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I patrimoni vincolati nel diritto di famiglia

autore: V. Cianciolo

Sommario: 1. Il patrimonio separato e patrimonio vincolato. - 2. Il fondo patrimoniale. - 2.1. I limiti del fondo patrimoniale. - 3. La vendita dell’immobile in fondo patrimoniale. - 4. La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori. - 5. Beni immobili, loro pertinenze ed accessione. - 6. Il trust. - 7. Scioglimento del fondo patrimoniale e confluenza in trust. - 8. Trust e Amministratore di Sostegno. - 9. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel diritto di famiglia. - 9.1. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. in sede di accordi di separazione. - 10. La legge 22 giugno 2016, n. 112.



1. Il patrimonio separato e patrimonio vincolato



Il termine patrimonio designa “un’entità composita, formata dall’insieme di situazioni suscettibili di valutazione economica (intesa come estimabilità pecuniaria) e unificate dalla legge in considerazione della loro appartenenza ad un soggetto o alla loro destinazione unitaria”. Negli ultimi venti anni, si è assistito al dilagante fenomeno dei patrimoni separati, il quale ha contribuito a quello che parte della dottrina1 ha definito come “erosione” del carattere universale della responsabilità patrimoniale, interesse questo, sensibilmente accresciuto, in corrispondenza delle novelle legislative che li hanno adottati quale tecnica di localizzazione della responsabilità equipollente, quoad effectum, alla finzione della personalità giuridica2 . I termini “patrimonio separato”, “patrimonio autonomo” o “patrimonio distinto” vengono impiegati dal legislatore per definire e regolare fattispecie diverse, sebbene accomunate dalla circostanza per cui, per effetto del principio della limitazione della responsabilità su determinati beni o complessi di beni detenuti o posseduti da un determinato soggetto, possono essere soddisfatti soltanto o, quanto meno, in via prioritaria, determinati creditori. Quel che accomuna la separazione patrimoniale all’autonomia (patrimoniale) perfetta, nata con la società anonima nella quale la responsabilità degli azionisti fu limitata alla sola quota di partecipazione, è la teorica ottocentesca dello Zweckvermögen che concepì la scissione di beni o rapporti da uno o più patrimoni unitari, dalla quale originasse un nuovo complesso, parimenti unitario, in ragione d’uno scopo che ne mutasse le sorti giuridiche, specie sul fronte della responsabilità dell’art. 2740 c.c.3 . In questa ottica, operandosi valutazioni anche nel panorama normativo del codice civile italiano, iniziò a ritenersi come il dettato dell’art. 2740 c.c., principio fondante del nostro ordinamento giuridico, affermando che “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”, fosse espressione di una forma di destinazione dei beni al soddisfacimento dei creditori o di una determinata categoria di essi. La responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. non si pone, pertanto, a sostegno dell’unità del patrimonio, ma è l’espressione di una specifica finalità impressa ai beni: lo ‘scopo’, e non la volontà del soggetto, è il concetto che a questa dottrina appare idoneo a ricondurre ad unità sistematica, le fattispecie in cui il vincolo di destinazione patrimoniale produce un effetto reale, sì che il patrimonio (e non il soggetto) diviene termine oggettivo del debito e punto d’incidenza del vincolo e della responsabilità. All’appartenenza, caratteristica dell’imputazione soggettiva, si sostituisce la connessione oggettiva con uno scopo determinato. Fatta questa debita premessa, per separazione patrimoniale, deve intendersi quell’effetto giuridico, ricollegato a determinati atti giuridici, che comporta o la elusione o la limitazione del principio dell’art. 2740 c.c. Laddove l’atto produca un simile effetto, si può parlare di separazione, ciò anche a prescindere dalla compresenza di atti collegati di destinazione. Se si concorda che ne rappresentino attributi espressivi l’indisponibilità ed impignorabilità come tali funzionali al vincolo di scopo, possono allora indistintamente riconoscersi nel nostro codice civile, quali patrimoni destinati: le oblazioni raccolte dai comitati (art. 40 c.c.); il fondo patrimoniale del diritto di famiglia (art. 167 c.c.); l’eredità giacente (art. 528 c.c.) e quella accettata con beneficio d’inventario (art. 484 c.c.); l’usufrutto legale dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli minori (art. 324 c.c.); il patrimonio delle società di capitali ed il patrimonio destinato dalla S.p.A. ad uno specifico affare (art. 2447-bis c.c.); le fondazioni (art. 16 c.c.) nonché le dotazioni degli enti privi di personalità giuridica, come il fondo comune delle associazioni non riconosciute (art. 37 c.c.). Particolari ipotesi di patrimonio separato sono poi previsti all’interno del Libro II del cod. civ.: l’art. 512 c.c. e l’art. 643 c.c. ne sono un chiaro esempio4 .

Detto questo, si può affermare che la destinazione ad uno scopo è il fondamento di tutta una serie di rapporti e di istituti collegati al fenomeno dei patrimoni separati – dal contratto di mandato, al trust5 , al negozio fiduciario all’inserimento nel corpo del codice civile dell’istituto dei patrimoni societari destinati ad uno scopo, nonché dell’introduzione dell’art. 2645- ter nel libro VI del cod. civ. – che assurge ad autonoma categoria giuridica e che come tale, in questa accezione tecnica, comporta sempre un fenomeno di separazione patrimoniale, in quanto si tratta di vincolo reale di destinazione6, dove destinazione e separazione sono elementi inscindibili.



2. Il fondo patrimoniale



L’istituto del fondo patrimoniale, introdotto nell’ambito della riforma di diritto di famiglia, di cui alla l. n. 151/1975, è disciplinato nel nostro codice civile all’interno del Libro I, Capo VI, Sez. II, artt. 167-176 c.c. Si tratta di un istituto, per molti aspetti controverso, che ha dato vita a un ampio dibattito in seno agli interpreti già in fase di redazione del testo di riforma del 1975, circa l’utilità stessa dell’istituto e la convenienza di mantenerlo in vita. Non pochi interpreti ne suggerivano la soppressione in quanto potenziale strumento di frode per i creditori7 . Con la costituzione del fondo patrimoniale, entrambi i coniugi o uno solo di essi o, ancora, un terzo, inteso come persona non facente parte del nucleo familiare, possono vincolare alcuni beni immobili, mobili registrati o titoli di credito al soddisfacimento dei bisogni della famiglia, non sostituendo, ma affiancando, integrandolo, il regime patrimoniale primario adottato dai coniugi che può essere, indifferentemente, la comunione, la separazione dei beni8 o un regime convenzionale, quale la comunione convenzionale o qualsiasi altro regime patrimoniale atipico adottato dai coniugi. Può essere costituito dai coniugi per atto pubblico, integrando a tutti gli effetti una convenzione matrimoniale (art. 162 c.c.); da un terzo per atto pubblico inter vivos – che si perfeziona con l’accettazione a sua volta per atto pubblico da parte dei coniugi, ancorché successiva alla costituzione del fondo9 – come pure, per testamento rappresentando, in questo caso, o un’attribuzione a titolo di legato o un’istituzione di erede ex re certa, necessitando di accettazione. Tale istituto consente quindi, di “destinare” determinati beni per far fronte ai bisogni della famiglia al fine di garantirle stabilità economica, anche nell’ipotesi in cui il patrimonio dei coniugi dovesse notevolmente depauperarsi od esaurirsi. Poiché il fondo patrimoniale crea un patrimonio che è anche “separato” dalla rimanente parte del patrimonio del costituente, appare evidente che la sua costituzione possa pregiudicare la posizione dei creditori del conferente (i quali vedono diminuire la garanzia patrimoniale generica del proprio debitore).

