inserisci una o più parole da cercare nel sito
ricerca avanzata - azzera

Il testamento biologico

autore: A. Trapanese

Sommario: 1. Inquadramento: testamento biologico o DAT. - 2. Legittimità delle DAT. - 3. Contenuto delle DAT. - 4. La nomina del fiduciario. - 5. I commi 40 e 41 della legge n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà). - 6. La posizione del notariato. - 7. Considerazioni a margine del Ddl unificato in discussione alla XII commissione.



1. Inquadramento



Il termine “testamento biologico” è un’espressione impropria ma molto usata nella società tanto da essere utilizzata convenzionalmente in molti scritti e pareri, anche giuridici, essendo immediatamente comprensibile alle persone cui gli stessi sono destinati. Per testamento biologico si intende, comunemente, un documento scritto con il quale un soggetto, dotato di piena capacità di agire, esprime la propria volontà circa i trattamenti ai quali desidera o non desidera essere sottoposto nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a seguito di un trauma improvviso, non fosse più in grado di esprimere il proprio consenso o dissenso informato. In realtà come si è accennato il termine è giuridicamente improprio in quanto la parola testamento richiama il concetto dell’atto “mortis causa”, ovvero di disposizioni destinate a disciplinare la devoluzione di tutto o parte del patrimonio di un soggetto dopo la sua morte, mentre le dichiarazioni contenute nel testamento in parola sono destinate a produrre la maggior parte dei loro effetti prima della morte del soggetto disponente. È pur vero, però, che le disposizioni contenute nel cd. testamento biologico riguardano scelte collegate alla fine della vita di un soggetto tanto da essere state ribattezzate, in un documento emanato dal Consiglio Nazionale del Notariato nell’anno 2006, “Testamento di vita”. Il legislatore, di recente, nelle numerose proposte di legge confluite in un testo unificato, in questi giorni della XVII legislatura in discussione alla XII commissione della Camera dei deputati, utilizza la dizione “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento terapeutico”. Invero nel campo tecnico-giuridico viene usato l’acronimo “DAT” ovvero Dichiarazioni (o Direttive) anticipate sui trattamenti sanitari, categoria più generale rispetto al testamento biologico o alla procura sanitaria; in tali dichiarazioni, come innanzi vedremo, possono essere contenute disposizioni sulla donazione dei propri organi ovvero sulla destinazione del proprio corpo o di parti di esso per la ricerca scientifica, ma anche disposizioni che attengano a determinate scelte sanitarie non necessariamente collegate al fine vita. È evidente che tale documento costituisce una conseguenza logico-giuridica del passaggio da una medicina di tipo “paternalistico” ad una basata sul principio del “consenso informato” ovvero sulla relazione continua che si instaura tra medico e paziente che, a partire dalla seconda metà del XX secolo, ha progressivamente valorizzato la persona umana anche attraverso un potenziamento della sua autodeterminazione fino a ritenere che ognuno è libero di scegliere se e come ricevere le terapie o altri interventi sul proprio corpo.

Vi è anche da dire che la materia è strettamente connessa con i principi in materia di bioetica e che allo stato non vi sono norme di legge che disciplinano l’eutanasia (che esula dalla presente relazione) e la materia delle DAT. Le considerazioni che seguono, pertanto, sono basate su principi generali desumibili dall’ordinamento vigente in un’ottica legislativa “de iure condendo” e verrà utilizzato l’acronimo DAT quale sinonimo ovvero in luogo del termine comune “testamento biologico”.



