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La negoziazione dei diritti del minore

autore: C. Cecchella

Sommario: 1. L’accordo sui diritti del minore, dall’invalidità di oggetto all’invalidità di contenuto. - 2. L’assimilazione degli effetti del negozio agli effetti della sentenza e il loro rilievo nelle controversie sui diritti del minore. - 3. L’efficacia di un accordo di negoziazione sui diritti del minore senza l’omologa giudiziale. - 4. La validità degli accordi sui diritti indisponibili del minore. - 5. La compatibilità costituzionale del nuovo regime della negoziazione assistita sui diritti del minore. - 6. Il caso della mancata autorizzazione dell’accordo negoziato dagli avvocati da parte del Pubblico ministero. - 7. I possibili contenuti dell’accordo e il carattere infungibile della prestazione obbligata a tutela dei diritti del minore. - 8. Le peculiarità dell’accordo negoziato sull’assegnazione della casa coniugale. - 9. La posizione del minore nell’accordo inter alios. - 10 Le sopravvenienze in fatto e in diritto all’accordo.



1. L’accordo sui diritti del minore, dall’invalidità di oggetto all’invalidità di contenuto



Il diritto minorile è sempre stato collocato oltre il confine della disponibilità dei diritti, essendo i diritti del fanciullo protetti, fossero essi personali o patrimoniali, contro ogni possibile disposizione negoziale, transattiva come dichiarativa, dei genitori. Il negozio non poteva condursi sul diritto dei minori, a pena di nullità, sia che il negozio avesse applicato le norme che ne disciplinavano i diritti, sia che le avesse violate. Il negozio sui diritti del minore era nullo per divieto di oggetto. Il sistema presentava tuttavia elementi contraddittori. In più luoghi l’ordinamento ammetteva e ammette un accordo dei genitori avente ad oggetto il diritto dei figli, auspicandolo come premessa di un provvedimento del giudice, che lo autorizza o lo recepisce. Nell’ambito della separazione consensuale (art. 158 c.c.), ad esempio, ove il giudice può esclusivamente sindacare la coerenza dell’accordo con gli interessi del minore1 e, tra l’altro, al solo scopo di suggerirne modifiche, non per modificarlo, essendo l’atto del giudice di volontaria giurisdizione2 . Ugualmente, nell’ambito dello scioglimento del vincolo, art. 4, 16° comma, l. n. 898 del 1970, dove – per il carattere contenzioso – il giudice può determinarsi diversamente3 e quindi modificare l’accordo raggiunto dai genitori (il giudizio divorzile assume la forma della sentenza e resta sostanzialmente un giudizio4 ).

Anche nell’ambito contenzioso l’accordo viene particolarmente valorizzato, essendo auspicato il consenso dei genitori, come base del provvedimento giudiziale. Il giudice nel determinarsi sui provvedimenti anticipatori o definitivi, art. 337-ter, 2° comma, c.c.: “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori”. Il prendere atto è espressione – si badi bene – molto forte del legislatore, non è semplicemente un sindacare un accordo, per eventualmente accoglierlo o respingerlo nella determinazione preliminare o finale del giudizio5 . Altre volte il giudice, con determinazione discrezionale, può rinviare le misure provvisorie e urgenti, con il consenso dei coniugi-genitori ad una mediazione familiare (art. 337-octies: “qualora ravvisi l’opportunità il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”). È riconosciuta dal legislatore la mediazione familiare in funzione del raggiungimento di un accordo, che evidentemente viene ad assumere ancora una volta un rilievo centrale ai fini delle misure concernenti il figlio minore. A volte l’accordo può giungere a sovvertire regole imperative, art. 337-ter, 4° comma, c.c.: “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”. Dunque è ammesso un accordo in deroga al principio di proporzionalità, senza ovviamente che sia intaccato il contributo al mantenimento del figlio nel suo ammontare complessivo. Si tratta di norme che dissolvono il principio di indisponibilità assoluta dei diritti del minore, spingendo verso un divieto di contenuto più che un divieto di oggetto, non rendendo quindi radicalmente nulli gli accordi in materia, invalidi solo se le soluzioni concretamente adottate violano le tutele minime fissate dalla norma imperativa che disciplina i diritti del minore. Tuttavia tale assunto poteva solo essere intravisto nell’accentuazione del rilievo degli accordi nelle controversie aventi ad oggetto il diritto del minore, ma non poteva assurgere a principio generale, come lo sarà a seguito delle modifiche legislative a partire dal 2014 in poi.



2. L’assimilazione degli effetti del negozio e agli effetti della sentenza e il loro rilievo nelle controversie sui diritti del minore



La legge n. 162 del 2014 si colloca su questa scia e pone basi positive ancor più certe all’evoluzione del sistema, grazie alla introduzione di una serie di norme la cui portata sistematica deve essere adeguatamente meditata. In primo luogo, la piena assimilazione degli effetti dell’accordo di negoziazione, concernente anche il diritto dei minori, a quello di un provvedimento giurisdizionale (art. 6, 3° comma, legge n. 162 del 2014: “L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”)6 . La previsione poteva apparire ovvia, secondo un filone che muoveva dalle codificazioni liberali e che solo apparentemente aveva vissuto una soluzione di continuità a causa dell’ideologia statalista del ventennio (che però tanti segni aveva lasciato anche nell’età repubblicana). Ma non era affatto ovvia quando l’oggetto del negozio fosse stato il diritto del minore, ovvero un diritto indisponibile. Le suggestioni normative erano molte. Il codice Napoleonico (art. 2052: “Les transactions ont, entre les parties, l’autorité de la chose jugée en dernier ressort. Elles ne peuvent être attaquées pour cause d’erreur de droit, ni pour cause de lésion”) e il codice del 1865 (art. 1772: “Le transazioni hanno fra le parti l’autorità di una sentenza irrevocabile. Non possono impugnarsi per causa di errore di diritto né per causa di lesione: ma deve essere corretto l’errore di calcolo”), non hanno mai dubitato la piena assimilazione degli effetti. L’espressione è caduta invece nel codice del 1942; non la rinveniamo nelle norme dedicate alla transazione, anche se le norme su di una stabilità, assimilabile al giudicato, nella sostanza restano: art. 1969 c.c.: “La transazione non può essere annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto di controversia tra le parti” e art. 1970 c.c.: “La transazione non può essere impugnata per causa di lesione”. L’accordo non poteva e non può essere annullato per violazione di legge o sottoposto ad un controllo sul merito della disciplina offerta alla controversia, ovvero godeva della stabilità della regola concreta dettata al rapporto, in perfetta identità con la regola del giudice e in armonia con il principio, di evidente sapore liberale, che pure era contenuto nello stesso codice, art. 1372 c.c.: “Il contratto ha forza di legge tra le parti”. L’assimilazione agli effetti della sentenza, alla forza di un giudicato o di una legge che esprime la regola concreta alla fattispecie, non poteva dirsi una licenza poetica, ma una precisa regola di diritto positivo. Dunque il legislatore del 2014 nell’assimilare gli effetti dell’accordo agli effetti della sentenza non introduceva una novità particolare, tanto che la giurisprudenza – salvo il diverso orientamento nell’ambito dell’arbitrato, dove per decenni ha continuato ad esistere un indirizzo che poneva in una posizione subordinata il lodo arbitrale rispetto alla sentenza7 – non hai mai messo in discussione la non impugnabilità dell’accordo transattivo per errore di diritto o errore di fatto, tanto da ritenere la transazione irriducibile allo ius superveniens e alle sentenze della Corte costituzionale, come esattamente il giudicato8 . Ma l’art. 6, 3° comma, in esame, ha un portata ben più dirompente, rispetto alla semplice assimilazione agli effetti del provvedimento giurisdizionale, poiché ammette che la controversia sui diritti che nascono dal matrimonio o dall’unione (dopo il richiamo al comma 14 dell’art. 1 della legge n. 76 del 2016) possa essere risolta negozialmente, a seguito di trattativa condotta innanzi agli avvocati. Ammette altresì che tra i diritti negoziabili – nell’ambito ovviamente della sola controversia fondata sulla crisi del matrimonio – possano essere regolati negozialmente i diritti del minore, con un risultato pari a quello di una sentenza o altro provvedimento giurisdizionale. Due aspetti dirompenti della nuova disciplina, che ne costituiscono la novità che si ritiene opportuno indagare nel presente breve scritto. L’accordo, pur vertente sui diritti del minore, non deve più essere omologato giudizialmente o recepito in un provvedimento giurisdizionale, il che elimina in modo evidente la fase di verifica innanzi al giudice. La negoziazione, inoltre, accede ai diritti indisponibili, con la inevitabile previsione di un divieto di contenuto ma non più di oggetto, sancendo in modo definitivo quel principio che solo poteva intuirsi in alcune disposizioni previgenti9 .



