesimo contenuto di quelli dell’art. 343-ter c.c. (art. 8, 2° comma, legge n. 154/01).



In caso di cessazione della convivenza more uxorio



Si pone, tuttavia, il problema di quando si verifichi l’estinzione degli ordini di protezione nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, nella quale non sussiste l’ordinanza presidenziale. Sul punto, la giurisprudenza32 ha sancito che, in analogia all’art. 8, 2° comma, legge n. 154/01, l’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento, così come stabilito con il decreto emesso ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c., permane sino a quando non sia eventualmente adottato, prima della scadenza del termine di efficacia, un diverso provvedimento del giudice competente in materia di affidamento e di mantenimento. Pertanto – anche alla luce delle modifiche introdotte dalla legge n. 219/12 – deve ritenersi che il giudice ordinario possa pronunciare, durante il procedimento o contestualmente al provvedimento di affidamento della prole (nonché all’assegnazione della casa familiare e al contributo per il mantenimento), gli ordini di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c.



Per circostanze sopravvenute



Occorre chiedersi, poi, se – in caso di convivenza more uxorio – gli ordini di protezione possano perdere automaticamente efficacia prima che sia decorso il termine fissato dal giudice. L’art. 343-ter non prevede espressamente la revocabilità del provvedimento e neppure la disposizione processuale, introdotta dalla legge n. 154 del 2001 (art. 736-bis), contiene tale indicazione. Tuttavia, tale ultima norma si chiude col rinvio, per quanto non previsto, agli artt. 737 ss. c.p.c., riguardanti le disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio e, tra queste norme, l’art. 742 c.p.c. stabilisce che i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati. Deve ammettersi, quindi, che il convivente coattivamente allontanato dal luogo della convivenza possa adire il giudice, manifestando il proposito di cessare definitivamente la relazione more uxorio e chiedendo, conseguentemente, la revoca dei provvedimenti emessi.



12. Profili processuali



Il procedimento per ottenere gli ordini di protezione contro gli abusi familiari si instaura con ricorso avanti al tribunale, che provvede in camera di consiglio e in composizione monocratica (art. 736-bis c.p.c.)33. Il procedimento è caratterizzato da informalità, come risulta dalla possibilità che l’istanza sia presentata anche dalla parte personalmente e dal potere del giudice di procedere all’istruzione “nel modo che ritiene più opportuno”. Come nel caso di procedimenti cautelari, anche gli ordini di protezione possono essere adottati inaudita altera parte, salvo conferma, modifica o revoca del provvedimento con ordinanza successiva alla convocazione delle parti. Il giudice, ove lo ritenga opportuno, può disporre l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti (art. 342-ter, 2° comma, c.c.)34.

Allo scopo di disporre e determinare l’assegno periodico a favore delle persone conviventi, il giudice può disporre, altresì, a mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti. Avverso il provvedimento del giudice monocratico – che, in ogni caso, è provvisoriamente esecutivo – è proponibile il reclamo avanti al tribunale in composizione collegiale, senza la partecipazione del giudice che abbia emesso il provvedimento impugnato. Secondo quanto ritenuto dalla Suprema Corte35, il decreto emesso dal tribunale in sede di reclamo non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario (stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736-bis c.p.c.), né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., stante il difetto dei requisiti di decisorietà e definitività del provvedimento.



13. L’ordine di protezione europeo e il riconoscimento reciproco delle misure di protezione



L’introduzione del c.d. “ordine di protezione europeo”36 e l’avvento del sistema di riconoscimento reciproco delle misure civili di protezione37 nell’ordinamento italiano arricchiscono sensibilmente il quadro normativo della tutela giuridica della persona contro gli abusi familiari. La Direttiva dell’Unione europea38, infatti, si propone l’espresso obiettivo di “garantire che la protezione offerta a una persona fisica in uno Stato membro sia mantenuta […] in ciascun altro Stato membro”, e “che l’esercizio legittimo del diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri […] non si traduca in una perdita di protezione” (Sesto Considerando della Direttiva). Lo strumento predisposto a tal fine è il reciproco riconoscimento delle misure civili e penali, che possono oramai “circolare” liberamente con il loro beneficiario nello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, senza alcuna limitazione dei propri effetti. L’individuazione dei potenziali destinatari del regolamento “eurounitario” pone già in luce un elemento affatto trascurabile nel quadro complessivo della riforma, ossia la rilevanza, ai fini della sua applicazione, di qualsiasi “relazion(e) strett(a)” fra la “persona protetta” e chi “determina il rischio” di “violenze fisiche, molestie, aggressioni sessuali, stalking, intimidazioni o altre forme indirette di coercizione” (sesto considerando). Vi rientrano, quindi, anche le misure di protezione “riguardanti coppie non unite da matrimonio, partner dello stesso sesso o vicini di casa”39, mentre il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni inerenti al rapporto coniugale e alla responsabilità genitoriale dovrebbero continuare a essere disciplinate dal regolamento c.d. Bruxelles II bis40 (undicesimo considerando)41. L’irrilevanza tanto della coabitazione quanto del legame familiare42 è coerente con l’ampia definizione di “misura di protezione” contenuta nell’art. 3 par. 1, n. 1, reg., comprensiva di “qualsiasi decisione, a prescindere dalla denominazione usata”, emanata dalla competente autorità di uno Stato membro nei confronti di “una persona che determina il rischio” per l’integrità fisica o psichica di un’altra persona, al fine di proteggere questa seconda. Oltre l’elemento teleologico, per la configurabilità di una misura (civile o amministrativa) di protezione rileva il contenuto precettivo del provvedimento, che può avere ad oggetto:

a) il divieto d’ingresso “nel luogo in cui la persona protetta risiede o lavora o che frequenta o in cui soggiorna regolarmente” ovvero la sua limitazione. Nel divieto di ingresso possono ritenersi impliciti sia l’allontanamento della casa familiare del coniuge o del convivente sia l’ingiunzione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante (art. 342-ter comma 1 c.c.);

b) il divieto di contattarla o le condizioni a cui ciò può avvenire;

c) il divieto o la regolamentazione dell’avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito43. Nell’ordinamento italiano, l’attuazione di tale misura potrebbe coinvolgere, se ritenuto opportuno dal giudice, i servizi sociali del territorio o un centro di mediazione familiare ovvero le associazioni di sostegno e accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati (art. 342-ter comma 2 c.c.). Da quanto precede si desume che il pagamento periodico di un assegno ai conviventi della persona determinante il rischio non costituisce una “misura di protezione” ex art. 1 par. 1° reg. n. 606 del 2013. Il riconoscimento e l’esecuzione del provvedimento patrimoniale ricadono, quindi, sotto la disciplina del regolamento n. 4 del 2009 sulle obbligazioni alimentari44. Tale regolamento, infatti, si applica a “tutte le obbligazioni alimentari derivanti da rapporti di famiglia, di parentela, di matrimonio o di affinità” (undicesimo considerando). Inoltre, la “formulazione sopranazionale” del concetto di “obbligazione alimentare” elaborata dalla Corte di Giustizia, essendo “autonoma” dalle “categorie proprie delle legislazioni nazionali”, “va interpretata in senso ampio”45 e, così intesa, è assolutamente compatibile con la misura dell’assegno periodico di cui all’art. 342-ter comma 2 c.c.



14. Il rapporto tra tutela civile e penale in Europa



La Direttiva 2011/99/UE, cronologicamente antecedente al regolamento n. 606 del 2013, adotta l’impostazione binaria già seguita dal codice civile dopo la novella del 2003, definendo la “misura di protezione” come “una decisione in materia penale” nei confronti della “persona che determina il rischio” e contro “un atto di rilevanza penale”, che può porre “in pericolo la vita, l’integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l’integrità sessuale” della persona protetta (art. 2 par. 1, lett. b, dir.). Da questa definizione si desume, in negativo, l’esclusione delle misure civili dall’ambito di applicazione della Direttiva, esclusione testualmente affermata nel decimo considerando, ove si precisa, inoltre, l’irrilevanza della “natura penale, amministrativa o civile dell’autorità” che emana il provvedimento ai fini della sua rituale adozione. La scelta di limitare l’ordine europeo di protezione a comportamenti penalmente illeciti si pone in continuità con la risoluzione del Consiglio concernente il rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali46, allorquando si affermava che il sistema di riconoscimento reciproco delle decisioni penale avrebbe dovuto “essere integrat[o] da un adeguato meccanismo riguardante le misure adottate in materia civile” (quinto considerando47). Il meccanismo auspicato è stato introdotto dal regolamento n. 606 del 201348 e mira ad assicurare alle vittime di atti persecutori, violenza o molestie, che abbiano beneficiato di misure di protezione in uno Stato membro, forme di tutela equivalente in un altro Stato dell’Unione, senza che sia necessario instaurare un procedimento intermedio di exequatur49 (art. 4 reg.). Per le misure penali, al contrario, la Direttiva stabilisce che oggetto di esecuzione sia uno specifico “ordine di protezione europeo”, la cui concessione presuppone la previa adozione, in favore del richiedente, di un provvedimento equivalente nello Stato membro di origine (art. 6 par. 2 e 3 dir.; art. 5, d.lgs. n. 9 del 2015). Il rapporto fra tutela civile e penale è, quindi, di autonomia e non di antinomia; l’ottavo considerando ha cura di precisare in proposito che il Regolamento integra la Direttiva 2012/29/ UE, concernente i diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reato50 e che l’applicazione di una misura civile “non osta necessariamente” alla sua qualificazione come ““vittima” ai sensi di tale direttiva”. Nella Direttiva 2011/99/UE si afferma, inoltre, che, essendo opportuna una “ampia flessibilità alle modalità di cooperazione tra gli Stati membri”, […], l’autorità competente dello Stato di esecuzione non è tenuta ad adottare” necessariamente la stessa misura oggetto della domanda, ma dispone di un margine di discrezionalità nella scelta di una misura “consona alla propria legislazione nazionale” e idonea ad “assicurare una protezione costante alla persona” (ventesimo considerando). In questo modo, le istituzioni dell’Unione Europea mirano a favorire, all’interno dello spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia, l’attuazione della maggior parte, se non della totalità, delle misure di protezione, civili e penali, adottate dagli Stati membri, coerentemente con il Programma di Stoccolma e il suo piano di attuazione51. L’irrilevanza, ai fini del riconoscimento reciproco, dell’illiceità penale della condotta della persona che determina il rischio, consente, infatti, alla misura protettiva di spiegare effetti indipendentemente dalla pendenza di un procedimento penale. Ne segue che il beneficiario di un ordine di protezione contro gli abusi familiari, concesso da un giudice italiano ex artt. 342-bis e 342-ter c.c., può ora richiedere un certificato, la cui produzione nella sede competente dell’autorità di un diverso Stato membro estenderà l’efficacia della misura nel territorio di tale Stato. Il tredicesimo considerando prevede che, “per tener conto dei vari tipi di autorità che dispongono misure di protezione in materia civile negli Stati membri, e diversamente da al tri settori della cooperazione giudiziaria, il […] regolamento dovrebbe essere applicato” anche “alle decisioni […] delle autorità amministrative”, a condizione che ne siano garantite l’imparzialità e il diritto delle parti ad un loro controllo giurisdizionale. La disciplina “eurounitaria” è quindi applicabile anche all’ammonimento formulato del questore nei confronti dell’autore di stalking, quando non sia proposta querela (art. 8 del decreto legge 23 febbraio 2009, n. 1152), o dell’autore di delitti di percosse e lesioni personali aggravate, consumate o tentate in ambito domestico, in caso di segnalazione anonima alle forze dell’ordine (art. 3 del decreto legge 14 agosto 2013, n. 9353). Cadono, in tal modo, le incertezze sull’applicabilità della Direttiva 2011/99/UE a tali provvedimenti, che può ritenersi definitiva mente esclusa alla luce della loro natura extrapenale54.