2. Legittimità delle DAT



La prima questione posta all’attenzione del giurista deve essere quella della legittimità e della valenza di tali Dichiarazioni anticipate, in assenza di una specifica norma giuridica nel nostro ordinamento che le legittimi e ne disciplini gli effetti. Invero la giurisprudenza ha già, in diverse occasioni, affermato la legittimità di tali Dichiarazioni anticipate alla luce dei principi contenuti negli articoli 2, 13 e 32 della costituzione italiana e di numerose altre norme sovranazionali. Si segnala in proposito la sentenza della Corte Costituzionale n. 438 del 15 dicembre 2008 che ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3 della legge della Regione Piemonte 6 novembre 2007, n. 21 (Norme in materia di uso di sostanze psicotrope su bambini ed adolescenti), che stabiliva che “nella Regione il trattamento con sostanze psicotrope, e nello specifico farmaci psicostimolanti, antipsicotici, psicoanalettici, antidepressivi e ipnotici su bambini e adolescenti fino a 18 anni può essere praticato solo quando i genitori o tutori nominati esprimono un consenso scritto, libero, consapevole, attuale e manifesto” e che contiene alcune importanti affermazioni di principio utili ai fini della nostra indagine. In primo luogo la sentenza richiama le numerose norme internazionali e nazionali che prevedono la necessità del consenso informato del paziente nell’ambito dei trattamenti medici. In particolare, l’art. 24 della Convenzione sui diritti del fanciullo, firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 dopo aver premesso che gli Stati “riconoscono il diritto del minore di godere del miglior stato di salute possibile e di beneficiare di servizi medici e di riabilitazione”, dispone che “tutti i gruppi della società in particolare i genitori ed i minori ricevano informazioni sulla salute e sulla nutrizione del minore”. L’art. 5 della Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, firmata ad Oviedo il 4 aprile 1997, ratificata dall’Italia con legge 28 marzo 2001, n. 145 prevede che “un trattamento sanitario può essere praticato solo se la persona interessata abbia prestato il proprio consenso libero ed informato” mentre l’art. 9 della stessa Convenzione stabilisce che le volontà espresse precedentemente a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenute in considerazione; l’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, sancisce, poi, che “ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica e psichica” e che nell’ambito della medicina e della biologia deve essere in particolare rispettato, tra gli altri, “il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge”. In secondo luogo la sentenza afferma il principio che il consenso informato trova il suo fondamento negli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione e pone in risalto la sua funzione di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all’autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha il diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione. Discende da ciò che il consenso informato deve essere considerato un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui “conformazione” è rimessa alla legislazione statale. Non diversamente conclude la sentenza della Corte Costituzionale n. 262 del 14 dicembre 2016 che ha ritenuto incostituzionali alcune norme che disciplinavano la raccolta delle DAT nella regione Friuli Venezia Giulia, a causa della loro incidenza su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona. La Corte ha ritenuto che la normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita – al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti – necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di “ordinamento civile”, disposta dalla Costituzione. “Il legislatore nazionale – si legge nella sentenza – è, nei fatti, già intervenuto a disciplinare la donazione di tessuti e organi, con legge 1 aprile 1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), mentre, in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i dibattiti parlamentari in corso non hanno ancora sortito esiti condivisi e non si sono tradotti in una specifica legislazione nazionale, la cui mancanza, però, non vale a giustificare in alcun modo l’interferenza della legislazione regionale in una materia affidata in via esclusiva alla competenza dello Stato”. Possiamo quindi concludere che la giurisprudenza della corte costituzionale, pur riconoscendo la fondatezza del diritto dell’individuo ad operare consapevolmente le proprie scelte in materia di trattamenti sanitari ritiene, tuttavia, che la disciplina relativa alla raccolta dei dati, alle modalità di redazione ed alla rilevanza giuridica delle DAT sia rimessa al legislatore statale. Esaminando le DAT sotto il profilo della qualificazione giuridica civilistica esse rientrano tra gli atti tra vivi a contenuto negoziale, con implicazioni anche di carattere economico (trattamento sanitario del corpo in vita e disposizioni funerarie post mortem), quindi possono essere assunte nella categoria dei negozi giuridici unilaterali.

Nei casi di accettazione dell’incarico da parte di altro soggetto ovvero di redazione in forma bilaterale le DAT potrebbero anche essere considerate come mandato in previsione dell’incapacità; in tal caso avremmo un contratto che vincola mandante-beneficiario e mandatario che assumerebbe un compito operativo, anche di comportamenti negoziali. Il riconoscimento della legittimità delle DAT comporta per il notaio la ricevibilità di tali dichiarazioni ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e 27 della legge notarile, quest’ultimo in particolare pone al notaio un obbligo generico di ricevere ogni dichiarazione purché non contra legem.