3. L’efficacia di un accordo di negoziazione sui diritti del minore senza l’omologa giudiziale



Quanto al primo aspetto, relativo all’efficacia di un accordo prescindendo da un’omologa giudiziale, si deve dire che la scelta legislativa non era scevra di contraddizioni, se i diritti del figlio minore, nato fuori dal matrimonio, non potevano godere (alla luce della lettera dell’art. 6, 1° comma, cit.) della stessa liberalità, poiché secondo l’assetto tradizionale l’accordo avrebbe dovuto, in questo caso, essere recepito nel provvedimento giurisdizionale del tribunale per i minorenni o del tribunale ordinario, a seconda che il diritto regolato fosse personale o patrimoniale. Infatti la negoziazione è solo consentita nelle controversie di separazione e divorzio o nascenti dallo scioglimento dell’unione civile (la quale pone il problema dei diritti del minore, alla pari dell’unione matrimoniale, alla luce di alcuni recenti orientamenti giurisprudenziali “creativi” che hanno ammesso l’adozione da parte dei partners dell’unione civile). Ancora un discrimine tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori dal matrimonio. Pertanto mentre l’accordo di negoziazione per i figli nati nel matrimonio, laddove regoli diritti del fanciullo, è immediatamente efficace senza sindacato giudiziale, lo stesso accordo tra genitori conviventi e non uniti in matrimonio, è efficace solo se convertito in un provvedimento giudiziale, in difetto non ha alcuna valenza giuridica. Il tema ha un evidente rilievo sul piano formale e continua a perpetuare il discrimine enunciato, ma nella sostanza il tipo di controllo effettuato in sede giudiziale continua ad essere esclusivamente quello di valutare i contenuti dell’accordo, il rispetto dei diritti minimi del minore sanciti dalla legge e, quindi, non pone l’accordo su un piano di invalidità assoluta, ma di validità di contenuto da verificare volta per volta giudizialmente. Nell’ambito degli accordi di negoziazione sui diritti del minore nato nel matrimonio, veniva definitivamente rotto il monopolio giurisdizionale del sindacato preventivo sulla coerenza dell’accordo con le tutele minime che la legge imperativa impone alla regolamentazione degli interessi del minore. Nella nuova disciplina il controllo preventivo viene affidato agli avvocati, che ricevono mandato dalle parti (i genitori) e dal Pubblico ministero. In primo luogo ai difensori tecnici delle parti (per questa ragione, necessariamente uno per ciascuna di esse), i quali oltre a confermare la sottoscrizione autografa dei propri rappresentati, ne assicurano, assumendosene la responsabilità, l’osservanza delle norme imperative, con relativa certificazione. Il ruolo degli avvocati deve essere sottolineato, perché protagonisti della trattativa, al pari delle parti, e coinvolti nella certificazione finale di compatibilità con le norme inderogabili. Non si deve pensare, tuttavia, che il ruolo degli avvocati sia più oneroso e all’origine di maggiori responsabilità, rispetto allo stesso ruolo svolto in sede di accordi formati e omologati in sede giudiziale. In quel caso, infatti, il suggello all’accordo discendente dal provvedimento giurisdizionale di omologa, non esclude le medesime responsabilità del difensore tecnico sui contenuti di un accordo integralmente stragiudiziale e sottoposto alla certificazione di compatibilità con la norma imperativa. L’avvocato è comunque responsabile per aver suggerito un accordo in sede giudiziale, nella stessa misura in cui ha suggerito un accordo in sede di negoziazione assistita. L’unica differenza è data dal fatto che, oltre al suggello dell’avvocato, nella diversa sede giudiziale, si aggiunge il controllo di compatibilità del giudice con le normative a tutela dei diritti del minore. Ma anche in sede di negoziazione assistita, oltre alla certificazione di compatibilità con le norme imperative dell’avvocato, esiste, per il coinvolgimento di interessi generali nella disciplina dei diritti del minore, un’ulteriore verifica, con un procedimento para-giurisdizionale, di natura amministrativa: l’autorizzazione del Pubblico ministero10. Negli accordi che hanno ad oggetto esclusivamente i diritti dei coniugi, ormai la liberalizzazione è totale, innanzi all’ufficiale di stato civile la presenza dell’avvocato è eventuale e non esiste alcun controllo amministrativo del Pubblico ministero, mentre il funzionario comunale non ha alcuna nozione per potere interferire sui contenuti dell’accordo, dovendo svolgere una funzione men che notarile. Quando invece sono coinvolti i diritti del minore, il Pubblico ministero non si limita – come nel caso, ancora, degli accordi tra coniugi senza figli negoziati dagli avvocati – ad un mero controllo di regolarità formale (il nulla osta), ma esercita poteri discrezionali che confluiscono in una vera e propria autorizzazione, che presuppone un controllo di merito, sulla coerenza dell’accordo con i minimi riconosciuti dalla legge imperativa a tutela degli interessi del minore. Dunque viene introdotta una duplice garanzia, quella del contraddittorio degli avvocati, che si conclude con la certificazione condivisa sulla compatibilità dell’accordo e l’autorizzazione del Pubblico ministero, mentre è definitivamente tramontato il sistema un preventivo controllo giurisdizionale. L’insieme delle disposizioni esaminate consente pertanto di raggiungere alcune conclusioni:

1. l’accordo concernente i diritti del minore, perfezionato tra i genitori coniugati, non è più efficace esclusivamente se omologato giudizialmente o recepito in un provvedimento giurisdizionale;

2. la fattispecie costitutiva di tale efficacia, priva di preventivo sindacato giudiziale, discende da una trattativa condotta da avvocati, in rappresentanza dei genitori, conclusasi con un accordo la cui compatibilità con le norme imperative è certificata dagli avvocati, seguita da un’autorizzazione di un organo amministrativo, individuato nel Pubblico ministero, presso il tribunale competente a trattare la controversia in sede giudiziale, il quale verifica anch’egli la compatibilità con gli interessi del minore e quindi ancora con il rispetto delle tutele imperative;

3. l’accordo di negoziazione assistita, direttamente perfezionato dai coniugi, nel quale può intervenire solo eventualmente l’avvocato, può essere perfezionato solo in controversie nel quale non sono coinvolti i diritti del minore o del figlio maggiorenne non autosufficiente (è il caso di cui all’art. 12 della legge cit., ovvero l’accordo di negoziazione assistita innanzi all’ufficiale di stato civile).