15. Il certificato europeo per l’esecuzione delle misure di protezione



Lo strumento di semplificazione di maggiore rilevanza introdotto dal Regolamento è costituito dal “certificato […] standard multilingue” (art. 5 reg.), che contiene le informazioni del provvedimento di protezione, emanato in uno Stato membro, essenziali al suo riconoscimento e alla sua esecuzione in un diverso Stato dell’Unione europea. La durata del riconoscimento coincide con il termine di efficacia della misura di protezione, a meno che questa abbia durata indefinita o superiore a dodici mesi: in tal caso, gli effetti del riconoscimento cessano decorsi dodici mesi dal momento del rilascio del certificato (art. 4 par. 4 reg.)55. Il Regolamento non contempla la possibilità di una proroga, al contrario di quanto prevede l’art. 342-ter comma 3 c.c. per l’ordine di protezione, quando vi siano “gravi motivi e per il tempo strettamente necessario”. Di particolare interesse è la previsione, in favore dell’autorità richiesta di dare esecuzione alla misura, del potere di “adegua[rne]” gli “elementi fattuali”, “ove e per quanto necessario” alla sua “applicazione” (art. 11 reg.). Il testo della norma, invero, è alquanto anodino, essendo difficile comprendere come il giudice (o la diversa autorità competente) possa modificare i profili di fatto della domanda. Più chiaro e di indubbio valore esegetico è la formulazione originaria dell’articolo, contenuta nella proposta dalla Commissione europea: la disciplina dell’“adattamento” – come definiva l’istituto l’art. 8 della proposta – opera nel caso in cui la misura richiesta sia “ignota al diritto nazionale del secondo Stato membro” e consente all’autorità dello Stato di esecuzione di “adattarla, per quanto possibile, a una misura del proprio diritto interno che abbia efficacia equivalente e persegua obiettivi e interessi analoghi”56. L’esercizio di questo potere conformativo-sostitutivo è suscettibile di sindacato giurisdizionale, su ricorso, privo di efficacia sospensiva, della parte interessata ed in conformità al diritto processuale di ciascuno Stato (art. 11 par. 5 reg.). L’interpretazione “storica” dell’art. 11 reg. è suffragata da un argomento sistematico: l’art. 13 stabilisce, infatti, che “il riconoscimento della misura di protezione non può essere negato a motivo del fatto che il diritto dello Stato membro richiesto non prevede per i medesimi fatti un’analoga misura” (terzo paragrafo). Ai fini del rilascio del certificato, la “persona che determina il rischio” deve aver avuto la possibilità di esercitare il proprio diritto di difesa nel procedimento conclusosi con l’emanazione della misura protettiva (art. 6 reg.), ex ante o ex post, a seconda che il provvedimento sia pronunciato in contraddittorio o inaudita altera parte (art. 6 reg.)57, mentre non è necessario che questi abbia raggiunto una qualche stabilità, essendo sufficiente che la misura sia divenuta esecutiva nello Stato di origine (art. 4 par. 3 reg.). Ove il certificato sia rilasciato in assenza di tale requisito o degli altri indicati all’art. 6 reg. cit.58, l’unica forma di controllo che il destinatario della misura sembra poter sollecitare è il mezzo di impugnazione previsto dal diritto dello Stato membro per la corrispondente misura di protezione59, es sendo dal Regolamento espressamente escluso tanto il ricorso contro il rilascio del certificato (art. 5 par. 2), quanto un riesame nel merito del provvedimento oggetto di esecuzione (art. 12). In tal caso, se il giudice accoglie il gravame, disponendo la revoca o sospensione della misura ovvero la sospensione o la limitazione della sua efficacia esecutiva, rilascia un certificato attestante la decisione, cosicché l’interessato possa chiedere all’autorità competente nell’altro Stato membro la sospensione o la revoca del riconoscimento e dell’esecuzione della misura (art. 14 reg.). Si può affermare, in conclusione, che il Regolamento n. 606 del 2013 sostituisce, nella materia degli ordini di protezione, la disciplina contenuta nella legge 31 maggio 1995, n. 21860 con norme di riconoscimento ed esecuzione, che indubbiamente favoriscono la “circolazione” della misura protettiva nell’Unione europea: la reciprocità del riconoscimento, la creazione del “certificato standard” quale titolo per l’esecuzione nello Stato richiesto e la sensibile riduzione dei motivi di diniego sono all’apparenza strumenti validi per l’esercizio e la difesa di molti dei diritti fondamentali proclamati dalla Carta di Nizza, come l’integrità fisica e psichica (art. 3), il rispetto della vita privata (art. 7) e la libertà di circolazione e soggiorno (art. 45). La loro applicazione, tuttavia, presuppone che la persona bisognosa di protezione sia riuscita a chiedere protezione, mentre le indagini conoscitive condotte su scala europea rilevano come, nella maggior parte dei casi, accada ancora il contrario, non instaurandosi alcun contatto tra l’autorità giudiziaria e la vittima dell’abuso, spesso schermato proprio dal legame familiare61. È necessario, quindi, che le iniziative dell’Unione Europea in subiecta materia per l’edificazione di un’“Europa dei diritti” e “della giustizia”62, proseguano con la consapevolezza, da parte delle istituzioni, delle problematiche che precedono l’accesso delle vittime di violenza alla tutela dei loro diritti.

