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Note sulla legge n. 112 del 2016 “Sul dopo di noi”

autore: V. Mazzotta

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli interventi nel settore privato. - 3. I limiti della legge 112/2016 con riferimento al trust. - 4. Il trust peri soggetti deboli in generale. - 5. Trust e ads: analogie e differenze. - 6. Il ruolo del giudice tutelare.



1. Introduzione



Dopo un lungo dibattito parlamentare, il 25 giugno 2016 è entrata finalmente in vigore la legge 112, c.d. legge sul Dopo di Noi, recante “Disposizioni in materia assistenziale in favore delle persone con disabilità grave, prive del sostegno familiare”. Si tratta di un importante traguardo, frutto dell’impegno delle associazioni più rappresentative a livello nazionale fra quelle che gravitano nel mondo della disabilità, insieme alle classi professionali che hanno collaborato con il legislatore. La Novella si innesta in un panorama legislativo, in materia di disabilità, fino ad oggi particolarmente frammentato e disorganico, che ha lasciato ampio spazio a interventi settoriali comportanti una categorizzazione degli ambiti di assistenza del disabile (assistenza economica, sostegno scolastico, strutture residenziali, e così via) da cui è discesa una inevitabile disomogeneità delle prestazioni assistenziali nei diversi contesti. Era quindi urgente un intervento legislativo dai tratti innovativi che contribuisse a segnare una svolta nell’approccio al settore della disabilità. La legge 112 rappresenta l’attuazione di alcuni principi costituzionali (in particolare, quelli sanciti dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 Cost.), oltre che di quelli proclamati dagli articoli 24 e 26 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e dagli artt. 3 e 19 dalla convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità siglata a New York il 13.12.2006 e ratificata dall’Italia con la l. 18/2009. I destinatari della legge sono le persone affette da disabilità grave riconosciuta ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 104/1992, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive del sostegno familiare in quanto mancanti dei genitori o nel caso in cui i genitori non siano in grado di fornire adeguato sostegno genitoriale. La norma prevede quindi la progressiva presa in carico già durante l’esistenza in vita dei genitori stessi: per la prima volta quindi il nostro legislatore espressamente si pone il problema del Dopo di Noi, da affrontare già Durante il noi, ossia quando è possibile per la famiglia mettere in opera un progetto d’assistenza sociale, ma anche patrimoniale (vale a dire volto a garantire l’autosufficienza economica), destinato ad operare anche per il futuro allorché i famigliari non ci saranno più. La l. 112 rappresenta una piccola rivoluzione del paradigma culturale nei confronti della disabilità: essa fa riferimento al diritto di pari dignità sociale, uguaglianza, mantenimento e assistenza sociale. È espressamente volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità. In questa direzione è sollecitato anche l’impegno locale, chiamato a realizzare un modello di abitare in autonomia he deve diventare l’obiettivo principale delle politiche e della rete di servizi per le persone con disabilità, al fine di consentire loro – sin dalla giovane età e con l’incoraggiamento della famiglia – di acquisire gli strumenti per vivere nella propria casa, o presso soluzioni abitative appositamente strutturate, con compagni liberamente scelti, secondo le modalità più corrispondenti ai propri desideri e condizioni, al pari di ogni cittadino. Ecco quindi la vera finalità della normativa, ossia il contrasto a ogni forma di segregazione, sia essa la istituzionalizzazione (ossia il vivere in strutture ove, assai spesso, il disabile perde la propria autonomia ed identità ma neppure realizza un adeguato progetto di vivere “in comune”) o l’intervento meramente assistenziale. Integrazione del disabile nell’ambito della vita personale e sociale, quindi: questo è l’obiettivo legislativo. Per realizzarlo, le misure introdotte con la legge 112 sono espressamente integrate con la previsione dei progetti individuali di cui all’art. 14 della l. 328/2000. Priorità del progetto individuale è fornire tutti i supporti volti, appunto, ad evitare la istituzionalizzazione. Il richiamo è all’art. 19 della Conv. Onu sui diritti delle persone con disabilità che prevede espressamente che le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione. Per la realizzazione delle proprie finalità il nostro legislatore si è mosso su un duplice binario di intervento: in primo luogo, uno di matrice pubblica. È infatti prevista l’istituzione di un Fonda di Assistenza alle persone con disabilità grave prive di sostegno famigliare (art. 4 l. 112/2016), che dovrebbe consentire l’adozione di misure volte a evitare l’isolamento e quindi ad attivare e potenziare interventi che favoriscano percorsi di deistituzionalizzazione e supporto alla domiciliarità in soluzioni abitative che riproducano quelle della casa famigliare, tenendo conto delle opportunità offerte dalle nuove tecnologie, la creazione di ipotesi alloggiative di tipo familiare e co-housing e più in generale lo sviluppo di un programma di potenziamento della consapevolezza, abilitazione e sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana con la maggior autonomia possibile. In adempimento dell’art. 3, 2° comma della l. 112/2016, il 23 novembre 2016 è stato sottoscritto il decreto ministeriale attuativo, che fissa i requisiti per l’accesso alle prestazioni finanziate con il Fondo istituito dalla Novella e stabilisce il riparto tra le regioni delle risorse finanziarie per l’anno 2016, pari a 90 milioni di euro. Il citato articolo già prevede una dotazione di 38,3 milioni di euro per il 2017 e di 56,1 milioni di euro a decorrere dal 2018.

