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Brevi note sull’assegnazione e revoca della casa coniugale

autore: G. Castauro

Sommario: 1. Premessa. - 2. L’assegnazione della casa coniugale. - 3. Diritti dei terzi e provvedimento di assegnazione della casa coniugale. - 4. La revoca dell’assegnazione della casa coniugale. - 5. Conclusioni.



1. Premessa



L’assegnazione della casa coniugale in sede di separazione, divorzio ed affido di figli di coppie non coniugate, è molto spesso oggetto di vivace contrasto tra i genitori nonché possibile causa di problemi economici di non poco conto per chi si trova a dover affrontare il nuovo assetto della propria vita familiare. Difatti non solo vi è la difficoltà a comprendere che, nell’interesse dei figli affidati all’altro genitore, si debba lasciare la casa di esclusiva proprietà o magari di proprietà dei propri genitori e concessa in comodato, ma non sono rare le ipotesi in cui la casa coniugale, nel momento in cui sorge la crisi della coppia genitoriale, sia gravata da mutuo. In questo ultimo caso molto spesso il genitore che deve lasciare la casa coniugale a seguito del provvedimento di assegnazione all’altro, si trova a dover provvedere non solo al pagamento del canone di locazione del nuovo immobile ove ha trasferito la propria residenza ma anche del mutuo della casa di cui godono i figli e l’ex coniuge. Se a ciò si aggiunge anche il pagamento dell’assegno di mantenimento, atteso che la sua previsione costituisce statisticamente l’ipotesi più frequente, è evidente che la separazione anche in condizioni di reddito medio rischia di essere causa di vera e propria indigenza. A questi problemi si affianca poi la difficoltà, nonostante la chiara previsione letterale della norma di cui all’art. 337-sexies c.c., ad ottenere la revoca dell’assegnazione della casa coniugale in ragione dell’interpretazione giurisprudenziale della norma stessa. Ben si comprende dunque come attorno al provvedimento di assegnazione della casa coniugale ruotino interessi di grande rilievo per la coppia coniugale.



2. L’assegnazione della casa coniugale



Ma qual è il presupposto che anima l’assegnazione della casa coniugale? In un’unica norma, l’art. 337-sexies, il legislatore a seguito della riforma di cui all’art. 55 d.lgs. 28.12.13 n. 154, disciplina l’assegnazione e la revoca della casa coniugale nell’ipotesi di separazione, scioglimento e cessazione degli effetti civili del matrimonio, annullamento, nullità ovvero procedimenti relativi a figli nati fuori dal matrimonio. È il primo capoverso a mettere subito in chiaro quale deve essere il principio ispiratore dell’assegnazione (e come vedremo anche della revoca): l’interesse dei figli (minori o maggiorenni non economicamente indipendenti). Ma cosa si intende per “interesse dei figli”? La Giurisprudenza e la Dottrina hanno puntualizzato che è interesse dei figli, minori affidati o maggiorenni non economicamente indipendenti conviventi, mantenere il medesimo habitat godu to in costanza del matrimonio dei genitori1 . Essi che vedono disgregarsi la coppia genitoriale non devono essere privati anche di quello che è il loro ambiente e fonte di certezze, certezze di cui necessitano in un momento tanto delicato della loro vita personale. È intorno dunque a detto interesse che ruotano le sorti della casa coniugale, a dispetto della proprietà della stessa, delle condizioni economiche di chi la debba lasciare e delle conseguenze che dal provvedimento derivino. Vediamo dunque brevemente quali sono i principi enunciati dalla Giurisprudenza su questo delicato tema. In primo luogo è ormai pacifico che all’assegnazione non può procedersi in mancanza di figli minori o maggiori non economicamente indipendenti e che l’assegnazione non può costituire una forma di mantenimento “in natura” a favore del coniuge debole2 . Degna di nota appare la precisazione della Suprema Corte nella sentenza n. 2445/15 che nel riformare Corte d’Appello di Roma n. 5322/12 che aveva attribuito all’assegnazione della casa familiare in comproprietà tra i coniugi il valore di componente del mantenimento, ha precisato che detta decisione “ha smentito alcuni principi da ritenere fermi nella giurisprudenza di legittimità e cioè in primo luogo che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non è prevista dall’art. 156 c.c. (in vigore ratione temporis) in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento ma ha lo scopo di garantire ai figli minorenni o non autosufficienti economicamente la continuità dell’habitat familiare”. La norma in esame prevede invece che dell’assegnazione il Giudice tenga conto in sede di regolazione dei rapporti economici tra genitori considerando l’eventuale titolo di proprietà, il che comporta che nella quantificazione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli verrà valutato il godimento della casa coniugale da parte dell’altro genitore, soprattutto qualora l’immobile sia di proprietà del genitore tenuto al mantenimento3.

