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L’efficacia del linguaggio come strategia di contrasto alla violenza domestica: una riflessione preliminare

autore: F. Dragotto

La ricerca linguistica giunge in pieno Ottocento a una fase di maturazione dalla quale scaturisce l’aspirazione ad addivenire a scienza, alla stregua di quanto si va progressivamente realizzando in altri contesti di conoscenza. Da allora, e non senza conflitti e fratture, la moderna linguistica opera in molteplici modi e con fini ora complementari ora alternativi per ricavarsi uno spazio tra le scienze: uno spazio ipso facto intriso di sostanza “naturale” e insieme sociale e culturale. Biologia, società e cultura sembrano infatti costituire i tre elementi irrinunciabili dai quali scaturisce, per la fase evolutiva attuale della nostra specie, la possibilità di acquisire una lingua e subito servirsene per i più disparati scopi, non ultimo quello di dare forma al pensiero e al ricordo. In questa sede ci si limiterà ad alcune considerazioni sparse, volte per lo più a mostrare quanto esteso possa essere lo spazio comune alle scienze del linguaggio e quelle del diritto: uno spazio, in parte lambito e in parte ancora da scoprire, della cui pratica potrebbe giovarsi in special modo chi si interessi di diritto di famiglia, essendo compresa nella concezione stessa attuale dell’istituto della famiglia, sulla quale, come si vedrà, può gettar luce la semantica, la presenza, oltre che di due genitori, quella della prole: bambini e bambine che vanno costruendo i propri modelli di relazioni, familiari e sociali in genere, assumendo a misura quello delle relazioni significative di cui sono parte fin dall’inizio della loro vita. Modelli che si cementeranno con la lingua assurgendo a sistema di coordinate atte a contenere (de-finire) il mondo e la sua organizzazione. Descrittive e non prescrittive, sincroniche o diacroniche, le scienze del linguaggio mirano ora alla definizione e alla descrizione delle lingue in senso formale, che può comprendere la spiegazione di cosa consenta a un cucciolo della specie di appropriarsi di quella/e che sarà/anno la/e sua/e lingua/e, ora, invece, a cercare di spiegare cosa accade quando, usando una (varietà di) lingua, si mette in moto quel processo cui si è soliti riferirsi col nome di comunicazione, includendo o meno in esso, a seconda dell’interesse che muove la descrizione, gli esiti dei diversi tipi di variabili (sociali, contestuali, linguistiche proprie di altri linguaggi ecc.) che lo determinano. Caso, questo, in cui si parlerà di approccio funzionale. Interessate anche alla comparazione di sistemi, adottano punti di vista diversi nella descrizione dei processi linguistici, tanto a monte tanto a valle, così che alcune branche si occupano di ciò che rende possibile il fatto di poter parlare una lingua e, conseguentemente, produrre testi1 , mentre altre prediligono l’analisi delle strutture testuali prodotte e del loro rapporto con il mondo circostante. Tra i testi prodotti, alcuni più di altri possono interessare le scienze giuridiche, oltre che quelle linguistiche: è il caso delle sentenze, il tipo più studiato di testo giuridico (un macrotipo dal quale procedono assetti testuali diversi, anche molto, tra di loro: provvedimenti, protocolli, circolari e, naturalmente, decreti, leggi e costituzioni e tanti altri che, per chi se ne è occupato/a da un punto di vista linguistico2 , possono essere ripartiti in tre gruppi, ciascuno corrispondente a una specifica attività), o, su un piano di realizzazione del tutto diverso, del parlato prodotto nel corso di una conversazione registrata – un’intercettazione, per esempio, o una telefonata, magari anonima. Oggetto di studio della fonetica forense, quest’ultima tipologia di testi si caratterizza per i problemi connessi con la trascrizione della voce, che non è un segnale paragonabile agli altri non solo, ma soprattutto, perché offre indizi dell’usus loquendi di chi l’ha emessa. Sulla scorta di quanto verificatosi in altri paesi, anche in Italia questa pratica sta guadagnando spazio, in special modo quando fondata su un metodo che si ispira a principi biometrici, e le comparazioni che stabilisce tra la voce del reo e quella dell’imputato possono essere usate come evidenza processuale quando oggetto di perizia scientifica motivata. C’è poi un’altra intersezione che potrebbe rivelarsi inaspettatamente proficua per portata dei dati che potrebbe