NOTE

1 Nell’ampia bibliografia in tema, si richiamano, senza pretesa di completezza e in ordine

alfabetico: carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia

e Diritto, 2004, 388 s.; cianci, Gli ordini di protezione familiare, II ed., Milano, 2005; De Bonis,

Abusi familiari e ordini di protezione, in FerranDo (diretto da), Il nuovo diritto di famiglia, t. I,

Bologna, 2007, 576 s.; De Marzo, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Famiglia e

Diritto, 2003, 266 s.; Di Martino, Violenze familiari, Napoli, 2004; Di Florio, Violenza in famiglia e

nuovi poteri del giudice minorile, in Quest. Giust., 2002, 877 s.; Di lorenzo, La convivenza tra

familiari nella disciplina civilistica degli ordini di protezione, in Fam. Pers. Succ., 2007, 606 s.;

FaVilli, voce Violenza nelle relazioni familiari e parafamiliari, in Il Diritto Enc. Giur. del Sole 24 Ore,

vol. XVI, Milano, 2008, 597 s.; Fierro cenDerelli, Abuso e violenze in famiglia nel diritto civile,

internazionale e penale, Padova, 2006; Mazzotta Mariani, In termini di ordini di protezione in

materia familiare, in Foro It., 2003, I, 948 s.; Morani, La nuova normativa di protezione a favore del

familiare più debole contro gli abusi nelle relazioni domestiche, in Giur Merito, 2003, 835 s.;

pistorelli, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa familiare;

pagamento di un assegno, in rionDato (a cura di), Diritto penale della famiglia, in zatti (diretto da),

Trattato di diritto di famiglia, t. IV, Milano, 2002, 87 s.; russo, Gli ordini di protezione contro gli

abusi e le violenze subiti in famiglia, in Dir. e Giust., 2004 (16), 108 s.; saBato, Gli ordini di

protezione contro gli abusi familiari: prime elaborazioni della giurisprudenza, in Nuova giur. civ.

comm., 2006, I, 237 s.; L.A. scarano, L’ordine di allontanamento dalla casa familiare, in Familia,

2003, 331 s.

2 Cass., 1° settembre 1997, n. 8317, in Giur It., 1998, 1109, secondo cui in tema di provvedimenti

temporanei ed urgenti, l’ordinanza del presidente del tribunale o del giudice istruttore in un

processo di separazione personale tra coniugi attributiva, ad uno di essi, del diritto di abitare la

casa familiare deve ritenersi soggetta, in mancanza di spontaneo adempimento, ad esecuzione

coattiva in via breve (a mezzo del competente ufficiale giudiziario), ovvero alla normale procedura

di esecuzione forzata, con la conseguenza che, nella prima ipotesi, giudice competente per

l’esecuzione sarà quello che ha emesso il provvedimento (ovvero quello competente per il merito,

se risulti iniziato il relativo giudizio), mentre, nella seconda, la competenza si radica in capo al

giudice dell’esecuzione, secondo le regole ordinarie.

3 gazzoni, Assegnazione della casa familiare e trascrivibilità della domanda giudiziale, in Dir.

