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I trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale

autore: V. Cianciolo

Sommario: 1. Introduzione. - 2. Gli accordi dei coniugi in sede di separazione: contenuto e limiti. In particolare, i c.d. accordi omologati e gli accordi a latere (o non omologati): il problema della loro validità. - 3. Il trasferimento immobiliare come contenuto eventuale degli accordi di separazione coniugale: inquadramento dogmatico e disciplina applicabile. - 4. I trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione consensuale (o divorzio congiunto). - 5. Il trattamento fiscale degli accordi di separazione. - 6. Le prassi di alcuni Tribunali sui trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale. - 7. Aspetti Redazionali. - 8. Gli accordi di separazione e divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4478/2016. - 9. Negoziazione assistita e separazione: cessione di immobile senza notaio.



1. Introduzione



L’argomento coniuga due aspetti di un problema di particolare complessità e rilevanza, ossia l’autonomia coniugale e la crisi della famiglia e certamente, l’autonomia coniugale rievoca il dibattito sul potere di autoregolamentazione dei rapporti di una convivenza fondata su una comunione di vita che il legislatore qualifica come comunione spirituale e materiale tra i coniugi. Prima dell’avvento della Costituzione repubblicana, nel periodo che va dal codice civile del 1865 a quello del 1942, la famiglia era fondata sull’indissolubilità del matrimonio, rigidamente organizzata sotto la patria potestà e la potestà maritale. Tale potestà era, appunto, riconosciuta all’uomo, in quanto padre e marito, sotto l’ala protettiva del quale venivano ricondotte le individualità che componevano la famiglia, che per questa via venivano totalmente spersonalizzate. La famiglia rifletteva l’organizzazione statuale e la relativa visione autoritaria dello Stato, il cui governo era attribuito esclusivamente al capo famiglia, sulla scia dell’affermazione dell’ideologia fascista. Questa impostazione non trovava alcuna contraddizione nel riconoscimento dell’autonomia privata nel diritto di famiglia: infatti, gli stessi fautori di tale riconoscimento precisavano che la famiglia, così come qualsiasi altro organismo, per la sua particolare struttura, non vive senza un capo: e questo capo era l’uomo, a cui era attribuito un potere paragonabile all’esercizio di una sovranità1 . Nell’ormai lontano anno 1949 l’insigne giurista Arturo Carlo Jemolo, in apertura del Seminario Giuridico dell’Università di Catania, affermava che “quando pronunciamo il nome “famiglia”, non è al campo del diritto che ricorre anzitutto il pensiero”. Se questa affermazione può dirsi ancora oggi fondata, ve ne è certamente un’altra, pronunciata dall’illustre Autore nella stessa occasione, che sgomenta per l’attualità del contenuto. “Ora questo dato che la parola ci desti piuttosto immagini che concetti, c’inviti piuttosto a ricordare od a sognare, che non a costruire principi, parli più al cuore che non alla ragione, si spiega certo con ciò, che il lato affettivo è quello che più conta nella vita; e forse anche con un dato proprio alle generazioni come la nostra, senza salde radici, senza sicurezza, che avvertono di posare su un suolo traballante e proprio per questo distolgono volentieri lo sguardo da costruzioni giuridiche, politiche, economiche, che tutte hanno fragili basi”2 . I rapporti familiari oggi trovano il fondamento della propria rilevanza giuridica nell’art. 2 Cost., a proposito delle formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’uomo, e non soltanto nell’art. 29 Cost., che considera in modo specifico le relazioni familiari fortemente legittimate dal matrimonio e la dimensione pubblicistica del diritto di famiglia, attuata un tempo dal legislatore con la struttura gerarchica data ai rapporti coniugali e con la rilevanza attribuita al valore dell’unità familiare, è ora del tutto venuta meno. Quella attuale può, senza tema di smentita, essere considerata come epoca della famiglia “proteiforme”, tradizionale e fondata sul matrimonio, monogenitoriale, di fatto, omogenitoriale, in crisi od in fase di destrutturazione. Dalla Relazione ISTAT pubblicata nel novembre 2015 si evidenzia che nel 2014 sono stati celebrati in Italia 189.765 matrimoni, circa 4.300 in meno rispetto all’anno precedente. In media ci si separa dopo 16 anni di matrimonio, ma i matrimoni più recenti durano sempre meno. Le unioni interrotte da una separazione dopo 10 anni di matrimonio sono quasi raddoppiate, passando dal 4,5% dei matrimoni celebrati nel 1985 all’11% per le nozze del 2005. L’età media alla separazione è di 47 anni per i mariti e 44 per le mogli. La propensione al primo matrimonio per le età più giovani è in calo anche per effetto del rinvio delle prime nozze ad età più mature. Attualmente gli sposi al primo matrimonio hanno in media 34 anni e le spose 31 (entrambi un anno in più rispetto al 2008). Nel 1995 solo in Valle d’Aosta si registravano più di 300 separazioni per 1.000 matrimoni, mentre nel 2014 si collocano al di sopra di questa soglia quasi tutte le regioni del Centro-nord (con l’eccezione di Veneto, Trentino-Alto Adige e Marche). Gli incrementi più consistenti, però, si osservano nel Mezzogiorno, dove i valori sono più che raddoppiati (ad esempio, si è passati da 70,1 a 254,0 separazioni per 1.000 matrimoni in Campania e da 95,3 a 309,4 in Sardegna). La tipologia di procedimento prevalentemente scelta dai coniugi è quella consensuale: nel 2014 si sono chiuse con questa modalità l’84,2% delle separazioni e il 75,9% dei divorzi. Ma la litigiosità tra le coppie che decidono di porre fine alla loro unione matrimoniale si differenzia abbastanza sul territorio. Se al Centro e al Nord poco più di 1 separazione su 10 si chiude con rito giudiziale (13% circa), questa proporzione sale a 1 su 5 per le separazioni nelle Isole (il 21,4%) e addirittura a quasi 1 su 3 per i divorzi in tutto il Mezzogiorno (31,9%). Nel 2014 68.089 separazioni (76,2% del totale) e 34.241 divorzi (65,4% del totale) hanno riguardato coppie con figli. I figli coinvolti sono stati 119.763 nelle separazioni e 55.220 nei divorzi. Sostanzialmente nulla, invece, è accaduto sul versante della disciplina dei rapporti patrimoniali, interessati soltanto da provvedimenti relativi agli obblighi di solidarietà economica nell’ambito della coppia coniugata, durante il matrimonio e soprattutto nella crisi. Su questo versante, semmai, è la prassi ad aver dato indicazioni perentorie3 . La dimensione privatistica che ora caratterizza il diritto di famiglia ha trovato importanti riflessi non solo sul piano degli accordi economici, ma anche sul terreno della gestione giudiziale dei conflitti consentendo ai coniugi di evitare le vie della giurisdizione affidando, quasi interamente, a strumenti negoziali la separazione personale e lo scioglimento del loro matrimonio, istituti questi finora rientranti nell’esclusivo ambito della c.d. giurisdizione costitutiva necessaria. Infatti, separazione e divorzio potevano trovare ingresso solo con la verifica giudiziale dei loro presupposti. Al fine, solo esemplificativo, d’indicare i campi d’incidenza dell’autonomia privata nell’area degli interessi familiari, sembra opportuno articolare un catalogo dalla casistica che a mano a mano si è formata sul tema relativo:

1. agli accordi tra i coniugi in ordine all’adempimento degli obblighi di contribuzione, ai sensi dell’art. 143 c.c.4 ;

2. all’accordo dei coniugi di vivere separati5 ;

3. agli accordi conclusi tra i coniugi al momento della separazione e del divorzio, aventi ad oggetto la determinazione e l’adempimento delle pretese patrimoniali6 ;

4. agli accordi inerenti al mantenimento e all’educazione dei figli ovvero a quelli volti a predeterminare le modalità di esercizio della potestà nel caso in cui il genitore affidatario ricostituisca una nuova famiglia7 .



2. Gli accordi dei coniugi in sede di separazione: contenuto e limiti. In particolare, i c.d. accordi omologati e gli accordi a latere (o non omologati): il problema della loro validità



Il terreno sul quale è facile verificare il ruolo determinante dell’autonomia privata di ciascuna componente il nucleo familiare, e ancor di più, di ciascun coniuge, è quello delle pattuizioni concluse in sede di crisi familiari, con carattere di mediazione personale e patrimoniale sulla crisi medesima, oppure quello degli accordi stipulati in vista di una futura eventuale separazione personale, o dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Pattuizioni ed accordi ricostruiti in termini di “contratti della crisi coniugale” da parte della dottrina che ha percorso un approfondito itinerario esplorativo in questa materia. Interessanti al riguardo le vicende che hanno coinvolto il diritto di assegnazione convenzionale della casa familiare e sul relativo regime di opponibilità alla luce della lettura interpretativa della nota Corte Costituzionale 27 luglio 1989 n. 454. Gli accordi dei coniugi in sede di separazione e divorzio hanno assunto un diverso e rinnovato valore a seguito, dapprima della legge sul divorzio n. 898 del 1970 (specie dopo le modifiche apportate dalla l. n. 74/1987) e in seguito della legge di riforma del diritto di famiglia. Il nuovo concetto di famiglia nucleare c.d. privatizzata, ancorata ai principi di parità e solidarietà tra coniugi (artt. 2, 3, 29 Cost.), ha valorizzato la volontà dei coniugi che sovente si esprime mediante l’accordo, sia nella fase fisiologica del rapporto, che si concreta nella scelta dell’indirizzo di vita familiare (art. 144 c.c.) e dell’amministrazione straordinaria dei beni della comunione (art. 180 c.c.); sia nella fase patologica di crisi coniugale, dove si manifesta con la domanda di separazione consensuale e di divorzio congiunto, tipiche espressioni della possibilità per i coniugi di regolamentare la crisi coniugale tanto in sede di separazione che di divorzio. In particolare, nell’ambito degli accordi di separazione grande importanza è attribuita alla separazione consensuale, riformata dalla legge n. 151/1975, in quanto rappresenta la massima espressione del concetto di negoziabilità-autonomia dei rapporti coniugali, in ossequio al menzionato obiettivo di riconoscere alla famiglia una vocazione “privatistica”, enucleabile anche dal dato letterale dell’art. 158, co. 1, c.c. e dell’art. 711, comma 4, c.p.c., nonché, dell’art. 158, co. 2, c.c. Posto il principio dell’autonomia dei coniugi è indispensabile enucleare i limiti invalicabili che il legislatore ha previsto in tale ambito. Si tratta, così come disciplinato dall’art. 160 c.c.:

– dell’indisponibilità degli status familiari e dell’inderogabilità dei diritti a questi connessi (solo il giudice, in sede di omologazione, è legittimato da un lato a riconoscere lo status di separato e, dall’altro, a pronunciare la sentenza di divorzio, costitutiva dello scioglimento del vincolo negoziale);

– della salvaguardia dell’interesse della prole, unico sostanziale limite, ex art. 711 c.p.c., entro il quale è consentito un penetrante sindacato del giudice, in sede di omologazione della separazione consensuale, rispetto alle scelte effettuate dai coniugi.