3. Contenuto delle DAT Posta quindi la validità di tali Dichiarazioni anticipate in quanto espressione del diritto costituzionalmente garantito di autodeterminarsi nella scelta dei trattamenti sanitari ai quali un soggetto desidera o non desidera essere sottoposto la seconda questione che deve porsi il giurista è quali sono in dettaglio i trattamenti sanitari ai quali il soggetto può rinunciare e quali sono per il medico gli obblighi di comportamento in presenza di tali dichiarazioni. Il principio generale al quale il contenuto delle dichiarazioni anticipate dovrebbe ispirarsi può essere così formulato: ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri anche in modo anticipato in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici circa i quali può lecitamente esprimere la propria volontà attuale. Da questa definizione appare subito evidente che questo principio esclude che tra le dichiarazioni anticipate possano annoverarsi quelle che siano in contraddizione col diritto positivo, con le norme di buona pratica clinica, con la deontologia medica o che pretendano di imporre attivamente al medico pratiche per lui in scienza e coscienza inaccettabili. Per quanto concerne l’ordinamento giuridico italiano, è da ricordare la presenza di norme costituzionali, civili e penali che inducono al riconoscimento del principio della indisponibilità della vita umana. Di conseguenza, attraverso le dichiarazioni anticipate, il paziente non può essere legittimato a chiedere e ad ottenere interventi eutanasici a suo favore. In un famoso parere del 18 dicembre 2003 il Comitato Nazionale di Bioetica “pur senza impegnarsi in una completa analisi comparativa dei contenuti dei modelli di dichiarazioni anticipate già esistenti”, ha ritenuto legittime le seguenti indicazioni:

a) Indicazioni sull’assistenza religiosa, sull’intenzione di donare o no gli organi per trapianti, sull’utilizzo del cadavere o parti di esso per scopi di ricerca e/o didattica;

b) Indicazioni circa le modalità di umanizzazione della morte (cure palliative, richiesta di essere curato in casa o in ospedale ecc.);

c) Indicazioni che riflettono le preferenze del soggetto in relazione al ventaglio delle possibilità diagnostico-terapeutiche che si possono prospettare lungo il decorso della malattia;

d) Indicazioni finalizzate ad implementare le cure palliative;

e) Indicazioni finalizzate a richiedere formalmente la non attivazione di qualsiasi forma di accanimento terapeutico, cioè di trattamenti di sostegno vitale che appaiano sproporzionati o ingiustificati;

f) Indicazioni finalizzate a richiedere il non inizio o la sospensione di trattamenti terapeutici di sostegno vitale, che però non realizzino nella fattispecie indiscutibili ipotesi di accanimento;

g) Indicazioni finalizzate a richiedere la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale.

Il giurista ed il notaio, in particolare, può senz’altro attenersi a tali indicazioni a tutt’oggi valide almeno per quanto concerne le prime cinque tipologie di dichiarazioni. Le ultime due ipotesi, infatti, sono ampiamente controverse e lo è in modo particolare l’ultima, in specie se si considerano i significati simbolici che si addensano sull’alimentazione e sull’idratazione, anche se artificiali. In altri termini si discute se l’alimentazione e l’idratazione possano essere considerati trattamenti sanitari ovvero interventi di sostegno vitale la cui omissione realizzerebbe un’eutanasia passiva. Nel testo unificato del disegno di legge Calabrò, presentato e decaduto per cessazione della XVI legislatura, veniva accolta la tesi più restrittiva in quanto “l’alimentazione e l’idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale e fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento” (così testualmente art. 3 comma 5 della proposta di legge). Più di recente, invece, sia in campo medico che giuridico prevalgono le tesi più liberali che riconducono le pratiche di idratazione e respirazione artificiale a veri e propri trattamenti sanitari i quali possono quindi formare oggetto di DAT. Quanto alla posizione del medico manca una norma che lo obblighi a pratiche sanitarie contrarie ai propri principi etici e di coscienza, tuttavia egli dovrà attenersi alle indicazioni date dal dichiarante qualora inequivocabilmente riconducibili alla sua volontà liberamente e spontaneamente manifestata.