Il decreto definisce anche i criteri di accesso alle misure del fondo, tenendo conto delle limitazioni dell’autonomia del disabile, dei sostegni che può fornirgli la famiglia, della condizione abitativa ambientale e delle condizioni economiche sue e della famiglia. Viene garantita comunque la priorità d’accesso ai disabili gravi senza entrambi i genitori e del tutto privi di risorse economiche, ai disabili con genitori non più in grado di garantire ad essi nel futuro prossimo un sostegno genitoriale per una vita dignitosa e ai disabili inseriti in strutture residenziali dalle caratteristiche molto diverse da quelle previste dal decreto. L’accesso è subordinato a una valutazione multidimensionale effettuata da équipe regolamentate dalle regioni, le quali analizzano le capacità della persona di curare sé stessa, inclusa la gestione di interventi terapeutici, la mobilità, la comunicazione e altre attività cognitive, le attività strumentali e relazionali della vita quotidiana. Detta valutazione mira a definire il progetto personalizzato (la cui realizzazione è deputata a un case manager) per il disabile grave, individua le misure di sostegno sanitarie, sociali e socio-sanitarie con il maggior coinvolgimento possibile del soggetto interessato e quindi tenendo in considerazione i suoi desideri e le sue aspettative, sempre con il proposito di favorire l’autonomia e l’autodeterminazione. In previsione del Dopo di Noi, è richiamato un percorso di accompagnamento verso l’autonomia del disabile e la sua uscita dal nucleo famigliare di origine e sono individuate soluzione abitative che riproducano quelle anche relazionali della casa familiare (ai sensi dell’art. 4 l. 112/2016), dettagliando i requisiti. Al contempo si promuove l’inserimento e l’integrazione lavorativa, stabilendo che i progetti personalizzati siano condivisi con i servizi per il collocamento mirato di cui alla l. 68/1999.



2. Gli interventi nel settore privato



L’altra direttrice di intervento è nel settore privato, attraverso alcune agevolazioni di natura fiscale volte a promuovere il ricorso a determinati strumenti, se destinati ai disabili gravi, in grado, per la loro natura, di valorizzare il progetto di vita per il disabile mediante la previsione, nell’atto istitutivo dello strumento prescelto, di una dettagliata descrizione degli specifici bisogni del soggetto debole. I negozi o atti presi in considerazione dalla legge sono: – erogazioni da parte di soggetti privati: l’art. 6 comma 9 espressamente prevede agevolazioni fiscali specifiche per le erogazioni liberali, donazioni e altri atti a titolo gratuito effettuati da privati nei confronti di trust o fondi speciali di cui all’art. 1 comma 3 (presumibilmente potrebbe trattarsi più in generale di negozi dotati di spirito di liberalità e a titolo gratuito)

– stipula di polizze assicurative

– istituzione di trust

– costituzione di vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c.

– costituzione di fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e regolati con contratto di affidamento fiduciario