Famiglia, 2008, 2, 750, ove si esprime apprezzamento per la stessa tesi parimenti espressa da Trib.

Pisa 27 febbraio 2008, ivi, 737 ss.

4 Ex plurimis, Cass. 1 giugno 2006 n. 13137, in Dir. fam. pers., 2007, 3, 1102. In dottrina, per la

natura personale del diritto del genitore assegnatario, cuBeDDu, La casa familiare, Milano, 2005,

367; in senso contrario, tuttavia, occorre richiamare la tesi di Bianca, Diritto Civile, 2.1, La famiglia,

Milano, 2014, 224, secondo cui “la natura reale del diritto di abitazione si desume dalla sua

immediatezza. Il diritto di godimento è infatti esercitato sulla casa familiare senza il tramite di un

obbligo del proprietario o usufruttuario. La natura reale appare poi appropriata alla finalità di

tutela dell’interesse dell’assegnatario e dei suoi figli. Essa conferisce infatti la legittimazione

all’azione di manutenzione e la legittimazione a votare nell’assemblea condominiale sugli affari di

ordinaria amministrazione e di semplice godimento delle cose comuni e dei servizi”. Per una

disamina completa della questione, alla luce delle norme in materia di affidamento condiviso, irti,

Affidamento condiviso e casa familiare, Napoli, 2010, 102-105.

5 Sul problema della permanente vigenza dell’art. 6, 6° co., l. n. 898/70, ancora le chiare pagine di

gazzoni, op. cit., 751-753. Nello stesso senso, palaDini, L’abitazione della casa familiare

nell’affidamento condiviso, in Fam. Dir., 2006, 3, 333; BellanoVa, De Filippis, Fiorillo, giannattasio,

Mea, Molinaro, palaDini, scarpa, in L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel

divorzio, Padova, 2010, 86 ss.



6 Cass. 21 gennaio 2011, n. 1423; Cass. 30 aprile 2009 n. 10104; Cass. 17 luglio 2008 n. 19691.

7 In tal senso, ad esempio, la Suprema Corte ha affermato che il locatore, il quale intenda agire per

lo sfratto, deve convenire, in caso di pregressa successione nel contratto ai sensi dell’art. 6 legge n.

392/1978, colui che è succeduto nel rapporto contrattuale (nel caso di specie, trattatasi del

convivente more uxorio) e non già l’originario conduttore (Cass., 10 ottobre 1997, n. 9868, in Fam.

Dir., 1998, 175).

8 Secondo cianci, op. cit., 172, “qualora [la persona allontanata] sia [...] titolare di un contratto di

locazione, il provvedimento del giudice conterrà la condanna alla prosecuzione al pagamento del

canone, volta a consentire l’uso dell’immobile agli altri familiari. [...] In caso di inadempimento

dell’obbligato, gli altri congiunti potranno provvedere al pagamento, surrogandosi ai diritti del

locatore, del condominio e dei gestori dei servizi”.

9 Si pensi, a mero titolo esemplificativo, al potere della parte succeduta nel contratto di

pretendere dal locatore l’esecuzione delle riparazioni necessarie (art. 1576 c.c.) o di essere di

essere garantito dalle molestie che diminuiscono l’uso o il godimento della cosa arrecate da terzi

che pretendono di avere diritti sulla cosa (art. 1585 c.c.).

10 Trib. Firenze 4 dicembre 1992, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1993, 939.

11 Cass., sez. un., 21 luglio 2004 n. 13603, in Familia, 2004, 867, con nota di scarano.

12 La Suprema Corte stabilì, pertanto, l’estinzione del diritto personale di godimento in

conseguenza dell’alienazione a terzi del diritto di proprietà sul bene da parte del coniuge non

assegnatario, ferma restando la possibilità di ottenere a carico del coniuge venditore

dell’immobile una diversa regolamentazione dell’obbligo di mantenimento, non più attuato

tramite l’abitazione della casa coniugale: Cass., 31 gennaio 1986, n. 624, in Foro It., 1986, I, 1317.

13 C. Cost. 27 luglio 1989, n. 454, in Nuova Giur. Civ. Comm., 1990, 292, con nota di Di narDo. Poco

prima dell’entrata in vigore della legge n. 54/2006, C. Cost. 21 ottobre 2005 n. 394, in Dir. giust.

2005, n. 40, 18, con nota di Dosi, affermò che dovesse ritenersi consentita anche la trascrizione del

provvedimento di assegnazione disposta in favore del genitore in seguito a rottura della

convivenza more uxorio.

14 Cass., sez. un., 26 luglio 2002, n. 11096, in Giust. Civ., 2003, 93.

15 In questo senso si è pronunciata Cass. 19 luglio 2012 n. 12466.

16 C. Cost. 27 luglio 1989, n. 454, cit.

17 cianci, op. cit., 73.

18 carrera, Violenza domestica e ordini di protezione contro gli abusi familiari, 2004, 390, ove si

sottolinea che “la legge persegue il significativo intento di fornire una protezione tempestiva,

rapida e sollecita, volta a interrompere il ciclo della violenza nell’immediatezza dei fatti,

mantenendo aperta la strada alla ricostituzione e al recupero delle relazioni familiari”.