Prima di addentrarci nella materia relativa ai trasferimenti immobiliari in sede di separazione e divorzio è opportuno sot tolineare la differenza strutturale tra il procedimento di separazione consensuale ed il procedimento di divorzio congiunto. Il primo si chiude con un accordo di tipo processuale, soggetto alla condicio iuris di efficacia del provvedimento di omologa del Tribunale, il secondo con una sentenza. È pure vero che il ricorso congiunto introduttivo di entrambi i procedimenti e sottoscritto dai coniugi, integra di per sé un contratto con forma scritta astrattamente idoneo a produrre immediati effetti traslativi tra le parti ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c., pur non essendo titolo per la trascrizione, visto che, come stabilisce l’art. 2657 c.c., la trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente. Il problema dei trasferimenti immobiliari nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio assume, quindi, un’importanza pratica particolare ove si ritenga che:

- in sede di separazione il trasferimento immobiliare programmato e confluito nell’accordo processuale assuma, con il verbale di udienza, la forma di atto pubblico o di scrittura privata con sottoscrizione autenticata, suscettibile di trascrizione;

– in sede di divorzio la sentenza che recepisce il programmato trasferimento immobiliare sia suscettibile di trascrizione. Quanto al primo profilo, si ricorda che il verbale di udienza, sottoscritto dal cancelliere, è un atto pubblico idoneo ai fini della trascrizione nei pubblici registri immobiliari, necessaria ai sensi degli artt. 2643 e ss. del codice civile. È questa una conclusione, condivisa dalla giurisprudenza di legittimità8 , ma che tuttavia, non convince in base ad una interpretazione sistematica e non meramente letterale dell’art. 2657 c.c., in virtù della quale l’atto pubblico richiamato dall’art. 2657 c.c. è lo stesso atto pubblico di cui al successivo art. 2699 c.c. ossia il documento redatto da notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò specificamente autorizzato (c.d. atto pubblico negoziale), ma non quello ricevuto dal Cancelliere, il quale non ha la potestà rogante, posto che svolge compiti di natura completamente diversa da quelli dei Pubblici Ufficiali roganti. Quanto al secondo problema, si sottolinea che la domanda di divorzio congiunto non ricade nella elencazione tassativa di domande giudiziali suscettibili di trascrizione ex artt. 2652 e 2653 c.c. Il contenuto specifico degli accordi di separazione è composto:

– di un contenuto essenziale, c.d. convenzioni di diritto di famiglia, relative prevalentemente alla cessazione del dovere di convivenza e alla regolamentazione degli altri obblighi previsti dall’art. 143 c.c. (mantenimento del coniuge, sussistendone i presupposti; affidamento, educazione e mantenimento della prole; per alcuni, anche l’assegna zione della casa familiare), che si discostano dai principi tipici dei rapporti contrattuali, in quanto l’autonomia dei coniugi è in certa misura limitata in virtù del superiore interesse della famiglia e della prole;

– di un contenuto eventuale, attinente ad intese che esulano dagli elementi essenziali della separazione consensuale, in quanto sono semplicemente occasionate dalla crisi coniugale, e se hanno un contenuto prettamente patrimoniale, rientrano nei contratti atipici (c.d. contratti di separazione o della crisi) a cui si applica la relativa disciplina (art. 1322 c.c., in primis). Tali accordi eventuali, occasionati dalla separazione, possono essere anteriori, coevi o successivi all’omologazione, nonché possono essere omologati dal tribunale o rimanere a latere. L’omologazione degli accordi di separazione da parte del giudice è sostanzialmente dovuta quando si tratta di intese finalizzate a regolare aspetti integrativi ed accessori della separazione consensuale, poiché il principio ispiratore consiste nel rispetto dell’autonomia negoziale, naturalmente entro i limiti di inderogabilità dell’art. 160 c.c., che limita il controllo giudiziale ad un mero controllo di legittimità (sub specie di non illiceità), ovviamente salvo per il prevalente interesse della prole. La diversa ipotesi degli accordi a latere, non cristallizzati nel verbale sottoposto all’omologazione del tribunale, ha destato problemi esegetici circa la loro validità o meno, anche in virtù del contenuto, spesso eterogeneo, di tali intese non omologate.

Gli accordi non omologati possono infatti, tendere a:

– modificare le intese omologate relative ad una separazione consensuale ovvero i provvedimenti emessi dal giudice, all’interno di una separazione giudiziale, ovvero,

– possono essere diretti a delineare le condizioni di una separazione legale oppure

– possono essere finalizzati ad integrare le condizioni di una separazione legale consensuale. Un ulteriore discrimine fra le diverse tipologie di accordi c.d. a latere, può essere rinvenuto nel momento della loro redazione rispetto al provvedimento giudiziale di omologazione della separazione. Esemplificando, si può trattare di:

– intese precedenti in cui le parti stabiliscono le linee di principio su cui verterà la futura separazione, risolvendo anticipatamente alcune delle questioni che naturalmente emergeranno in sede di separazione, come quelle relative alle proprietà comuni, ai necessari trasferimenti immobiliari, ecc.;

– coeve, in genere relative all’ammontare dell’assegno di mantenimento, o finalizzate a risolvere questioni di natura fiscale che i coniugi ritengono opportuno non pubblicizzare;

– successive, principalmente incentrate su accordi di dettaglio non contenuti nel verbale di omologazione, ovvero relative a problemi emersi solo in fase di esecuzione degli accordi di separazione. Riguardo alla validità di tali intese, è necessario ripercorrere brevemente le diverse soluzioni offerte negli anni dalla giurisprudenza che è passata dal non riconoscere validità a tali accordi, all’affermazione della loro piena efficacia, enucleando, però, le necessarie differenziazioni. L’iter giurisprudenziale in materia è in linea con l’evoluzione del concetto stesso di famiglia e, di conseguenza, del rapporto coniugale che la fonda che si è distaccato dalla forte propensione pubblicistica per valorizzare la prospettiva privatistica insita nella sua stessa essenza. Nella prima fase (anni ’80) si assiste all’emersione della tesi restrittiva, di matrice pubblicistica, tendente a negare validità tanto agli accordi antecedenti non trasfusi nel verbale di omologazione della separazione consensuale quanto agli accordi successivi allo stesso e modificativi delle condizioni in esso fissate, in quanto l’efficacia giuridica di tali intese doveva necessariamente presupporre la loro cristallizzazione nel provvedimento di omologazione del Tribunale9 . La fase successiva, al contrario, è caratterizzata dall’abbandono della concezione pubblicistica che viene sostituita da quella c.d. privatistica10. In particolare, i patti successivi all’omologazione, trovando fondamento nell’art. 1322 c.c., devono essere ritenuti validi ed efficaci “in quanto meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico”, indipendentemente dal procedimento di omologazione disciplinato dagli artt. 710 e 711 c.p.c., salvo gli invalicabili limiti contenuti nell’art. 160 c.c.; le pattuizioni antecedenti o coeve alla separazione consensuale omologata, e non trasfuse nel relativo verbale, al contrario, sono validi ed efficaci solo se non “non interferiscono” con quanto stabilito nell’accordo omologato, sempre previa verifica di rispondenza all’interesse tutelato, nel rispetto dei principi espressi nell’art. 158 c.c.11.



3. Il trasferimento immobiliare come contenuto eventuale degli accordi di separazione coniugale: inquadramento dogmatico e disciplina applicabile



I trasferimenti dei beni che i coniugi pongono in essere in sede di separazione personale, laddove rappresentino lo strumento per definire un nuovo assetto economico-patrimoniale della famiglia, costituiscono fattispecie negoziali che rinvengono la loro causa nella stessa separazione; tali atti, dotati pertanto di un profilo causale autonomo, non vanno confusi con quei trasferimenti che, seppur concomitanti alla separazione personale, non traggono da essa il loro profilo funzionale, rimanendo al contrario, fattispecie negoziali caratterizzate da causa tipica (compravendita, permuta, donazione, ecc.). Posta la natura negoziale dell’accordo di separazione consensuale omologata, gli interpreti tendono a qualificarlo come un negozio giuridico bilaterale a carattere non contrattuale, nel cui nucleo primario o necessario non si rinviene il carattere della “patrimonialità”, diversamente rispetto al contenuto eventuale in cui il dato patrimoniale riveste una grande importanza pratica. In particolare, i coniugi possono optare per il trasferimento di beni immobili in adempimento all’obbligo di mantenimento e in luogo della prestazione periodica12 ovvero con particolare riguardo ai riflessi fiscali13; ovvero costi tuire diritti reali minori, tra cui, il diritto di abitazione14. Se non sorgono dubbi sulla validità ed efficacia dei suddetti accordi patrimoniali facenti parte del contenuto c.d. eventuale dell’accordo di separazione, i maggiori problemi sono emersi nel tentativo di delineare la natura giuridica di tali fattispecie traslative. La tesi dell’atipicità della causa e, dunque, del contratto, prevalente in giurisprudenza fino al 2004, valorizza la natura negoziale, con forte caratterizzazione di atipicità di dette clausole a contenuto patrimoniale, qualificandole come espressioni di autonomia contrattuale delle parti interessate15, che producono veri e propri contratti atipici, perfettamente leciti in quanto diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c.16. Le peculiari finalità di tali intese patrimoniali non possono essere ricondotte né all’interno del paradigma delle convenzioni matrimoniali (essendo a contenuto patrimoniale), né di quello della donazione (essendo evidente l’animus solvendi e non donandi), ma sono di volta in volta piegate alle esigenze dei coniugi al fine di comporre al meglio i reciproci interessi che emergono nella gestione della crisi del rapporto coniugale17. La tesi della tipicità della causa, invece, trae fondamento dalla pretesa unitarietà della causa, come elemento unificante delle diverse fattispecie negoziali inerenti gli accordi di separazione volti a “definire gli aspetti patrimoniali della crisi coniugale”18. In altre parole, la finalità di sistemazione dei rapporti patrimoniali, restando ontologicamente distinta dai principi insiti negli atti di liberalità a carattere donativo, nonché dai negozi traslativi di diritti reali, è caratterizzata da una sua “tipicità” propria che, di volta in volta, può arricchirsi di elementi di obiettiva onerosità, ovvero di gratuità, in base alla specifica finalità avuta di mira dai coniugi.



