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La coordinazione genitoriale: conoscerne le origini per importare uno strumento maturo con una storia, basi scientifiche e regole di garanzia

autore: C. Piccineli

La coordinazione genitoriale rappresenta una pratica affermata in vari paesi: USA, Canada, Israele, Australia e alcuni paesi europei1 ; dal 2015 inoltre si registrano anche in Italia i primi provvedimenti della magistratura in cui viene nominata la figura del coordinatore genitoriale2 . Questa importante opzione tra gli strumenti di Alternative Dispute Resolution (ADR) è in costante crescita fin dai primi anni ’90, quando i primi psicologi e avvocati, pionieri in questo campo, ne hanno intravisto le potenzialità3 . La sua evoluzione è legata ai tribunali di famiglia americani, sovraccarichi di richieste di giudizio di genitori coinvolti in separazioni con elevata e cronica conflittualità, categoria che pur rappresentando la minima parte delle coppie separative, utilizza la maggior parte delle risorse temporali disponibili4 di un sistema, quello della giustizia americana, già gravato dalla riduzione dei finanziamenti5 . Il rapporto con il tribunale è di grande importanza perché questo intervento sia efficace, gli stessi tribunali di famiglia hanno sperimentato programmi di coordinazione svolti in loro connessione6 . Fin dai primi anni ’60, quando ancora si chiamavano tribunali di conciliazione, i tribunali di famiglia americani si sono avvalsi di servizi di consulenza psicosociale a sostegno della coppia in separazione e delle famiglie. L’evoluzione della società e delle normative sociali aveva portato un grande incremento del numero di separazioni/divorzi e della conseguente richiesta di giustizia civile. La mediazione familiare fu uno dei primi interventi sperimentati in questo ambito a partire dagli anni ’70, efficaci nel permettere alle coppie di autodeterminarsi nell’assumersi le responsabilità genitoriali, attraverso uno spazio-tempo offerto alla coppia per parlare e confrontarsi sul modo migliore di separarsi e di riorganizzare le relazioni familiari nel rispetto dei rapporti con i figli. Con il presentarsi di nuove situazioni sociali e con il superamento delle normative sull’affido esclusivo, il contesto psicogiuridico americano si trovò a fronteggiare nuove situazioni complesse, tra le quali le necessità di tutela dei soggetti coinvolti in situazioni di violenza domestica, quindi la immediabilità di alcune situazioni, pur nel permanere della necessità di condividere la genitorialità anche in presenza di alto e perdurante contrasto, nel rispetto delle nuove leggi sugli affidi condivisi. Lo strumento della mediazione familiare risultava inadatto a questi bisogni complessi, sicché la sperimentazione si orientò verso nuove forme di ADR che univano mediazione e arbitrato e altre forme di intervento più decisionale che assunsero diverse denominazioni a seconda dei tribunali in cui venivano formulate. Per molti anni questi interventi rimasero privi di regolamentazione e avulsi rispetto a una comune definizione dell’intervento. Nel 2000 la sezione di diritto di famiglia dell’American Bar Association, avvalorando l’importanza della collaborazione tra avvocati, giudici ed esperti di salute mentale, affrontò il tema del cambiamento dei sistemi legali e di cura della salute necessari per far fronte al fenomeno delle ripercussioni sui minori dell’elevata conflittualità genitoriale, riconoscendo in questo il possibile ruolo dei coordinatori (o special master come venivano denominati in alcune sedi giudiziarie locali)7 . Un grande contributo nella produzione di buone prassi, condotte etiche e deontologiche e ricerca scientifica di ambito psicoforense deriva dall’Association of family and conciliation courts (AFCC), che affianca l’attività dei tribunali di famiglia e conciliazione fin dal 1963. A questa importante associazione internazionale e interprofessionale si devono le linee guida e i protocolli per vari interventi di questo ambito, tra i quali troviamo la consulenza per l’affidamento dei minori, la mediazione e appunto la coordinazione genitoriale. Per quest’ultima il lavoro durò molti anni: una prima task force di AFCC iniziata nel 2001 e conclu sa nel 20038 mise a fuoco i problemi di realizzazione della coordinazione, non