19 Cass., sez. un., 28 ottobre 1995, n. 11297, in Dir Famiglia, 1996, 499; Cass., sez. un., 23 aprile

1982, n. 2494, in Foro It., 1982, I, 1895. Nello stesso senso, Cass., 1° agosto 2013, n. 18440.

20 L’assenza di figli deve ritenersi, invero, la regola nell’unione civile, stante l’espressa

inapplicabilità delle norme sull’adozione (comma 20, legge n. 76/2016); non può escludersi,

tuttavia, che l’unito civile conduca con sé, nella convivenza con l’altra parte, figli avuti da

precedenti relazioni eterosessuali.

21 Secondo la giurisprudenza, infatti, in presenza di una relazione di fatto non transeunte e tale da

realizzare una stabile convivenza, il convivente more uxorio è legittimato ad agire in reintegrazione

contro l’altro convivente che lo abbia estromesso dall’abitazione comune, dato che la sua

posizione giuridica è quella di un detentore qualificato del bene immobile (Cass. 21 marzo 2013 n.

7214, Giust. civ., 2013, I, 2455; Trib. Perugia 22.9.1997, in Foro It., 1997, I, 3686; nello stesso

senso, cfr. Pret. Firenze 27 febbraio 1992, in Foro It., 1993, I, 1712). Secondo un precedente

orientamento, peraltro, “la convivenza more uxorio genera un rapporto di ospitalità reciproca; è,



perciò, inammissibile l’azione di reintegrazione, ex art. 1168 c.c., proposta dal convivente non

proprietario nei confronti del convivente proprietario, al fine di essere riammesso nell’abitazione

ove si è svolta la relazione familiare di fatto” (Pret. Vigevano 10 giugno 1996, in Nuova Giur. Civ.

Comm., 1997, 240 con nota di lepre; Pret. Pietrasanta 19 aprile 1988, in Giur. It., 1990, 142).

22 Pret. Pisa 30 marzo 1990, in Foro It., 1991, I, 329; Pret. Firenze 26 ottobre 1990, in Giur merito,

1992, 861.

23 Per la tesi estensiva, secondo cui la misura di protezione può essere adottata

indipendentemente dalla circostanza del matrimonio, De giorgi, La casa nella geografia familiare,

in Eur dir. priv., 3, 2013, 761.

24 Sulla vasta problematica dei rapporti tra famiglia e responsabilità civile, cfr., ex plurimis, patti,

Famiglia e responsabilità civile, Milano, 1984; sesta (a cura di), La responsabilità nelle relazioni

familiari, in Nuova Giurisprudenza di Diritto Civile e Commerciale, Torino, 2008.

25 In tal senso, non appare condivisibile la decisione della Suprema Corte, che ha negato

l’applicazione dell’istituto dell’assegnazione della casa famiglia nella fattispecie della famiglia

ricomposta: Cass., 2 ottobre 2007 n. 20688, in Giust. civ., 2008, 9, 1955.

26 Murgo, La misura patrimoniale dell’assegno, in Gli abusi familiari (a cura di palaDini), cit., 205.

27 cianci, op. cit., 191.

28 Trib. Messina 24 settembre 2005 (in Dir. giust. 2006, 3, 32, con nota di

cascone), secondo cui “per il figlio stressato che rende invivibile la vita familiare può scattare

l’allontanamento assistito. Cioè, ai fini di una pacifica convivenza domestica al ragazzo o alla

ragazza viene ordinato di andare a vivere altrove, fermo restando che i genitori si fanno carico di

tutto, mantenimento e spese universitarie comprese”.

29 In questo senso, Cass. pen. 8 luglio 2011 n. 26819, che, pur in sede di applicazione della

corrispondente previsione penale dell’art. 282-bis c.p.p. detta regole opportunamente estensibili

al contenuto della misura di protezione prevista dall’art. 342-ter c.c. In senso contrario, invece,

Trib. Genova 26 luglio 2011, in www.avvocatidifamiglia.net che si limita a sancire il “divieto di

allontanarsi dal domicilio coniugale e di non avvicinarsi ad altri luoghi abitualmente frequentati dal

coniuge e dai figli”.

30 Trib. Teramo 18 agosto 2006 in P.Q.M. 2006, 2, 3, 78.

31 onDei, Gli ordini di protezione: problematiche sostanziali e processuali con

cenni comparatistici, Relazione all’incontro di studio organizzato dal C.S.M., Ufficio della

formazione decentrata presso la Corte di Appello di Brescia, 11 luglio 2012.

32 Trib. Piacenza 23 ottobre 2008, in Foro Pad., 2010, 2, I, 430, con nota di DanoVi.

33 Per gli aspetti processuali, amplius D’alessanDro, Aspetti processuali, in Gli abusi familiari (a

cura di Paladini), cit., 223 ss.

34 conForti, Il contenuto, in Gli abusi familiari (a cura di Paladini), cit., 170 ss.