Mediante le agevolazioni tributarie, la legge promuove quindi il ricorso ad alcuni strumenti di autonomia privata che hanno in comune la caratteristica di realizzare un vincolo di destinazione sui beni individuati, in modo che le esigenze di protezione e autonomia del disabile siano soddisfatte mediante patrimoni separati e dedicati, creati dalle famiglie stesse o da onlus, per poter sopperire direttamente alle esigenze del disabile, in tal modo sgravando le strutture pubbliche. L’effetto segregativo realizza la protezione patrimoniale, perché i beni che fanno parte di detti patrimoni sono durevolmente ed esclusivamente destinati alla assistenza del soggetto disabile, per tutto il tempo della sua vita; il fondo (trust, vincolo, fondo speciale) non si confonde con il patrimonio del soggetto gestore, e si sottrae alle azioni esecutive dei creditori del disponente/affidante. Le principali agevolazioni fiscali consistono nell’esenzione da imposta sulle successioni e donazioni per atti di conferimento di beni e diritti in trust, ovvero gravati da vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. ovvero destinati a fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione e regolati con contratto di affidamento fiduciario (art. 6 comma 1); esenzione da imposta sulle successioni e donazioni, applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa per il ritrasferimento di beni e diritti reali a favore dei disponenti in caso di premorienza del beneficiario (art. 6 comma 4); al di fuori di questa ipotesi, in caso di morte del beneficiario, il trasferimento del patrimonio residuo è soggetto all’imposta sulle successioni e donazioni in considerazione del rapporto di parentela o coniugio intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del patrimonio residuo. VI sono poi agevolazioni ulteriori: in particolare, l’art. 6 comma 6 stabilisce l’applicazione delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust, dei fondi speciali ovvero dei vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter c.c. Inoltre, gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee, dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione sono esenti dall’imposta di bollo prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642. È previsto, poi, che, in caso di conferimento di immobili e di diritti reali sugli stessi nei trust ovvero di loro destinazione ai fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, i Comuni possano stabilire aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Infine, alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 si applicano le agevolazioni di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, e i limiti ivi indicati sono elevati, rispettivamente, al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato ed a 100.000 euro Dunque, la Novella, quanto meno con riferimento alla parte più prettamente privatistica, ha natura essenzialmente fiscale. Essa non apporta nulla di nuovo dal punto civilistico se non il fatto di aprire espressamente al mondo della disabilità la possibilità di ricorrere a strumenti di segregazione patrimoniale, dissipando ogni dubbio relativamente alla possibilità di istituire un trust, costituire vincoli di destinazione ex art. 2645-ter c.c. (in realtà, tale norma fu pensata proprio per far fronte alle esigenze dei disabili ma lo strumento ha avuto nella prassi, fino ad oggi, scarsa diffusione) e concludere contratti di affidamento fiduciario (affascinante istituto di recente creazione dottrinale, privo sinora di riferimenti normativi e con modesta applicazione pratica), sicché è lecito presupporre che il ricorso a questi strumenti, con la Novella, sarà più frequente, spianando in via definitiva la strada della separazione patrimoniale per la tutela del soggetto disabile. Rinviando l’approfondimento delle altre figure negoziali previste dalla legge, questo articolo si propone, in particolare, di analizzare l’istituto del trust, come richiamato dalla legge 112/2016 ma anche quale strumento privilegiato per la protezione del soggetto debole, diffuso oramai da molti anni anche se anche ancora poco noto sia tra gli operatori del diritto che tra le famiglie direttamente coinvolte dal doloroso problema del “Dopo di Noi”.



3. I limiti della legge 112/2016 con riferimento al trust



È notorio che il trust non sia regolato in Italia da una legge specifica, salvo compiuta disciplina tributaria, ma ciò nulla toglie alla piena legittimità dello strumento e alla possibilità di farvi ricorso anche nel nostro Paese. L’Italia ha ratificato la Convenzione sulla legge applicabile ai trusts e al loro riconoscimento adottata a L’Aja il 1° luglio 1985 con la legge 364/1989, entrata in vigore l’1 gennaio 1992. Da allora in poi del trust si è fatto uso nei più svariati ambiti, anche in quello che ci occupa, ossia la tutela del soggetto debole. Vero è, tuttavia, che del trust si sono fatti anche usi distorti, che hanno contribuito a diffondere un’idea erronea della vera utilità dello strumento e delle sue infinite potenzialità. Il pregio della l. 112/2016 da questo punto di vista è dunque evidente e il dibattito sul riconoscimento del trust interno può oggi ritenersi concluso. Tuttavia la Novella ha scelto di delimitare rigorosamente il suo ambito applicativo, sicché non ogni trust per disabili può godere dei benefici fiscali, bensì solo quello istituito nel rispetto di tutti i crismi formali indicati dall’art. 6, vale a dire:

– deve rivestire la forma dell’atto pubblico (lett. a);

– l’atto istitutivo deve identificare in modo chiaro e univoco i soggetti coinvolti e i loro ruoli, descrivere la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave in favore dei quali sono istituiti, le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità grave, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio dell’istituzionalizzazione (lett. b);

– l’atto istitutivo deve altresì individuare gli obblighi del trustee con riguardo al progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave, nonché gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee (lett. c);

– il trust può avere come esclusivo beneficiario un soggetto che sia disabile grave ai sensi dell’art. 3, comma 3 l. 104/1002 (lett. d);

– la finalità esclusiva del trust è l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore dei quali sono istituiti (lett. e);

– non può mancare la figura del guardiano, già individuato con l’atto istitutivo un guardiano (lett. f);

– il termine finale della durata dello strumento deve coincidere con la data della morte della persona con disabilità gravi (lett. g);

– occorre che l’atto istitutivo stabilisca la destinazione finale del patrimonio residuo (lett. h).