avendo potuto realizzare l’obiettivo iniziale di formulare un protocollo per l’intervento, data la grande difformità a livello USA e internazionale di queste pratiche variamente denominate. Una seconda task force, terminata nel 20059 , dopo due anni di lavoro, si concluse con la creazione di un documento denominato ‘modello standard’ di intervento per la coordinazione genitoriale, denominazione che venne poi cambiata in ‘linee guida’ per la coordinazione genitoriale, ritenuta quest’ultima più adatta a dare ragione delle difficoltà a raggiungere un consenso sugli standard richiesti per la coordinazione in quel momento. L’introduzione delle linee guida sulla coordinazione hanno finalmente permesso di avere delle regole per le buoni prassi di un intervento che per definizione di AFCC è centrato sul minore, a partire da quanto le scienze psicologiche hanno permesso di comprendere circa gli effetti sui figli delle contese tra i loro genitori. L’effetto negativo sull’evoluzione psicologica del bambino del perdurante ed elevato conflitto genitoriale, relativamente alle tematiche riguardanti i figli, è noto alla letteratura10. e ben documentato in una grande quantità di studi e revisioni sistematiche sull’argomento11. Da tempo sono state prodotte molte evidenze in merito a vari possibili effetti sulla sfera emotiva interna del bambino e sulle problematiche comportamentali12, effetti sul rendimento scolastico, sulle funzioni psicobiologiche, sul funzionamento cognitivo e sociale13. Una classe di ricerche più recenti si è inoltre orientata a indagare i processi (quindi il come questi processi avvengano), indipendentemente da una logica che metta in evidenza i soli sintomi dell’effetto del conflitto. Questi studi hanno permesso di differenziare tra le varie componenti che rendono un conflitto distruttivo e comprendere quali fattori protettivi possano essere valorizzati per evitare i danni. È infatti ormai acquisito che i bambini reagiscono in maniera differenziata a varie tipologie di conflitto, per esempio il conflitto su temi che li riguardano è considerato particolarmente stressante14, così come fortemente stressanti sono le espressioni non verbali dei genitori, anche le più sottili, di rabbia, ritiro o discordia. Al contrario possono ridurre il disagio dei bambini le informazioni sulla risoluzione e sul grado di risoluzione15, ivi comprese le spiegazioni date dai genitori (anche quando i conflitti avvengono lontani dai bambini)16; qualora il conflitto non venga risolto il disagio comunque diminuisce quando i genitori esprimono ottimismo e speranza circa le possibilità di risoluzione17. Si comprende dunque, grazie al supporto della ricerca scientifica, l’utilità di insegnare ai genitori le competenze per gestire il loro conflitto18. La possibilità di differenziare tra diverse tipologie di conflitto ha poi condotto alla costruzione di interventi specifici per le famiglie coinvolte in processi separativi giudiziali19. Tra le categorie protettive del conflitto genitoriale è stato recentemente messo in luce il costrutto di cogenitorialità, il quale fa riferimento al supporto e alla solidarietà tra gli adulti responsabili della cura dei figli. La ricerca dimostra che quando tale elemento sostiene l’agire dei genitori, siano essi in coppie unite o separate/divorziate, i figli mostrano un sano sviluppo e un buon adattamento20. Le componenti specifiche che compongono la cogenitorialità sono: l’agire comune nella squadra genitoriale; la condivisione delle attività di cura dei figli (indipendentemente dalla divisione dei compiti, ciò che conta è se le decisioni sulle attività sono state prese in maniera condivisa); la composizione dei conflitti riguardanti i figli; la consapevolezza di ognuno di avere il sostegno dell’altro genitore nel processo della genitorialità21. Il coordinatore genitoriale è l’esperto nominato dal tribunale che lavora con i genitori che altrimenti sarebbero impossibilitati a cooperare per il bene dei loro figli cercando, grazie all’impiego di vari strumenti, di ridurre il conflitto, di migliorare le competenze genitoriali, di favorire la cogenitorialità, di ridurre le richieste rivolte ai tribunali per le questioni di normale gestione familiare e migliorare il benessere di figli e genitori nella transizione separativa22.