35 Cass. 15 gennaio 2007, n. 625; Cass. 5 gennaio 2005, n. 208.

36 Decreto legislativo 11 febbraio 2015, n. 9, Attuazione della direttiva 2011/99/UE del

Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo, in

G.U. n. 44 del 23 febbraio 2015. In materia, sia consentito rinviare a M. palaDini, Misure civili di

protezione della persona e riconoscimento delle decisioni, in Gli abusi familiari in Europa, a cura di

Belluta, Milano, 2016, 155-166.

37 Regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013

relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, in G.U.U.E. n. l.

181 del 29 giugno 2013 (http://eur-lex. europa.eu/), entrato in vigore il 10 gennaio 2015.

38 Direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 sull’ordine

di protezione europeo, in G.U.U.E. n. l. 338 del 21 dicembre 2011(http://eur-lex.europa.eu/).



39 Art. 1 (“Campo di applicazione”) della Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del

Consiglio relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile,

Bruxelles, 18.5.2011, COM(2011) 276 definitivo, 2011/0130 (COD) (http://eur-lex.europa.eu/).

40 Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza,

al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di

responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000, in G.U.C.E. n. l. 338 del 23

dicembre 2003 (http://eur-lex.europa.eu/). Può, inoltre, escludersi, alla luce del principio di

specialità, che siano applicabili le disposizioni del regolamento c.d. Bruxelles I bis sul

riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. La proposta di

regolamento della Commissione specificava direttamente (sesto considerando) che, per “le misure

rientranti nel suo campo di applicazione”, il testo in esame avrebbe prevalso sul reg. (CE) n.

44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, sostituito, dal 10 gennaio 2015, con il reg. (UE) n.

1215 del 2012. Analoghe indicazioni sono desumibili dal trentaquattresimo considerando della

direttiva 2011/99/UE, secondo cui il riconoscimento e l’esecuzione di una decisione concernente

una misura di protezione, che ricada nella sfera di applicabilità dei regolamenti c.d. Bruxelles I bis e

II bis o della convenzione dell’Aia del 1996, “dovrebbe essere perseguito conformemente alle

disposizioni dello strumento giuridico pertinente”.

41 Potrebbe essere il caso della decisione di decadenza, ossia di “revoca totale o parziale della

responsabilità genitoriale” (art. 1 par. 1, lett. b, reg. n. 2201 del 2003), per violazione dei doveri

inerenti o abuso dei relativi poteri (art. 330 c.c.). Quanto ai profili sostanziali del rapporto fra

ordini di protezione e separazione personale dei coniugi sia consentito il rinvio a Gli ordini di

protezione contro gli abusi familiari: misure “anticipatorie” dei provvedimenti provvisori nella

separazione personale?, in Fam Pers. Succ., 2010, 566 s.

42 L’esigenza di un puntuale riscontro del requisito della coabitazione per la pronuncia di un

ordine di protezione ex art. 342-ter c.c. è sottolineata da renDa, voce Abusi familiari (diritto civile):

a) profili soggettivi e oggettivi, in Annali Enc. dir., vol. VII, Milano, 2014, 1, che critica “l’eccessiva

disinvoltura della giurisprudenza nell’applicare la disciplina a semplici relazioni interpersonali”.

43 L’ordine di protezione europeo ha analogo contenuto (art. 5 dir.), che l’art. 9, d.lgs. n. 9 del

2015 ha ricondotto alle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.p.

44 Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008 relativo alla competenza, alla

legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia

di obbligazioni alimentari, in G.U.C.E. n. l. 7 del 10 gennaio 2009 (http://eur-lex.europa.eu/).

45 Cass. civ., SS. UU., ord. 1° ottobre 2009 (ud. 22 settembre 2009), che ha qualificato come

“obbligazione alimentare” il mantenimento del coniuge, dichiarando la giurisdizione italiana per la

domanda di corresponsione degli arretrati dell’assegno, proposta da una cittadina italiana nei

confronti della nuova moglie del suo ex marito, trasferitosi negli Stati Uniti d’America e ivi

deceduto.

46 Risoluzione del Consiglio del 10 giugno 2011 relativa a una tabella di marcia per il

rafforzamento dei diritti e della tutela delle vittime, in particolare nei procedimenti penali, in

G.U.U.E. n. C 187 del 28 giugno 2011 (http://eurlex.europa.eu/).

47 La scelta di questa tecnica normativa parallela sembra motivata dalla consapevolezza delle

diverse “tradizioni giuridiche degli Stati membri” e dalla volontà di non interferire con i sistemi

nazionali, di cui non si richiede alcuna modifica per l’adozione delle misure di protezione (ottavo

considerando della direttiva e dodicesimo considerando del regolamento). Cfr. Moioli, Le nuove

misure “europee” di protezione delle vittime di reato in materia penale e civile, in Eurojus, 27

febbraio 2015, 1 (http://www.eurojus.it/).



48 Per una disamina dell’iniziativa legislativa e della originaria proposta di regolamento si veda

silVestri, La proposta di regolamento europeo in materia di riconoscimento delle misure di

protezione, in Famiglia e diritto, 2012, 1062 s.