In questo contesto, le ragioni dei creditori vengono tutelate dal nostro ordinamento, mediante l’apposito rimedio dell’azione revocatoria (ordinaria o fallimentare), mediante la quale il creditore può chiedere “che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni” (art. 2901 c.c.).



2.1. I limiti del fondo patrimoniale



Le criticità del fondo patrimoniale sono state più volte messe in rilievo dalla dottrina e, possono così velocemente riassumersi:

a. non effettiva tutela dei familiari beneficiari (figli);

b. eccessiva discrezionalità dei coniugi circa l’amministrazione dei beni in fondo e la loro disposizione;

c. nessun obbligo di reimpiego per i cespiti alienati;

d. nessun meccanismo surrogatorio per l’ipotesi del reinvestimento dei cespiti alienati e nessun connaturato obbligo di reimpiego;

e. assenza di rimedi applicabili per la mala gestio dei coniugi;

f. accessibilità solo alle famiglie legittime; h. limitazione “oggettiva” (immobili, mobili registrati, titoli di credito);

i. fisiologica temporaneità legata alla cessazione del matrimonio.



3. La vendita dell’immobile in fondo patrimoniale



Nella pratica può capitare di imbattersi in una vendita di immobile sottoposto al vincolo del fondo patrimoniale, e può capitare che tale immobile sia l’unico bene “contenuto” nella convenzione10, cosicché, in caso di sua vendita, si verificherebbe quello che autorevole dottrina ha definito “esaurimento” del fondo stesso11. La disposizione normativa di riferimento è, in primis, l’art. 169 c.c. in base al quale “se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”. In assenza di figli minori, pertanto, rileva solo la prima parte del citato art. 169 c.c., di conseguenza al fine di porre in essere l’alienazione, è necessario il consenso di entrambi i coniugi. A tal proposito, tralasciando la questione della derogabilità di tale consenso congiunto12, occorre distinguere il regime pro prietario del bene dal regime di amministrazione del fondo cosicché, in caso di riserva di proprietà in capo ad un solo coniuge, solamente quest’ultimo interverrà all’atto come venditore, mentre l’altro coniuge interverrà esclusivamente al fine di prestare il consenso ex art. 169 c.c. In presenza di figli minori13, invece, la fattispecie si fa più complessa, rilevando la seconda parte dell’indicato art. 169 c.c., per la quale “se vi sono figli minori” occorre “l’autorizzazione concessa dal giudice con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”. Giova ricordare che prima della riforma dell’art. 38 disp. att. c.c., era discussa l’individuazione dell’autorità competente al rilascio della citata autorizzazione, questione ora superata con l’art. 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219 che ha disposto che la competenza per i provvedimenti di cui all’art. 171 c.c. spetta al Tribunale Ordinario ai sensi della norma residuale di cui all’art. 38 disp. att. 2° co., c.c.



4. La risoluzione consensuale del fondo patrimoniale in presenza di figli minori



In dottrina ed in giurisprudenza, si è molto discusso se sia possibile o no, per i coniugi, sciogliere volontariamente il fondo patrimoniale, eliminando il vincolo precedentemente impresso sui relativi beni14. Può certamente affermarsi oggi, pur ancora con qualche lieve contrasto, quella che sembra la posizione più consolidata, ossia, l’opinione favorevole che appare anche maggioritaria15. Come deve essere strutturato un atto con cui i coniugi convengono di risolvere consensualmente il fondo patrimoniale qualora via siano figli minori? La Cassazione ha dato una risposta al quesito nel 201416.



Il caso



Nel 2002 Tizio e Caia avevano costituito in fondo patrimoniale la casa di abitazione di esclusiva proprietà di Tizio. Successivamente Tizio, titolare di una ditta di costruzioni edilizie, allo scopo di far fronte ai debiti contratti nell’esercizio dell’impresa, intende contrarre un mutuo. Le banche chiedono lo scioglimento del fondo patrimoniale e i coniugi nel 2004 addivengono ad uno scioglimento consensuale. Nel 2007 il curatore speciale del figlio minore dei coniugi (già nato nel 2004) nonché del figlio nascituro concepito al momento della stipula dell’atto di risoluzione, agisce in giudizio per far dichiarare l’invalidità dell’atto di scioglimento del fondo patrimoniale e la cancellazione delle iscrizioni ipotecarie accese sull’immobile. Il Palazzaccio è intervenuto sulla questione relativa allo scioglimento volontario del fondo patrimoniale, fissando i seguenti principi: a. “In mancanza di figli, lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire anche sulla base del solo consenso dei coniugi”.

b. In presenza di figli minori, poiché la costituzione del fondo “determina un vincolo di destinazione per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia (e quindi di tutti i suoi componenti, in essi compresi i figli minori), […] va ravvisata in capo ai figli minori una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo”, che viene individuata nella “legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo”. In altre parole, l’atto costitutivo del fondo patrimoniale è un contratto che produce effetti non solo per i contraenti (coniuge ed eventualmente terzo costituente), ma anche nei confronti di terzi (figli) e pertanto, come per sciogliere un contratto a favore del terzo occorre il consenso sia dei contraenti originari sia del terzo, così nel caso di scioglimento di fondo patrimoniale, se vi sono dei figli, occorre anche il consenso di costoro. Qualora si tratti di figli minori, essendo i genitori in conflitto di interessi, occorre che all’atto di scioglimento del fondo patrimoniale intervenga un curatore speciale, opportunamente autorizzato.

c. Gli stessi principi si applicano anche nel caso in cui, al momento dell’atto di scioglimento del fondo, vi siano dei figli nascituri concepiti: “anche al nascituro deve essere riconosciuta l’attitudine ad essere titolare di diritti, e pertanto la sua legittimazione sostanziale in relazione ad atti di disposizione del fondo”. Applicando i principi esposti nella sentenza, è possibile dunque, procedere ad una risoluzione per mutuo consenso dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale. All’atto devono intervenire necessariamente i coniugi e, se vi sono, i figli nati e nascituri (concepiti) al momento della stipula del mutuo dissenso. In caso di figli minori o nascituri, essendovi conflitto di interessi tra costoro e i genitori, occorre l’intervento di un curatore speciale appositamente autorizzato. Qualora nell’atto di costituzione di beni immobili in fondo patrimoniale, si preveda espressamente che, anche in presenza di figli minori, i coniugi possano concordemente, senza autorizzazione giudiziale, alienare tali beni, il tribunale deve dichiarare il non luogo a procedere in ordine alla richiesta di autorizzazione avanzata da entrambi i coniugi genitori di figli minori17. In ogni caso, il vincolo non cessa e il giudice competente a concedere l’autorizzazione in presenza di figli minori ha il potere ed il dovere di ordinare il reimpiego del bene18.