4. La validità degli accordi sui diritti indisponibili del minore



Oltre al perfezionarsi della fattispecie, al di fuori della sede giudiziale, volontaria o contenziosa, con piena efficacia assimilabile a quella di un provvedimento giurisdizionale, è in tal modo sancito un regime di piena negozialità dei diritti indisponibili del minore. Questo è il secondo e ulteriore profilo sistematico discendente dalla nuova normativa Prima della legge n. 162 del 2014 non era infatti dubitabile un regime di nullità assoluta e quindi la mancanza di effetti di un accordo tra genitori concernente i diritti del minore, se non – nei casi tassativamente previsti – omologato o recepito da un provvedimento giurisdizionale. Oggi il sistema concepisce, al contrario, un accordo di negoziazione dei genitori che disciplini la regola concreta applicabile ai diritti personali e patrimoniali del minore, pienamente efficace se perfezionato nel contesto di una trattativa di avvocati, certificata dagli stessi avvocati per compatibilità con la norma imperativa e autorizzata dal Pubblico ministero. Dunque il regime della indisponibilità dei diritti si stempera sino a sciogliersi del tutto verso il diverso regime del rispetto della norma inderogabile, imperativa e di ordine pubblico, negli accordi privati. È quanto abbiamo evidenziato in apertura: l’esclusione nel sistema di un divieto di oggetto dell’accordo privato vertente sui diritti del minore, accordo pienamente legittimo ed efficace benché avente ad oggetto diritti indisponibili, limitato soltanto dal suo contenuto necessariamente coerente alle norme imperative e di ordine pubblico, che disciplinano gli interessi del minore. La materia minorile, seppure nel contesto particolare, regolato dalla legge, di accordi risultanti da trattative tra avvocati e certificati da questi ultimi, nonché autorizzati dal Pubblico ministero, non si dimostra più coerente con il regime generale della indisponibilità, sancito dalla nullità radicale ed assoluta degli accordi privati che abbiamo ad oggetto diritti indisponibili. È tuttavia da sottolineare anche che il nuovo regime che sposta la materia dalla indisponibilità al regime della inderogabilità, dal limite di oggetto al limite di contenuto, è concepita in un contesto molto particolare, che è quello della negoziazione tra avvocati, autorizzata dal Pubblico ministero. Pertanto accordi sui diritti del minore, avulsi da una trattativa degli avvocati che rappresentano i genitori e/o priva di autorizzazione dell’organo amministrativo di controllo, resta relegata ad un regime di radicale nullità. Ciò anche per le inopportune previsioni di un legislatore poco attento al principio di eguaglianza, ex art. 3 Cost., in relazione agli accordi sui diritti dei minori nati fuori dal matrimonio, i quali non possono avere accesso al regime speciale della negoziazione assistita.