4. La nomina del fiduciario



Le DAT sono quindi espressione della capacità di autodeterminazione della persona maggiorenne e si inseriscono nel rapporto dialettico medico-paziente basato sul consenso informato. Al fine di rendere ancora possibile un rapporto dialettico tra il medico e il paziente proprio in quelle situazioni estreme nelle quali l’individuo non è in grado di esprimere la sua volontà, molte legislazioni straniere, in particolare quella degli Stati Uniti, prevedono da parte dell’estensore della dichiarazione anticipata la nomina di un altro soggetto, detto “fiduciario” che possa interloquire con il medico al fine di adottare la soluzione terapeutica più consona ai desideri e alle convinzioni morali e religiose del paziente. Spetterebbe quindi al fiduciario, in costante dialogo con i medici curanti, vigilare perché il medico non cada nella tentazione di praticare alcuna forma di accanimento e concordare col medico la via concreta da seguire, nell’eventualità che si prospettino diverse, legittime opzioni diagnostiche e terapeutiche. In termini giuridici il “fiduciario” può essere assimilato ad un mandatario ovvero ad un procuratore per il compimento di pratiche sanitarie. Il fiduciario non dovrà limitarsi a comunicare la volontà del disponente alla stregua di un mero nuncius ma interagire con i medici e la struttura sanitaria adottando, di volta in volta, le varie decisioni che il paziente non è in grado di esprimere, evitando sia fenomeni di accanimento terapeutico che di abbandono del paziente stesso.

Alla luce dei principi vigenti nel nostro ordinamento giuridico la DAT ben può contenere, quindi, la nomina di un soggetto al quale sia rimessa la decisione sui trattamenti sanitari indicati dal disponente. Peraltro il mandatario è obbligato ad espletare l’incarico assegnato anche dopo il sopravvenire dello stato di incapacità e finché non sia intervenuto il provvedimento di interdizione o inabilitazione e, nell’ipotesi di amministrazione di sostegno, obbligato ad eseguire l’incarico anche dopo la nomina dell’amministratore (cfr. art. 1722 c.c.). In relazione a quest’ultimo profilo merita segnalare che il fiduciario può coincidere o meno con l’amministratore di sostegno, anzi, come sostenuto dalla dottrina, che quest’ultimo ben può fungere da fiduciario. Il giudice, pur non essendo obbligato, potrà nel decreto di nomina recepire le indicazioni effettuate dal soggetto divenuto incapace ai sensi dell’art. 408 c.c. ed anche l’amministratore di sostegno, una volta nominato, ai sensi del successivo art. 410, 1 comma c.c. dovrà “tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”. Resta comunque escluso che il fiduciario possa prendere decisioni che non avrebbero potuto essere legittimamente prese dal paziente stesso nelle proprie dichiarazioni anticipate.



5. I commi 40 e 41 dell’art. 1 della legge n. 76/2016 (cd. Legge Cirinnà)



All’indomani dell’approvazione della legge in materia di unioni civili e convivenze alcuni commentatori hanno ravvisato nelle disposizioni contenute nei commi 40 e 41 dell’art. 1 legge n. 76/2016 il primo riconoscimento legislativo delle DAT e della possibilità di nomina del “fiduciario” effettuata, in presenza di un rapporto di convivenza, senza alcun particolare formalismo. In realtà, come è stato osservato più che espressione di un principio generale in materia di nomina del cd. “fiduciario” da parte del convivente di fatto, la norma è stata definita come un “incongruo frammento”, il prezzo da pagare per l’introduzione nel nostro ordinamento, con gravissimo ritardo, del riconoscimento dell’unione tra due persone dello stesso sesso. In altri termini si tratterebbe di un “accidente”, un “ritrovato ornamentale” immeritevole di prese di posizione da una parte o dall’altra, dovuto solo alla tempistica dell’approvazione della legge. A ben vedere, in verità, la norma si colloca sul piano del riconoscimento del convivente quale soggetto di riferimento chiamato ad esprimere il consenso informato nell’ipotesi in cui l’altro convivente lo abbia delegato e sia temporaneamente incapace di intendere e di volere “per le decisioni in materia di salute” ovvero, in caso di morte del convivente stesso, ad esprimere il consenso “per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie”. Si tratterebbe, quindi, di un’equiparazione del convivente al coniuge non separato per alcune decisioni o facoltà, piuttosto che del riconoscimento e della disciplina formale delle DAT. In ogni caso la norma esiste e dovrà tenersene conto come una sorta di “anticipazione” ovvero di “semplificazione” per la nomina del rappresentante (rectius “fiduciario”) da parte del convivente per le decisioni, come detto, in materia di salute e per le modalità di trattamento del corpo e delle celebrazioni funerarie.