La Cassazione ha individuato nel giudice tutelare il giudice competente ad autorizzare il negozio, e la soluzione è condivisibile in quanto la risoluzione per mutuo consenso incide sul precedente contratto, ma non produce ritrasferimento di diritti (che farebbe spostare la competenza al tribunale ordinario ex art. 375 c.c.).



5. Beni immobili, loro pertinenze ed accessione



Con riferimento ai beni immobili, ci si è chiesti se il vincolo di destinazione imposto in forza di un fondo patrimoniale su un immobile, si estenda automaticamente anche alle sue pertinenze (ad esempio una cantina, un garage esterno all’abitazione). Dottrina e giurisprudenza, alla luce di quanto disposto dall’art. 818 c.c., propendono per la soluzione positiva del quesito ed evidenziano che solo una manifestazione espressa di volontà dei costituenti il fondo può sottrarre le pertinenze al vincolo di destinazione19. Diverso è, invece, il caso in cui nel fondo patrimoniale venga conferito un terreno sul quale sia stato successivamente edificato un immobile del quale i coniugi siano divenuti proprietari per accessione. In simile ipotesi, il vincolo di destinazione non si estende automaticamente alle accessioni del bene principale, non potendosi considerare l’accessione un’espansione dell’originario oggetto. Sarà, dunque, necessaria un’espressa manifestazione di volontà per includere il nuovo immobile nel fondo patrimoniale come pure, sarà necessaria una nuova manifestazione di volontà qualora il bene immobile costruito sul terreno conferito in fondo patrimoniale, precedentemente alla convenzione matrimoniale, non sia stato indicato con i suoi estremi catastali nell’atto costitutivo del fondo.



6. Il trust



Negli ordinamenti di common law, dove le leggi non sono codificate e il ruolo della giurisprudenza è fondamentale per stabilire i comportamenti, gli elementi che connotato il trust sono almeno tre:

1) l’affidamento: quello del disponente che perde la disponibilità dei beni a favore del trustee per effetto del trasferimento e quello dei beneficiari di veder rispettato lo scopo del trust;

2) la segregazione: non vi è confusione dei beni o dei diritti nel patrimonio del trustee con la conseguenza che i creditori personali del trustee non possono aggredire i beni in trust.

3) la perdita del controllo sui beni: chi ha istituito il trust perde ogni controllo sui beni e sui diritti trasferiti al trustee. Come noto, il trust fa ingresso nel nostro sistema giuridico con la ratifica della Convenzione de L’Aja del 1985 (“Legge applicabile ai trusts ed al loro riconoscimento”), senza addurre alcuna riserva, con la legge 16 ottobre 1989, n. 364, entrata in vigore il 1° gennaio 199220.

L’art. 2 della Convenzione stabilisce che “per trust s’intendono i rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato”21. Da tale disposizione, si evince che l’aspetto centrale del trust sta nell’individuare un interesse da perseguire, attraverso una serie di rapporti finalizzati alla realizzazione di quell’interesse. La Convenzione dell’Aja riconosce soltanto i trusts espressamente istituiti, coinvolgenti sempre tre soggetti (il disponente o settlor, il trustee ed il beneficiary o cestui que trust):

– il settlor che trasferisce il bene o il diritto al trust;

– il fiduciario o trustee che acquista la proprietà del bene (ossia, la proprietà tutelata dalla common law);

– il beneficiario che acquista la proprietà del bene stesso (ossia, la proprietà tutelata). E dunque, il settlor o costituente, destina i propri beni in favore di un terzo beneficiario, decidendo nello stesso tempo che tali beni siano, in esclusiva, amministrati da altro soggetto, definito trustee22 che non confonde il proprio patrimonio, con i beni del settlor: più semplicemente, egli ha diritto di gestire e disporre nell’interesse del beneficiario, senza però rischiare che i beni del trust siano aggrediti né da creditori propri, né da creditori dello stesso costituente I beni protetti in trust, pur essendo intestati al trustee, appartengono unicamente ai beneficiari, e quindi, in un trust di famiglia, normalmente, ai figli e discendenti, sostanzialmente proprietari del “trust fund”, ai quali spetta il diritto di ritrarre le utilità da essi ricavabili. I beneficiari dell’affidamento in trust sono i soggetti a vantaggio dei quali va il programma destinatario, sono cioè creditori “garantiti” con un diritto di aspettativa dei beni o diritti affidati. L’attività del trustee è preordinata alla realizzazione del programma, così come stabilito dal disponente e la sua obbligazione consiste proprio nell’utilizzazione dei beni affidati per la realizzazione del programma stesso. Il trustee (ma possono esservi anche più trustee) riceve pertanto, limitatamente a tali beni, un diritto di proprietà temporaneo e nell’interesse altrui, diritto che non si collega in alcun modo ad un suo arricchimento o tutela, essendo preordinato ad una diversa destinazione la cui attuazione è rimessa al disponente stesso. Il disponente, nella configurazione classica del trust, perde ogni controllo sui beni che ne formano oggetto, e non è titolare di alcun diritto nei confronti del trustee: non può chiedere l’esecuzione né interferire sull’operato del trustee tranne che sia egli stesso beneficiario del trust. Al fine di porre rimedio a ciò e di consentire al disponente di mantenere un controllo sull’attività del trustee, la prassi è ricorsa ad un rimedio: nominare un c.d. protector, il quale è dotato di una serie di poteri che gli consentono di controllare l’operato del trustee. Il protector è un terzo che ha non solo il potere, ma anche il dovere di impartire istruzioni al trustee, di rimuoverlo nominandone uno nuovo in sua sostituzione o, ancora, di nominare altri trustees in aggiunta a quelli già previsti dall’atto istitutivo o, infine, per i trusts discrezionali, di integrare la lista dei beneficiari predisposta dal disponente o di indicare, volta per volta, quale dei beneficiari ha diritto all’attribuzione di vantaggi patrimoniali (sotto forma di distribuzione di un reddito o di un bene capitale) che il trust discrezionale prevede.