5. La compatibilità costituzionale del nuovo regime della negoziazione assistita sui diritti del minore



Se non è dubitabile l’incostituzionalità di un sistema che ammette la parificazione degli effetti degli accordi di negoziazione assistita a quelli dei provvedimenti giurisdizionali nel solo ambito dei diritti dei figli nati nel matrimonio, sotto il profilo del principio di eguaglianza e razionalità dell’art. 3 Cost., non vi è ragione di dubitare su di una compatibilità della disciplina in relazione ad altri principi costituzionali, in modo particolare al diritto di azione consacrato nell’articolo 24 Cost. La sottrazione dell’efficacia dell’accordo ad un previo controllo giudiziale non deve far pensare alla violazione di un principio di monopolio giurisdizionale della materia che non si può trarre in alcun modo nell’art. 24 Cost., il quale riconosce il diritto della parte di agire in sede giurisdizionale per la tutela dei propri diritti. Quando l’atto privato è matrice, per scelta del legislatore ordinario, di un effetto in tutto o in parte assimilabile a quello di un provvedimento giurisdizionale, purché il fondamento della fattispecie sia saldamente radicato sul consenso delle parti coinvolte – ciò è evidente nell’arbitrato, preceduto dalla convenzione arbitrale, e che assurge agli effetti regolati dall’art. 824-bis, c.p.c., ma non di meno negli accordi in sede di conciliazione o di mediazione, che conseguono un’efficacia esecutiva ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 28 del 2010 –, non vi è alcuna ragione di ritenere violato l’art. 24 Cost., il quale non sancisce l’obbligo all’azione giurisdizionale, se la parte liberamente vi ha fatto rinunzia, preferendo una via privata di risoluzione della controversia, arbitrale o mediante trattativa negoziale. Contro la volontà della parte, dunque, non esiste alcun monopolio giurisdizionale, nella regolamentazione della controversia, con effetti assimilabili a quelli di un provvedimento del giudice. La Costituzione, sia per l’arbitrato e sia per la negoziazione in senso lato, non impone affatto questo principio. In verità il sistema favorisce l’alternativa privata alla giurisdizione, sempre fondata sul consenso delle parti, in attuazione di altro principio costituzionale, che è quello solidaristico introdotto dall’art. 2 Cost. Diverso è il caso in cui la soluzione arbitrale o privata sia imposta dalla legge come obbligatoria contro la volontà della parte. In questo caso la parte viene privata, in contrasto con la sua libera determinazione, del diritto di agire in sede giurisdizionale per la tutela dei suoi diritti. È il caso degli arbitrati obbligatori, banditi dal sistema costituzionale11. Il problema si pone egualmente, ma in maniera diversa, per i casi di negoziazione obbligatoria, preventiva all’esercizio dell’azione giurisdizionale. In tal caso se la previsione legislativa non preclude o anche solo rende meno facile il prodursi degli effetti dell’immediato esercizio dell’azione giurisdizionale (donde il regime di mera improcedibilità dell’azione, la conservazione degli effetti dell’azione giurisdizionale esercitata nonostante il vincolo di un tentativo obbligatorio di conciliazione e/o negoziazione, e la assimilazione degli effetti dell’istanza di conciliazione o mediazione agli effetti di una domanda giudiziale, cfr. l’art. 5 d.lgs. n. 28 del 2010 e l’art. 3 legge n. 164 del 201412), non vi è luogo per una ipotesi di incostituzionalità. Anche nella negoziazione assistita sono le parti che, attraverso la convenzione preliminare, rinunciano per un breve tempo all’azione giurisdizionale, avviando la trattativa che consenta una soluzione concordata della controversia (art. 2 legge n. 164 del 2014), in tal modo non è preclusa o resa meno facile l’azione giurisdizionale e tutto ciò è coerente con altro principio costituzionale, che è quello di solidarietà ex art. 2 Cost., come già evidenziato. Vi è poi da aggiungere che l’azione giurisdizionale, particolarmente nella tutela dei diritti indisponibili, non è affatto preclusa, solo sospesa per un brevissimo termine (tre mesi, quanto la durata ex lege del tentativo, ancora art. 2, cit.) poiché all’esito dell’accordo di negoziazione sui diritti del minore, resta integralmente possibile, in sede giurisdizionale, un controllo sulla compatibilità dei contenuti dell’accordo con la norma inderogabile di ordine pubblico che riconosce i diritti del minore e il loro contenuti, certamente non preclusa dalla certificazione degli avvocati o dall’autorizzazione del Pubblico ministero. Peraltro la stessa azione non era preclusa neppure nel caso di accordo omologato dal Tribunale, riferendoci all’esperienza della separazione consensuale, ove – seppure dopo un’importante evoluzione giurisprudenziale – sono sempre state concesse le azioni di impugnativa contrattuale e fra queste l’azione di nullità, l’azione di simulazione, l’azione di annullamento del contratto e l’azione revocatoria13. Il decreto di omologa determina solo una condizione di efficacia di un atto che resta un accordo tra i coniugi/genitori ed è dunque impugnabile anche con l’azione di nullità contrattuale. Il problema non è differentemente posto nel caso in cui l’accordo sia, come nella sentenza che scioglie il vincolo, recepito da un provvedimento giurisdizionale all’esito di un rito contenzioso: in tal caso i motivi di impugnativa negoziale restano assorbiti dalle forme delle impugnative giurisdizionali, rimanendo identico il motivo costituito dalla violazione di norme imperative (che contro la sentenza di divorzio assumono le forme del reclamo innanzi alla Corte di appello14). La fattispecie di negoziazione, lo si è detto, non produce più una nullità di oggetto dell’accordo vertente sui diritti del minore, ma non preclude la possibilità di un’impugnativa in sede giurisdizionale, in caso di violazione nei suoi contenuti della norma imperativa inderogabile15. L’accordo di negoziazione assistita sui diritti del minore non risulta perciò del tutto insensibile ad un sindacato giurisdizionale a posterius, essendo solo precluso un sindacato giurisdizionale preventivo sui contenuti e sull’efficacia assimilabile ad un provvedimento giurisdizionale. Pertanto l’accordo di negoziazione è soggetto senza limiti all’impugnativa ex art. 1418 c.c., per la nullità del negozio se contrario a norme imperative. Offre al genitore o anche il minore, previa nomina di un curatore speciale, un’immediata azione esecutiva, senza un preventivo vaglio giurisdizionale, ma non esclude un’impugnativa successiva innanzi al giudice (risulta solo escluso dall’impugnativa l’avvocato che ha dato origine all’accordo, che non può patrocinare la parte che intende impugnare, se non incorrendo in sanzioni di carattere disciplinare, art. 5, 4° comma, legge n. 164 cit.). L’impugnativa potrà essere esercitata anche in via di eccezione o opposizione, qualora la parte sia destinataria di azioni esecutive in forza dell’accordo perfezionato, potendo senza limiti, nelle forme della opposizione all’esecuzione, far valere il profilo di nullità per violazione di norma imperativa.

Quindi l’art. 6, 3° comma, non ha la valenza di un esonero dalla impugnativa per nullità, come lo è – ad esempio –, nella diversa materia delle controversie di lavoro, l’art. 2113 c.c., il quale sancisce la non impugnabilità degli accordi tra lavoratore e datore di lavoro, presi in particolari contesti (quello sindacale o quello amministrativo). L’art. 6 in esame ha assimilato gli effetti dell’accordo a quelli di un provvedimento giurisdizionale, consentendo alla parte di utilizzare tutti gli strumenti di attuazione e di esecuzione senza un previo percorso giurisdizionale, ma non esclude – in mancanza di una norma come quella dell’art. 2113 c.c. – una impugnativa per nullità di contenuto dell’accordo, in quanto preso in violazione della norma imperativa. Inoltre l’assimilazione agli effetti di un provvedimento giurisdizionale non modifica lo strumento di impugnazione, originato dalla natura dell’atto da impugnare, che resta un accordo, ovvero un negozio giuridico, soggetto alle azioni di impugnativa negoziale (e non certo a quelle di impugnativa giurisdizionale). In conclusione, e per quanto interessa, non può dirsi violata la garanzia dei diritto di azione nella nuova normativa di negoziazione assistita degli accordi del minore, sia perché l’art. 24 Cost. non pone affatto un monopolio giurisdizionale sugli effetti della sentenza o dei provvedimenti assimilati, ben potendo l’azione essere rinunciata o sospesa per volontà della parte, sia perché all’esito dell’accordo di negoziazione la parte può riappropriarsi del diritto di azione con cui far valere la nullità dell’accordo in violazione di norme imperative.



6. Il caso della mancata autorizzazione dell’accordo negoziato dagli avvocati da parte del Pubblico ministero



Qualche considerazione merita, nell’analisi della fattispecie che dà origine ad un’assimilazione degli effetti dell’accordo sui diritti del minore perfezionato dai genitori in sede di negoziazione assistita a quelli di un provvedimento giurisdizionale, il caso regolato nel 2° comma dell’art. 6, originato dalla mancata autorizzazione del Pubblico ministero: “Quando ritiene che l’accordo non risponda all’interesse dei figli, il Procuratore della Repubblica lo trasmette, entro cinque giorni, al Presidente del tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo”. Il legislatore, seppure con una formula molto generica e irta di problemi interpretativi ed applicativi, sembra recuperare, nel caso di dissenso del Pubblico ministero, una fase di intervento del giudice. Ma tale fase costituisce una sorta di svolgimento ancora amministrativo, di ricorso gerarchico ad un’autorità amministrativa superiore, appunto il Presidente del tribunale, oppure recupera, sempre su istanza delle parti, un ruolo ed una funzione esclusivamente giurisdizionale del Presidente? L’ipotesi del ricorso gerarchico al Presidente del tribunale, benché nella prassi preferita, non è giustificabile sul piano interpretativo e sistematico. Il Presidente del tribunale non può esser concepito come superiore gerarchico del sostituto procuratore che nega l’autorizzazione; superiore può essere al massimo il titolare dell’ufficio della Procura della Repubblica. Il tribunale, in difetto di una espressa previsione del legislatore, inequivoca, non può svolgere attività amministrative, mentre è deputato per legge ad un generale potere di risoluzione in sede giurisdizionale volontaria o contenziosa della controversia16. L’attribuzione al presidente del tribunale di una recuperata funzione giurisdizionale preventiva, non può essere considerata violazione del principio della domanda, poiché la fase giurisdizionale resta, nell’atto di impulso necessario, affidata all’iniziativa delle parti private. Infatti nella comparizione delle parti innanzi al Presidente del tribunale, solo le parti possono dare impulso ad una delle possibili alternative innanzi al giudice: chiedere l’archiviazione del caso, a cui deve inesorabilmente provvedere il Presidente del tribunale; oppure promuovere una domanda congiunta nella quale, confermato il tenore dell’accordo, chiedere al Presidente del tribunale di proseguire in sede giurisdizionale, ovvero attraverso le forme della separazione consensuale, del divorzio congiunto, oppure della revoca e modifica dei provvedimenti giurisdizionali sui quali aveva inciso l’accordo, confidando in una diversa veduta del tribunale rispetto a quella preventivamente offerta dal Pubblico ministero; infine, anche su iniziativa di una sola delle parti, avviare su domanda un procedimento contenzioso nel contraddittorio con il Pubblico ministero, nel quale chiedere al tribunale un provvedimento provvisorio e finale fondato sull’accordo raggiunto dalle parti e non autorizzato17. Pertanto le parti restano sovrane nel dirigere l’appendice giurisdizionale verso una via consensuale o contenziosa oppure, al contrario, preferire la via della archiviazione del procedimento. Certo è che sul piano sistematico non è concepibile un ruolo del Presidente del tribunale come organo amministrativo di secondo grado, che autorizzi ciò che il Pubblico ministero non ha autorizzato, avviando l’accordo, entro dieci giorni, in copia autentica, all’ufficiale dello stato civile.