4. I trasferimenti immobiliari tra coniugi in sede di separazione consensuale (o divorzio congiunto)



Ricca e variopinta la casistica delle intese raggiungibili dai coniugi in crisi legate ai trasferimenti immobiliari. Il consolidato orientamento della giurisprudenza, di legittimità e di merito19, ha affermato che i coniugi possano includere nell’accordo di separazione o di divorzio, pattuizioni relative a rapporti patrimoniali che non hanno più interesse a mantenere invariati e che esulano dal suo contenuto tipico (status, assegnazione casa familiare, affidamento dei figli e regime di permanenza presso ognuno dei genitori, contributo al loro mantenimento, assegno di mantenimento o divorzile per il coniuge economicamente più debole) attesa l’autonomia negoziale degli stessi coniugi che consente loro di dare un diverso assetto alle rispettive consistenze patrimoniali a seguito del mutato status purché non in contrasto con l’esigenza di protezione dei minori o comunque, dei soggetti più deboli20. In tale contesto, non sembra più potersi ragionevolmente negare – quale che sia la forma che i negozi concretamente vengano ad assumere – che detti negozi siano da intendersi quali “atti relativi al procedimento di separazione o divorzio”, che, come tali, possono usufruire della esenzione di cui all’art. 19, l. n. 74 del 1987 nel testo conseguente alla pronuncia n. 154 del 1999 della Corte costituzionale, salvo l’Amministrazione contesti e provi, secondo l’onere probatorio a suo carico, la finalità elusiva degli atti medesimi21. Pertanto, la giurisprudenza non considera invalidi per illiceità della causa, non solo quei trasferimenti di immobili, o di beni mobili o somme di denaro, con funzione di mantenimento del destinatario, ma altresì, quelli costituenti riconoscimenti o risarcimenti di situazioni pregresse, anche di portata divisoria, tanto più che a seguito dell’entrata in vigore della legge sul divorzio breve, lo scioglimento della comunione legale dei beni, retroagisce al momento della comparizione dei coniugi dinanzi al Presidente nel procedimento di separazione che li autorizzi a vivere separati, atteso che i suddetti trasferimenti sono funzionali “alla complessiva sistemazione solutorio compensativa di tutta la serie dei possibili rapporti aventi significati patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale”22.

La giurisprudenza di legittimità si è espressa in favore della tesi che nega la natura di atti di liberalità a questi trasferimenti sia perché, in astratto, la mancanza di corrispettivo non costituisce necessariamente indice di liberalità, sia perché, in concreto, è stato espressamente affermato, o che la loro causa è costituita dall’assetto dato dai coniugi ai mutati rapporti familiari con conseguente esclusione della riconducibilità alla causa tipica della donazione23 o che trattasi di negozio atipico con propri presupposti e proprie finalità24. Naturalmente potrebbero verificarsi ipotesi in cui la separazione costituisce solo lo strumento fittizio per operare trasferimenti mobiliari o immobiliari aggirando il pagamento delle imposte ovvero l’intenzione sia esclusivamente quella di mettere in salvo, i beni nella titolarità di un coniuge, da aggressioni dei creditori usufruendo delle agevolazioni fiscali. Sul punto, la Cassazione ha affermato che la separazione ancorché omologata non ne preclude l’impugnabilità tramite azione revocatoria, sia ordinaria che fallimentare, qualora si voglia evitare pregiudizio ai creditori del coniuge disponente25. Soggetti alla stessa disciplina dei trasferimenti immobiliari tra coniugi, ci sono gli atti che hanno quali destinatari degli effetti i figli. Il trasferimento in favore del figlio non è un negozio tra il genitore ed il figlio ma è pur sempre un negozio tra il marito e la moglie nel quale si utilizza lo schema del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.) per cui non deve esserci accettazione da parte del figlio (un genitore si obbliga nei confronti dell’altro a cedere il bene al figlio). Finora la giurisprudenza ha esaminato la sola ipotesi di trasferimento del bene immobile al figlio a scopo di mantenimento, ma proprio in ragione della funzione compositiva del mutato assetto familiare che informa i trasferimenti contenuti negli accordi di separazione o di divorzio non si può aprioristicamente escludere la legittimità di un trasferimento in favore di un figlio autonomo economicamente, la cui funzione potrebbe essere dettata ad esempio dall’esigenza di sottrarre il bene al patrimonio del cedente per finalità prettamente successorie al fine di evitare che subentrino nuovi eredi concorrenti al futuro asse ereditario26.



5. Il trattamento fiscale degli accordi di separazione



Gli accordi posti in essere dai coniugi in occasione della crisi matrimoniale sono assoggettati ad un particolare regime fiscale finalizzato ad agevolarne la tutela giurisdizionale e comporre le situazioni di contrasto anche nell’interesse della prole. L’intento perseguito dal legislatore, infatti, è quello di evitare che l’imposizione fiscale possa gravare pesantemente sui coniugi rendendo ancora più difficile il superamento della situazione di crisi familiare in cui si trovano. La disciplina che regola il trattamento fiscale dei trasferimenti immobiliari contenuti nei provvedimenti di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di separazione personale si presenta problematica perché, sia la legislazione fiscale che l’interpretazione dell’Amministrazione finanziaria, sono rimaste insensibili alle evoluzioni sostanziali che hanno caratterizzato i procedimenti destinati a risolvere la crisi matrimoniale. Nel ripercorrere le varie tappe dell’evoluzione, la prima disposizione da considerare è l’art. 8, lett. e) della tariffa, parte prima, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, che prevedeva l’imposizione fiscale in misura fissa per gli atti dell’autorità giudiziaria ordinaria o speciale in materia di controversia civile che definivano, anche parzialmente, il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi e i provvedimenti di aggiudicazione e di assegnazione non portanti condanna né accertamento di diritti a contenuto patrimoniale. Data l’incerta formulazione letterale della norma si poneva il dubbio circa la possibilità di estenderla anche alle sentenza di divorzio o separazione personale contenenti attribuzioni patrimoniali, considerato l’atteggiamento restrittivo dell’Amministrazione finanziaria che assoggettava tale tipologia di atti alla normale imposta di registro. In un primo momento è intervenuto il legislatore con un’interpretazione autentica contenuta nell’unico articolo della l. 10 maggio 1976, n. 260, a norma del quale le sentenze di divorzio o separazione personale vengono assoggettate all’imposizione fiscale in misura fissa, anche qualora dovessero contenere condanne al pagamento di somme di denaro o attribuzioni patrimoniali. Il criterio dell’imposizione fiscale in misura fissa ha trovato conferma nell’art. 8, lett. f), tariffa allegata, parte I, di cui al testo unico dell’imposta di registro (t.u. 26 aprile 1986, n. 131) che ha previsto tale regime per gli atti aventi ad oggetto lo scioglimento, la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, anche se recanti condanne al pagamento di assegni o attribuzioni di beni patrimoniali, già facenti parte di comunione fra i coniugi27. Il sistema impositivo così come delineato è stato applicato fino all’entrata in vigore dell’art. 19 della l. n. 74 del 1987 che ha introdotto, limitatamente al procedimento di divorzio, l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da qualsiasi altra forma di tassazione relativa ai provvedimenti di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili, nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della l. 1 dicembre 1970, n. 898. L’attuale orientamento dell’Amministrazione finanziaria, sollecitata dalle numerose sentenze di legittimità intervenute sull’argomento, è favorevole all’applicazione del trattamento fiscale agevolato di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987 il quale, come noto, prevede che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio… sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”, anche ai trasferimenti in favore dei figli. Un passo avanti per l’uniformità di applicazione dell’esenzione si è avuto con la sentenza n. 202 del 200328, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, lett. b), della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui essa non esentava dall’imposta i provvedimenti emessi in applicazione dell’art. 148 c.c. nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli29. Tuttavia, come dimostrano i diversi interventi sia della giurisprudenza che dell’Amministrazione finanziaria successivi alla citata pronuncia, le incertezze in materia non sono state definitivamente eliminate. Ne è testimonianza anche l’intervento dell’A.E. con la circolare n. 27/E del 21 giugno 2012 che qui di seguito si riporta:



2. Accordi di separazione e divorzio 2.1. Disposizioni patrimoniali in favore dei figli effettuate in adempimento di accordi di separazione e divorzio D: Si chiede di conoscere se per gli atti di trasferimento in favore dei figli effettuati nell’ambito dei procedimenti di separazione e divorzio possa trovare applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. n. 74 del 1987. Tale disposizione prevede l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro ed ogni altra tassa, tra l’altro, per “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. Il quesito proposto riguarda, in particolare, il trattamento da riservare all’atto con il quale, nell’ambito di un accordo di separazione consensuale, un genitore, in qualità di proprietario della casa coniugale, dispone il trasferimento della nuda proprietà dell’immobile in favore dei figli.



R: L’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74 dispone che “tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli artt. 5 e 6 della l. 1 dicembre 1970, n. 898, sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa”. Come precisato dalla Corte costituzionale con sentenza 11 giugno 2003, n. 202, l’esigenza di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale, che giustifica il beneficio fiscale con riferimento agli atti del giudizio divorzile, è altresì presente nel giudizio di separazione, in quanto finalizzato ad agevolare e promuovere, in breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano sul coniuge non affidatario della prole. Dal punto di vista oggettivo, le agevolazioni di cui al citato art. 19 si riferiscono a tutti gli atti, documenti e provvedimenti che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare i rapporti giuridici ed economici “relativi” al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso. L’esenzione recata dal citato art. 19 della l. n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile ad accordi di natura patrimoniale non soltanto direttamente riferibili ai coniugi (quali gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge – cfr. Cass., 17 febbraio 2001, n. 2347) ma anche ad accordi aventi ad oggetto disposizioni negoziali in favore dei figli. Al riguardo, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 11458 del 2005, ha precisato che “la norma speciale contenuta nell’art. 19 l. 6 marzo 1987, n. 74 […] dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione “dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa” di “tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti del matrimonio” si estende “a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di separazione personale dei coniugi”, in modo da garantire l’adempimento delle obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi economici (Corte costituzionale, 25 febbraio 1999, n. 41), anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli (in questo senso già si era pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 15 aprile 1992, n. 176, ma ancor più chiaramente e decisamente il principio è enunciato dalla sentenza della Corte costituzionale, 11 giugno 2003, n. 202)”. La richiamata interpretazione giurisprudenziale si fonda sulla considerazione che gli accordi a favore dei figli, stipulati dai coniugi nella gestione della crisi matrimoniale, oltre a garantire la tutela obbligatoria nei confronti della prole, costituiscono, talvolta, l’unica soluzione per dirimere controversie di carattere patrimoniale. Pertanto, l’esenzione fiscale prevista dall’art. 19 della l. n. 74 del 1987 deve ritenersi applicabile anche alle disposizioni patrimoniali in favore dei figli disposte in accordi di separazione e di divorzio a condizione che il testo dell’accordo omologato dal tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda esplicitamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, contenuto nello stesso, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale.