7. Scioglimento del fondo patrimoniale e confluenza in trust



Per le cose dette, risulta possibile affermare che il trust e il fondo patrimoniale appartengono alla categoria degli strumenti negoziali che (unitamente al contratto di affidamento fiduciario) realizzano la c.d. separazione patrimoniale” ed in entrambi gli istituti, è ravvisabile un negozio “istitutivo” e un “negozio di trasferimento”. Per la sua versatilità, il trust si presta ad assolvere a varie finalità, anche se denota la sua massima potenzialità nell’ambito familiare e nella prassi, si rivela una valida alternativa al fondo patrimoniale nella tutela degli interessi familiari23. Il Tribunale di Padova con un innovativo decreto del 200824, si è così espresso sul tema: “autorizza i signori A e B a ridurre il fondo patrimoniale costituito in data … Rep … Notaio …, estromettendo dal medesimo i beni immobili analiticamente indicati nel ricorso depositato in data 12 giugno 2008, al sol fine di dotare gli immobili in questione il fondo dell’istituito ‘… Trust’, costituito il … con atto del Notaio …, Rep …”. Nel 2006 invece, il Tribunale capitolino25 si è espresso in senso contrario, rigettando l’istanza con cui i coniugi avevano chiesto di essere autorizzati a sciogliere il fondo patrimoniale con conseguente svincolo dei beni conferiti, al fine di veicolare gli stessi in trust.



8. Trust e Amministratore di Sostegno



L’inadeguatezza dei classici strumenti di protezione dei soggetti incapaci ha reso il trust, capace di sopperire all’esigenza di garantire tutela e interessi dei soggetti “deboli”. Il concetto di soggetti deboli è qui considerato in senso lato: non solo quindi, quelli per i quali potrebbero ricorrere gli estremi per l’amministrazione di sostegno26, l’interdizione o l’inabilitazione, ossia provvedimenti previsti dal nostro legislatore atti a impedire che tali soggetti non si danneggino da sé, ma anche per quei soggetti la cui debolezza va vista non tanto, in una qualche incapacità generalmente e legalmente riconosciuta, ma in quella accezione intesa come attitudine a farsi veicolare da altrui volontà, sia a quei soggetti la cui debolezza sta nella sottovalutazione o non giusta considerazione di un sistema di valori comunemente accettati. Il trust a favore di soggetti deboli è quindi, un trust “protettivo” destinato a intervenire nei confronti di quei soggetti che, vuoi per conclamate e croniche incapacità, vuoi per temporanee difficoltà, necessitano di un supporto economico e assistenziale. Le complessità e le peculiarità legate alle diverse forme di disagio esistenziale che stanno alla base della debolezza di alcune persone, non sempre trova adeguate soluzioni negli ordinari strumenti giuridici di protezione previsti dal nostro ordinamento. A questo, il trust intende sopperire, proprio perché a istituire i trusts a favore di soggetti fragili sono spesso i familiari più stretti, coloro cioè che con questi condividono quotidianamente la loro vita e quindi, in grado di comprendere meglio di chiunque altro, le loro esigenze ed i loro desideri. Una tale comprensione trasferita nel programma contenuto nell’atto istitutivo del trust dovrebbe quindi, consentire di garantire ai soggetti deboli un’assistenza nei loro confronti definita sulla base di una conoscenza, quella tra disponente e beneficiario, frutto di un percorso di vita in comune. Un trust può essere istituito con le stesse finalità con le quali si provvede alla nomina di un amministratore di sostegno. L’amministratore di sostegno è nominato con decreto del giudice tutelare; tale decreto, disciplinato dall’art. 405 cod. civ. deve contenere inoltre:

– le generalità del beneficiario;

– la durata dell’incarico;

– dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il poter di compiere in nome e per conto del beneficiario;

– gli atti che può compiere il beneficiario con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;

– limiti in termini di spese che può effettuare l’amministratore di sostegno utilizzando le somme a disposizione del beneficiario;

– la periodicità con la quale l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice tutelare circa l’attività svolta. Secondo quanto stabilito dal comma 2° dell’art. 408 del c.c., la designazione dell’amministratore di sostegno può essere revocata dal giudice con le stesse forme di cui al primo comma del medesimo art. 408 c.c., quindi su istanza dei medesimi soggetti che possono richiedere l’istituzione dell’amministrazione di sostegno. Quello che caratterizza invece, un trust per soggetti deboli e che lo qualifica come tale, sono le caratteristiche soggettive del beneficiario, così come non può esserci amministrazione di sostegno se non c’è soggetto con delle infermità da assistere. Da un punto di vista della struttura del trust, avremo quindi, il disponente, il cui giudizio in ordine alle caratteristiche psico-fisiche del beneficiario è determinante27, una trust company quale trustee, un guardiano scelto tra una persona di fiducia, e il beneficiario cioè, il soggetto che si vuole proteggere28.

Spesso questi tipi di trusts, i c.d. trusts “Dopo di noi”, diventano operativi alla morte del/i disponenti, non mancando però casi di immediata operatività. di solito voluti dal disponente per verificare l’efficacia dello strumento adottato. Può comprendersi, già da queste prime considerazioni, un’importante conseguenza: il trust può regolare condizioni di disagio più ampie rispetto all’amministrazione di sostegno che è vincolata soggettivamente da quanto stabilito dalla legge, consentendo tra l’altro di tenere riservata la situazione di disagio dell’interessato. Rimanendo nell’ambito del confronto fra i due istituti e ponendosi l’obiettivo di stabilire quale dei due sia da preferirsi, si deve tener conto che il trust comporta dei costi per la sua predisposizione e gestione e realizzabile in presenza di patrimoni di una certa consistenza. Ma forse, quello che è da privilegiare è il fatto che nel trust può essere il beneficiario stesso, in quanto disponente, e non un giudice terzo, al quale spetta l’ultima parola, a stabilire discrezionalmente quali saranno le regole, fissando programmaticamente l’operatività del trustee sulla base delle proprie attuali e future esigenze. Da questo punto di vista, quindi, la discrezionalità del trustee può essere anche molto ampia, magari anche più ampia di quella attribuita all’amministratore di sostegno, ma resta il fatto che a determinare tale ampiezza è unicamente il beneficiario. Sotto questo aspetto, appare preferibile la scelta del trust potendo il disponente, indipendentemente dal fatto che esso coincida con il beneficiario, anche in maniera dettagliata, fissare quali saranno gli obblighi assistenziali, calibrandoli sulle esigenze del beneficiario29. Un ulteriore aspetto che rende preferibile il trust riguarda ancora una volta il tema della segregazione patrimoniale: nominare, ad esempio, trustee lo stesso amministrazione di sostegno significa apportare un ulteriore garanzia di tutela a vantaggio del beneficiario, quella cioè dell’intangibilità dei beni destinati ad essere utilizzati per i bisogni dell’assistito30. Prendiamo, ad esempio, il caso di Caia che in proprio e quale amministratore di sostegno del proprio coniuge, trasferisce determinati beni di proprietà dei coniugi stessi al trustee Mario Rossi perché provveda ad amministrarli nell’interesse dei coniugi stessi e del proprio figlio disabile Carletto. Il trust terminerà alla morte di Carletto ed i beneficiari finali saranno scelti dal trustee tra coloro che “si sono particolarmente distinti nei rapporti relazionali e di assistenza con Carletto”. L’atto istitutivo può poi prevedere la nomina di un guardiano e una clausola che consenta al trustee, nel caso di decesso di uno dei disponenti e di azione di un erede legittimario leso nei suoi diritti (ad esempio, un fratello di Carletto), di verificare l’effettiva esistenza di una lesione di riserva e di attribuire parte dei beni in trust ai legittimari lesi. È poi possibile che i due istituti, trust e AdS, si affianchino così completandosi: il Giudice può nominare per un disabile beneficiario di un trust, un amministratore di sostegno incaricandolo di controllare e vigilare l’operato del trustee31.