7. I possibili contenuti dell’accordo e il carattere infungibile della prestazione obbligata a tutela dei diritti del minore



Non è dubitabile che i contenuti dell’accordo possano regolamentare un qualsiasi diritto del minore, sia esso patrimoniale, come il diritto ad un contributo di mantenimento diretto, attraverso la convivenza, o indiretto, in caso di residenza stabile presso l’altro genitore, mediante versamento di un assegno periodico, oppure personale, come il diritto alla bi-genitorialità nell’affidamento, l’individuazione di una residenza abituale del minore presso uno dei genitori, la regolamentazione del diritto dell’altro genitore ad una visita e a tenere con sé il figlio in alcuni giorni della settimana o in alcuni periodi dell’anno; infine, la regolamentazione di una situazione “mista”, sia patrimoniale che personale, costituita dall’assegnazione della casa familiare, al coniuge presso il quale è stabilita la stabile residenza del minore. Anche l’eventuale regolamentazione delle modalità di esercizio congiunto dell’affidamento, nelle scelte concernenti l’educazione del minore, la sua frequentazione scolastica e gli studi, il suo trasferimento di residenza, le scelte nell’ambito del tempo libero, possono essere – evidentemente nell’ambito della revoca e modifica dei provvedimenti di separazione e divorzio – assunti in sede di accordo di negoziazione. I diritti sia patrimoniali che personali del minore coincidono con situazioni infungibili, ove la prestazione dell’obbligato è necessaria, non potendo essere surrogata dall’attività dell’ufficio esecutivo nelle forme del libro III del codice di rito. L’infungibilità vale anche per i diritti al mantenimento, che tutelano indirettamente situazioni personali, come la vita, la dignità e il decoro della persona: non è seriamente pensabile che tali diritti possano essere tutelati da un’esecuzione nelle forme della espropriazione. A maggior ragione un diritto personale, come il diritto alla genitorialità, nelle forme degli obblighi di fare o non fare o peggio ancora nelle forme degli obblighi di consegna o rilascio. L’assimilazione agli effetti di un provvedimento giurisdizionale apre gli accordi alla piena tutela dei diritti infungibili, accertati in sede giurisdizionale, mediante l’art. 614-bis c.p.c., oppure alle forme dell’art. 709-ter c.p.c. Quanto alla prima disposizione (che oggi tuttavia incontra il limite sul piano giurisdizionale del diritto al pagamento di somme) è possibile che nell’accordo si stabilisca l’obbligo di pagamento di una somma, a titolo di penale, per ogni inadempimento o ritardo nell’adempimento e che la violazione possa dare origine ad un’immediata tutela esecutiva, stante l’esecutività di cui è munito l’accordo. L’ampiezza di determinazione negoziale peraltro, consente attraverso l’estensione della concezione della clausola penale, di imporne l’applicazione anche in caso di violazione di obblighi di prestazioni in denaro, con una maggiore latitudine dell’istituto rispetto all’omologo giurisdizionale. In difetto di una precostituzione nell’accordo di una penale alla violazione dell’obbligo, innanzi all’inadempimento del diritto personale, non incontra limiti altresì l’istanza al giudice competente per il merito, al fine di una determinazione a posterius di una misura coercitiva a carico dell’inadempiente, ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c. I diritti personali regolati nell’accordo, possono poi condurre alle forme di esecuzione in via breve, lasciate alla determinazione del giudice di merito, sempre ai sensi dell’art. 709-ter c.p.c., che non si dimentichi, nell’ambito delle controversie di famiglia è norma che disciplina l’esecuzione, in alternativa alle forme del libro III del codice di rito, secondo la prudente valutazione del giudice di merito, la quale può giungere, per quella continua osmosi tra esecuzione e cognizione nelle controversie di famiglia, a modificarne in contenuti qualora questi non ne consentano un’adeguata esecuzione.



8. Le peculiarità dell’accordo negoziato sull’assegnazione della casa coniugale



Tra i contenuti necessari dell’accordo di negoziazione, l’assegnazione della casa coniugale, misura concordata che segue gli interessi del minore, essendone destinatario il genitore presso il quale è stabilita la residenza del figlio. La violazione della regola potrebbe essere passibile di nullità dell’accordo. La sua applicazione rende necessaria la trascrizione dell’accordo di negoziazione, per l’opponibilità ai terzi, alla pari del provvedimento di separazione ai sensi dell’art. 337-sexies c.c. (“Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643”) e dei provvedimenti in sede divorzile, ex art. 6 legge n. 898 del 1970 (“L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile”). Il tema, innanzi alle consuete incertezze del legislatore, pone il problema del titolo necessario per la trascrizione, una copia dell’accordo autenticata dall’avvocato (secondo quanto necessario per la annotazione da parte dell’Ufficiale di stato civile), o una copia dell’accordo sottoscritto innanzi a notaio con firme autenticate? Vi è da dire che l’avvocato, al momento in cui certifica le firme delle parti in calce all’accordo, non è certamente un pubblico ufficiale (com’è quando autentica la firma in calce al mandato di rappresentanza difensiva ex art. 83 c.p.c.), tant’è che quando l’accordo di diritto comune contiene una clausola che produce l’effetto di un trasferimento di un diritto reale su di un immobile, è necessario che l’accordo stesso, ai fini della trascrivibilità, sia reso innanzi ad un notaio che ne autentichi le sottoscrizioni, dando loro pubblica fede fino a querela di falso, art. 5 legge n. 164 del 2014. L’eventualità di un trasferimento immobiliare, nel contesto di un accordo che coinvolga un minore e che magari lo renda destinatario di un diritto reale su immobile, non potrebbe sottrarsi al perfezionamento, ai fini di autentica delle firme per la trascrizione, innanzi a notaio. Ma l’assegnazione della casa coniugale è altra cosa, non è un trasferimento di diritti reali immobiliari. È il riconoscimento di un diritto del minore, di avere stabile residenza nella casa familiare, il quale è oggetto del provvedimento giurisdizionale e, per assimilazione, dell’accordo di negoziazione. È l’art. 6, 3° comma, legge cit., a porre il fondamento della trascrivibilità: la assimilazione al provvedimento giurisdizionale. Non l’art. 5 della stessa legge, che disciplina la diversa fattispecie del trasferimento di diritti reali su immobili. Dunque, per assimilazione al provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, che non coincide con un diritto reale, si deve ritenere che costituisca titolo per la trascrizione la semplice copia certificata come autentica dall’avvocato, non essendo necessaria la traduzione dell’accordo nelle forme della scrittura privata autenticata da notaio. Infatti, in analogia, è trascrivibile semplicemente la copia autentica del verbale di separazione consensuale omologato, oppure la copia autentica della sentenza di scioglimento del vincolo (art. 2657 c.c.: “La trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza”) e l’assimilazione alla sentenza o altro provvedimento giurisdizionale non rende necessaria altra formalità che la presentazione al conservatore di copia dell’atto assimilato agli effetti della sentenza. Il tema è tuttavia irto di difficoltà, lo si conviene, poiché l’art. 2658 c.c. impone all’atto della trascrizione la presentazione di copia autentica della sentenza, se il titolo è giudiziale (al quale ci è parso opportuno assimilare l’accordo di negoziazione sull’assegnazione della casa coniugale), mentre se il titolo è stragiudiziale è necessario produrre l’originale o copia autentica, se depositata in un pubblico archivio o presso un notaio, di una scrittura privata autenticata.