Il trust pensato dal Legislatore della l. 112 trova quindi applicazione limitata: occorre una famiglia con un solo figlio (disabile), senza quindi che si ponga il problema di futuri eredi necessari la cui quota di legittima dall’istituzione del trust potrebbe venire lesa, e che abbia la possibilità di “staccare” una parte del patrimonio per destinarla in via esclusiva alla tutela del discendente disabile. Molti sono i problemi irrisolti: quelli connessi alla violazione della legittima, ad esempio. Si sarebbe infatti potuto prevedere un limite alla facoltà dei legittimari di agire in riduzione allorché i beni trasferiti nel trust non siano palesemente eccessivi rispetto alle esigenze di tutela del disabile. L’ambito soggettivo di applicazione è assai ristretto: si ammette il ricorso al trust solo per i disabili gravi di cui alla l. 104/1992, lasciando “fuori” una vasta platea di soggetti pur bisognosi di protezione: i genitori stessi del disabile, altri fratelli o sorelle “abili”, i quali potrebbero avere comunque un interesse – e un beneficio – nell’istituzione del trust. Ancora, la legge non prevede espressamente la possibilità del trust “autodichiarato” in cui disponente e trustee coincidono, ma non vi è dubbio che a tale fattispecie si possa tranquillamente ricorrere. È naturale infatti che in un trust per la tutela del disabile il genitore disponente voglia svolgere anche le funzioni di trustee finché è in vita o comunque “capace”, perché è lui che da sempre si occupato del figlio e intende quindi continuare a farlo direttamente sino a che sia possibile, evitando ingerenze esterne nella gestione patrimoniale e personale. Un trust in cui il genitore disponente e trustee coincidano presenterebbe anche indubbi vantaggi economici considerando il costo di un trustee professionale e contestualmente l’entità normalmente piccola del patrimonio da gestire. Non pare invero che dal silenzio del Legislatore si possa trarre un divieto di istituire trust autodichiarati ai sensi della l. 112, fatta salva l’opportunità di prevedere il meccanismo di successione del genitore/trustee allorché questi non possa più svolge la funzione gestoria (non è questa la sede per affrontare la possibilità o meno di riconoscere nel nostro Paese i trust autodichiarati: al di là di qualche presa di posizione dottrinale e giurisprudenziale contraria – ad. es. Cass. 3735/2015, deve concludersi per la piena legittimità fatta salva la possibilità di ricorrere all’azione revocatoria o di simulazione o nullità da parte dei creditori del disponente, allorché ve ne siano i presupposti: si veda da ultimo Cass. Civ. 21614/2016). Estrema cura dovrà poi essere posta nel redigere l’atto istitutivo, poiché, qualora si voglia indicare che alla morte del disabile i beni residui vadano a un soggetto diverso dal disponente, occorrerà (ricorrendo anche ad acrobazie lessicali) dissipare ogni dubbio che in capo al terzo destinatario sorgano posizioni beneficiarie, poiché ne deriverebbe la perdita di benefici fiscali a fronte di eventuali contestazioni dell’amministrazione finanziaria, atteso che il beneficiario del trust ex l. 112 può essere solo il disabile grave. Nulla è detto relativamente alla possibilità dell’istituzione di un trust collettivo, un trust, cioè, in cui più famiglie facciano confluire i propri beni per l’assistenza dei propri figli disabili, prevedendo separati trust funds per ogni soggetto da assistere e che il patrimonio residuo alla morte del disabile venga destinato dal trustee all’assistenza di altri soggetti disabili, o all’Onlus che ha assistito il disabile, in modo da creare un meccanismo virtuoso che assicuri il perseguimento della finalità espressa dalla l. 112 anche in un’ottica solidale ed altruistica. Allorché il trust collettivo abbia i requisiti prescritti dall’art. 10, comma 1 del d.lgs. 460/1997 per assumere la qualifica di Onlus, non pare potersi negare la possibilità di istituire un trust collettivo Onlus. Al di là del conseguente trattamento fiscale di favore, i vantaggi potrebbero essere vari: ad esempio, semplificazione delle procedure, maggiori garanzie di controllo sull’utilizzazione del patrimonio destinato. Pare poterlo dedurre anche dall’art. 1 comma 3 della l. 112 che consente l’applicabilità delle agevolazioni fiscali previste dal successivo art. 6 anche nel caso in cui i negozi/ atti giuridici siano stipulati a favore delle Onlus che svolgono prevalentemente attività di beneficienza. Sicché non è irragionevole concludere che le Onlus potrebbero svolgere un ruolo gestorio del patrimonio del disabile. In tale senso depongono anche le noti brevi dell’Ufficio Studi del Senato n. 116-maggio 2016, laddove evidenziano che “L’affidatario può essere costituito anche da un’organizzazione non lucrativia di utilità sociale (Onlus) che operi prevalentemente nel settore della beneficienza”. In tali casi occorrerà prestare attenzione al ruolo che la Onlus riveste, dovendosi escludere per ovvie ragioni di opportunità (in sostanza, il conflitto di interesse) che essa sia contemporaneamente trustee e “beneficiaria del residuo”. In sintesi: la legge presenta diversi aspetti di criticità. Lascia irrisolti parecchi profili problematici che ruotano attorno alla vita del disabile e della sua famiglia. Secondo taluno, è una legge “per ricchi”, poiché solo le famiglie benestanti potranno permettersi di destinare una parte del proprio patrimonio esclusivamente al soddisfacimento delle esigenze di vita del figlio disabile (possibilmente non l’unico discendente); le stesse famiglie che, in virtù del patrimonio ingente, hanno maggior interesse a beneficiarie delle esenzioni fiscali, tanto più che con riferimento alla previsione fiscale più importante, ossia l’esenzione dall’imposta sulle donazioni e successioni, è già prevista una franchigia di 1.500 Euro per i trasferimenti a favore soggetti portatori di handicap, che evidentemente “copre” la maggior parte delle ipotesi che nella pratica si presentano. Per tutti coloro che non trarrebbero dal trust istituito secondo il rigido schema previsto dalla Novella nessun beneficio fiscale in particolare, o che hanno esigenze che la legge non soddisfa, resta la possibilità di ricorrere a un trust “protettivo” in generale, strumento da tempo utilizzato nel settore della disabilità.