2.2. Trasferimento, nell’ambito degli accordi di separazione o divorzio, dell’immobile acquistato fruendo delle agevolazioni “prima casa” anteriormente al decorso del quinquennio



D: Si chiede di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione “prima casa”, fruita in sede di acquisto dell’immobile, nel caso di trasferimento della casa coniugale, effettuato in adempimento di accordi di separazione e divorzio, da parte di uno o di entrambi i coniugi. In particolare, viene chiesto di conoscere se si verifica la decadenza dall’agevolazione nel caso in cui, nell’ambito dell’accordo omologato dal tribunale, venga previsto che: a) uno dei coniugi trasferisca all’altro, prima del decorso del termine di cinque anni dall’acquisto, la propria quota del 50% della casa coniugale, acquistata con i benefici “prima casa”; b) in alternativa che entrambi i coniugi vendano a terzi la propria casa coniugale, prima del decorso di cinque anni dall’acquisto, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro all’incasso del ricavato della vendita.



R: La nota II-bis) all’art. 1 tariffa, parte prima, allegata al TUR dispone, al 4o comma, la decadenza dalle agevolazioni prima casa qualora si proceda al “trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici… prima… del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto”. Al verificarsi della decadenza, l’Agenzia delle entrate provvede al recupero della “differenza fra l’imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata”, nonché all’irrogazione della sanzione amministrativa pari al 30% e degli interessi di mora. In caso di vendita dell’immobile nel quinquennio, la decadenza dall’agevolazione può essere evitata, in base a quanto previsto dal la citata nota II-bis), 4o comma, dell’art. 1, della tariffa, parte prima, allegata al TUR, qualora, entro un anno dall’alienazione, si proceda all’acquisto di un nuovo immobile da adibire ad abitazione principale. In linea generale, pertanto, qualora si trasferisca l’immobile acquistato con le agevolazioni “prima casa” e non si proceda all’acquisto entro l’anno di un nuovo immobile, da destinare ad abitazione principale, si verifica la decadenza dall’agevolazione fruita. Con riferimento al quesito proposto, appare utile rilevare, tuttavia, che l’atto di trasferimento della quota del 50% della casa coniugale, da parte di uno dei due coniugi all’altro, è effettuato in adempimento di un accordo di separazione o divorzio. In relazione a tale trasferimento trova, quindi, applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74, secondo cui sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. La giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. sentenza n. 7493 del 22 maggio 2002 che richiama la sentenza n. 2347 del 2001) è ferma nello statuire che le agevolazioni in questione “operano con riferimento a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice, i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”. Come affermato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 202 dell’11 giugno 2003), il regime di esenzione disposto dall’art. 19 risponde all’esigenza “di agevolare l’accesso alla tutela giurisdizionale che motiva e giustifica il beneficio fiscale con riguardo agli atti del giudizio divorzile” e “di separazione, anche in considerazione dell’esigenza di agevolare e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio sul coniuge non affidatario della prole”. Di fatto, a parere della Corte, con la richiamata disposizione, il legislatore ha inteso escludere da imposizione gli atti del giudizio divorzile (o di separazione), al fine di favorire una rapida definizione dei rapporti patrimoniali tra le parti. In considerazione di tale principio, si ritiene, pertanto, che tale regime di favore possa trovare applicazione anche al fine di escludere il verificarsi della decadenza dalle agevolazioni “prima casa” fruite in sede di acquisto, qualora in adempimento di un obbligo assunto in sede di separazione o divorzio, uno dei coniugi ceda la propria quota dell’immobile all’altro, prima del decorso del termine quinquennale. Il trasferimento al coniuge concretizza, infatti, un atto relativo “al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”. Si precisa che la decadenza dall’agevolazione è esclusa a prescindere dalla circostanza che il coniuge cedente provveda o meno all’acquisto di un nuovo immobile. Tale interpretazione trova conferma in diverse sentenze delle Commissioni Tributarie. Si ricorda, in particolare la sentenza del 2 febbraio 2011, n. 8, con la quale la Commissione Tributaria Centrale di Vicenza - sez. V ha ritenuto non applicabile il regime di decadenza previsto dalla citata nota II-bis, 4o comma, nel caso di trasferimento dell’immobile all’altro coniuge “al fine di dare esecuzione agli accordi presi in sede di separazione consensuale tra i coniugi”. La commissione chiarisce che tale cessione “costituisce atto emanato in stretta esecuzione del decreto giudiziale di omologazione della separazione tra i coniugi, e le caratteristiche assolutamente peculiari del negozio de quo, che non ubbidisce a un animus donandi ma alla volontà di definire i rapporti patrimoniali in seguito alla risoluzione del rapporto matrimoniale, sotto l’egida del Tribunale, giustifica la non riconducibilità della fattispecie nell’alveo della disposizione di cui al citato n. 4”. A parere della scrivente, la decadenza dall’agevolazione “prima casa” può essere esclusa anche nel diverso caso in cui l’accordo omologato dal tribunale preveda che entrambi i coniugi alienino a terzi la proprietà dell’immobile, con rinuncia da parte di uno dei coniugi a favore dell’altro, all’incasso del ricavato della vendita; in tal caso, tuttavia, la decadenza può essere esclusa solo nel caso in cui il coniuge – al quale viene assegnato l’intero corrispettivo derivante dalla vendita – riacquisti, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale. Infatti, ancorché in relazione all’atto di trasferimento dell’immobile a terzi non trovi applicazione il regime di esenzione previsto dall’art. 19 della l. 6 marzo 1987, n. 74, (in quanto il contratto di compravendita non trova la propria causa nel procedimento di separazione e divorzio), occorre comunque considerare che, nel caso in esame, il coniuge tenuto a riversare le somme percepite dalla vendita all’altro coniuge non realizza, di fatto, alcun arricchimento dalla vendita dell’immobile. Il ricavato della vendita è, infatti, percepito interamente dall’altro coniuge in capo al quale resta fermo, conseguentemente, l’onere di procedere all’acquisto di un altro immobile, da adibire ad abitazione principale. Si rileva, inoltre, che il coniuge cedente, sia nel caso in cui trasferisca la propria quota dell’immobile all’altro coniuge sia nel caso in esame in cui ceda a terzi l’immobile e riversi il ricavato della vendita all’altro coniuge, si priva del bene posseduto a favore dell’altro e, pertanto, non appare coerente un diverso trattamento fiscale delle due operazioni. Tale soggetto non è, quindi, tenuto ad acquistare un nuovo immobile per evitare la decadenza. Come chiarito, sull’altro coniuge che percepisce l’intero corrispettivo della vendita incombe l’obbligo di riacquistare, entro un anno dall’alienazione, un altro immobile da adibire ad abitazione principale, secondo le regole ordinarie. Solo in tale ipotesi, non si verifica la decadenza dal regime agevolativo “prima casa” fruito in relazione all’acquisto della casa coniugale.



3. Cessione di area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta alla quale risulta connesso un diritto di cubatura 3.1. Cessione di area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, in relazione alla quale sarà concesso da un Comune un diritto di cubatura su area ubicata in altri comprensori urbani D: Si chiedono chiarimenti in ordine al trattamento fiscale applicabile ad un atto pubblico avente ad oggetto il trasferimento tra società di capitali di un’area gravata da vincolo di inedificabilità assoluta, che l’acquirente trasferirà successivamente al Comune a fronte del ri conoscimento, da parte del comune stesso, di un diritto di cubatura di valore corrispondente all’area ceduta, collocato su un’area ubicata in altro comprensorio urbano.



R: L’art. 36, 2o comma, del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni dalla l. 4 agosto 2006, n. 248, dispone che, ai fini dell’applicazione, tra l’altro, dell’iva, dell’imposta di registro e delle imposte sui redditi “un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”. L’art. 2, 3o comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nell’elencare le operazioni non considerate cessioni di beni ai fini dell’applicazione dell’iva (per mancanza del presupposto oggettivo), individua, alla lett. c), “le cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria a norma delle vigenti disposizioni”. Sulla base del combinato disposto delle norme citate, l’imponibilità ai fini iva è collegata alla destinazione edificatoria che il terreno possiede al momento della cessione. Ai fini della determinazione del trattamento fiscale applicabile all’atto di trasferimento in esame, occorre tener conto del fatto che l’atto di cessione tra le due società non ha ad oggetto esclusivamente l’area gravata da vincolo di inedificabilità ma, altresì, l’aspettativa connessa alla futura compensazione edificatoria, in virtù della quale la società proprietaria, a fronte della successiva cessione dell’area non edificabile – in favore del comune – riceverà da quest’ultimo una cubatura di valore corrispondente, collocata su un’area ubicata in altri comprensori urbani. Pertanto, nell’ipotesi in cui il contratto di compravendita consenta di distinguere la parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione del terreno non suscettibile di utilizzazione edificatoria dalla parte riconducibile alla cessione della futura cubatura nella nuova localizzazione, si ritiene applicabile il seguente trattamento tributario. La parte di corrispettivo ascrivibile alla cessione di terreni non edificabile va assoggettata ad imposta di registro nella misura proporzionale dell’8%, come previsto dall’art. 1, 1o comma, della tariffa, parte prima, allegata al TUR, mentre il re siduo importo del corrispettivo, riconducibile alla cessione dei diritti edificatori nella nuova localizzazione, rientra, in base all’art. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972, nel campo di applicazione dell’iva e sconta, pertanto, l’imposta con applicazione dell’aliquota ordinaria del 21%. Laddove le parti, invece, non operino alcuna distinzione nell’ambito del corrispettivo dovuto, l’intera operazione deve essere assoggettata ad imposta di registro nella misura ordinaria dell’8%, come previsto dal citato art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al TUR. Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente circolare vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti. (Omissis)



