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Ipotesi di emendamento alla proposta di legge Ferranti n. 4605 della Camera dei deputati, a seguito dell’Audizione del 12 novembre 2017

autore: C. Cecchella

Sommario: 1. Le ragioni del progetto. - 2. La opportunità della soluzione. - 3. Il problema di una legge contro un orientamento giurisprudenziale. - 4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la giustizia del caso singolo. - 5. Le ricadute processuali: il legislatore non può sempre tacere sul processo. I giudizi pendenti. - 6. Segue. La modifica o revoca dei giudicati. - 7. Una nuova ipotesi di divorzio con addebito?



1. Le ragioni del progetto



A seguito delle sentenze della S.C. che hanno avviato nel 2017 un improvviso revirement al consolidato orientamento, offerto da alcune sentenze delle sezioni unite degli anni novanta del secolo scorso, sui criteri di determinazione dell’assegno divorzile – risultandone mutato il riferimento al criterio perequativo del “tenore di vita”, verso una dimensione esclusivamente “assistenziale”, si dovrebbe forse dire “alimentare” – il legislatore ha reagito con un progetto di legge, di cui si è riprodotto il contenuto, prima firmataria l’On. Ferranti. In sede di Commissione, presieduta dalla stessa prima firmataria, anche ONDiF ha avuto l’opportunità di esprimere alcune considerazioni critiche, che vengono offerte con il presente scritto agli associati.



2. La opportunità della soluzione



ONDiF, come tutte le associazioni familiariste, è divisa sulla opportunità degli opposti indirizzi, tra chi radicalizza gli effetti dello scioglimento, senza farne sopravvivere alcuno pur fondato sul tenore di vita familiare, e chi rivaluta, anche dopo lo scioglimento, un principio solidaristico. Non vi è perciò ragione per offrire una soluzione agli opposti indirizzi. Pare invece necessario esaminare da un punto di vista tecnico-legislativo il progetto, con spunti critici che potrebbero essere all’origine di opportuni emendamenti.



3. Il problema di una legge contro un orientamento giurisprudenziale



Appare anzitutto da porre in serio dubbio che a fronte di un orientamento giurisprudenziale, che detta una regola con creta ad una fattispecie, il legislatore possa intervenire per modificarla. Non vi è dubbio che l’occasione dell’intervento sia infatti esclusivamente quella di porre una barriera ad un orientamento giurisprudenziale. Si tratta di un delicato problema che involge i rapporti tra poteri, quello giudiziario e quello legislativo. Le ricadute sono estremamente rilevanti. Se al giudizio di Cassazione segue un giudizio di rinvio, il legislatore potrebbe modificare l’orientamento della S.C. e imporre al giudice di rinvio una regola diversa e contraria? Diversa sarebbe l’ipotesi in cui il legislatore, nel disciplinare una materia con un respiro di riforma generale, abbia regolato anche un rapporto già oggetto di orientamento del giudice di legittimità, in cui l’occasione è la riforma generale e non l’orientamento del giudice di legittimità. Ad esempio sarebbe stato forse auspicabile un intervento sull’opportunità o meno del procedimento di separazione anteposto a quello di divorzio, nel contesto del quale riscrivere la norma sul contributo economico. È evidentemente implicato il rispetto di principi di rango costituzionale.



4. La prevalenza di un criterio sugli altri e la giustizia del caso singolo



Come la sentenza di legittimità che, nell’interpretare e applicare l’art. 5 della legge n. 898 del 1970, pone uno dei criteri suggeriti dal legislatore come prioritario (sull’an), quello assistenziale, il progetto pone come prioritario (sempre sull’an) un criterio opposto, quello perequativo, esasperato Attraverso la distinzione tra an e quantum la sentenza fa lo stesso errore1 : “Il parametro del ‘tenore di vita’ – se applicato anche nella fase dell’an debeatur – collide radicalmente con la natura stessa dell’istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato […] con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale – a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all’art. 143 cod. civ. Tanto premesso, decisiva è, pertanto – ai fini del riconoscimento, o no, del diritto all’assegno di divorzio all’ex coniuge richiedente –, l’interpretazione del sintagma normativo ‘mezzi adeguati’ e della disposizione ‘impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive’ nonché, in particolare e soprattutto, l’individuazione dell’indispensabile ‘parametro di riferimento’, al quale rapportare l’‘adeguatezza-inadeguatezza’ dei ‘mezzi’ del richiedente l’assegno e, inoltre, la ‘possibilità-impossibilità’ dello stesso di procurarseli”. In realtà l’art. 5 pone una serie di criteri sullo stesso piano, perché (correttamente) esalta – in questo ambito così rilevante – la giustizia del caso concreto, con il rilievo di parametri di cui nessuno è prioritario all’altro (parametri che il progetto, si deve dire, indica in maniera nuova e più completa al suo secondo comma, introducendo un settimo comma all’art. 5 cit.). In questo modo si lascia al giudice una valutazione discrezionale della concreta fattispecie nell’applicazione dei parametri legislativi. Questo è possibile fornendo i criteri e le regole senza una loro gerarchia, affinché nella loro applicazione il giudice possa cogliere gli aspetti particolari del caso che si presenta. Dunque attraverso la gerarchia dei parametri il progetto pecca dello stesso errore contenuto nella sentenza. Sarebbe necessario perciò, in sede di emendamento, inserire i criteri di cui al primo comma nell’ambito di quelli di cui al secondo, tutti collocati allo stesso livello.all’estremo, perché destinato anche a superare il limite del tenore di vita (“destinato a compensare, per quanto possibile, la disparità”).