consentire di elicitare: l’allusione è alla semantica e ancor più a quella cognitiva3 , intendendo con questo termine la declinazione della semantica che ascrive a percezione e cognizione un ruolo decisivo nella definizione dei significati. Privati dell’oggettività sostanziale che gli era propria nelle teorie semantiche tradizionali, i significati in questa prospettiva non esistono indipendentemente dai processi cognitivi, affini tra esemplari della stessa specie ma via via più aderenti allorquando ci si muova all’interno di gruppi socialmente (e conseguentemente culturalmente) vicini, ma non per questo meno individuali e dunque autonomi, soggettivi. Immerso attivamente nei testi, e nella testualità4 da cui questi procedono, almeno fin dalla nascita, l’individuo an drebbe perciò costruendo precocemente non solo le competenze relative alla lingua e alla comunicazione, ma i significati stessi di ogni singolo elemento costitutivo della lingua o con essa connesso. Nel caso del lessico, questo processo, che muove dall’interazione dell’individuo con e nell’ambiente naturale e sociale, e che culmina in una rappresentazione mentale, presso l’individuo stesso, dell’esperienza per così dire colata in uno stampo morfologico (la forma con cui un significato è veicolato e comunicato all’interno della comunità parlante: per es. la forma espressiva cane per veicolare l’idea di animalità quadrupede, addomesticata e domestica, caratterizzata da socialità, ecc.), potrebbe essere perciò investigato per ricavare anche informazioni sul tipo di ambiente dal quale la rappresentazione ha tratto spunto e sui ruoli in esso operanti. La lingua è assai più che un sistema di nomenclatura utile a richiamare la realtà o a dare forma alle idee. La lingua è essa stessa idea e mondo, giacché costruisce la conoscenza e dà senso all’esperienza. A quella individuale e, per via della convenzionalità che le è propria e che consente alle persone di comunicare mettendo insieme parti di esperienza, a quella sociale. È dunque assai più che denotazione, ovvero sia insieme di proprietà o tratti caratteristici utili a capire di cosa si sta parlando e rispetto ai quali si ritiene di poter tenere separato il dato soggettivo, anche quando a questi tratti si guardi in maniera dinamica, ovvero come a un insieme di proprietà graduali che accomuna la cosa denominata ad altre (che con la prima risultano collegate proprio per via di quella/e proprietà), tra cui quella che tra tutte risulta detenere quella proprietà al massimo grado e che per questa ragione sarà assunta a prototipo dell’intera classe (a esemplificare questo sistema di intendere il significato per classi e valori si cita spesso il caso dello struzzo, che, pur essendo “oggettivamente” un uccello, con i suoi due metri e passa di altezza è “ritenuto” meno uccello di un condor delle Ande, che vola. Per il suo dispiegamento alare, che può superare i tre metri, il condor è però “sentito” a sua volta come uccello ma non quanto il passero o altri uccelli di simili dimensioni, che evidentemente incarnano il prototipo della loro categoria). Poiché nel lessico conoscenza del mondo e conoscenza della lingua si fondano diventando un unicum, è ai processi cognitivi connessi con le rappresentazioni che è utile guardare per comprendere come il dizionario si formi e come intervenga nei successivi usi. Per andare oltre la superficie più esterna della lingua e cercare di giungere all’esperienza che in essa è racchiusa. Un’ottica, questa, in cui il significato viene ad assumere natura concettuale, non autonoma, come autonomo non può del resto essere il ruolo della linguistica nella descrizione di una lingua così concepita. Diverse, anche in questo caso, sono le interpretazioni fornite del rapporto tra piano linguistico e piano concettuale, comprese tra versioni più radicali e altre più moderate; tutte accomunate, però, dalla convinzione che “i significati delle parole abbiano sempre una controparte concettuale, cioè che dietro i significati linguistici vi siano dei contenuti mentali e che l’analisi semantica sia inseparabile dall’analisi dei processi tramite i quali quei contenuti si costruiscono. Descrivere i significati linguistici significa descrivere quali contenuti concettuali sono espressi dalle parole, quali processi mentali hanno portato alla formazione di quei contenuti e, parallelamente, quali processi mentali ne consentano la comprensione” (Casadei 2004: 38). I concetti si radicherebbero