È doveroso precisare per completezza che anche il testo dell’art. 155-quater c.c. che prima della riforma di cui al d.lgs. 28.12.13 n. 154 si occupava dell’assegnazione della casa coniugale in ipotesi di separazione personale si ispirava ai medesimi principi dell’attuale art. 337-sexies c.c., norma che appare come la trascrizione dell’articolo abrogato. Dell’assegnazione della casa coniugale in ipotesi di scioglimento del matrimonio si occupava invece l’art. 6 l. 898/70 il quale tuttavia aveva una disciplina parzialmente dissimile poiché precisava che nel procedere all’assegnazione il Giudice doveva valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. La parzialmente difforme previsione legislativa ha creato problemi interpretativi superati dall’introduzione del capo II Titolo IX da parte del d.lgs. 154/13.



3. Diritti dei terzi e provvedimento di assegnazione della casa coniugale



In nome dell’interesse dei figli minori o maggiori non economicamente indipendenti vengono sacrificati anche i diritti di terzi. Si pensi all’ipotesi in cui la casa coniugale sia di proprietà di terzi quali i genitori della coppia genitoriale, che l’hanno concesso in comodato al figlio al momento della costituzione della nuova famiglia o ancora l’ipotesi in cui i terzi creditori dell’uno o dell’altro genitore vorrebbero far valere i loro diritti sulla casa coniugale che potrebbe costituire l’unico bene del debitore. Detti terzi non potranno ottenere la restituzione del bene concesso in comodato ovvero aggredire il bene del debitore ed i loro diritti dovranno necessariamente “retrocedere” di fronte all’interesse dei figli ed al provvedimento di assegnazione della casa coniugale. Le Corti di merito e la Suprema Corte sono state innumerevoli volte chiamate a dirimere il contrasto tra terzi comodanti e creditori e l’assegnatario della casa coniugale e si può affermare che si siano in punto formati principi giurisprudenziali ormai consolidati. Per quanto inerisce il comodato più volte si è precisato che quando un terzo abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento, pronunciato nel giudizio di separazione o divorzio, di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non economicamente indipendenti, non modifica né la natura né il titolo di godimento dell’immobile. Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, idoneo ad escludere uno dei coniugi dall’utilizzazione in atto ed a concentrare il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a tempo indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato stabilito univocamente un termine finale) il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c. co. 2. Si sostiene che in simili casi infatti, per effetto della concorde volontà delle parti, si è impresso al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all’uso – cui la cosa deve essere destinata – il carattere implicito della durata del rapporto anche oltre l’eventuale crisi coniugale e senza la possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo esclusivamente dalla volontà ad nutum del comodante4 . In ragione dei principi sopra enunciati si è all’opposto disposta la restituzione del bene al comodatario del bene immobile di sua proprietà destinato a casa familiare, venuto meno il rapporto coniugale ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione5 . È lo stesso art. 337-sexies c.c.6 a prevedere che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale sia trascrivibile ed opponibile ai terzi creditori. La Giurisprudenza ha precisato che l’opponibilità è nel limite del novennio qualora il provvedimento non sia stato trascritto ed anche oltre detto periodo qualora lo sia stato. Ovviamente varrà la regola della priorità nella trascrizione per cui il provvedimento non sarà opponibile ai creditori che abbiano trascritto il loro titolo in data precedente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione7 . L’opponibilità varrà nei limiti in cui perdura l’efficacia della pronuncia giudiziale, per cui al venir meno del diritto al godimento del bene, il terzo potrà agire con un’azione ordinaria di accertamento al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo8 . È stata invece esclusa l’opponibilità dell’assegnazione ai terzi pur in presenza di provvedimento nato da concorde richiesta delle parti ed ispirata alla volontà di tutelare il coniuge debole, ma in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente indipendenti9 . La Corte di Cassazione trovatasi a decidere in una causa di scioglimento della comunione e divisione dei beni tra due coniugi comproprietari, ha confermato la sentenza del Tribunale di Bolzano prima e della Corte d’Appello di Trento poi che, ritenuta la non comoda divisibilità dell’immobile adibito a casa coniugale, preso atto della mancata richiesta di assegnazione dei beni da parte dei condividenti, rilevava l’inopponibilità nei confronti del futuro acquirente dell’assegnazione della casa coniugale alla moglie ed ordinava la vendita all’incanto del bene immobile. La Suprema Corte ha precisato che ritenere il provvedimento opponibile ai terzi si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario. Opponibilità non significa infine paralizzare il diritto del creditore di procedere in executivis sul bene oggetto di assegnazione pignorandolo e facendolo vendere coattivamente10. Il creditore potrà agire esecutivamente ma in tale ipotesi evidentemente porrà in vendita un bene non “libero”.