9. L’atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c. nel diritto di famiglia



L’art. 2645-ter32, introdotto con l’art. 39-novies, d.l. 30.12.2005, n. 273, convertito in legge, con modificazioni, con l. 23 febbraio 2006, n. 51, disciplina la trascrizione di quegli atti, in forma pubblica, con cui beni immobili o beni mobili registrati sono destinati alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili ad una vasta gamma di soggetti. La norma, inoltre, precisa che i beni conferiti e i loro frutti possono essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di esecuzione, salvo quanto previsto dall’art. 2915, comma 1, c.c., solo per debiti contratti per tale scopo. In ordine alla natura giuridica della norma, una prima tesi, decisamente maggioritaria, ritiene che la norma in commento non si limiterebbe a regolare gli effetti derivanti dalla trascrizione ma avrebbe introdotto una nuova fattispecie giuridica tipica33, quella dell’atto negoziale di destinazione, la cui causa è quella propria della destinazione dei beni alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela, nella quale la trascrizione dell’atto pubblico di destinazione è elemento necessario per la costituzione del vincolo nonché per la perfezione del procedimento di separazione. Una seconda tesi34 ritiene che l’art. 2645-ter c.c. non consente la configurazione di una autonoma fattispecie negoziale “atto di destinazione” imperniata sulla causa destinataria. Si tratta infatti, di una norma “sugli effetti”, in quanto concerne gli effetti di altri singoli negozi ed istituti, a questi comple mentari, a cui accede il vincolo di destinazione. La giurisprudenza di merito, che aderisce alla summenzionata tesi, ritiene che dal tenore dell’art. 2645-ter c.c. non si evince in alcun modo la volontà del legislatore di introdurre nell’ordinamento un nuovo tipo di atto ad effetti reali, la cui causa è quella finalistica della destinazione del bene alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela. In effetti, il legislatore non ha previsto una nuova fattispecie negoziale, ma ha inteso invece prevedere e disciplinare un nuovo effetto negoziale destinatorio-separatorio, fissando i requisiti minimi dell’atto di autonomia idoneo a produrlo, senza entrare – volutamente – nel merito della struttura o della giustificazione causale di tale atto, che potranno essere le più svariate. D’altro canto, la collocazione della norma all’interno del Libro VI del cod. civ. sembra una scelta non casuale. Alla luce di queste brevi premesse sull’istituto, l’art. 2645- ter c.c. permetterebbe la costituzione di un vincolo nell’interesse della famiglia al di là delle ipotesi in cui l’istituto ex artt. 167 ss. c.c. è consentito: a parte l’ammissibilità di un vincolo in favore di un menage di fatto, il conferente potrà, anche in relazione ad una famiglia fondata sul matrimonio, derogare a quanto stabilito dall’art. 171 c.c., stabilendo ad esempio che il vincolo non cessi (ed anzi, questa sarà la regola, atteso il principio che autorizza una durata dello stesso per novanta anni o per tutta la vita della persona fisica beneficiaria) in caso di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, pur in assenza di figli minori. Una parte della dottrina35 ritiene che l’istituto ex art. 2645- ter c.c. consenta di accontentare quelle necessità che il fondo patrimoniale non riesce a coordinare: ad esempio, l’atto di destinazione potrebbe acconsentire di estendere l’ambito di applicazione del fondo patrimoniale oltre il limite dei bisogni familiari. Potrebbe, dunque, ipotizzarsi una destinazione volta a soddisfare solo alcuni bisogni della famiglia, e non altri, ovvero anche altri ed ulteriori bisogni, includendovi le obbligazioni contratte nell’esercizio dell’impresa familiare o dell’impresa svolta da uno solo dei coniugi o dei figli. Potrebbe anche prevedersi una categoria di beneficiari più ampia o più ristretta rispetto ai componenti della famiglia nucleare, ad esempio facendo riferimento ai bisogni anche di un fratello unilaterale.



9.1. I vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. in sede di accordi di separazione



Un ormai lontano provvedimento del Tribunale di Reggio Emilia del 200736 risolve in modo originale la domanda di modifica del verbale di separazione consensuale congiuntamente avanzata da una coppia di coniugi, giudicando legittimo l’accordo col quale si prevedeva la corresponsione del contributo al mantenimento dei figli (ex artt. 147 e 148 c.c.) con un trasferimento immobiliare una tantum, gravato dal vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. a beneficio dei medesimi, in quanto rispondente all’interesse della prole, anziché con un assegno periodico. Questo il caso. Una coppia di coniugi adiva il Tribunale per la modifica delle condizioni di separazione, chiedendo, in particolare, la sostituzione della condizione del verbale di separazione consensuale e già omologato che prescriveva al marito l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli minori versando alla moglie un assegno mensile (comprensivo di spese straordinarie; somma rivalutabile secondo indici Istat), con il trasferimento alla medesima, “in adempimento all’obbligo di mantenimento dei figli minori”, di taluni beni immobili (terreni agricoli e fabbricati) in titolarità del marito per l’intero o in quota del 50%. Interveniva il Pubblico Ministero. Sentite le parti, il Tribunale osservava che la concorde richiesta di modifica non appariva rispondente all’interesse della prole: difatti, l’obbligo di mantenimento dei figli minori, precedentemente assunto dal padre con il pagamento di una somma mensile, veniva sostituito nella domanda con il trasferimento alla madre (affidataria della prole) del compendio immobiliare, ma senza alcuna garanzia sulla destinazione dei cespiti e dei loro frutti (naturali e civili) al mantenimento della prole. Il Collegio suggeriva, pertanto, alle parti l’apposizione sugli immobili oggetto di trasferimento di un vincolo di destinazione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2645-ter c.c., che consentisse di sottrarre i beni alla libera disponibilità della madre e impegnasse gli stessi al preminente interesse dei figli (peraltro, attenuando il rischio di espropriazione da parte di eventuali creditori); conseguentemente, rimetteva i coniugi innanzi al Giudice Relatore. All’udienza del 22 marzo 2007 i coniugi modificavano l’originaria domanda e, previa produzione della documentazione necessaria, insistevano per la modifica consensuale delle condizioni della separazione richiesta con ricorso congiunto ex art. 710 c.p.c. e dichiaravano, in adempimento all’obbligo di mantenimento dei figli minori, di concordare la sostituzione dell’obbligo di versare alla moglie un assegno periodico con quello di trasferire dal marito alla moglie taluni cespiti immobiliari. Contestualmente, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2645- ter c.c., la moglie si obbligava ad impiegare i frutti dei predetti beni immobili per il mantenimento della prole, impegnandosi, altresì, a non alienarli sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica del più giovane dei figli.