perciò al culmine di un processo innescato dall’esperienza del mondo, in particolare di quella corporea, sensoriale. Difficile perciò immaginare che questa esperienza non abbia esercitato una funzione di conio addirittura superiore nella fase dell’acquisizione della lingua, quella in cui il cucciolo d’uomo costruisce il dizionario mentale della propria lingua a partire dai testi in cui è immerso e dai processi che li hanno originati. È difficile, conseguentemente, ridimensionare il ruolo che genitori e/o altri caregivers dell’infante (in senso etimologico, di quello che non articola ancora parole) possono detenere sulla condensazione dei significati e sul contestuale inserimento in reti soggette a definizioni variabili con il progredire dell’esperienza. Reti nelle quali essi stessi finiranno per rimanere compresi, in quanto non separabili dal loro stesso mondo. Moltiplicatrici di esperienza giacché in grado di dare forma anche al non reale o al non tangibile, le narrazioni, di qualsiasi tipo, forniranno sostanza alle rappresentazioni mentali, unitamente all’esperienza che non passa attraverso le parole, affiancandola o sostituendola5 . E offriranno alle nuove generazioni di parlanti le parole di cui sono costituite come modelli da imitare per poter diventare parte attiva delle future narrazioni. Cosicché, alla fine dello scambio, risulterà difficile stabilire dove passi il confine tra il mondo che forma la lingua e la lingua che forma il mondo. Ammesso che, al di là, della speculazione, possa avere importanza stabilire la primazia laddove il sistema complesso che consente agli individui di comunicare si fonda sulla circolarità perenne e sull’immersione. Costruito in breve tempo un dizionario partendo dai testi e dalla testualità che li sorregge, il nuovo individuo inizierà a partecipare anche attivamente alla vita sociale che passa attraverso la lingua e i linguaggi, finendo per fare propri precocemente e per cristallizzare successivamente, in assenza di una educazione alla consapevolezza, i significati di cose e di persone, continuamente rinforzati dalle inferenze dal contesto di vita. Culmine della costruzione del dizionario – un dizionario che occorre immaginare come una enciclopedia di enciclopedie multimediale, multimodale e multicanale e non certo come la semplicistica corrispondenza di una definizione linguistica a un lemma – la forma di richiamo, il lemma, per l’appunto, si tirerà dietro, quando sollecitato in una delle forme che può assumere, tutto ciò che con esso ha fatto rete e limiterà al contempo la possibilità di vedere il reale in maniera diversa rispetto a quanto definito attraverso il processo di creazione della parola stessa. Volendo esemplificare, che significati perciò immaginare per le parole madre o padre (ri)costruiti a partire da un contesto di violenza verbale o psicologica o denigrativo per uno o l’altro dei due genitori? E quali per famiglia? E quanta parte della violenza sperimentata o del disagio, travalicando il proprio contesto originario e le parole che lo rappresentano, si potrebbe trovare, anche solo diluito, in tutto ciò che con quei contesti è entrato in contatto e conseguentemente nelle reti di parole associate a quelle esperienze? Che possibilità, per l’individuo agente nei testi e con i testi, di liberarsi del vissuto che la lingua rimette in scena più o meno velatamente anche in contesti assai diversi da quello originario per via della sua potenza evocatrice? Per capire quanto l’esperienza possa rendere diversa la sostanza di una parola che, stando alla sua veste significante, apparirebbe simile se non identica a chi parli la stessa lingua, si prenda questo esempio, privo di pretese di sistematicità. A un gruppo di parlanti di entrambi i sessi, con prevalenza di donne, ma scelto volutamente come omogeneo per età per città di residenza, per titolo di studio, per corso di studio universitario già frequentato e in via di frequenza, oltre che per una gamma ampia di interessi (accertati a monte), si è chiesto si provare a definire il significato della parola famiglia e, successivamente, di associare istintivamente ad esso un colore sentito come rappresentativo. Quanto offerto dal gruppo di informanti è stato sintetizzato in questa tabella, nella quale si omettono volutamente i dati che consentirebbero, per esempio, di individuare la componente maschile al fine di far prevalere quanto offerto dai dati (e farlo magari ricavare a chi li legge).