Di recente, la Suprema Corte è intervenuta nuovamente sull’argomento confermando il regime di esenzione fiscale anche con riferimento ai trasferimenti immobiliari in favore della prole con funzione solutoria dei doveri di mantenimento a carico dei genitori30. I giudici di legittimità hanno evidenziato che anche qualora il trasferimento avvenga in favore della prole risulta confermata la ratio che giustifica il trattamento tributario agevolato. Ed invero, il trasferimento trae motivo unicamente nella separazione, anzi costituisce una vera e propria condizione della separazione. Di frequente accade che il trasferimento effettuato in favore della prole si riveli come lo strumento migliore per superare i forti contrasti tra i coniugi. In questi casi l’attribuzione patrimoniale può essere documentata dallo stesso giudice nel verbale di omologa della separazione, laddove, invece, ciò non si ritiene possibile per tutti quegli atti di disposizioni che non sono giustificati dalla crisi coniugale, ma sono solo ad essa occasionalmente connessi. L’esenzione dall’imposizione fiscale, dunque, riguarda solo ed esclusivamente le attribuzioni patrimoniali funzionalmente connesse alla risoluzione della crisi della famiglia perché finalizzate all’adempimento di doveri che costituiscono conseguenza della separazione31. Ci riferiamo non solo ai trasferimenti immobiliari realizzati nell’ambito del procedimento giudiziario, ma anche a quelli contenuti in atti notarili, purché funzionalmente collegati al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio. Nonostante le incertezze originate dalla poco chiara formulazione letterale della norma di cui all’art. 19 della l. n. 74 del 1987, negli ultimi anni l’indirizzo prevalente sia della giurisprudenza che dell’Amministrazione finanziaria ha inteso favorire il trattamento fiscale dei trasferimenti immobiliari. Tuttavia, il recente intervento del legislatore in materia di tassazione degli atti di trasferimento di beni immobili, contenuto nell’art. 10, 4° comma, del d.lgs. n. 23 del 2011 che di fatto ha “soppresso” tutte le esenzioni ed agevolazioni fiscali, ha fatto sorgere dei dubbi sulla permanenza attuale del regime fiscale agevolato per le attribuzioni patrimoniali funzionalmente connesse alla risoluzione della crisi della famiglia. Va osservato che gli interventi della Corte costituzionale, nonostante la loro rilevanza, non hanno del tutto risolto le problematiche in materia. Infatti, pur avendo sostenuto l’applicazione estensiva del trattamento di favore anche agli atti compiuti dai coniugi in sede di separazione personale, permaneva ancora un ulteriore nodo da districare, cioè l’interpretazione dell’inciso dell’art. 19 tutti gli atti, documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento…, ed in particolare chiarire il significato del termine “tasse”. La formulazione letterale della norma non è certo di aiuto, le difficoltà già presenti in materia sono state ulteriormente alimentate dalle rigide interpretazioni dell’Amministrazione finanziaria che è intervenuta più volte con dei provvedimenti di carattere restrittivo tesi a limitare l’esenzione fiscale alle sole imposte indicate nella disposizione di legge. La questione muoveva dall’interpretazione del termine “tassa”, occorreva cioè stabilire se nella formulazione della norma il termine fosse stato inteso dal legislatore in senso tecnico, cioè tale da comprendere solo quei tributi che rientrano tecnicamente nel concetto di tassa, o invece in senso atecnico, cioè comprensivo di qualsiasi forma di imposizione fiscale. Dal punto di vista letterale la disposizione andrebbe interpretata nel senso di concedere l’esenzione esclusivamente ai tributi espressamente indicati. Tuttavia, si deve preferire un’interpretazione estensiva basata sulla ratio posta a fondamento della pronuncia che è quella di assicurare un trattamento fiscale privilegiato ai coniugi nella fase di separazione o di divorzio. Infatti, dalla lettura delle pronunce emerge in modo inequivocabile che l’intento dei giudici è stato quello di assicurare ai coniugi l’esenzione in relazione alla totalità dei tributi. Non avrebbe alcuna giustificazione logica né fondamento giuridico prevedere l’esenzione solo per alcune imposte e non per altre. Sull’argomento è intervenuta anche l’A.E., che nel delimitare l’ambito di applicazione del trattamento fiscale di favore, ha chiarito che l’esenzione opera solo per gli accordi formalizzati nel provvedimento di separazione e ad esso connessi. Un’interpretazione di questo tipo però non trova supporto in alcuna disposizione di legge. Invero, come già ampiamente esposto, la ratio posta a fondamento delle decisioni che hanno ammesso l’applicazione estensiva del regime tributario di favore, è quella di non aggravare i procedimenti de quibus, ragion per cui esso deve essere necessariamente esteso a tutti gli atti di trasferimento, ancorché non inseriti nei verbali di separazione o anche nelle sentenze, a patto che siano connessi alla separazione o al divorzio, anche se compiuti in un momento successivo. Nella pratica è frequente che tali trasferimenti vengano concretamente realizzati a mezzo di rogiti notarili successivi alla conclusione del procedimento giudiziale, in adempimento di un obbligo assunto nell’ambito dell’accordo, dato che in tale sede non è possibile o quantomeno agevole effettuare le visure catastali e tutti i controlli in materia. Attività questa che di regola viene affidata ad un notaio in un momento successivo al perfezionamento dell’accordo. Dette attribuzioni sono comunque riconducibili alla previsione di cui all’art. 8, lett. f) e perciò appare privo di giustificazione sottoporle ad un diverso trattamento fiscale solo perché stipulate per atto di notaio o per scrittura privata autenticata. Non è, infatti, necessario che l’atto promani dall’Autorità giudiziaria, ma è sufficiente che sia collegato con il procedimento di separazione. In caso contrario, vi sarebbe una evidente disparità di trattamento a seconda della modalità con la quale i coniugi provvedano alla sistemazione dei loro rapporti patrimoniali. Anche nei procedimenti per la modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, in realtà, nulla esclude che i coniugi vogliano ratificare tramite il provvedimento del Tribunale accordi tra essi intervenuti. Ma perché il ricorso congiunto sia ammissibile occorre che vi sia un qualche collegamento funzionale con il thema decidendum proprio del procedimento. Pertanto, per evitare in radice declaratorie di inammissibilità, il trasferimento immobiliare concordato dovrà essere collegato ad una modifica dei provvedimenti già resi, ad esempio in riferimento ad una revoca dell’assegnazione della casa coniugale o a quanto statuito con riguardo all’assegno di mantenimento a carico di un coniuge a favore dell’altro coniuge o dei figli32.



6. Le prassi di alcuni Tribunali sui trasferimenti immobiliari nella crisi coniugale



Il Tribunale di Lodi ha escluso la ricevibilità di condizioni di separazione o di divorzio contenenti trasferimenti immobiliari motivando con l’“evidente impossibilità” di delegare al Giudice, che, “avendo gli stessi obblighi del Notaio dovrebbe espletare le incombenze”, relative all’allineamento oggettivo e soggettivo “pena la nullità del trasferimento”33. Il Tribunale di Siracusa ha accollato ai legali l’onere di produrre in giudizio la “planimetria catastale dell’immobile oggetto del trasferimento” corredata dalla dichiarazione di conformità oggettiva (di cui ha predisposto un fac-simile) “firmata da entrambe le parti le cui firme devono essere autenticate”. Il Tribunale di Verona richiede l’indicazione, a verbale, degli elementi prescritti per la conformità oggettiva (identificazione catastale, riferimento alle planimetrie depositate in catasto e dichiarazione resa in atto dagli intestatari della conformità allo stato di fatto dei dati catastali, sostituibile con la dichiarazione di un tecnico). Viene, inoltre, precisato che il verbale di separazione personale, di divorzio o di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio, “è atto pubblico anche agli effetti dell’art. 2657 c.c.”, in quanto atto ricevuto dal cancelliere e da lui sottoscritto. Tra l’altro, si afferma espressamente l’idoneità del verbale di udienza, reso nei “giudizi di divorzio anche a domanda congiunta, di separazione e nei provvedimenti di modifica […] in co pia autentica sottoscritto dalle parti” a essere trascritto “senza dover attendere le decisioni (sentenza o decreto) della vertenza”. Anche in questo caso nulla viene detto a proposito della conformità soggettiva. Infine, si richiede di inserire a verbale l’esonero del cancelliere dall’esecuzione della trascrizione (che altrimenti, si dice, il medesimo dovrebbe curare ex art. 14 d.P.R. 26.10.73 n. 635). L’Ordine degli Avvocati di Trieste, con propria circolare, per i trasferimenti immobiliari realizzati in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto, richiede che le parti – pena il rigetto della domanda – rendano, in atto, la dichiarazione di conformità oggettiva (sostituibile con l’allegazione della dichiarazione sostitutiva di un tecnico abilitato). La circolare dispone anche in merito alla conformità soggettiva obbligando le parti ad allegare al ricorso un estratto tavolare (in considerazione del differente regime pubblicitario ivi vigente) e un certificato catastale dell’immobile da trasferire, entrambi recenti, affinché il Giudice “possa procedere a […] verifica di conformità”34. In proposito, basti osservare che qui si individua nel Giudice (e non nel cancelliere) il destinatario delle dichiarazioni delle parti e si ritiene che al medesimo competa anche la verifica della conformità soggettiva. Il Tribunale di Ferrara ha precisato che “non potendo […] esimersi dall’omologare separazioni contenenti la cessione di immobili […] non verranno omologate separazioni prive […] di una dichiarazione notarile per […] la coerenza soggettiva e di una certificazione di un tecnico per […] la coerenza oggettiva del bene”. Opportunamente il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati locale ha sottolineato l’eccessiva rigorosità di tale prassi laddove richiede obbligatoriamente l’attestazione di un tecnico abilitato per la dichiarazione di conformità oggettiva (quando la norma richiede la dichiarazione delle parti che “può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato”) ed attribuisce alla dichiarazione di conformità soggettiva valore determinante ai fini dell’omologa nonostante, come abbiamo visto, la predetta dichiarazione (auspicabile ma non doverosa secondo la legge) e il correlativo obbligo di verifica non siano previsti dalla legge a pena di nullità, ma incidano esclusivamente sul profilo della responsabilità del notaio, che ometta di eseguire tale controllo. Il provvedimento del Tribunale di Catania del 21 ottobre 2015, segue la giurisprudenza della Corte di Cassazione, che ormai uniformemente, ha dichiarato la validità e la legittimità degli accordi tra coniugi, relativi alla divisione del patrimonio immobiliare tra di loro; ha inoltre qualificato l’azione per l’effettiva realizzazione dell’accordo, ove non rispettato, come domanda di esecuzione in forma specifica.