4. Il trust peri soggetti deboli in generale



Ma cos’è un trust per soggetti deboli, in generale? Il disponente, di solito il genitore, trasferisce parte o tutti i suoi beni a un altro soggetto che ne acquista la proprietà e ne dispone, gestendola e amministrandola secondo il programma fissato dal genitore disponente in favore del proprio figlio “soggetto debole”, ossia esclusivamente per il mantenimento, le cure ed il sostegno del soggetto bisognoso. I beni (che possono essere di qualsiasi natura) trasferiti al trustee, facenti parte del fondo in trust, non entrano a far parte del suo patrimonio personale e sono “segregati” al raggiungimento dello scopo del trust. Il patrimonio viene quindi trasferito al trustee affinché le utilità da esso traibili siano impiegate per il mantenimento e per il sostegno del soggetto debole. Preferibilmente il trustee gestisce i beni utilizzando il reddito ma potrà anche attingere al fondo, e quindi avrà il potere di alienare beni, qualora ciò si riveli necessario, e di attribuire i beni, alla morte del soggetto, ai beneficiari finali indicati dai genitori. Nell’ambito di un trust per soggetti deboli è facile che il disponente non voglia spogliarsi subito di tutti i suoi beni, e quindi, ad esempio, opti per conferire nel fondo la nuda proprietà mantenendo per sé l’usufrutto (e così conservando il diritto di continuare a vivere in una abitazione o di percepirne i redditi se concessa in locazione); talora l’atto istitutivo prevede come termine iniziale la morte del disponente che, così facendo, finché è in vita potrà detenere e gestire direttamente i beni divenendo il trust pienamente operativo solo al momento della sua morte, quando la piena proprietà si consoliderà in capo al trustee. Più spesso, e più opportunatamente, il trust diviene operativo subito: il disponente genitore di solito si riserva il ruolo di trustee (trust autodichiarato) o di guardiano, anche perché in questo modo è possibile verificare se il programma del trust corrisponde ai bisogni del figlio disabile o se qualcosa deve essere modificato. Questo genere di trust può avere più beneficiari; beneficiari del reddito sono prima di tutti i soggetti deboli per i quali lo strumento è istituito, ma ve ne possono essere altri: a titolo esemplificativo, lo stesso disponente, da subito o in caso di sua sopravvenuta necessità, un altro figlio, l’altro genitore. Si può essere beneficiari in relazione ad alcuni beni specifici, o al reddito riferito a certi beni, o perché beneficiari del residuo, al termine del trust. Potrebbe verificarsi il caso in cui ci sono due o più figli del disponente, uno solo soggetto debole, ma tutti beneficiari: per il soggetto debole è necessario che il trust duri tutta la vita, mentre per gli altri potrebbe essere opportuna l’assegnazione dei beni prima della cessazione del trust (che di solito coincide con la morte del soggetto disabile), ossia prevedere il potere di anticipazione del trustee. Inoltre, è possibile individuare tra i beneficiari finali un’organizzazione non profit, il cui scopo statutario sia, per esempio, l’intervento nell’ambito assistenziale cui si riferisce la patologia del beneficiario. La figura del guardiano, ossia colui che controlla l’operato del trustee, deve sempre essere presente e si adatta perfettamente alla figura del famigliare/disponente: al trustee è lasciata normalmente la cura e la gestione del patrimonio, mentre il guardiano è preposto alla cura e alla tutela del soggetto incapace. Come anzidetto, la figura giuridica del trust trova da tempo interessanti applicazioni pratiche nel settore della cura e tutela di soggetti deboli. Le prime esperienze del Giudice tutelare sul tema del Dopo di Noi risalgono a molti anni fa. Peraltro nei disegni di legge assorbiti nella proposta di legge che si è conclusa con l’approvazione della l. 6/2004, il trust era individuato come strumento in grado di rispondere alla domanda di protezione dei soggetti deboli: in particolare, con la proposta di legge C 5494, “Norme in materia di trust a favore di soggetti portatori di handicap”, riproposta, sostanzialmente negli stessi termini, nelle legislature successive, era infatti previsto l’impiego del trust attuato per scopi di assistenza in favore di soggetti disabili, con specifico riferimento al tema del Dopo di noi.