Per stimolare la consapevolezza e l’autoapprendimento, si è poi scelto di confrontare le matrici in questione con quello che si trova davanti chi oggi desideri chiarirsi il significato di una parola e la sua collocazione nel repertorio linguistico. Si è perciò inserita la stringa famiglia definizione nel motore di ricerca Google ottenendo come primo risultato quello qui di seguito riportato. Che è per la massa delle persone lo stadio in cui la ricerca incentrata su una parola non solo ha inizio ma anche fine.

mmediata è stata, per chi si sia soffermato/a sui confronti tra matrici e tra matrici e definizione lessicografica, l’asimmetria di quantità e qualità di pezzi di mondo “portati” dentro la lingua. Altrettanto immediata è stata la presa d’atto della maggior parte delle ragioni alla base dei tratti proposti, per lo più leggibili in funzione della vita finora vissuta. Anche quando, come in F, l’esperienza della famiglia vissuta sia stata sovrascritta o almeno ristrutturata in senso culturale, probabilmente al culmine di un processo di riflessione mosso dagli stessi input che a Lévi-Strauss hanno fatto affermare che “La famiglia è un’invenzione sociale e non puramente un fenomeno naturale” (Lévi-Strauss 1969: 613-617), dove, con poco più di una manciata di parole, si riesce a fare stare uno accanto all’altro i pilastri dell’esperienza umana, che è un fluido perennemente rigenerato da natura, società e cultura, con le ultime due fuse in un tutt’uno che, nel caso della lingua, e di altre pratiche universali, sì, ma mai vissute in senso universale (si pensi ad altri pilastri identitari quali l’alimentazione, le pratiche di calcolo o l’abbigliamento), assurge a vessillo identitario di chi si trovi ad essere parte del gruppo scelto per l’osservazione6 . Per ragioni di brevità, si taglierà corto sulle innumerevoli altre considerazioni ispirate da quella manciata di tratti, parole che corrispondono a chiavi di lettura del mondo e di volta in volta delle credenze e delle ideologie che dominano in parti di esso. Di un mondo che è autonomo e individuale quanto lo è l’ultima delle matrioske, che esiste, nei fatti e di fatto, solo una volta aver avuto accesso, una dopo l’altra, alle altre che la contengono. Di mondo in cui ogni singolo “ente”, per diventare oggetto di conoscenza, viene prontamente calato in una rete organizzata che rende difficile (impossibile?) trattare il singolo elemento in modo avulso, separato dalla rete – o, meglio – dalle reti di cui partecipa. Invitati a ripetere l’esercizio da loro stessi prodotto al fine di acquisire maggiore consapevolezza delle dinamiche mostrate, i membri del gruppo che ha prodotto le matrici sopra esposte hanno, a loro volta, proposto a dieci conoscenti (ritenuti amici/amiche) intervistati con il pretesto di un incontro conviviale di indicare, dietro anonimato, mentre erano soli in una stanza, e su un foglio di carta privo di segni che ne rendessero riconoscibile l’autorialità, di indicare le caratteristiche essenziali stavolta non solo di famiglia, ma di uomo e donna. Anche in questo caso i dati sono poi stati raccolti e inseriti in una tabella, successivamente arricchita dall’indicazione, qui volutamente omessa, del genere biologico degli informanti. Tra i vari “rapporti” ottenuti, è stato selezionato il seguente, nonostante contenga solo sei campioni dei dieci richiesti, o forse proprio per questo, dal momento che le quattro persone che non hanno preso parte all’esercizio hanno dichiarato di non volerlo fare perché a conoscenza di cosa fosse una matrice semantica. Reso ancora più stimolante dall’intreccio di reti e sottoreti, il mosaico offerto da queste definizioni personali consente a chi lo legge tante letture che in molti casi favoriscono l’accesso al sistema di credenze che sorregge la vita di chi le ha proposte. Occorrerebbe allora ragionare su come inserire questi tratti dai discorsi e in generale dai testi al fine di servirsene per accedere a quella realtà che magari si è poco propensi a raccontare o che volutamente può essere distorta o capovolta se di difficile accettazione. In che modo questa conoscenza potrebbe essere incanalata e impiegata in fase di assistenza di chi alle prese, per ragioni professionali, con crisi familiari o con la dichiarata volontà di mettere fine al proprio matrimonio o più di recente alla propria unione civile? Si potrebbe pensare ad una psicolinguistica forense cui rivolgersi non più solo in ambito criminologico (dove costituisce, anche per ambiti di applicazione, l’altra faccia della fonetica forense, su citata), bensì in ambito di diritto di famiglia, dove potrebbe aiutare a mettere ordine a una realtà spesso opacizzata e non chiarita dalle narrazioni prodotte dagli e dalle interessate, non sempre intenzionati o in grado di far emergere gli indizi delle violenze a maggior ragione se psicologiche o economiche subite.