Il caso. Il marito conveniva in giudizio la moglie (ormai ex), chiedendo che il Tribunale di Catania desse attuazione alla convenzione intervenuta tra le parti in causa (in sede di verbale di omologazione della separazione consensuale), con la quale, concordemente tra le parti stesse, si era proceduto allo scioglimento della comunione sui beni in comproprietà tra i coniugi. Gli immobili erano passati nel possesso dei rispettivi assegnatari, ma a dire dell’attore, la moglie – pur essendo trascorso abbondantemente il termine di un anno previsto per l’esecuzione dell’accordo, da attuarsi mediante atto pubblico di divisione – non aveva provveduto ad adempiere agli accordi, anzi aveva frapposto degli ostacoli alla loro esecuzione. Parte convenuta si costituiva in giudizio, dichiarando di non opporsi all’eventuale vendita, chiedendo l’assegnazione di alcuni beni e un conguaglio a carico del marito, da versarsi in suo favore, poiché i beni assegnati a quest’ultimo sarebbero stati di valore più alto di quelli a lei assegnati. Il marito si opponeva e veniva quindi nominato CTU che, valutati gli immobili, depositava progetto di divisione. Detto progetto veniva, però, nuovamente contestato dal marito, e, in seguito, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni. La convenzione tra coniugi per la divisione del patrimonio immobiliare ha autonoma validità ed efficacia, trattandosi di libera pattuizione tra di loro. Secondo il Tribunale di Catania, non costituisce ostacolo all’accoglimento dell’azione, ex art. 2932 c.c., il fatto che l’accordo tra i coniugi non abbia natura di contratto preliminare. Secondo la pronuncia in esame, sulla scorta della giurisprudenza della Cassazione, la convenzione tra i coniugi non costituisce un contratto di donazione, ma un diverso contratto atipico, con propri presupposti e finalità, del tutto valido; inoltre, sembra corretto proporre un’estensione della sentenza costituiva anche alla fattispecie in esame, anche in funzione sostitutoria degli effetti che sarebbero dovuti scaturire dall’atto traslativo della proprietà, alla cui effettuazione i coniugi si erano obbligati in sede di definizione della separazione. Nel caso che stiamo esaminando, le parti avevano già disposto dettagliatamente per quanto riguarda la divisione del loro patrimonio comune, limitandosi a posticipare la stipula dell’atto di divisione nel termine di sessanta giorni a seguire l’emissione del decreto di omologazione della separazione. In questo modo, secondo il Tribunale di Catania, avevano stipulato una convenzione degna di autonoma validità ed efficacia, trattandosi di pattuizioni convenute dai coniugi e trasfuse nell’accordo omologato. Pertanto, secondo la sentenza in commento, non essendo sorte contestazioni tra le parti in merito ai beni caduti in comunione, in mancanza di fatti o elementi nuovi che possano far ritenere risolta o invalida la predetta convenzione, è possibile disporre l’attribuzione del compendio immobiliare comune alle parti secondo le modalità dalle stesse pattuite, in accoglimento della domanda attrice, che può essere qualificata – come detto – come domanda di esecuzione in forma specifica. Di conseguenza, il Tribunale, in accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica della pattuizione tra le parti, relativa all’accordo di divisione tra i coniugi del patrimonio immobiliare, peraltro trasfuso nel decreto di omologazione, ha dichiarato lo scioglimento della comunione tra i coniugi, assegnando i beni come previsto nell’accordo stesso, e condannando la parte che ne aveva ostacolato il perfezionamento al pagamento delle spese legali.



7. Aspetti redazionali



1) In primo luogo, occorre indicare i soggetti fra i quali avviene il trasferimento immobiliare indicando nome, cognome codice fiscale, luogo e data di nascita. Quanto all’indicazione del cognome ai fini della trascrizione nei registri immobiliari, si ritiene necessaria l’indicazione del cognome originario della donna coniugata. Nel caso in cui il trasferimento venga effettuata favore dei figli è opportuno, ai fini della fruizione dei benefici fiscali previsti dall’art. 19 della legge n. 74 del 1987 che il testo dell’accordo omologato dal Tribunale, al fine di garantire la certezza del diritto, preveda espressamente che l’accordo patrimoniale a beneficio dei figli, sia elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale (cfr. Agenzia delle Entrate, Circolare 21 giugno 2012 n. 27/E).



2) In secondo luogo, deve indicarsi chiaramente il diritto trasferito (ad esempio, piena o nuda proprietà, usufrutto, abitazione).



3) Altro dato indispensabile sono i dati catastali dell’immobile e il luogo in cui lo stesso è ubicato. Il d.l. 78/2010 impone ai venditori in sede di rogito di dichiarare la perfetta rispondenza allo stato di fatto della planimetria catastale. L’Agenzia del Territorio, con la circolare 2/2010, fornisce chiarimenti (ritenuti necessari da più parti) sugli obblighi introdotti dal comma 14, dell’art. 19 del d.l. 78/2010. L’articolo 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, aggiunge il comma 1-bis all’art. 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, legge recante, come noto, modifiche al libro sesto del codice civile e norme di servizio ipotecario, in riferimento alla introduzione di un sistema di elaborazione automatica nelle conservatorie dei registri immobiliari. La prima parte del comma 1-bis dell’art. 29 della legge n. 52 del 1985, prevede, che gli indicati atti immobiliari aventi ad oggetto fabbricati già esistenti devono contenere, a pena di nullità, anche il riferimento agli identificativi catastali delle unità immobiliari urbane; tali identificativi sono rappresentati, come noto, da sezione, foglio, numero di mappale (particella) ed eventuale subalterno. Si rammenta, al riguardo, che, già ai sensi del combinato disposto degli articoli 4, comma 2, e 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 650 del 1972, negli atti civili, giudiziali o amministrativi che danno origine al trasferimento di diritti iscritti nel catasto edilizio urbano, l’immobile deve essere descritto con gli estremi con i quali lo stesso è individuato in catasto. I dati di identificazione catastale fanno parte, altresì, del contenuto necessario delle note di trascrizione e di iscrizione ipotecaria, in virtù del combinato disposto degli artt. 2659, 2660, 2826 e 2839; la mancata indicazione di detti dati nelle note di trascrizione o iscrizione costituisce motivo di rifiuto ai sensi dell’art. 2674 c.c. Occorre poi indicare almeno tre confini.



4) Onde evitare di incorrere in nullità, si ritiene indispensabile rispettare le prescrizioni formali previste dall’art. 29 comma 1-bis della legge 52/85 (riguardante il sistema informatico dei registri immobiliari): “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”. Dunque, nell’accordo concluso dai coniugi deve essere inserito anche il riferimento alle planimetrie depositate in catasto, cioè l’indicazione della planimetria corrispondente ai dati identificativi catastali e quindi, l’indicazione della planimetria che raffigura l’immobile oggetto dell’atto. La legge non richiede in modo particolare alcuna indicazione per cui è idonea qualsiasi modalità di riferimento alla planimetria come l’allegazione o l’indicazione degli estremi del deposito al Catasto dei FABBRICATI.



5) L’individuazione del profilo causale degli accordi in questione è stato oggetto di varie e differenti interpretazioni. Secondo un indirizzo del tutto minoritario, i trasferimenti in questione, vista l’assenza di corrispettivo, integrerebbero delle donazioni35. Secondo altri, i negozi in questione sono transazioni, poste in essere per il componimento dell’insieme degli interessi coinvolti nella crisi matrimoniale36. Ancora si è ritenuto trattarsi di atti con funzione solutoria dell’obbligazione di mantenimento – e in particolare di dazioni in pagamento37 – o, ancora, di negozi determinativi di obblighi legali38. l’opinione dottrinale prevalente riconosce a questi accordi una causa autonoma39, denominata anche causa familiare, consistente “nell’intento comune ai coniugi di regolare le loro posizioni personali e patrimoniali a seguito della crisi familiare”.



6) Menzioni urbanistiche40 Debbono essere menzionati a seconda dell’epoca di costruzione gli estremi: – della licenza edilizia per costruzioni eseguite prima del 30 gennaio 1977; – della concessione edilizia per costruzioni eseguite dopo il 30 gennaio 1977 e prima del 30 giugno 2003; – del permesso di costruire per costruzioni eseguite dal 30 giugno 2003 in poi − della denuncia di inizio attività per interventi ex art. 22 terzo comma d.P.R. 380/2001 (Testo Unico in materia edilizia) eseguiti dal 30 giugno 2003 e per i quali in alternativa al permesso di costruire si sia per l’appunto fatto ricorso alla DIA nonché per interventi di cui all’art. 1 comma 6 legge 443/2001, già soggetti in base alla precedente normativa a concessione edilizia e per i quali tale disposizione consentiva, a scelta dell’interessato, di fare ricorso alla DIA; – del titolo abilitativo in sanatoria in caso di costruzione realizzata in assenza di provvedimento autorizzativo, ovvero in totale difformità dallo stesso e per la quale sia stata richiesta la sanatoria “straordinaria” (a sensi della legge 47/1985, della legge 724/1994 o del d.l. 269/2003 e relative leggi regionali di attuazione), ovvero la sanatoria “a regime” (a sensi dell’art. 13 legge 47/1985 in vigore sino al 29 giugno 2003 ovvero dell’art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 Testo Unico in materia edilizia in vigore dal 30 giugno 2003). Per gli interventi anteriori al 1 settembre 1967 è valido l’atto nel quale anziché gli estremi della licenza sia riportata o allegata apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (a sensi degli artt. 46 e segg. t.u. in materia di documentazione amministrativa di cui al d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445) nella quale venga attestato per l’appunto l’avvenuto inizio dei lavori di costruzione sin da data anteriore al 1 settembre 1967. Non è invece prescritto a pena di nullità, l’obbligo di citare gli estremi di altri provvedimenti edilizi (ad esempio autorizzazione edilizia, titolo abilitativo in sanatoria relativo ad “abusi minori” o DIA salvo per quest’ultima che si tratti di interventi ex art. 22 terzo comma t.u. eseguiti dal 30 giugno 2003 e per i quali in alternativa al permesso di costruire si sia per l’appunto fatto ricorso alla DIA o si tratti di interventi ex art. 1 comma 6 legge 443/2001, per i quali in alternativa alla prescritta concessione edilizia si sia fatto ricorso alla DIA). La mancanza nell’atto del requisito formale (ossia delle menzioni prescritte dalla legge) determina la nullità dell’atto e ciò indipendentemente dalla sussistenza nel caso di specie del requisito sostanziale: è sufficiente infatti la mancata menzione in atto della avvenuta costruzione in data anteriore al 1 settembre 1967 o degli estremi del provvedimento autorizzativo per determinarne la sua nullità e ciò indipendentemente dal fatto che la costruzione sia avvenuta effettivamente in data anteriore al 1 settembre 1967 o in base a regolare provvedimento autorizzativo. A titolo esemplificativo: “Il Signor Caio, al solo scopo di definire i rapporti economici e patrimoniali con il proprio coniuge separato Signora Tizia (evidenziare l’esistenza di eventuali posizioni debitorie del disponente a titolo di mantenimento nei confronti dell’altro coniuge e dei figli, la volontà di adempiere in tutto o in parte all’obbligo di mantenimento o ad altre obbligazioni, la volontà di integrare l’assegno di mantenimento, l’intento divisionale e così via) cede e trasferisce alla Signora Tizia che accetta ed acquista la piena proprietà dei seguenti immobili e precisamente: - Quota indivisa di metà (1/2) di porzione del fabbricato sito in … in via … n … costituita da appartamento al piano… confini: … e distinto al Catasto Fabbricati con i seguenti dati: … Il cespite sopra descritto appare graficamente rappresentato nella planimetria depositata al Catasto Fabbricati in data e che si allega sotto la lettera A per farne parte integrante e sostanziale alla quale le parti fanno pieno ed espresso riferimento ai fini di una più esatta e completa descrizione dell’immobile. Si allega sotto la lettera B per farne parte integrante e sostanziale l’attestazione di conformità redatta da … dalla quale risulta che i dati catastali sopra riportati e la planimetria catastale sopra indicata ed allegata sono pienamente conformi allo stato di fatto dell’immobile sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. Si allega sotto la lettera C per farne parte integrante e sostanziale il certificato redatto dal Notaio … dal quale risulta la continuità delle trascrizioni del ventennio e la corrispondenza dell’intestazione effettiva all’intestazione catastale”.