Il processo di coordinazione genitoriale si fonda sulla teoria dei sistemi familiari, sulla psicologia dello sviluppo, sulle teorie di risoluzione dei conflitti a sostegno di un lavoro pratico di attuazione di un piano genitoriale stabilito dal tribunale. Tale piano genitoriale comprende i provvedimenti sull’affidamento, collocamento e frequentazioni con i genitori e le modalità di condivisione delle decisioni genitoriali, per la cui realizzazione vengono improntate nel lavoro di coordinazione le regole di comunicazione, le tecniche di problem solving e l’insegnamento delle tecniche necessarie per disimpegnarsi da relazioni cogenitoriali disfunzionali. Il coordinatore genitoriale ha anche la funzione di controllare l’accesso del bambino a ciascun genitore, garantendo con ambedue un legame affettivo libero da vincoli di lealtà verso uno o entrambi i genitori. Storicamente gli interventi come il counseling, la mediazione familiare e l’educazione delle famiglie, sono stati metodi d’elezione per assistere i genitori in separazione. Tuttavia è divenuto chiaro che questi metodi da soli non bastano in alcuni casi di alta conflittualità a ridurre i problemi o i continui ricorsi in tribunale23. Per questo è stato pensato un sistema valido che combina molti di questi metodi in una maniera strutturata nella coordinazione genitoriale, che dispone ormai di un certo numero di studi sulla efficacia, ora raccolti in una prima recente metanalisi, condotta da D. Carter24. In particolare è emerso che gli studi sulla efficacia della coordinazione sono centrati su due classi: studi sul processo e studi sul risultato, grazie ai quali, nonostante siano spesso limitati a piccoli campioni, si può inizialmente parlare di una soddisfacente valutazione positiva di entrambe le categorie. È inoltre emersa una serie di studi sull’efficacia degli interventi con le coppie in separazione come la mediazione familiare e la psicopedagogia rivolta a genitori, che sono strumenti le cui tecniche sono ampiamente utilizzate nella coordinazione in sinergia, dotate di una loro efficacia dimostrata, che indirettamente costituiscono una base di efficacia per la coordinazione genitoriale25. Nel complesso i dati alla base dei risultati della coordinazione forniscono un forte supporto dell’efficacia dello strumento come mezzo per ridurre il numero di udienze e ricorsi. Tali risultati sono stati trovati in diverse aree geografiche; in genitori con diverse provenienze etniche e socioeconomiche; in diverse forme di attivazione del servizio: sia su base di programmi attivati dai tribunali che su base di attività privata26. Tra i risultati meno positivi si segnala l’uscita prematura dall’intervento di coordinazione: una volta su quattro il coordinatore veniva licenziato prima della scadenza dei due anni di incarico. Gli studi dimostrano anche che la coordinazione è efficace nel ridurre le richieste di intervento dei giudici su questioni frivole o su questioni riguardanti i bambini, minori ricorsi in situazioni di urgenza e aumento della risoluzione di conflitti senza l’intervento del giudice. Tra i risultati sono stati individuati il miglioramento della situazione conflittuale, della cooperazione e del supporto tra genitori, sebbene i miglioramenti sull’adattamento dei bambini non potessero essere considerati significativi dal punto di vista statistico27. Una ricerca recente28, riportando le attività nella quali il coordinatore è frequentemente impegnato, le ha così descritte: educare i cogenitori sugli effetti dannosi del conflitto sui bambini; facilitare la risoluzione di questioni tra genitori; insegnare ai genitori come accordarsi senza che nessuno ne esca vincitore o perdente; insegnare ai genitori a trattare i loro rapporti come farebbero in una riunione con i colleghi; facilitare gli accordi tra i genitori per le variazioni sul piano genitoriale in modo da generare meno conflitti; insegnare ai genitori a scambiarsi e-mail in maniera cortese; intrattenere contatti con uno o entrambi gli avvocati. Sono queste alcune declinazioni pratiche, nel quotidiano, del lavoro della coordinazione genitoriale, che trovano una chiara sistemazione nella definizione di coordinazione genitoriale fornita dalle linee guida di AFCC: La coordinazione genitoriale è un processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sul bambino attraverso il quale un professionista della salute mentale o di ambito giuridico, con formazione ed esperienza nella mediazione familiare, aiuta i genitori altamente conflittuali ad attuare il loro piano genitoriale, facilitando la risoluzione delle controversie in maniera tempestiva, educandoli sui bisogni dei loro figli e, previo consenso delle parti e /o del giudice, prendendo decisioni all’interno dell’ambito dell’ordine del tribunale o del contratto di incarico. La coordinazione genitoriale combina la valutazione, l’educazione, la gestione del caso, la gestione del conflitto e, talvolta, l’assunzione di decisioni. Le linee guida definiscono altresì le attività specifiche del coordinatore (Linea guida VI) oltre ai protocolli dettagliati per la formazione dei coordinatori (appendice A e linea guida I) e le linee guida per i Tribunali (Appendice B), sulle base delle quali i tribunali dovrebbero dotarsi delle procedure utili per i programmi di coordinazione ad essi connessi. Grazie alle linee guida di AFCC la coordinazione rappresenta un intervento maturo e affidabile29. Fino all’introduzione delle Linee guida di AFCC il processo di coordinazione veniva compreso in una grande varietà di modelli difformi, spesso determinanti una grande confusione sui ruoli specifici e sulle responsabilità del coordinatore genitoriale, con conseguenti incertezze dal punto di vista etico, pratico e giuridico30. L’Italia, dove sono in corso i primi casi di coordinazione genitoriale con nomina del coordinatore nei provvedimenti dei tribunali, ha l’opportunità di guardare a queste linee guida evitando di cadere nelle medesime incertezze e confusioni, attraverso l’adattamento delle stesse alla nostra realtà culturale e giuridica riguardante la famiglia.