6. La posizione del notariato



Il notariato è da sempre impegnato nella difesa e nella tutela delle persone “fragili”, a rispondere alle sollecitazioni sociali ed ai mutamenti che avvengono nella vita e nella realtà sociale di tutti i giorni. Così come ben prima dell’approvazione della legge Cirinnà aveva elaborato propri studi per risolvere le problematiche giuridiche inerenti i rapporti patrimoniali tra conviventi anche nel campo del testamento biologico ha effettuato studi, promosso convenzioni con i comuni ed emanato direttive in materia. Sin dal 22 giugno 2006 il Consiglio Nazionale del notariato ha assunto una delibera nella quale, all’indomani della diffusione da parte del prof. Umberto Veronesi del testo base di dichiarazione di volontà proposto dalla fondazione Veronesi, e al dichiarato fine di “di garantire il medico nell’esercizio delle proprie responsabilità e di assicurare la certezza della provenienza della dichiarazione dal suo autore, mediante intervento notarile e la reperibilità della medesima in un registro telematico nazionale” ha proposto un’analoga dichiarazione ribattezzata “testamento di vita” allegata alla delibera stessa e che completa la proposta Veronesi. Nella citata delibera, in particolare, il CNN ha ritenuto:

a) “che l’autentica debba essere a norma dell’art. 72 della legge notarile, con iscrizione a repertorio”;

b) “che debba essere acquisito il consenso al trattamento dei dati in essa contenuti al fine dell’inserimento nel Registro Generale dei testamenti di vita”;

c) “che, ad oggi, vi sia obbligo di apposizione della marca da bollo; che vi sia esenzione da obbligo di registrazione, sia per l’evidente analogia di trattamento con una procura speciale, sia per ovvie ragioni di favore sociale, trattandosi di dichiarazione del tutto priva di contenuto patrimoniale”;

d) “che si applichi il minimo della tariffa, per favorire l’utilizzo di uno strumento giuridicamente affidabile senza oneri significativi per il cittadino”;

e) “che il notaio debba provvedere all’inserimento della dichiarazione nel Registro Generale dei testamenti di vita non appena operativo”; concludendo la delibera con un appello “al Parlamento ed alle forze politiche affinché definiscano rapidamente, con una idonea iniziativa legislativa, un quadro normativo di riferimento sistematico, per il quale il notariato, alla luce degli studi e degli approfondimenti già effettuati, offre la propria collaborazione; e ciò al fine di eliminare tutte le incertezze operative”.

Successivamente all’adozione di tale delibera numerose convenzioni sono state stipulate tra i Consigli notarili distrettuali ed i comuni per la raccolta dei dati dei soggetti che si recavano dal notaio per effettuare il cd. “testamento di vita”. Inoltre nel corso dell’iter di esame dei ddl durante la XVI legislatura il notariato ha contribuito con un proprio studio alla discussione in commissione cercando di superare le criticità emerse già nel parere al Governo del Comitato di Bioetica del 2003. In particolare il notariato si è proposto di risolvere due problematiche:

a) incertezza sulla identità e capacità di chi sottoscrive, sull’autenticità documentale e sulla data di sottoscrizione;