8. Gli accordi di separazione e divorzio dinanzi all’Ufficiale di stato civile dopo la sentenza del Consiglio di Stato n. 4478/2016



Il d.l. n. 132/2014 ha introdotto, accanto allo strumento della convenzione di ‘negoziazione assistita’ in materia familiare, una procedura semplificata che permette ai coniugi di percorrere, in alternativa alla tradizionale strada della tutela giurisdizionale, una soluzione “autogestita” qualora non abbiano figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 104/1992, oppure economicamente non autosufficienti. L’iter procedimentale risulta assai snello, perché si esaurisce nella comparizione dei coniugi per due volte innanzi all’ufficiale dello stato civile, una prima volta per fare le richieste dichiarazioni e una seconda volta per confermarle. Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4478 del 26 ottobre 2016 ha confermato la validità della Circolare del Ministero dell’Interno n. 6 del 24 aprile 201541 che aveva previsto la possibilità di prevedere un assegno di mantenimento da parte di un coniuge a favore dell’altro anche nella procedura dinanzi all’ufficiale di stato civile. Con questa importante decisione il consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR n. 7813 del 7 luglio 2016 che aveva disposto l’annullamento della circolare ministeriale42. Secondo il Consiglio di Stato l’assegno di mantenimento, stabilito in sede di accordo tra i coniugi ha l’obiettivo di ricalibrare lo squilibrio economico che consegue alla crisi del rapporto patrimoniale; di conseguenza, non avrebbe alcun senso precludere il suo raggiungimento in via semplificata quando la coppia non abbia figli minori o bisognosi di tutela. Viene invece confermato il divieto di patti di trasferimento patrimoniale inerente gli accordi traslativi della proprietà e la corresponsione di un assegno una tantum o la titolarità di altri diritti di un coniuge sui beni dell’altro. Per il Consiglio di Stato, il timore manifestato dal TAR di lasciare privo di tutela il coniuge economicamente più debole, vista l’assenza del difensore, non ha alcun senso. Infatti, questi ha, comunque, la libertà di aderire alle condizioni inerenti l’assegno di mantenimento e può rifiutare il proprio consenso senza alcuna conseguenza giuridica. Anzi, se non intende acconsentire a pattuizioni che giudica inique, può comunque ricorrere all’assistenza legale per raggiungere un accordo mediante negoziazione assistita ovvero decidere di ottenere una pronuncia del Tribunale. Con questa sentenza, oltre a tornare possibili gli accordi sulla corresponsione di assegni periodici di mantenimento o divorzili in quanto attribuzioni patrimoniali mobiliari, si restituisce agli ufficiali di stato civile la possibilità di formalizzare e modificare condizioni ammettendo tutti gli accordi di natura non strettamente patrimoniale. Ad esempio, gli accordi sull’affidamento di un animale di affezione o su beni mobili non registrati (quadri, gioielli, arredi) o concordando le modalità d’uso. I coniugi che non abbiano figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap grave ai sensi dell’art. 3, comma 3, legge n. 104/1992, oppure economicamente non autosufficienti, possono decidere di presentarsi personalmente, con l’assistenza facoltativa di un avvocato, avanti all’Ufficiale dello stato civile per dichiarare che vogliono separarsi ovvero vogliono far cessare gli effetti civili del matrimonio od ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra di esse concordate, ovvero per modificare le predette condizioni. Si tratta di una procedura molto facilitata in quanto ai coniugi è richiesto di comparire per due volte innanzi all’ufficiale dello stato civile, una prima volta per fare le richieste dichiarazioni e una seconda volta per confermarle. L’istituto è stato inserito nel nostro ordinamento dal d.l. n. 132/2014, e si fonda su un modulo consensuale, nel quale vengono valorizzate l’autonomia privata ed il libero consenso dei coniugi anche nella fase della crisi matrimoniale. Dal punto di vista interpretativo, ha destato non pochi problemi l’art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014, alla stregua della quale “l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale”, precludendo quindi ai coniugi di avvalersi della procedura semplificata avanti all’Ufficiale dello stato civile quando il loro accordo contempli simili patti. Si sono in particolare contrapposti due orientamenti. Il primo orientamento, estensivo, è quello secondo cui, il divieto si estenderebbe a tutti gli accordi economici. E, quindi, anche a quelli che prevedono la corresponsione periodica di denaro mediante un assegno per il mantenimento del “coniuge più debole” in caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento) ovvero di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile). In particolare, secondo questo indirizzo interpretativo, solo una interpretazione letterale della disposizione di cui si discute garantirebbe una piena tutela del soggetto debole che, diversamente, essendo privo di potere negoziale, potrebbe essere costretto ad accettare le condizioni della controparte più forte. Con la conseguenza che l’operatività dell’istituto sarebbe limitata ai soli accordi che, in sostanza, modificano lo status dei coniugi, con esclusione di ogni pattuizione economica. Detta opzione è stata seguita dalle circolari del Ministero dell’Interno nn. 16 e 19/2014.

Un secondo orientamento, restrittivo, invece, è quello secondo cui la citata disposizione vieterebbe solo i trasferimenti di beni una tantum (in analogia a quanto previsto dall’art. 5, comma 8, legge sul Divorzio n. 898/1970). Secondo i fautori di questa tesi, infatti, l’espressione “patti di trasferimento patrimoniale” si riferirebbe letteralmente agli accordi traslativi della proprietà (o di altri diritti) con i quali i coniugi decidono mediante il c.d. assegno una tantum di regolare l’assetto dei propri rapporti economici una volta per tutte e di trasferire la proprietà o la titolarità di altri diritti sui beni da uno all’altro, anziché prevedere un assegno periodico43 In conclusione, conformemente alle indicazioni di cui alla Circolare del Ministero dell’Interno n. 6/2015 – ora avallate dal Consiglio di Stato, l’accordo concluso avanti all’Ufficiale dello stato civile può:

– contenere un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico (sia in forma di c.d. assegno di mantenimento; sia in forma di c.d. assegno divorzile);

– le parti possono richiedere – sempre congiuntamente – la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio chiedendo l’attribuzione di un assegno periodico o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa. Ciò in quanto si tratta di disposizioni negoziali che comportano l’insorgenza di un rapporto obbligatorio. In questi casi l’Ufficiale di stato civile è tenuto a recepire quanto concordato dalle parti senza entrare nel merito della somma decisa né della congruità della stessa (anche se non si può negare che resta aperta la questione consequenziale dei poteri di controllo dell’Ufficiale dello stato civile specie là dove potrebbe essere richiesto un minimo di attività istruttoria, e non la semplice acquisizione di autocertificazioni sottoscritte dai coniugi). Mentre, ai sensi dell’art. 12, comma 3, d.l. n. 132/2014, non può costituire oggetto di accordo la previsione della corresponsione, in unica soluzione, dell’assegno periodico di divorzio (c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o immobiliare) avente effetti traslativi reali irreversibili.



9. Negoziazione assistita e separazione: cessione di immobile senza notaio. Il caso Pordenone



Due coniugi, all’esito di un procedimento di negoziazione assistita, concludono un accordo con cui, ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.l. n. 132/2014, raggiungono “una soluzione consensuale di separazione personale”, convenendo, tra l’altro, “il trasferimento tra loro della quota di proprietà di un bene immobile” (verosimilmente, secondo l’id quod plerumque accidit, il marito ha ceduto alla moglie la metà dell’abitazione acquistata in costanza di matrimonio e, pertanto, in comunione legale). Depositato presso la locale Procura della Repubblica, in difetto di figli minorenni, portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti, il Procuratore della Repubblica comunica agli avvocati delle parti il proprio nullaosta. L’accordo, mentre è prontamente trascritto/annotato nei registri dello stato civile, non viene trascritto nei registri immobi liari: il conservatore, infatti, rifiuta di procedere alla trascrizione per difettare le sottoscrizioni del processo verbale di accordo delle parti della autenticazione compiuta “da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” e richiesta dall’art. 5, comma 3. A fronte del rifiuto del conservatore, i coniugi separati si rivolgono al tribunale, il quale accoglie la loro domanda, ordinando al conservatore dei registri immobiliari di procedere alla trascrizione del trasferimento immobiliare44. Quali le motivazioni del Tribunale? Non è in discussione la “possibilità di addivenire ad una cessione immobiliare … nell’ambito di una procedura di negoziazione assistita”, giusta il “combinato disposto degli artt. 5 e 6, d.l. n. 132/2014”, sia “la trascrivibilità – in sé ed in via generale – di tali cessioni concordate in sede di negoziazione”, il decreto fa leva sul principio che l’art. 5 comma 3 (esplicitamente definito dal provvedimento come “di portata generale”), non debba trovare applicazione in relazione all’accordo concluso all’esito di “un procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia, regolato in forma specifica dall’art. 6”. Più in particolare, questa conclusione – “all’interno di una prospettiva esegetica costituzionalmente orientata” – sarebbe imposta dalle seguenti concorrenti considerazioni (riferite nell’ordine seguito dal Tribunale): – l’accordo concluso all’esito del procedimento di negoziazione assistita in materia di famiglia, deve essere sottoposto al Procuratore della Repubblica per la concessione dell’autorizzazione o per il rilascio del nullaosta; – l’accordo de quo, ai sensi dell’art. 6, comma 3, “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono … i procedimenti di separazione giudiziale”; – “Poiché i provvedimenti giudiziali … non richiedono autenticazioni delle sottoscrizioni da parte di ulteriori “pubblici ufficiali a ciò autorizzati” ai fini della trascrizione delle cessioni immobiliari in essi eventualmente contenute, risult[erebbe] evidente che neppure gli accordi di negoziazione dovranno essere soggetti a tale adempimento, pena la vanificazione della predetta espressa equiparazione ai provvedimenti giudiziali ed il conseguente irriducibile contrasto con i canoni costituzionali di coerenza e ragionevolezza”;