NOTE

1 Fieldstone, L., Lee, M.C., Baker, J.K., & McHale, J.P. (2012), Perspectives on Parenting

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Review, 49, 801-817.

2 C. Piccinelli, S. Mazzoni, D. Carter, La coordinazione genitoriale, dagli USA un nuovo intervento di

supporto per le coppie in separazione/divorzio ad elevata conflittualità cronica, in Il caso.it,

http://www.ilcaso.it/articoli/fmi.php?id_cont=768.php; C. Piccinelli (segnalazione a cura di), La

nuova figura del coordinatore genitoriale a Milano, in Il caso.it

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/15709.php.

3 Belcher-Timme, R.O., Shorey, H.S., Belcher-Timme, Z., & Gibbings, E.N. (2013), op. cit.

4 Neff, R., & Cooper, K. (2004), Progress in parent education: Parental conflict resolution, in Family

Court Review, 42, 99-114; Coates, C.A., Deutsch, R., Starnes, H., Sullivan, M.J., & Dydlik, B. (2004),

Models of collaboration in family law: Parenting coordination for high-conflict families, in Family

Court Review, 42, 246-262; Fieldstone, L., Lee, M.C., Baker, J.K., & McHale, J.P. (2012), op. cit.

5 Henry, W., Fieldstone, L., & Bohac, K. (2009), Parenting coordination and court relitigation: A

case study, in Family Court Review, 47, 682-697; Coates et al., 2004, op. cit.; Johnston, J.R. (2000),

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6 Fieldstone et al., 2012, op. cit.