Naturalmente il trust per soggetti deboli in funzione del dopo di noi – e ciò vale anche per quello previsto dall’art. 6 della l. 112/2016 –, può avere vita autonoma: un atto istitutivo ben dettagliato può risultare pienamente sufficiente a garantire un’efficace opera di cura patrimonii che di cura personae. Tuttavia, allorché sussistano i requisiti per una misura legale di protezione (l’amministrazione di sostegno in primo luogo stante il carattere oramai residuale assunto da interdizione e inabilitazione), associare detta misura a un trust protettivo consente di attuare una tutela ancora maggiore in favore del soggetto debole. Il trust di sostegno (come definito dalla miglior dottrina, cfr. A. Tonelli in Trust e attività fiduciarie, luglio 2010, p. 375 ss) assicura infatti al figlio disagiato ma eventualmente anche, al contempo, ad altri membri del nucleo famigliare, un’adeguata cura personale e patrimoniale, anche in vista del Dopo di Noi. Come specificato in numerosi provvedimenti del Giudice Tutelare autorizzativi dell’istituzione di un trust con i beni o comunque in favore del soggetto debole, “il trust rafforza le autonomie del beneficiario nello spirito del nuovo titolo XII del libro I del c.c. come disciplinato dalla l. 6/2004”. Con un atto istitutivo del trust ben dettagliato anche nell’indicazione dei poteri da conferire al trustee, approvato dal Giudice Tutelare, è infatti possibile tener conto dei bisogni e delle istanze del beneficiario della procedura molto meglio di quanto si possa fare solo con il ricorso alla nomina dell’amministratore di sostegno. Il Trust valorizza dunque lo scopo che ha ispirato l’istituto dell’Amministrazione di sostegno, ossia quello di proteggere le persone che si trovino in stati di oggettiva debolezza nella valutazione dei propri interessi tenendo però sempre in considerazione i loro desideri e le loro aspirazioni.



5. Trust e ads: analogie e differenze



Prendendo come riferimento l’amministrazione di sostegno in quanto oggi misura di protezione legale privilegiata, esistono con il trust ovvie differenze:

– per la nomina dell’ads occorre che il soggetto versi nelle condizioni soggettive previste dall’art. 404 c.c., dunque l’istituto è destinato al soggetto “già” debole: peraltro, art. 408, 1° co. c.c. prevede la possibilità di nominare – con atto pubblico o scrittura privata autentica – un ads in previsione della propria eventuale futura incapacità: ciò però non consente di definire un programma né di esprimere una completa volontà in ordine allo svolgimento delle funzioni dell’amministratore di sostegno. Il trust invece può essere istituito anche in previsione della propria futura incapacità e non solo di incapacità legale accertata.

– l’amministratore di sostegno non diviene proprietario dei beni del beneficiario mentre il trustee è proprietario, seppure in senso fiduciario (ossia è titolare di una proprietà fiduciaria, cioè vincolata al raggiungimento di uno scopo, consistente, nei casi cui ci riferiamo, principalmente alla cura della persona e del patrimonio del soggetto debole).

– l’ads è istituto destinato ai soli soggetti maggiorenni, mentre beneficiari del trust sono anche i minorenni, addirittura i soggetti “solo concepiti”.

– l’ads è soggetta a diverse forme di pubblicità (contrariamente al trust, che resta “riservato”): la trascrizione a margine dell’atto di nascita, nel registro delle ads e nel casellario giudiziale. Il valore aggiunto del trust è poi senz’altro quello di essere uno strumento perfettamente adeguato alla gestione del cd. Dopo di noi, come anzidetto. Sebbene trust e ads siano strumenti diversi, che possono vivere separatamente, è anche vero che si intrecciano perfettamente diventando strumentali l’uno all’altro e complementari, perché hanno in comune alcune caratteristiche, precisamente:

– l’elemento “fiducia”: il rapporto fiduciario è ciò che vincola il trustee al beneficiario, per cui l’obbligazione non è meramente contrattuale (il trust è un vero e proprio negozio unilaterale, privo di qualsiasi rapporto sinallagmatico) ma è anche ciò che deve legare un ads (in termini di capacità d’ascolto e relazionale) al beneficiario

– la “duttilità”: entrambi gli strumenti sono caratterizzati da ampia elasticità e versatilità, essendo in grado di “plasmarsi” in modo differente secondo le esigenze del caso concreto, tenendo conto dei desideri e delle aspirazioni del soggetto debole