9. La posizione del minore nell’accordo inter alios



Sinora si è trattato di un accordo di negoziazione tra i genitori, avente ad oggetto tuttavia i diritti del minore, che è parte sostanzialmente diversa. I genitori svolgono una funzione di rappresentanza e amministrazione degli interessi del minore (art. 320 c.c.), da esercitarsi congiuntamente nel caso di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, con il limite del conflitto di interessi (art. 321 c.c.), quando si rende necessario la nomina di un curatore speciale del minore. Trattandosi di rappresentare il minore in un atto di diritto sostanziale, hanno rilievo solo gli istituti della rappresentanza legale. L’eventuale perfezionamento di un accordo in violazione delle norme sulla rappresentanza legale o in conflitto di interessi, rende l’accordo annullabile per difetto di rappresentanza, ai sensi dell’art. 322 c.c. Tale disposizione è pienamente applicabile agli accordi nel quale viene negoziato il diritto del minore. Il tema, nel silenzio del legislatore, sui delicati profili del conflitto e della rappresentanza, non può tuttavia essere risolto solo sulla base delle norme sostanziali. Si deve infatti muovere dalla necessità di una rappresentanza tecnica delle parti coinvolte nella controversia e quindi nell’accordo, come elemento costitutivo della fattispecie, in grado di consentire la stipula anche sui diritti del minore: la norma si riferisce solo ai genitori/coniugi, ai quali impone una rappresentanza tecnica separata (art. 6, 1° comma, cit.) dimentica il minore, dei cui diritti si tratta. La lacuna è l’esatta simmetria di identica lacuna in sede giurisdizionale, dove il minore, parte sostanziale e formale del processo e del suo giudizio finale, è assente e non è tecnicamente rappresentato. È noto, infatti, come la legge ammetta una rappresentanza tecnica del minore solo nelle controversie sullo stato di adottabilità e sulla responsabilità genitoriale, trascurando tutte le altre controversie, in cui pure il minore è parte sostanziale del processo, essendo in discussione i suoi diritti. È altrettanto noto come il “diritto vivente” ignori anche queste disposizioni e traduca la tutela del minore solo nelle disposizioni dedicate al conflitto di interessi con il suo rappresentante legale, attraverso l’istituto della nomina del curatore ex art. 75 c.p.c. (che viene reclutato nelle schiere degli avvocati familiaristi, con il conseguente risparmio dei compensi spettanti invece al difensore tecnico). Ne risulta che il minore è l’unica parte sostanziale del processo priva di rappresentanza tecnica, pur consumandosi in esso la tutela dei diritti indisponibili di cui è titolare, costretto – si badi bene - ad assumere le proprie difese personalmente in quell’istituto di autodifesa che è l’ascolto. L’ascolto è altro tema del tutto trascurato dalla normativa sulla negoziazione assistita, il quale, al contrario, è posto al centro della tutela giurisdizionale dei diritti del minore, essendo in difetto di ascolto il provvedimento destinato ad un regime di radicale nullità e non spendibile come titolo esecutivo nell’ambito dell’ordinamento della Unione europea. Se dunque l’ordinamento trascura, ai limiti della costituzionalità, la rappresentanza anche tecnica del minore nel processo che ha ad oggetto i suoi diritti, non trascura nell’ambito giurisdizionale il suo diritto di esprimersi sui suoi interessi, mediante l’ascolto, vero e proprio strumento di autodifesa, non certo di carattere istruttorio. La negoziazione assistita trascura l’uno e l’altro aspetto. Se quello della rappresentanza tecnica può essere superato dal non essere negoziabile la controversia sullo stato di adottabilità o la controversia sulla responsabilità genitoriale (limitandosi l’istituto ad un’applicazione nelle sole controversie della separazione o dello scioglimento del vincolo), resta il tema delicato del conflitto (risolto nell’ambito giurisdizionale mediante la nomina del curatore) e soprattutto il tema dell’ascolto. Quanto al conflitto, non pare postulabile, come in sede giurisdizionale, l’applicazione dell’art. 75 c.p.c., poiché non vi è nel nostro caso, un processo pendente, mentre sembra più opportuno rifarsi alle norme di diritto sostanziale ai sensi degli artt. 320 e 321 c.c., con la nomina di un curatore speciale, in caso di conflitto di interessi tra minori e genitori. Su tale aspetto gli avvocati dovranno prestare particolare attenzione, essendo le disposizioni richiamate norme imperative e inderogabili. Sull’ascolto il tema è assai più delicato. Vi è anzitutto da sottolineare che anche quando il provvedimento giurisdizionale costituisce omologa o recepimento di un accordo perfezionato tra i coniugi, non per questo è escluso l’ascolto del minore, semplicemente essendo esso destinato ad una valutazione maggiormente discrezionale del giudice (art. 337-octies, 1° comma, c.c.: “Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto, se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo”). Questa indicazione normativa, in via analogica, dovrà sensibilizzare gli avvocati negoziatori sulla opportunità o meno dell’ascolto, in relazione all’età dei figli, alla loro capacità di discernimento e determinazione e alla maggiore e o minore sintonia manifestata nei rapporti con i genitori. Vi è altresì da aggiungere che il tema è reso ancor più delicato dall’art. 23 del regolamento dell’Unione europea n. 2201/2003, ove si legge. “Le decisioni relative alla responsabilità genitoriale non sono riconosciute nei casi seguenti.. b) se salvo i casi di urgenza, la decisione è stata resa senza che il minore abbia avuto la possibilità di essere ascoltato”. Pertanto il titolo esecutivo costituito da un accordo di negoziazione rischia di non poter circolare nell’Unione europea in difetto dell’ascolto del minore. Il tema è intriso di profili non solo civilistici, ma anche deontologici, poiché l’art. 56 del codice deontologico in vigore impedisce all’avvocato di procedere all’ascolto di una persona minore di età, senza il consenso degli esercenti la responsabilità genitoriale, sempre che non sussista conflitto di interessi con gli stessi, con l’aggravante che il discrimine dell’illecito costituito dal consenso dei genitori, non può essere tranquillizzante, poiché non è facile avvertire la sussistenza o meno di un caso di conflitto di interessi dei genitori con il minore. Né d’altra parte è tranquillizzante una premessa nell’accordo nella quale i genitori stipulanti, assistiti dagli avvocati, possano darsi atto di aver interpellato entrambi il minore, ottenendone una sostanziale adesione ai contenuti degli accordi, essendo sempre latente e non facilmente rilevabile il profilo del conflitto di interessi. È forse più tranquillizzante e tutt’altro che esclusa dalla disciplina, la possibilità di far uso di un esperto, psicologo o medico psichiatra infantile, munito della necessaria professionalità che, raccolto il consenso dei genitori, possa procedere ad un ascolto, riferendone poi i risultati,in relazione agli accordi raggiunti, ai genitori, i quali ne possano assumere in premessa i risultati eventualmente adesivi o modificarne, in caso di diverso avviso, i contenuti. Resta poi l’altro problema del figlio maggiorenne non autosufficiente. Se certamente avrà diritto di azione (eventualmente anche nelle forme dell’impugnazione dell’accordo tra i genitori che abbia violato la sua posizione, sancita da disposizione imperativa) è da domandarsi se non debba necessariamente intervenire nell’accordo. Questa seconda ipotesi, nel silenzio del legislatore, non sembra da postularsi con necessità, dovendo i genitori (e i loro avvocati) favorire accordi che tengano conto dei diritti del figlio, al fine di scongiurare un’impugnativa che vanifichi gli effetti dell’accordo18. La trascuratezza del legislatore su temi essenziali del diritto di famiglia, come il ruolo di parte del minore e la necessità dell’ascolto, evidenziano l’approssimazione della recente normativa e rischiano di rendere poco praticabile la via negoziale alternativa a quella giurisdizionale.