7 Ramsey, S. (2000), High conflict custody cases: Reforming the system for children, in Conference

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55.

8 AFCC Task Force on Parenting Coordination, Parenting Coordination: Implementation Issues, 41

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9 Association of Family and Conciliation Courts (AFCC), Task Force on Parenting Coordination

(2006), Guidelines for Parenting Coordination, in Family Court Review, 44(1), 164-181.

10 Kitzmann, K.M., & Emery, R.E. (1994). Child and family coping one year after mediated and

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11 Cummings, E.M., & Davies, P.T. (2002), Effects of marital conflict on children: Recent advances

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12 Emery, R.E. (1982), Interparental conflict and the children of discord and divorce, in

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13 Ellis, B.J., & Garber, J. (2000), Psychosocial antecedents of variation in girls’ pubertal timing:

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14 Grych, J.H., & Fincham, F.D. (1993), Children’s Appraisals of Marital Conflict: Initial

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15 Cummings, E.M., Ballard, M., El-Sheikh, M., & Lake, M. (1991), Resolution and children’s

responses to interadult anger, in Developmental Psychology, 27(3), 462. 16 Cummings, E.M.,

Simpson, K.S., & Wilson, A. (1993), Children’s responses to interadult anger as a function of

information about resolution, in Developmental

Psychology, 29(6), 978.

17 Cummings, E.M., & Wilson, A. (1999), Contexts of marital conflict and

children’s emotional security: Exploring the distinction between constructive and destructive

conflict from the children’s perspective, in Conflict and cohesion in families: Causes and

consequences, 105-129.

18 Shifflett, K., & Cummings, E.M. (1999), A program for educating parents about the effects of

divorce and conflict on children: An initial evaluation, in Family Relations, 79-89.

19 Neff & Cooper, 2004, op. cit.; Fieldstone, L., Carter, D.K., King, T., & McHale, J.P. (2011),

Training, skills, and practices of parenting coordinators: Florida statewide study, in Family Court

Review, 49(4), 801-817.

20 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), Protecting Generational Solidarities through Interventions with

Divorcing Families Theory, Research and Practice, in Fulchiron, H. (Ed.), Solidarity between

Generations, Paris, France: Bruylant Publishing, 313-321; McHale, J.P. (2007), Charting the bumpy

road of coparenthood: Understanding the challenges of family life, Zero to Three; McHale, J.P., &

Lindahl, K.M. (2011), Coparenting: A conceptual and clinical examination of family systems,

American Psychological Association.

21 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), op. cit.; Pruett, K. (2010), Partnership parenting: How men and

women parent differently-Why it helps your kids and can strengthen your marriage, in

ReadHowYouWant.com.

22 Carter, D.K. & McHale, J. (2013), op. cit.; Kirkland, K., & Sullivan, M. (2008), Parenting

coordination (PC) practice: A survey of experienced professionals, in Family Court Review, 46(4),

622-636.

23 Johnston, J.R., & Roseby, V. (1997), In the name of the child: A developmental approach to

understanding and helping children of high-conflict and violent families; Neff, R., & Cooper, K.

(2004), op. cit.

24 Carter, D.K., & Lally, S.J. (2014), Charting the challenging path toward establishment of

parenting coordination’s efficacy, in Higuchi, Shirley Ann (Ed); Lally, Stephen J. (Ed), (2014),

Parenting coordination in postseparation disputes: A comprehensive guide for practitioners (pp.

241-263). Washington, DC, US: American Psychological Association, xii, 298 pp.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 Ibidem.

28 Fieldstone, L., Carter, D.K., King, T., & McHale, J.P. (2011), op. cit.

29 Sullivan, M.J. (2013). Parenting Coordination: Coming of Age?, in Family

Court Review, 51(1), 56-62.

30 Sullivan, M.J. (2004), Ethical, legal, and professional practice issues involved

in acting as a psychologist parent coordinator in child custody cases, in Family Court Review, 42(3),

576-582.