10. La legge 22 giugno 2016, n. 112



Ed eccoci quindi, dopo un lavoro durato due anni, alla legge 22 giugno 2016, n. 112 (“Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”), subito conosciuta come legge sul “Dopo di noi”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 22 giugno 2016. Nel febbraio 2016, la Camera dei Deputati aveva approvato in materia di assistenza per disabili gravi privi di sostegno familiare, il d.d.l. n. 2232. Il testo era composto di 10 articoli e dedicato all’istituto del trust era l’art. 637 ove, se ne ritrovava la qualifica di strumento giuridico pressoché unico per il raggiungimento della finalità di predisporre un programma in favore delle persone con disabilità grave accertata, secondo le modalità di cui all’art. 4 della legge 5 febbraio 1992 n. 10438.

Le finalità della legge sono espresse chiaramente dall’art. 1 della legge39: Va sin d’ora anticipato come la “legge sul dopo di noi” sembri contenere delle norme non solo fiscali, ma soprattutto sostanziali, contemplando e per certi versi aggiungendo figure già conosciute, come i vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c., ovvero introducendone delle nuove conosciute, come il trust o poco sconosciute come il contratto di affidamento fiduciario, sebbene inizino ad essere applicate nella prassi da alcuni Tribunali. L’opinione generale è stata di apprezzamento nel vedere riconosciuto il trust40 quale soluzione esclusiva e privilegiata per il sostegno e la protezione dei disabili soli. Forse, si poteva immaginare un futuro senza vincoli di destinazione. Ma in fase di approvazione definitiva, dopo il passaggio al Senato, l’unicità del trust è stata ridimensionata e nell’attuale testo di legge, vi sono altre forme di protezione a beneficio del disabile grave, come ad esempio, l’articolo 2645-ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario. Lo stesso art. 2645-ter cod. civ., pur nella sua assai discutibile formulazione, costituisce un elemento importante per consolidare l’esperienza fino ad ora raccolta e per consentire il legittimo soddisfacimento di esigenze dei privati, meritevoli di tutela, che difficilmente può essere realizzato con diverse strategie giuridiche. E ciò in quanto le lacune legislative, riscontrate nella norma in esame, possono essere colmate dalle tecniche ormai consolidate nel settore dei trust41. La scelta legislativa non ha tenuto in adeguata considerazione l’orientamento della giurisprudenza di merito concorde nel riconoscere che il progetto di vita della persona con disabilità, è un diritto esigibile perfettamente compatibile con lo strumento del trust42.

Le misure previste dalla legge 112/16 si aggiungono ai livelli essenziali di assistenza e agli altri interventi di cura e sostegno previsti dalla legislazione vigente43 in favore delle persone con disabilità che non derivi da invecchiamento o comunque, connessa con l’avanzare dell’età anagrafica, quando siano privi di alcun sostengo familiare perché:

1) mancano entrambi i genitori oppure

2) i genitori seppur ancora in vita non siano in grado di provvedere oppure

3) è necessario provvedere per “il dopo di noi” cioè, quando i genitori non saranno più in vita.

NOTE

1 BarBiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario

fondato da Pietro Schlesinger, Milano, 2010, 44.

2 Si pensi ai “fondi speciali per la previdenza e l’assistenza” (art. 2117 c.c.) e ora, dei “patrimoni

destinati a un specifico affare” (art. 2447-bis c.c.) e dei “finanziamenti destinati a uno specifico

affare” (art. 2447-decies c.c.), che pongono in rilievo il distacco di beni da una più ampia massa

patrimoniale facente capo ad un soggetto, per deputarla alla realizzazione di scopi specifici,

conservando in capo al titolare una proprietà formale e quiescente sugli stessi.

3 Proprio per questi rilevanti effetti, che sembrano invero contraddire principi fondanti del nostro

sistema di diritto positivo, è ancora aperta in dottrina la problematica in ordine all’esistenza, nel

nostro ordinamento, di una figura generale e astratta che permetta di effettuare separazioni o

segregazioni del patrimonio al di là dei casi tipizzati dal diritto positivo. Cfr. ragazzini, Trust interno

e ordinamento giuridico italiano, in Riv. notar., 1999; galluzzo, Autonomia negoziale e causa

estintiva di un trust, in Corr. Giur., 2006.

4 L’art.512disciplinalaseparazionedeibenidell’erededaquellideldefunto, affinché le esposizioni

debitorie del de cuius possano essere risanate con il solo patrimonio del defunto, mentre l’art. 643

c.c. prevede che quando all’eredità sia chiamato un concepito (art. 462, 1° co., c.c.) o – in caso di

successione testamentaria (art. 462, ult. co., c.c.) – un nascituro non ancora concepito, ma figlio di

una determinata persona vivente, a questa spetta la rappresentanza del nascituro, per la tutela dei

suoi diritti successori, anche quando l’amministratore dell’eredità è una persona diversa.

5 Sulla considerazione del negozio di destinazione quale essenza del trust, v. D’errico, Trust e

destinazione, Destinazione di beni allo scopo. Strumenti attuali e tecniche innovative, Atti della

Giornata di studio organizzata dal Consiglio Nazionale del Notariato, Roma Palazzo Santacroce, 19

giugno 2003, in Quaderni romani di diritto commerciale, a cura di Libonati e Ferro-Luzzi, Milano,

2003, 213 ss.

6 Sulla nozione di vincolo reale di destinazione cfr. Bianca, Vincoli di destinazione e patrimoni

separati, Padova, 1996, 207 ss.

7 Per alcuni ragguagli in proposito cfr. Il fondo patrimoniale, in Il codice civile commentario,

fondato da Schlesinger e diretto da Busnelli, Giuffrè, Milano, 1992, 3 ss.

8 Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, 7a ed., Torino, 2016, 140.

9 Del Vecchio, Contributo alla analisi del fondo patrimoniale costituito dal terzo,

in RN, 1980, 317.

10 Per la ricostruzione del fondo come convenzione matrimoniale, per tutti, genghini, La

volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 274

11 corsi, Il regime patrimoniale della famiglia, in Trattato di Diritto Civile e Commerciale, già

diretto da Cicu e Messineo, VI, II, Milano, 1984, 105, per il quale “occorre distinguere la cessazione

del fondo che comporta (come dice l’art. 171) la cessazione della destinazione, dall’esaurimento

del fondo stesso, che si può verificare quando i beni che lo compongono siano escussi o siano stati

alienati per necessità o utilità evidente ed il ricavo erogato per i bisogni della famiglia”. Per

genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Padova, 2010, 324,

invece, l’alienazione di tutti i beni costituenti il fondo rappresenta una “altra causa di cessazione

del fondo patrimoniale non disciplinata dall’art. 171 cod. civ.”, anche se subito dopo precisa come

solo in caso di estinzione “e non nella vendita cessano tutti gli effetti del fondo patrimoniale ed in

particolare il vincolo di destinazione dei frutti”.