10. Le sopravvenienze in fatto e in diritto all’accordo



L’accordo di negoziazione, anche quando concerne diritti del minore, assume la stabilità di un atto di transazione e, pertanto, non è modificabile o revocabile per il rilievo dei fatti anteriori, trascurati nell’accordo, o per il rilievo di norme di legge, essendo applicabili le disposizioni che escludono un’impugnativa di merito e di legittimità della transazione, artt. 1969 e 1970 c.c. Tuttavia, già si è detto nell’esame del profilo sub par. 6.5, che il sindacato di diritto, dovuto ad errore di diritto, è precluso sin tanto che la norma violata non sia una norma imperativa e di ordine pubblico che fissi all’accordo i contenuti minimi dei diritti del minore. In tal caso non può essere esclusa l’azione ex art. 1418 c.c., per nullità del contratto. Ma al di fuori dell’ipotesi della violazione della norma imperativa, non è concessa alcuna impugnativa sul merito dell’accordo, fondato sul rilievo dei fatti storici già accaduti o di norme dispositive eventualmente non applicate. Diversamente si pone il caso per la sopravvenienza di fatto o per lo ius superveniens. Nel primo caso ogni circostanza sopravvenuta che possa incidere sui diritti del minore (mutamento della stabile residenza per scelta del minore capace di discernimento; maggiori esigenze economiche postulate dalla crescita del minore; variazione di reddito e/o patrimonio dei genitori), possono certamente incidere sull’accordo, come lo potrebbero su un accordo ad esempio di separazione consensuale. L’assimilazione degli effetti dell’accordo ai provvedimenti giurisdizionali, rende ragione di un’applicazione degli artt. 710 c.p.c. o 9, legge n. 898 del 1970, consentendo di far valutare giudizialmente le sopravvenienze fattuali e la loro incidenza sui contenuti dei diritti concordati in sede di negoziazione (salvo che per volontà dei genitori non vi sia spazio per una nuova negoziazione, alla luce della sopravvenienza). Lo ius superveniens non potrebbe invece incidere sulla regola concreta stabilita nell’accordo di negoziazione, la quale, come nel giudicato, si impone alla sopravvenienza normativa. Si deve tuttavia tener conto che le situazioni di cui è titolare il minore sono permanenti nel tempo, così il diritto al pagamento periodico di un contributo di mantenimento, oppure, ancora per esempio, il diritto di frequentare e avere rapporti significativi con il genitore con il quale il minore non convive stabilmente. È evidente che per il segmento di tempo relativo all’esercizio del diritto successivo all’accordo ed eventualmente disciplinato dallo ius superveniens, il diritto del minore potrà certamente essere rinegoziato, oppure oggetto di una revoca e modifica all’interno delle procedure camerali offerte dalla legge.

NOTE

* Contributo offerto dall’allievo al Maestro prof. Francesco Paolo Luiso in occasione del suo

settantesimo compleanno.

1 In senso più ampio per un controllo di legittimità anche in relazione ai diritti dei coniugi, v.

DAnovi, Il processo per separazione e divorzio, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano,

2015, 772 e 773. Cfr. vullo, Procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone, in

Commentario al codice di procedura civile, a cura di S. Chiarloni, Bologna, 2011, 439; tommAseo,

sub art 711, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da Cian, Oppo, Trabucchi, IV,

1, Padova, 1993, 595; più recentemente, nAscosi, Il giudizio di separazione consensuale, in Diritto

processuale della famiglia, a cura di A. Graziosi, Torino, 2016, 151. Nel senso del testo, per una

lettura più letterale della norma la dottrina meno recente, cfr., Jemolo, Il matrimonio, in Trattato

di diritto civile italiano, diretto da Vassalli, Torino, 1961, 444. Secondo cArnelutti, Separazione per

accordo tra i coniugi, in Riv. dir. proc. civ, 1936, II, 162, di fronte all’accordo il tribunale non aveva

spazio di sindacato alcuno, ma evidentemente in relazione alla normativa previgente al codice

civile del 1942, evidenziando un orientamento originale per l’epoca in cui è stato reso.

2 Cfr., mAnDrioli, Il procedimento di separazione consensuale, Torino, 1963, 96; ma già Falzea, La

separazione personale, Milano, 1943, 122.

3 ciPriAni, QuADri, La nuova legge sul divorzio, II Presupposti, Profili personali e processuali,

Napoli, 1988, 339; secondo DAnovi, Il processo, cit., 807 sarebbe necessaria una estinzione del

processo, per incompatibilità con le forme camerali.