b) Astrattezza e ambiguità delle dichiarazioni anticipate. Con riferimento al primo punto non è necessario spendere tante parole sull’idoneità del documento rogato o autenticato dal notaio il quale, com’è noto ma è bene ribadirlo, è tenuto preliminarmente all’identificazione del cliente, alla verifica della sua capacità e ad ogni altro aspetto coperto da pubblica fede in base alle norme del nostro ordinamento. Con riferimento al secondo punto, uno dei rilievi più frequentemente mossi alle dichiarazioni anticipate, o a documenti consimili, riguarda l’astrattezza di cui questi documenti inevitabilmente soffrirebbero, un’astrattezza e genericità dovuta alla distanza, psicologica e temporale, tra la condizione in cui la dichiarazione viene redatta e la situazione reale di malattia in cui essa dovrebbe essere applicata. Questo rilievo ha maggior ragione d’essere quando si osservi che c’è un senso in cui sarebbe persino augurabile che la redazione delle dichiarazioni anticipate avvenga nel tempo in cui la persona è non solo nel pieno possesso delle sue facoltà decisionali, ma anche in buona salute, al riparo dallo stress provocato dall’insorgere della malattia e/o dall’ammissione in ospedale. In tal modo, infatti, la stessa decisione di redigere (o di rinunciare a redigere) le dichiarazioni anticipate – ovviamente non pensate come un mero atto burocratico – può diventare momento importante di riflessione sui propri valori, la propria concezione della vita e sul significato della morte come segno dell’umana finitezza, contribuendo così ad evitare quella “rimozione della morte”, che molti stigmatizzano come uno dei tratti negativi della nostra epoca e della nostra cultura. Rispetto all’astrattezza e all’ambiguità ma anche per essere certi della comprensione da parte del dichiarante della terminologia usata il notariato ha proposto un “allegato tecnico” alla dichiarazione redatto dal medico curante del dichiarante stesso.



7. Considerazioni a margine del d.d.l. unificato in discussione alla XII commissione



L’art. 3 del testo unificato attualmente in discussione alla XII commissione presso la Camera dei Deputati rubricato “Disposizioni anticipate di trattamento - DAT” ammette che qualsiasi persona maggiorenne e capace di intendere e di volere in previsione della propria incapacità ad autodeterminarsi possa esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari esprimendo consenso o rifiuto per determinate scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, ivi comprese pratiche di nutrizione e idratazione artificiale, e possa indicare una persona di sua fiducia che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. È inoltre prevista l’accettazione della nomina da parte del fiduciario con la sottoscrizione della DAT o con atto successivo che viene allegato alla Dat. Il fiduciario può sempre rinunciare alla nomina (rectius all’incarico) con successivo atto scritto comunicato al disponente. Quanto ai requisiti della DAT è previsto l’atto scritto, datato e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale, un medico o due testimoni o reso attraverso strumenti informatici di comunicazione. Non viene previsto un registro nazionale per il reperimento delle DAT bensì è demandata alle regioni (che adottino modalità telematiche di gestione delle cartelle cliniche o fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al SSN), con proprio atto, di rego lamentare la raccolta di copia delle DAT e il loro inserimento nella banca dati regionale. È evidente che la dichiarazione resa innanzi al notaio, quale pubblico ufficiale autorizzato ai sensi della legge n. 89/2013, costituisce la principale forma di redazione delle DAT. La dichiarazione resa innanzi ad un medico presenta, invece, tutte le criticità dovute alla mancanza di pubblica fede del documento, pertanto sarebbe almeno preferibile la specificazione che deve trattarsi di un medico del SSN o ad esso equiparato in quanto, come affermato più volte dalla Cassazione, il “medico del SSN…” crea un documento comunque proveniente da un sanitario esercente funzioni pubbliche, “il cui falso contenuto integra gli estremi del delitto di falso ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atto pubblico fidefacente, in quanto il medico convenzionato con il Ssn non rilascia una semplice certificazione o una ricetta, ma attesta come da lui compiuti, nella sua sfera di attività, fatti produttivi di effetti giuridici”. Piuttosto la criticità è nella estrema semplificazione delle DAT sottoscritte davanti a due testimoni: esse non danno nessuna garanzia di autenticità, anche in termini di certezza della data, di consapevolezza e capacità del dichiarante. Tale estrema semplificazione disattende anche le indicazioni fornite al governo dal Comitato nazionale di Bioetica nel famoso parere del 2003 che auspicava la previsione di DAT che “abbiano carattere pubblico, siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta e mai orale, da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e di volere, informati, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale”, circostanze queste che possono essere garantite solo dalla dichiarazione resa innanzi ad un pubblico ufficiale imparziale quale il notaio e, in determinati casi di urgenza, innanzi al medico del SSN o ad esso equiparato.