4. La revoca dell’assegnazione della casa coniugale



È sempre la norma di cui all’art. 337-sexies c.c. ad elencare le ipotesi in cui il diritto al godimento della casa coniugale viene meno e più precisamente ciò accade qualora l’assegnatario:

- non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare;

- conviva more uxorio;

- contragga nuovo matrimonio.

Ma la chiara elencazione che parrebbe non necessitare di interpretazione, deve essere letta sempre in ragione “dell’interesse” dei figli. E così per quanto inerisce le ipotesi di allontanamento dalla casa familiare le Corti, anche a fronte della cessazione di una sostanziale convivenza nella stessa sono state refrattarie nel revocare l’assegnazione. La Suprema Corte11 ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale di Messina, confermata dalla Corte d’Appello della medesima città, che aveva rigettato la richiesta di modifica delle condizioni di separazione consensuale ed in particolare del provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla moglie, in ragione dell’allontanamento di quest’ultima. Il Tribunale non aveva ritenuto esistente l’abbandono della casa coniugale assegnata nonostante l’assegnataria con la figlia trascorresse tutta la settimana presso la residenza dei genitori sita in altra zona della città, facendo rientro nella casa coniugale solo nel fine settimana, affermando che ciò non snaturava la funzione della stessa. All’opposto è stata pronunciata la revoca dell’assegnazione della casa coniugale in un’ipotesi di lunga permanenza dell’assegnataria con il figlio presso la casa dei genitori ritenendo venute meno le esigenze di continuità ambientale del minore oltre che il suo interesse in ragione del fatto che la stessa madre assegnataria aveva riferito fosse sconsigliabile la sua permanenza nella casa coniugale limitrofa al luogo di residenza del marito12. Ovviamente pur se la norma di cui all’art. 337-sexies prevede il venire meno del diritto al godimento solo l’ipotesi in cui l’assegnatario se ne allontani, il principio vale anche nell’ipotesi in cui il minore o meglio il maggiorenne convivente cessi di risiedere stabilmente presso la casa coniugale13. In tale ipotesi l’assegnatario perderà il relativo diritto. Ma ciò che crea più dubbi circa l’equità del sistema è l’interpretazione che le Corti fanno della norma di cui all’art. 337-sexies nell’ipotesi in cui l’assegnatario instauri nella casa coniugale una nuova convivenza ovvero vi risieda con il nuovo marito. Se la chiara dizione della norma potrebbe far pensare che in simili ipotesi si abbia automaticamente la revoca dell’assegnazione, la Corte Costituzionale14 a cui era stata rimessa dalla Corte d’Appello di Bologna, dai Tribunali di Firenze e Ragusa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 155-quater c.c., allora in vigore, nella parte in cui prevede la revoca automatica dell’assegnazione in ipotesi di convivenza more uxorio o di nuovo matrimonio, ha ritenuto la questione infondata poiché l’interpretazione costituzionalmente orientata della norma deve portare ad affermare che l’assegnazione della casa coniugale non viene meno di diritto al verificarsi degli eventi di cui si tratta (convivenza more uxorio e nuovo matrimonio) ma che la decadenza sia subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore (o maggiorenne convivente). La Corte ed i Tribunali rimettenti da parte Loro, nel sollevare questione di legittimità costituzionale, avevano ritenuto non possibile detta interpretazione a fronte del chiaro tenore letterale della norma ed avevano ritenuto esistente una disparità di trattamento con i figli di genitori separati o divorziati a seconda che il rispettivo genitore con cui convivano intraprenda o meno una relazione more uxorio ovvero contragga nuovo matrimonio, avendo il figlio di genitore separato o divorziato il medesimo interesse al mantenimento dell’habitat familiare, indipendentemente dalle scelte del genitore. Avevano altresì ritenuto la lesione del diritto inviolabile di libera autodeterminazione poiché la norma porrebbe un vincolo ad intraprendere una convivenza ovvero a contrarre matrimonio. Secondo i rimettenti, gli abusi che nella pratica si potrebbero verificare relativamente al mantenimento dell’assegnazione pur dove non ve ne fosse la necessità, avrebbero potuto trovare adeguata soluzione nella previsione di un potere discrezionale del Giudice. Da evidenziare che mentre le ipotesi che avevano originato il dubbio di legittimità della norma da parte della Corte d’Appello di Bologna e di Ragusa inerivano una stabile convivenza more uxorio intrapresa dall’assegnataria nella casa coniugale, nella fattispecie esaminata dal Tribunale di Firenze l’assegnataria aveva contratto nuovo matrimonio e viveva nella casa coniugale assegnatale in sede di scioglimento del matrimonio, con il nuovo marito ed i figli nati dal nuovo matrimonio.