12 galasso, Del regime patrimoniale della famiglia, I, art. 159-230, in Commentario del codice civile

Scialoja Branca, a cura di Galgano, Bologna-Roma, 2003, 162 ss.; auciello, BaDiali, ioDice, Mazzeo,

La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Manuale e applicazioni pratiche

dalle lezioni di G. Capozzi, Milano, 2000, 350 ss. Ed in giurisprudenza, Trib. Foggia 9 giugno 2000, in

Riv. not., 2001, 3, 692 ss.



13 Sulla questione della derogabilità dell’autorizzazione, in giurisprudenza vedi: Trib. Milano 17

gennaio 2006, in Riv. not., 2006, 5, 1335; Trib. Brescia 9 giugno 2006, in Riv. not., 2006, 5, 1335;

Trib. Milano 29 aprile 2010, in Famiglia e Diritto, 2011, 1, 53, con nota di BalDini, Alienazione dei

beni del fondo patrimoniale e autorizzazione del giudice. Considerazioni sull’art. 169, 53 ss.; Cass.

4 giugno 2010, n. 13622, in Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 1208, con nota di Maione, Fondo

patrimoniale, derogabilità convenzionale del regime legale e poteri dei terzi creditori, 1211 ss.

14 La questione della legittimità dello scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale ad opera

dei coniugi in presenza di figli minori è comunque controversa. Si vedano a favore: Tribunale per i

minorenni di Venezia, decreto 17 novembre 1997, in Riv. not., 1998, 223, Trib. Venezia, decreto 7

febbraio e Trib. Ravenna, decreto 31 maggio 2001, che ritiene che non occorra alcuna

autorizzazione giudiziale, Trib. Modena, decreto 7 dicembre 2000, in Notariato, 2002, 27. Contrari:

Trib. Savona, decreto 24 aprile 2003, in Famiglia e Diritto, 2004, 67, Tribunale per i minorenni

dell’Emilia-Romagna, decreto 7 marzo 2001, Corte d’Appello di Bologna, Sez. per i minorenni,

decreto 2 ottobre 2001, in Notariato, 2002, 31, secondo cui non può essere autorizzato lo

scioglimento consensuale del Fondo Patrimoniale in presenza di figli minori.

15 Cass. Civ., 8 agosto 2014, n. 17811.

16 Cass. Civ. 8 agosto 2014, n. 17811, in Banca Dati De Jure.

17 Trib. Verona 30 maggio 2000: “In caso di alienazione di un bene costituito in fondo

patrimoniale il giudice competente a concedere l’autorizzazione in presenza di figli minori ha il

potere ed il dovere di ordinare il reimpiego”, in Vita notar., 1999, 81, nota di Giletta.

18 Trib. Genova 26 gennaio 1998: “Qualora l’atto di costituzione di beni immobili in fondo

patrimoniale preveda che, anche in presenza di figli minori, i coniugi possano concordemente,

senza autorizzazione giudiziale, alienare tali

beni, il tribunale deve dichiarare il non luogo a procedere in ordine alla richiesta d’autorizzazione

avanzata da entrambi i coniugi genitori di figli minori”, in Dir. Famiglia, 2001, 594.

19 auletta, Il fondo patrimoniale, Milano, 1990, 75 secondo il quale il vincolo si estende anche ai

beni mobili impiegati per ornamento o migliore sfruttamento di un immobile o mobile registrato.

L’A. precisa che, in tal caso, qualora il vincolo pertinenziale venga successivamente a cessare, i

beni mobili saranno esclusi dal fondo in quanto inidonei per loro natura a formarne oggetto.

20 Per una attenta e compiuta analisi dell’evoluzione giurisprudenziale, vedasi aa.VV., La

giurisprudenza italiana sui trust dal 1899 al 2006, Trust, Quaderni, n. 4, Milano, 2005. Cfr. La

giurisprudenza italiana sui trust, in Trusts e att. fid. (Quaderni della rivista Trusts e att. fid.),

Milano, 2011. Vedasi anche l’elaborazione, scandagliata secondo argomenti giuridici, di Giovanni

Lo Cascio, procuratore Generale Ordinario della Corte di Cassazione: lo cascio, La giurisprudenza

Italiana sui trust, relazione presentata al III Congresso Nazionale organizzato dall’Associazione “Il

trust in Italia”, svoltosi in Roma il 21-23 ottobre 2005, consultabile sul sito Internet

dell’Associazione all’indirizzo http://www. il-trust-in-italia.it.

21 L’art. 2 della legge sul Trust della Repubblica di San Marino recita come “si ha Trust quando un

soggetto è titolare di beni nell’interesse di uno o più beneficiari o per uno scopo specifico”.

22 Montinaro, Trust e negozio di destinazione allo scopo, Milano, 2004, 13.

23 Trust e fondo patrimoniale appartengono alla categoria degli strumenti negoziali che

(unitamente al contratto di affidamento fiduciario) realizzano la c.d. separazione patrimoniale.

Nella struttura di entrambi è ravvisabile un negozio “istitutivo” e un “negozio di trasferimento”.

24 Trib. di Padova, decreto 1° settembre 2008, in Trusts e attività fiduciarie, 2009, 19.

25 Trib. di Roma, decreto 9 marzo 2016, in Trusts e attività fiduciarie, 2017, 314.

26 L’istituto dell’amministrazione di sostegno è stato introdotto nel nostro

ordinamento con la legge nr. 6 del 9 gennaio 2004 che all’art. 3 ha previsto l’inserimento del Capo

I al Titolo XII del codice civile riguardante gli art. dal 404 al 413, in particolare l’art. 404 rubricato



Amministrazione di sostegno così recita: “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di

una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di

provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato

dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio”.

27 Quindi, prescindendo da qualunque provvedimento giudiziale accertante infermità di carattere

psico-fisico e tenendo conto che normalmente, sono i genitori del beneficiario.

28 Assume un rilievo importante ai fini del contenuto dell’atto istitutivo del trust le diverse

casistiche attinenti la situazione del soggetto da proteggere. In particolare la presenza o meno di

fratelli, se il beneficiario è coniugato e ha dei figli minori di età.

29 tonelli, Bulgarelli in Trusts e attività fiduciarie, luglio 2010, 378 per i quali “Costituisce un sicuro

limite dell’amministrazione di sostegno quello di non consentire alla persona pienamente capace,

che pensi di non poterlo più essere in futuro, di prevedere espressamente ed autonomamente,

ora per allora, in che modo ci si dovrà prendere cura di lei e gli scopi ai quali dovrà essere

destinato il proprio patrimonio. La legge che ha introdotto l’amministrazione di sostegno nel

nostro ordinamento non prevede, infatti, alcuno strumento con cui chi si prefiguri la propria futura

incapacità possa impartire direttive anticipate con le quali indirizzare l’operato

dell’amministratore e le decisioni del giudice”.

30 Come nel caso in cui a disporre in trust siano i genitori dell’assistito: per essi vi sarà la garanzia

di assistenza da parte dell’amministratore di sostegno, in quanto nominato trustee.