– sia chi chiede la nomina dell’ads che il disponente di un trust possono accompagnare l’indicazione del nominativo dell’ads o del trustee con la precisazione dei criteri di gestione/amministrazione a cui ads e trustee devono attenersi, seppure nel caso dell’ads si tratti di indicazioni non vincolanti per il giudice tutelare, ma comunque destinate ad essere ragionevolmente seguite. Trust e amministrazione di sostegno sono strumenti che possono quindi certamente coesistere in modo complementare offrendo una tutela ottimale al soggetto debole, poiché consentono una pianificazione esaustiva che risponde in modo globale alle esigenze del soggetto da proteggere, sia di amministrazione dei beni che di tutela del risparmio del beneficiario e dei suoi discendenti che di cura globale della persona (quindi, soddisfacimento delle esigenze abitative, la salute, ecc.).

I vantaggi dell’associare la misura legale di protezione a un trust sono in particolare:

– la possibilità che tramite il trust la pianificazione sia produttiva di effetti anche dopo la morte dei genitori, e quindi in vista del cd. dopo di noi;

– con il trust è possibile tutelare contemporaneamente più persone (sia il soggetto debole che i suoi genitori o altri fratelli, ad esempio, seppure con modalità diverse);

– il trust apporta l’elemento della segregazione patrimoniale per il quale i beni conferiti sono cristallizzati in un’area intangibile da parte dei creditori o di terzi; – il trustee professionista assicura competenza e professionalità nella gestione del patrimonio: la gestione dei beni è sempre ispirata a criteri conservativi, nel senso che il patrimonio va naturalmente impiegato per il soggetto debole fino all’esaurimento ma cercando di gestire le uscite tenendo conto del quantum del patrimonio connesso alla previsione di vita del beneficiario. Inoltre, il trustee deve garantire imparzialità e assoluta terzietà rispetto ai diritti e agli interessi che dal trust derivano ai beneficiari. Allorché l’ads sia un famigliare o una persona vicina al beneficiario, può verificarsi o che non siano assicurate idonee capacità professionali di gestione, o (proprio a causa del legame con il beneficiario) sufficiente rigore nella gestione come talune situazioni talora richiedono;

– l’ads certamente apporta un ulteriore elemento di sicurezza al soggetto debole, vale a dire il controllo da parte del giudice tutelare, una sorta di “certificazione” di legalità;

– essendo in questi trust obbligatoria la figura del guardiano, essa funge da filtro tra trustee e beneficiario, senza per forza coinvolgere l’ads che non si occupi della gestione patrimoniale; ciò limita anche il ricorso al giudice tutelare per autorizzazione a elargizioni di denaro poiché se trustee e guardiano reputano la richiesta economica del beneficiario soddisfabile, a prescindere dall’eventuale volontà contraria dell’ads (che inevitabilmente condurrebbe a interpellare il giudice tutelare), potrebbero decidere di dare il benestare ed elargire al beneficiario quanto chiede;

– più in generale, in ogni caso, se il trust è ben gestito è possibile limitare il ricorso al giudice tutelare, specie allorché non sia imposto ma condiviso dal beneficiario con l’amministratore di sostegno, e conseguentemente sgravare la mole di lavoro delle cancellerie.



6. Il ruolo del giudice tutelare



La giurisprudenza mostra molti casi in cui il Giudice Tutelare interviene non solo per avvalorare la validità di un trust istituito magari dai genitori con i propri beni in favore del figlio soggetto debole ma anche autorizzando l’istituzione di trust con beni e patrimonio dello stesso soggetto debole1 . Ma qual è, precisamente, la funzione e il compito che il Giudice Tutelare è chiamato ad espletare? Innanzitutto, l’autorità giudiziaria innanzi alla quale sia portato un trust interno per il cd. Dopo di noi, dovrà svolgere le normali verifiche richieste ai sensi degli artt. 13 e 15 Conv. Aja:

– rispondenza del trust ai requisiti minimi della convenzione

– conformità alla legge straniera prescelta

– non contrarietà del negozio complessivo a norme di ordine pubblico e imperative del ns ordinamento Il Giudice è chiamato in pratica a verificare la riconoscibilità di un trust interno rispetto alla legge del Foro, confrontando il tenore di tutte le clausole dell’atto istitutivo rispetto alla Convenzione e alla legge applicabile, nell’ambito del quadro più ampio rappresentato dalle norme imperative e di ordine pubblico del foro. Allorché sia il Giudice Tutelare ad autorizzare il trust per un soggetto debole, egli mantiene un ruolo di sorveglianza e possibilità di intervento: il Giudice è colui che rappresenta i diritti del beneficiario soggetto debole. Se già in precedenza il trust era stato istituito e successivamente viene nominato l’amministratore di sostegno, una modifica dell’atto istitutivo del trust è possibile ma deve essere autorizzata dal Giudice Tutelare su richiesta dell’ADS. Se, all’opposto, il trust viene istituito quando l’amministrazione di sostegno è già in essere (su impulso dell’Ads eventualmente d’accordo con il beneficiario) il Giudice Tutelare, al cui vaglio l’atto è sottoposto, può intervenire modificandolo se necessario Il potere di sorveglianza e di controllo del Giudice Tutelare si sostanzia in attività diverse: ad esempio, può impartire direttive di massima o specifiche al trustee, che il trustee attua; disporre che il trustee modifichi o sopprima alcune disposizioni dell’atto istitutivo o le integri; revocare il trustee e nominare altro trustee, aggiungere trustee, stabilire la durata nell’ufficio; revocare il guardiano e nominare un altro guardiano, nominare guardiani aggiuntivi, determinarne le funzioni, stabilire la durata dell’ufficio; può modificare la legge regolatrice del trust, ed altro ancora. È tuttavia evidente che se il trust per il soggetto debole preveda beneficiari diversi, tra i quali uno solo “soggetto debole”, il Giudice Tutelare può intervenire solo in rappresentanza del beneficiario della misura legale e su istanza dell’ADS e, soprattutto, per poter modificare il trust occorre il consenso di tutti i beneficiari maggiorenni. Il principio discende dall’importante precedente inglese Saunders e Vautier che riconosce a tutti i beneficiari maggiorenni di un trust, se titolari di una specifica posizione beneficiata, il potere, se sono tutti d’accordo, di porre termine anticipatamente al trust e quindi anche di modificare il trust, in quanto minore rispetto a quello più ampio di deciderne la cessazione, in forza di forza di quanto sancito in Chapman Vs Chapman, e codificato successivamente nel Variation Act. Orbene, tornando alla l. 112/2016: il ruolo che la legge riserva al Giudice Tutelare è oggi assai diverso rispetto al passato: prima il Giudice tutelare poteva intervenire in rappresentanza del beneficiario e affinché il Giudice potesse modificare il trust occorreva il consenso di tutti i beneficiariIl trust regolato dalla Novella è invece un trust con un unico beneficiario, il disabile grave. Nei casi di trust costituiti secondo la l. 112/2016 è quindi evidente che il Giudice Tutelare riveste molto potere, poiché se il soggetto disabile sia già stato ammesso al beneficio dell’amministrazione di sostegno, il Giudice potrà suggerire all’Ads di istituire il trust2 e dandogli tutte le indicazioni utili. Se invece il trust è stato istituito prima dell’adozione della misura legale, il Giudice Tutelare può suggerire liberamente all’Ads di modificare l’atto senza limiti perché, appunto, beneficiario è solo uno: la posizione beneficiaria è tutta concentrata sul soggetto debole. In pratica, il GT ha un potere di impulso che può esercitare liberamente In conclusione: seppure il trust previsto dalla l. 112 abbia un’applicazione limitata alle ipotesi in cui ricorrano tutti i requisiti previsti dall’art. 6, indubbiamente, allorché sia istituito quel trust, il soggetto debole riceve una tutela rafforzata in virtù del fatto che i poteri oggi conferiti al GT gli garantiscono una protezione maggiore, oltre al fatto che il trustee non ha potere discrezionale Il Giudice funge oggi da vero garante del disabile, potendo intervenire, plasmando e modificando il trust, alla luce anche delle esigenze progressive che il beneficiario manifesterà, contribuendo quindi alla piena realizzazione concreta del progetto di vita che i genitori avevano fortemente voluto per il loro figlio in vista del Dopo di Noi.

NOTE

1 I provvedimenti pubblicati sono numerosi. Tra i tanti: Trib. Genova, 14 marzo 2006, in T&AF,

2006, p. 415; Trib. Bologna 11 maggio 2009, in T&AF, 2009, p. 543; Giudice Tutelare Trib. Rimini,

21 aprile 2009, in Fam. Dir., 2009, p. 716 e in T&AF, 2009, p. 409; Trib. Modena, 11 dicembre 2008,

in Fam. Dir. 2009, p. 1256; Trib. Bologna 23 settembre 2008, in T&AF, 2008, p. 631.

2 Non potendo essere il trust istituito d’ufficio dal Giudice la convenzione dell’Aja sulla legge

applicabile al trust e al loro riconoscimento ratificata dall’Italia con legge 364/1989 entrata in

vigore 1.1.1992, ammette solo i trust volontariamente istituiti ovvero derivanti da un atto di libera

determinazione del disponente. L’art. 21 della Convenzione, che avrebbe reso possibile

l’istituzione del trust per ordine del Giudice, necessita di una esplicita adesione da parte di ciascun

Paese, che l’Italia non ha espresso. Ciò rende impossibile l’istituzione del trust aventi origine da un

ordine dell’Autorità Giudiziaria, i cd. Constructive trust.