Più estesamente, ci si potrebbe servire di una (psico)linguistica forense di matrice cognitivista per ricostruire precocemente, attraverso quanto offerto da discorsi e testi, il vissuto rappresentato mentalmente da bambini e bambine in un processo per l’affidamento; o, anche, in un contesto ampio di osservazione, come quello educativo, per monitorare periodicamente e in modo non esplicito la salute emotiva di ogni individuo. Questo genere di pratica potrebbe inoltre andare a completare quanto offerto dai disegni, da tempo oggetto di analisi e di fonte di indizi di situazioni di violenza in particolar modo sessuale, rispetto ai quali la matrice semantica cognitiva potrebbe però rivelarsi meno foriera di sovrainterpretazioni. A mo’ di conclusione, per ovvie ragione provvisoria, si ribadirà ciò che ha fatto da filo conduttore a tutta la costruzione testuale fin qui offerta: per comprendere il reale, un reale in cui il rappresentato va oltre il mondo delle cose, anche per la velocità di propagazione della conoscenza di esso resa possibile dalla comunicazione, occorrerà perciò ripartire dai testi, soprattutto agiti e ancor più se di tipo narrativo. Questi testi offriranno, a chi saprà vedere attraverso di essi, una scheggia di come chi abbiamo di fronte intende il mondo: in senso naturale, non culturale. Giacché ogni famiglia, ogni abitudine, ogni modo di intendere i rapporti, è, proprio come per lo scarrafone napoletano, bello a mamma sua. E di questo deve avere contezza chi, per scelta professionale, si trovi a fare i conti con le macerie o con i danni, nel migliore dei casi, che si trova a fronteggiare chi, nella primissima o nella immediatamente successiva età evolutiva, si è trovato ad assistere al crollo della rappresentazione del proprio sistema sociale primario di riferimento.

NOTE

1 Da intendersi in senso cognitivo, perciò non equipollenti a enunciati, men che mai scritti. Il ruolo

della lingua rispetto a un testo così definito è di prima inter pares, essendo il testo frutto

dell’intreccio di più linguaggi (verbali, paraverbali e non verbali) che, in genere simultaneamente,

essendo la dimensione più naturale del testo quella orale, conquistano il proprio spazio e la

propria posizione reciproca rispetto al contesto in cui agiscono. A questo intreccio, già in sé

complesso, occorre inoltre aggiungere, in termini di costruzione del significato del testo, l’apporto,

oltre che di quanto proviene dal contesto stesso, di quanto ai partecipanti già noto sulla situazione

e in generale (la loro enciclopedia del mondo) e quanto ricavato attraverso procedimenti di natura

deduttivi (inferenze) innescati da elementi ritenuti salienti.

2 Cfr. Mortara Garavelli 2001, Serianni 2003 e Cavagnoli 2013, che si distingue dai primi due testi

per il taglio attento alle dinamiche di potere connesse con la lingua e alle conseguenze derivanti,

in tal senso, da una mancata parità di genere.

3 Per la pluralità di approcci e di analisi a cui corrisponde, c’è chi ritiene preferibile a questa

terminologia quella di approccio cognitivista alla semantica. 4 La testualità è paragonabile

all’humus dal(la) quale i testi procedono, per generazione dovuta all’azione di più fattori.

5 Il sottotesto di questa affermazione è da leggersi nel senso dell’attribuzione al testo linguistico

della medesima pienezza, nel senso dell’azione, di norma attribuita all’azione tout-court. Per

questa ragione si parla anche di testo agìto.

6 “la cultura è il modo di vivere dell’uomo nel suo complesso, e in quanto tale include tutti gli

aspetti condivisi, dei membri della società, quali regole comportamentali, credenze, valori, lingua,

usanze, si tratta insomma di un insieme di valori comportamenti e tratti distintivi che sono

condivisi dagli individui all’interno di un determinato territorio (Herbig 2003: 3-4).

Bibliografia

Casadei,F.(2004),“Perunbilanciodellasemanticacognitiva”,inGaeta L., Luraghi S., Introduzione alla

linguistica cognitiva, Carocci, Roma. Cavagnoli, S. (2013), Linguaggio giuridico e lingua di genere:

una simbiosi

possibile, Edizioni dell’Orso, Alessandria.

Herbig, P.A. (2003), Marketing interculturale, Apogeo, Milano. Lévi-Strauss, C. (1969), The

Elementary Structures of Kinship, Beacon

Press, Boston.

Mortara Garavelli, B. (2001), Le parole e la giustizia. Divagazioni gram-

maticali e retoriche su testi giuridici italiani, Torino, Einaudi. Serianni, L. (2003), Italiani scritti,

Bologna, Il Mulino.