31 Al riguardo, Trib. Roma 26 ottobre 2009, in Trusts e att. fid., 2010, 180 ss.

32 Art. 2645-ter c.c.: “Gli atti in forma pubblica con cui beni immobili o beni mobili iscritti in

pubblici registri sono destinati, per un periodo non superiore a novanta anni o per la durata della

vita della persona fisica beneficiaria, alla realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a

persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche ai sensi

dell’articolo 1322, secondo comma, possono essere trascritti al fine di rendere opponibile ai terzi il

vincolo di destinazione; per la realizzazione di tali interessi può agire, oltre al conferente, qualsiasi

interessato anche durante la vita del conferente stesso. I beni conferiti e i loro frutti possono

essere impiegati solo per la realizzazione del fine di destinazione e possono costituire oggetto di

esecuzione, salvo quanto previsto dall’articolo 2915, primo comma, solo per debiti contratti per

tale scopo”.

33 gentili, La destinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio delle

fattispecie, in Riv. dir. priv., 2010, 55; rossi, Alcune riflessioni sulla nozione di meritevolezza

dell’art. 1322 del codice civile. L’art. 2645-ter, in Riv. notar., 2010, 656; Meucci, La destinazione di

beni tra atto e rimedi, Milano, 2009, 160; Mastropietro, Profili dell’atto di destinazione, in Rass.

dir. civ., 2008, 994; tucci, Fiducie, trust e atti di destinazione ex art. 2645-ter c.c., in Studi in onore

di Nicolò Lipari, Milano, 2008, II, 2959; Bartoli, Riflessioni sul nuovo art. 2645-ter c.c. e sul rapporto

fra negozio di destinazione di diritto interno e trust, in Giur. it., 2007, 1298; cian, Riflessioni

intorno a un nuovo istituto del diritto civile: per una lettura analitica dell’art. 2645-ter cod. civ., in

aa.VV., Studi in onore di Mazzarolli, I, Padova, 2007, 83.

34 gazzoni, Osservazioni sull’art. 2645-ter c.c., in Giust. civ., 2006, II, 165 ss., per il quale “la

tipizzazione del vincolo di destinazione non ha dato vita ad un nuovo schema reale e nemmeno ad

una obbligazione propter rem, la cui trascrizione, contrariamente a quanto previsto dall’art. 2645-

ter c.c., avrebbe dovuto riguardare non già il vincolo in sé, ma l’eventuale patto derogatorio alla

sua disciplina legale, che, viceversa, non esiste. La tipicità è dunque solo in funzione della

trascrizione del vincolo stesso, che resta meramente obbligatorio, come tale, prima d’ora,

insuscettibile nel modo più assoluto di qualsivoglia forma di pubblicità, nemmeno a fini di notizia”;

nello stesso senso petrelli, La trascrizione degli atti di destinazione.



35 Cfr. BellinVia, Destinazione non traslativa e meritevolezza dell’interesse familiare: nota a Trib.

Reggio Emilia, ord. 12 maggio 2014, in Riv. notar., 2015, II, 1273.

36 Trib. Reggio Emilia Sez. I, 26 marzo 2007 in Banca Dati De Jure.

37 Art. 6: “In caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust di cui al comma

1, i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, aliquote

ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui

all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.

38 Art. 4. Accertamento dell’handicap: 1. “Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà,

alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale

residua, di cui all’articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni

mediche di cui all’articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un

operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali”.

39 “1. La presente legge, in attuazione dei princìpi stabiliti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della

Costituzione, dagli articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli

articoli 3 e 19, con particolare riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione delle Nazioni

Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata

dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, è volta a favorire il benessere, la piena

inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. 2. La presente legge disciplina misure

di assistenza, cura e protezione nel superiore interesse delle persone con disabilità grave, non

determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno

familiare in quanto mancanti di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire

l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso

la progressiva presa in carico della persona interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori.

Tali misure, volte anche ad evitare l’istituzionalizzazione, sono integrate, con il coinvolgimento dei

soggetti interessati, nel progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n.

328, nel rispetto della volontà delle persone con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o

di chi ne tutela gli interessi. Lo stato di disabilità grave, di cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5

febbraio 1992, n. 104, è accertato con le modalità indicate all’articolo 4 della medesima legge.

Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza e gli altri interventi di cura e di sostegno

previsti dalla legislazione vigente in favore delle persone con disabilità”.

40 La Convenzione dell’Aja ha rimosso gli ostacoli di principio, che potevano rendere problematica

in Italia l’applicazione di leggi straniere disciplinatrici dei trust. Tali leggi possono oggi trovare

applicazione anche al di là della Convenzione: si ha un diverso apprezzamento del fenomeno della

separazione e della segregazione dei patrimoni e si è imposta una più bilanciata lettura del

importante art. 2740 cod. civ. e della configurazione del patrimonio del soggetto giuridico.

41 Gli “atti di destinazione” nel nuovo art. 2645-ter cod. civ. quale frammento di trust, in Riv. not.,

2006, 172.

42 Si segnala la sentenza del Tribunale di Ancona del 30 maggio 2016 n. 893 con cui il giudice di

prime cure, Dott.ssa Dorita Fratini, con sentenza 893/2016, ha accolto la domanda del Sig.

Pietrangeli Giulio di Fabriano, presidente di Anffas Onlus Fabriano e padre di Mirco, ragazzo con

disabilità, a cui il Comune di Fabriano aveva negato, in dispregio del suo progetto individuale, la

frequenza ad un servizio educativo diurno, visto che già risultava fruitore di un servizio

residenziale, tentando quindi di modificare unilateralmente e per soli motivi economici quanto

previsto dal progetto stesso. Il giudice, dopo aver disposto una consulenza medico-legale, volta ad

individuare la congruità del progetto individuale rispetto alle esigenze di Mirco e all’efficacia degli

interventi in esso previsti, ha quindi riconosciuto il diritto soggettivo di Mirco a mantenere il

progetto individuale già approvato ed attuato negli anni 2009-2010 e, quindi, il diritto a

mantenere la frequenza congiunta del centro residenziale e del centro diurno, nel rispetto del

rapporto 1 assistito/1 educatore. Tutto ciò anche in virtù del percorso già intrapreso, rivelatosi

decisamente proficuo e la cui sospensione si sarebbe rivelata addirittura dannosa per la persona

stessa, garantendo, quindi, il superiore benessere di Mirco e l’efficacia degli interventi a suo

favore. Allo stesso tempo, è stata respinta la domanda del Comune di Fabriano volta ad ottenere

dal sig. Pietrangeli Giulio il pagamento di somme a titolo di compartecipazione ai costi di gestione

del centro diurno, come se la frequenza di questo secondo servizio fosse riconducibile ad una sua

scelta arbitraria e non determinata dalle reali esigenze già indicate nel progetto individuale.

43 Per rispondere praticamente e rapidamente alla indicazione di legge, Unione Fiduciaria ha

costituito con persone fisiche, enti assistenziali e istituti di credito la “Fondazione Lombarda

Affidamenti”.