5. Conclusioni



Se certamente l’”interesse dei figli” va salvaguardato, alla luce della pur breve disamina effettuata sorgono dubbi circa l’equità del principio soprattutto in ragione del fatto che detto interesse è presunto dalle Corti ed appare pressoché impossibile fornire prova contraria. A fronte dei casi citati ed in particolare di quelli in tema di revoca dell’assegnazione pare fondato il timore di abusi dell’assegnatario e nella fattispecie esaminata dalla Corte d’Appello di Bologna lecito chiedersi l’interessi di quali figli si sia tutelato, quelli dell’originaria coppia genitoriale o quelli nati dalla nuova unione dell’assegnataria? Sorge quindi spontanea una domanda: siamo veramente certi che l’interesse dei minori, magari adolescenti, sia quello di permanere nella casa coniugale unitamente alla nuova famiglia del genitore assegnatario e siamo certi che in ragione di detto interesse si debba a priori sacrificare il diritto di proprietà dell’altro genitore molto spesso in difficoltà economiche?

NOTE

1 Per casa familiare suscettibile di assegnazione deve intendersi solo quella che abbia costituito il

centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, mentre sulla possibilità di assegnare

solo una porzione dell’immobile adibito a casa coniugale si è espressa da ultimo Cass. Civ., sez. VI,

8.06.16 n. 11783.

2 Cass. Civ., sez. I, 21/01/11 n. 1491 nella motivazione precisa che deve negarsi che il diritto di

godimento dell’abitazione coniugale opponibile anche ai terzi con la trascrizione ed incidente

quindi sul valore dell’immobile possa attribuirsi al coniuge non proprietario, con una sorta di

rilievo ablativo nei confronti del proprietario esclusivo del bene, il cui diritto viene inciso con la

perdita di valore effettivo di detta assegnazione, il che può avvenire solo se la stessa è disposta

nell’interesse dei figli affidati o conviventi con il genitore assegnatario; Cass. Civ., 1.02.17 n. 2620

ha di recente confermato che l’assegnazione della casa coniugale non possa costituire una misura

assistenziale per il coniuge debole di recente.

3 Vedi Cass. Civ., sez. VI, 2.12.15 n. 24473 che ha precisato che all’assegnazione della casa

coniugale deve essere attribuito un valore da tenere in considerazione nella determinazione

dell’assegno di mantenimento.

4 Cass. Civ. 16769/12.

5 Tribunale di Grosseto 1.07.16 n. 523.

6 L’art. 155-quater abrogato dal d.lgs. 154/13 disponeva analogamente per

la trascrivibilità ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione.

7 Cass. Civ., sez. III, 20.04.16 n. 7776 ha quindi precisato che il provvedimento di assegnazione non

ha effetto nei confronti del creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull’immobile in

base ad un atto trascritto anteriormente alla trascrizione del provvedimento di assegnazione, con

la conseguenza

che Egli potrà vendere l’immobile come libero.

8 Cass. Civ., sez. I, 22.07.15 n. 15367.

9 Cass. Civ., sez. II, 25.02.11 n. 4735 trovatasi a decidere sulla richiesta di

scioglimento della comunione sulla casa coniugale proposta dal marito ed a fronte dell’eccezione

della moglie di opponibilità dell’assegnazione della casa coniugale.

10 Cass. Civ. sez. III, 19/07/12 n. 12466.

11 Cass. Civ., sez. I, 9.08.12 n. 14348.

12 Cass. Civ., sez. I, 16.05.13 n. 11981; nello stesso senso Cass. Civ. sez. VI,

14.07.15 n. 14727 che ha pronunciato la revoca in un’ipotesi di pacifico trasferimento della madre

assegnataria.

13 Cass. Civ. sez. I, 22.03.12 n. 4555 ha precisato che deve permeare un collegamento stabile con

l’abitazione del genitore, benché la coabitazione possa non essere quotidiana, essendo

compatibile l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché

Egli facci ritorno regolarmente appena possibile, criterio che deve coniugarsi con la prevalenza

temporale dell’effettiva presenza in relazione ad un determinato periodo di tempo.

14 Corte Costituzionale, 30.07.2008, n. 308.