49 Il principio del riconoscimento automatico delle decisioni è divenuto oramai una caratteristica

del diritto internazionale privato di fonte “eurounitaria”. È sufficiente richiamare, per tutti, il

Regolamento c.d. Bruxelles I-bis, n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012, in G.U.U.E. n. l. 351 del 20

dicembre 2012 (http://eur-lex.europa.eu/), che ha sostituito, dal 10 gennaio 2015, il Regolamento

(CE) n. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale, riconoscimento ed esecuzione delle

decisioni in materia civile e commerciale, abolendone l’exequatur (art. 39).

50 Dir. 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce

norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce

la decisione quadro 2001/220/GAI, in G.U.U.E. n. l. 315 del 14 novembre 2012 (http://eur-

lex.europa.eu/). In tema v. Pisapia, La protezione europea garantita alle vittime della violenza

domestica, in Cass. pen., 2014, 1866.

51 Consiglio Europeo, Programma di Stoccolma, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei

cittadini (G.U.U.E. n. C 115 del 4 maggio 2010) e Comunicazione della Commissione al Parlamento

europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni del 20

aprile 2010 Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei Piano d’azione

per l’attuazione del programma di Stoccolma [COM (2010) 171 definitivo] (http:// eur-

lex.europa.eu/).

52 D.l. 23 febbraio 2009, n. 11, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla

violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori, in G.U. n. 45 del 24 febbraio 2009,

convertito, con modificazioni, dalla l. 23 aprile 2009, n. 38, in G.U. n. 95 del 24 aprile 2009.

53 D.l. 14 agosto 2013, n. 93, Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della

violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province, in

G.U. n. 191 del 16 agosto 2013, convertito con modificazioni dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, in

G.U. n. 242 del 15 ottobre 2013.

54 Cfr. Minnella, Riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, in Diritto e

Giustizia, 13 gennaio 2015 (http://www.dirittoegiustizia.it/).

55 Questo limite temporale, assente in altri regolamenti dell’Unione europea nell’ambito della

cooperazione giudiziaria civile, è riconducibile sia alle condizioni di emergenza che caratterizzano

l’applicazione delle misure protettive sia alle notevoli diversità tra gli Stati membri del loro termine

di durata. Cfr. Moioli, Le nuove misure “europee” di protezione delle vittime di reato in materia

penale e civile, cit., 4, che coglie in ciò una potenziale vulnus alla tutela della persona protetta.

56 Uno studio sistematico dei possibili contenuti, che la misura di protezione applicata da un

giudice italiano può avere, richiederebbe una riflessione a sé. Sia, quindi, consentito il rinvio alla

nostra voce Abusi familiari (diritto civile), b) Contenuto dell’ordine di protezione, in Annali Enc.

dir., vol. VII, Milano, 2014, 9 s.

57 Il differimento del contraddittorio è ammesso dal nostro codice di rito, in caso di “urgenza”

(art. 736-bis comma 3 c.p.c.), e tale eventualità costituisce un unicum nell’ambito dei

procedimento camerali: cfr. sessantini, in coMoglio, consolo, sassani, Vaccarella (diretto da),

Commentario del codice di procedura civile, vol. VII, t. III, Torino, 2014, sub art. 736-bis, 219.

58 Ci si riferisce alla manifesta contrarietà della misura all’ordine pubblico (lett. a) e alla sua

inconciliabilità con un provvedimento emesso o riconosciuto nello Stato membro richiesto (lett. b).

Palmare è l’esiguità dei motivi di diniego in confronto alle ragioni che impediscono il rilascio

dell’ordine di protezione europeo (art. 10 dir.).

59 Cfr. silVestri, La proposta di regolamento europeo in materia di riconoscimento delle misure di

protezione, cit., 1065. Nel nostro ordinamento, come è noto, il decreto con cui il giudice adotta,

conferma o modifica (nonché revoca) l’ordine di protezione è suscettibile di reclamo al tribunale in

composizione collegiale (art. 736-bis comma 5 c.p.c.). Il decreto del tribunale non è impugnabile

(art. 736-bis comma 5, ult. pt., c.p.c.), essendo privo dei requisiti della decisorietà e della

definitività: cfr. Cass., 6 novembre 2009 (ud. 28 settembre 2009); Cass., 15 gennaio 2007 (ud. 21

novembre 2006). Contra Bianca, Diritto civile, 2, IV ed., Milano, 2005, 525, secondo cui l’incidenza

del provvedimento sulla libertà della persona ne giustifica l’impugnazione con ricorso per

cassazione per violazione di legge. Per un inquadramento della disciplina contenuta nel codice di

rito si veda D’alessanDro, Profili processuali, in palaDini (a cura di), Gli abusi familiari, Padova,

2009, 223 s.

60 L. 31 maggio 1995, n. 218, Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in G.U.

n. 128 del 3 giugno 1995, S.O. n. 68.

61 Si vedano, a titolo esemplificativo, i dati rilevati dall’Agenzia dell’Unione europea per i diritti

fondamentali (FRA) con una indagine su scala europea e consultabili all’indirizzo web

http://fra.europa.eu/it.

62 Consiglio Europeo, Programma di Stoccolma, Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei

cittadini, cit.