5. Le ricadute processuali: il legislatore non può sempre tacere sul processo.



I giudizi pendenti Ma vi è un aspetto sul quale la sentenza di legittimità, come il progetto, pongono tanti quesiti: è la ricaduta processuale. È stigmatizzabile e criticabile l’atteggiamento consueto del legislatore nel diritto di famiglia, costituito dalla regolamentazione del diritto sostanziare dimenticando di coordinare di conseguenza il diritto processuale. Il tema coinvolge anzitutto i giudizi pendenti aventi ad oggetto l’assegno di divorzio. È noto come tale diritto è fuoriuscito da tempo dal regime della indisponibilità, rientrando nella piena disponibilità dei coniugi, seppure con minimi garantiti dalla legge imperativa: non esiste più un divieto di oggetto dell’accordo tra le parti, ma un divieto di contenuto. Dunque il diritto è soggetto alla piena applicazione delle regole del processo dispositivo. Ne segue, e sul punto la S.C. è assolutamente in linea e coerente, che il coniuge che pretende l’assegno deve allegare e provare tutte le circostanze rilevanti ai fini dell’applicazione dei parametri legislativi, non potendo il giudice supplire alla carente difesa della parte.

Ma se così è, l’improvviso mutamento di indirizzo che sceglie come preminente un parametro piuttosto che l’altro e che distingue l’an dell’assegno rispetto al quantum, non può che “spiazzare” la parte nella sua difesa, soprattutto quando sono maturati i termini decadenziali, come quelli delle memorie integrative ex art. 709. u.c., c.p.c., e quelli delle memorie istruttorie ex art. 183, 6° comma c.p.c., non potendo la parte essere rimessa in termini per le intervenute decadenze (salvo invocare l’applicazione dell’art. 153 c.p.c., in un contesto giurisprudenziale molto restio all’applicazione della rimessione in termini). È allora necessario che il legislatore, nel codificare la gerarchia dei criteri e nel distinguere un giudizio sull’an, rispetto ad un giudizio sul quantum, debba stabilire esplicitamente che nei processi pendenti, nel mutato quadro legislativo, sia consentito alle parti integrare le difese con nuove allegazioni e prove, prevedendo la piena applicazione dell’art. 153 c.p.c.



6. Segue.



La modifica o revoca dei giudicati È noto come anche a seguito del nuovo orientamento della S.C., i giudici di merito si siano affrettati, onde calmierare i carichi pendenti, ad escludere la revoca e/o modifica dei giudicati ex art. 710 c.p.c. o art. 9, legge n. 898 del 1970, evidenziando come un mutato orientamento giurisprudenziale non possa integrare quel fatto sopravvenuto che consente la revisione del giudicato rebus sic stantibus. Ora se si può convenire che il mutato orientamento giurisprudenziale non sia un fatto sopravvenuto, né probabilmente neanche uno ius superveniens, si deve tener conto che il progetto di legge, se diventerà legge, è uno ius superveniens. Pertanto nel rapporto di durata, al quale deve assimilarsi il rapporto all’origine dell’obbligo di pagamento dell’assegno di divorzio, che non si estingue con un’unica prestazione ma che impone all’obbligato prestazioni periodiche, per lo più mensili, il giudicato non potrà essere messo in discussione, per gli effetti della parte del rapporto già esaurito, ma certamente potrà dare origine ad una pretesa nuova e modificatrice del giudicato per le prestazioni future, le quali devono essere assoggettate comunque alla legge nuova. A tale aspetto si giunge con un’interpretazione sistematica sui limiti cronologici del giudicato, ma onde evitare atteggiamenti restrittivi della giurisprudenza, non sarebbe male un’espressa previsione legislativa.



7. Una nuova ipotesi di divorzio con addebito?



L’ultima previsione del primo comma dell’art. 1 (“l’assegno non è dovuto nel caso in cui il matrimonio sia cessato o sciolto per violazione, da parte del richiedente l’assegno, degli obblighi coniugali”) rischia di introdurre la pericolosa appendice del giudizio di addebito nell’ambito del giudizio di scioglimento del matrimonio. Esiste già ed è prevalente un orientamento in seno alle associazioni specialistiche e alle associazioni dei magistrati, volto ad auspicare l’abrogazione delle norme sull’addebito della separazione, fonte di accentuazione del conflitto e origine spesso di una dilazione dei tempi di esaurimento del procedimento giurisdizionale. La norma rischia di introdurre nel giudizio sullo scioglimento del matrimonio un nuovo episodio processuale, destinato ad accertare, ai fini della liquidazione dell’assegno, la sussistenza o meno di violazioni agli obblighi coniugali da parte del richiedente. Senza poi dimenticare i rapporti tra il corrispondente giudizio in sede di separazione, che magari, in virtù delle norme sul divorzio breve, rischia di pendere contemporaneamente, con enorme difficoltà di coordinamento. Perché avere isolato la violazione degli obblighi rispetto ai criteri dettati al settimo comma novellato dell’art. 5 cit.? vi era già il riferimento agli obblighi matrimoniali nel precedente comma “ragioni dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”. La duplicazione del criterio, reso esplicito in separato comma, rischia di aprire le porte del procedimento divorzile al giudizio di addebito, ciò che è auspicabilmente da escludere, anche nella sua sede attuale, ovvero nel giudizio di separazione. Si auspica, per questo aspetto, la abrogazione del nono comma dell’art. 5 cit., novellato dalla proposta di legge.

NOTE

1 Cassazione Civile, sez. I, sentenza 10/05/2017 n. 11504, cit. nel dossier.