4 Cfr., grAzioli, La sentenza di divorzio, Milano, 1997, 7 ss.

5 BAllArini, Gli accordi tra coniugi e le determinazioni giudiziali, in Provvedimenti riguardo ai figli, a

cura di S. Patti e L. Rossi Carleo, Commentario al codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma,

2010, 110 ss. pur valorizzando il potere del giudice di determinarsi diversamente, evidenzia

l’ambito in cui questa determinazione diversa può svolgersi, che è esclusivamente quello della

tutela dell’interesse dei figli. cfr. anche PAtti, L’affidamento condiviso dei figli, in Fam. pers: succ.,

2006, 392. Sulla ratio di una regolamentazione fondata sul consenso, da preferire rispetto a regole

imposte d’autorità, cfr. PAlADini, v. Affidamenti condiviso, in Enc. giur., I, 171.

6 Sul tema, DAnovi, Il processo, cit., 867 ss, che dedica un intero capitolo alla separazione e

divorzio senza processo e ove sono condensati i numerosi scritti dell’Autore sul tema; cfr, anche,

chiArloni, Fuori dal processo: trasferimento in arbitrato, negoziazione assistita e accordi sul

matrimonio, in Giur. it., V, 2015, 1259; DAlFino, La procedura di negoziazione assistita di due o più

avvocati, in www,treccani.it; sestA, Negoziazione assistita e obbligo di mantenimento nella crisi

della coppia, in Fam. dir., 2015, 295; tommAseo, La tutela dell’interesse dei minori dalla riforma

della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali, in Fam. dir., 2015, 157; Poliseno, La

convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione e divorzio, in

Giur. it., 2015, V, 34 ss; cArrAttA, Le nuove procedure negoziate e stragiudiziali in materia

matrimoniale, in Giur. it., 2015, V, 1287; D’AlessAnDro, La negoziazione assistita in materia di

separazione e divorzio, in Giur. it., 2015, V, 1278; trisorio liuzzi, Le procedure di negoziazione

assistita, in Il giusto processo civile, 2015, 23 ss.; luPoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir.

proc. civ., 2015, 283; Proto PisAni, Diritti sostanziali e processo nella evoluzione delle relazioni

familiari, in Foro it., 2015, V, 124; grAziosi, Osservazioni perplesse sulle ultime stravagnati riforme

processuali in materia di famiglia, in Fam. dir., 2015, 1111; e non ultimo il Maestro che si onora,

luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e riduzione

dell’arretrato, a cura di F.P. Luiso, Torino, 2014, 33.

7 Ci riferiamo a Cass., Sez. Un., 3 agosto 2000, n. 527, in Riv. arb., 2001, 704, con nota critica di

Fazzalari, che ha aperto un stagione interrotta solo grazie alla riforma con d.lgs. n. 40 del 2006, che

ha introdotto l’art. 824-bis c.p.c.



8 Cfr. Cass., 28 luglio 1984, n.4486. Come anche la cessazione della materia del contendere, che

tanto si avvicina alla sentenza sul giudicato, nel caso in cui sia introdotta una controversia già

risolta o risolta transattivamente in corso di causa, cfr. Cass., 24 febbraio 2015, n. 3598, in

www.dirittoegiustizia.it.

9 Per una terza via tra indisponibilità e disponibilità, D’AlessAnDro, op. cit., 1279; luiso, Le

disposizioni, cit., 33; o per una indisponibilità attenuata, Dosi, La negoziazione assistita tra

avvocati, Torino, 2014, 34.

10 Non si può non convenire con DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 879,

sull’inopportunità di un ulteriore verifica, oltre quella degli avvocati, da parte del Pubblico

ministero, del tutto inutile quando l’accordo intervenga tra coniugi senza figli, e che, nel caso in cui

l’accordo coinvolga i figli, esprime un ruolo che si è dimostrato molto “disattento” nel suo

esercizio in sede contenziosa.

11 Cfr. Corte cost., 14 luglio 1977, n. 127, in Foro it. 1977, I, 1849, che ha inaugurato una lunga

stagione di declaratorie di incostituzionalità di norme di legge che imponevano alle parti

l’arbitrato, su basi differenti rispetto a Corte cost., 12 febbraio 1963, n.2, in Giust. civ., 1963, 20,

che ancora intravedeva nell’omologa giudiziale l’unica fonte degli effetti giurisdizionali del lodo,

sul cui tema intervenne il legislatore con la novella del 1994, legge n, 25 del 1994, che ne

riconosceva effetti pari a quella della sentenza dalla sua ultima sottoscrizione, art. 823 u.c., su cui

è poi intervenuta la novella del 2006, d.lgs. n.40, che ha introdotto l’art. 824 – bis c.p.c.

12 Per una più ampia disamina sia consentito rinviare a DAlFino, Mediazione civile e commerciale,

Bologna, 2016, 201 ss.

13 Cfr., Cass., 12 aprile 2006, n. 8516 e Cass., 13 maggio 2008, n. 11914, entrambe in

www.ilcaso.it, che hanno aperto la stagione delle impugnative negoziali dei verbali di separazione

consensuale, per molto tempo precluse, in un inquadramento errato del rilievo del decreto di

omologa, non inteso come semplice condizione di efficacia

14 Sino ad ipotizzare un’opposizione di terzo alla sentenza ex art. 404, 2° comma, c.p.c., nel caso di

esercizio da parte del creditore di un’azione revocatoria, cfr. cecchellA, L’impugnativa degli accordi

patrimoniali in sede di separazione e divorzio, in Gli accordi patrimoniali in sede di separazione e

divorzio, a cura di C. Cecchella, Pisa, 83.

15 Cfr. nAscosi, op. cit., 185, nota, 28; sestA, Negoziazione assistita, cit., 295; D’AlessAnDro, La

negoziazione assistita, cit., 1283, nota 37.

16 Cfr., nAscosi, I procedimenti consensuali, cit., 182; luiso, Le disposizioni in materia di

separazione e divorzio, cit., 39; luPoi, Separazione e divorzio, cit., 295; Borghesi, La

delocalizzazione del contenzioso civile: sulla giustizia sventola bandiera bianca?, in

www.Judicium.it; invece per la possibilità di un’autorizzazione soltanto del Presidente, in una sorta

di ulteriore fase amministrativa, DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 878;

tommAseo, La tutela dell’interesse dei minori, cit., 161. In giurisprudenza si è richiesto un vero e

proprio ricorso dei coniugi perché sia avviata una fase giudiziale, così Trib. Torino 15 gennaio 2015,

in Fam. dir., 2015, 390, nella stessa direzione, cArrAttA, op. cit., 1292. Una circolare ministeriale,

per quanto possa valere, la n. 6/2015 del 24 aprile 2015, sembra avvalorare l’ipotesi della fase

amministrativa.

17 In questi casi le parti dovranno integrare l’istanza con il versamento del contributi unificato.

18 Il tema è parallelo a quello dell’intervento in causa del figlio maggiorenne non autosufficiente,

assai discusso, cfr. per l’affermativa, DAnovi, Il processo di separazione e divorzio, cit., 157;

tommAseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, in Fam. dir., 2006,

298; in giurisprudenza, Cass., 19 marzo 2012, n. 4296, in Corr. giur., 2012, 774 e in Dir. fam., 2012,

1510; in senso contrario, QuADri, Affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare: la

recente riforma, in Familia, 2006, 411. Si è comunque ritenuto possibile l’intervento del figlio nella

trattativa e la sua adesione dell’accordo, tommAseo, La tutela dell’interesse del minore, cit., 163.