– la legge consente che siano suscettibili di essere trascritti nei registri immobiliari non soltanto i provvedimenti giudiziali aventi forma diversa dalla “sentenza”, pure richiesta dall’art. 2657 c.c. (come, ad esempio, il decreto di trasferimento pronunciato ex art. 586 c.p.c. in sede di espropriazione forzata immobiliare, nonché l’ordinanza che dichiara esecutivo il progetto di divisione ex art. 789 c.p.c.), ma anche provvedimenti fondati sull’autonomia negoziale delle parti, come il lodo arbitrale (rituale) che sia stato dichiarato esecutivo ex art. 825 c.p.c.;

– posto che l’accordo di negoziazione assistita munito del nullaosta del Procuratore della Repubblica produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali, “non può non essere ricompreso anche quello di costituire titolo per la trascrizione”;

– ulteriori “autenticazioni” sarebbero da considerarsi una “sostanziale inutilità”;

– “mentre in ambito extra-familiare gli accordi di negoziazione possono essere validamente conclusi con l’assistenza di un unico avvocato per entrambe le parti, in materia di famiglia è necessariamente richiesta – proprio per la particolare delicatezza dei diritti, degli interessi coinvolti e delle conseguenze inferite – la presenza di almeno un avvocato per parte”;

– “esigere l’intervento di un’ulteriore figura professionale in caso di atti soggetti a trascrizione contenuti in ‘negoziazioni familiari’, contrasterebbe con la ‘finalità di assicurare una maggiore funzionalità ed efficienza della giustizia civile’ espressamente enunciata nel Preambolo del medesimo d.l. n. 132/2014, addossando alle parti ulteriori formalità e costi aggiuntivi, con effetti disincentivanti nei confronti della negoziazione assistita, incompatibili con i dichiarati intenti di semplificazione ed efficienza perseguiti dal Legislatore”. La Corte d’Appello di Trieste ha poi ribaltato il verdetto del decreto del Tribunale di Pordenone con l’ordinanza del 6 giugno 207. Gli argomenti invocati dalla Corte triestina sono i seguenti:

– innanzi tutto, che “l’unico tentativo legislativo” volto a introdurre deroghe alla regola generale della necessità dell’autentica delle scritture privare ai fini della trascrizione nei registri immobiliari, “contenuto nell’art. 29 [rectius, 28] d.d.l. sulla concorrenza del 2015 [id est A.C. 3012], secondo cui ‘“in tutti i casi nei quali per gli atti e le dichiarazioni aventi ad oggetto la cessione o la donazione di beni immobili adibiti ad uso non abitativo, come individuati dall’articolo 812 del codice civile, di valore catastale non superiore a 100,000 euro, ovvero aventi ad oggetto la costituzione o la modificazione di diritti sui medesimi beni, è necessaria l’autenticazione della relativa sottoscrizione, essa può essere effettuata dagli avvocati abilitati al patrocinio, muniti di polizza assicurativa pari almeno al valore del bene dichiarato nell’atto’, non è mai stato approvato dal Parlamento)”;

– le novità inserite dal legislatore per permettere il funzionamento del processo civile telematico, hanno ampliato il potere di autenticazione degli atti ad opera degli avvocati, ma sempre esclusivamente in relazione ad ambiti speciali (come, appunto quello del processo telematico, ex art. 16-bis, d.l. n. 179/2012) e mai in via generale;

– ulteriormente, che anche la Corte di Giustizia di Lussemburgo ha avuto modo di affermare la conformità al diritto dell’Unione Europea della previsione nazionale “che riserva ai notai l’autenticazione delle firme apposte in calce ai documenti necessari per la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari ed esclude, per l’effetto, la possibilità di riconoscere in tale Stato membro una siffatta autenticazione effettuata, secondo il suo diritto nazionale, da un avvocato stabilito in un altro Stato membro” (CGUE, V sez. 9 marzo 2017, C342/15).

NOTE

1 Sul punto si rinvia per tutti a P. Perlingieri, I diritti del singolo quale appartenente al gruppo

familiare, in Rapporti personali nella famiglia, Edizioni Scientifiche Italiane, 1982, 428; P.

Perlingieri, Famiglia e diritti fondamentali della persona, in Legal. e giust., 1986, 484 ss. e ora in P.

Perlingieri, La persona e i suoi diritti, Edizioni Scientifiche Italiane, 2005, 367 ss.; P. rescigno,

Persona e Comunità, Il Mulino, 1966, 3 ss.; M. Bin, Rapporti patrimoniali tra coniugi e principio di

uguaglianza, Giappichelli, 1971; Furgiuele, Libertà e famiglia, Giuffrè, 140 ss.; AlAgnA, Famiglia e

rapporti tra coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Giuffrè, 1983, 150 ss.; Bonilini, Il Matrimonio La

nozione, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, I, Famiglia e matrimonio,

Utet, 1997, 63 ss.

2 A. cArlo Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali del Seminario Giuridico, III, Napoli, 1949, 38 ss.

3 Il regime base del sistema patrimoniale è quello della comunione legale, ma la legge stessa

postula il regime alternativo della separazione dei beni: e questo dato ci fa capire che è il sistema

stesso a mettere al centro la discrezionale volontà negoziale dei coniugi di scegliere o l’uno o

l’altro regime patrimoniale. La tipicità non consente ai coniugi di “creare” nuovi modelli: ma la

discrezionalità della scelta fra i vari tipi previsti dal sistema (o il regime della separazione dei beni,

o quello aggiuntivo della comunione convenzionale, o quello della costituzione di un fondo

patrimoniale integrativo di uno dei su indicati sistemi scelti), discrezionalità che implica anche la

modifica convenzionale della comunione legale (cfr. art. 210 c.c.), comporta una attenuazione

della rigidità del sistema.

4 Su cui v. G. De novA, Disciplina inderogabile dei rapporti patrimoniali e autonomia negoziale, in

Studi in onore di P. Rescigno, vol. II, Diritto privato, Milano, 1998, 259 ss.

5 Cfr. Cass., 17 giugno 1992, n. 7470, in Nuova giur. civ. comm., 1993, I, 808 ss., annotata da D.

sinesio, Separazione di fatto e accordi tra coniugi.

6 Si vedano con opposte soluzioni, M. comPorti, Autonomia privata e convenzioni preventive di

separazione, di divorzio e di annullamento del matrimonio, in Foro it., 1995, V, c. 105 ss., e G.

gABrielli, Indisponibilità preventiva degli effetti patrimoniali del divorzio: in difesa

dell’orientamento adottato dalla giurisprudenza, in Rivista di diritto civile, 1996, I, 695 ss. (e un

compiuto quadro degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali in G. oBerto, I contratti della crisi

coniugale, t. I, Ammissibilità e fattispecie, e t. II, Contenuti e disciplina, Milano, 1999).

7 Su quest’aspetto caratteristico della ricomposizione familiare, S. mAzzoni, Le famiglie

ricomposte: dall’arrivo dei nuovi partners alla costellazione familiare ricomposta, in Dir. fam.,

1999, II, 369 ss.

8 In senso contrario Trib. Verbania 6 luglio 2002 n. 161, Gli atti giudiziari relativi alle cause di

(separazione e) divorzio, tanto giudiziali che consensuali, non possono in alcun modo contenere

disposizioni traslative di diritti reali né d’ufficio, né su istanza di una delle parti ovvero concorde di

entrambi i coniugi, non rientrando i trasferimenti immobiliari tra i possibili contenuti dei

provvedimenti giudiziari conclusivi dei giudizi nelle materie de quibus, in Notariato, 2003, 272 ss.,

con nota di Giunchi, che si fonda sulle seguenti argomentazioni: 1) i modi di costituzione dei diritti

reali sono tipici e tassativi e non vi rientra la sentenza di divorzio, essendo attribuito al giudice

della separazione o del divorzio solo il potere di costituire un diritto di godimento sulla casa

familiare; 2) il verbale di causa è un atto pubblico processuale e non sostanziale e non può, quindi,

essere ricondotto nel novero di quelli richiamati dagli artt. 2699 e 2657 c.c., idonei a costituire

titolo per la trascrizione.

9 Cass. Civ., 5 gennaio1984, n. 14, per gli accordi antecedenti; Cass. Civ., 13 febbraio 1985, n. 1208

per quelli successivi, per i quali si afferma che “gli accordi con cui i coniugi modifichino, anche se

migliorandole, le condizioni relative al mantenimento del nucleo familiare, includente i figli minori,

sono inefficaci se non vengono omologati dal tribunale”.



10 Si evince chiaramente dalle due significative sentenze Cass. civ., Sez. I, 24-02-1993, n. 2270 e

Cass. civ., Sez. I, 22-01-1994, n. 657.

11 In seguito, la Corte ha ribadito in modo uniforme tali principi: cfr. Cass., n. 7029/97; n.

5829/1998; da ultimo n. 8516/2006; n. 9174/08; n. 2997/09.

12 In tal senso, Cass., 11 novembre 1992, n. 12110, Cass., 15 maggio 1997, n. 4306 e Cass., 17

giugno 2004, n. 11342.

13 Cass., 20 maggio 2005, n. 11458; Cass., 22 maggio 2002, n. 7493.

14 Cfr., in tal senso, già la remota Cass., 12 giugno 1963, n. 1594.

15 Cass. Civ. 2 dicembre 1991, n. 12897.

16 Cass., 17 giugno 2004, n. 11342; Cass., 11 novembre 1992, n. 12110;

Cass., 21 dicembre 1987, n. 9500; Cass., 27 ottobre 1972, n. 3299; con riguardo a clausola inserita

in un accordo per la separazione di fatto, Cass., 17 giugno 1992, n. 7470.

17 In tal senso, la sentenza Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2004, n. 11342, ha previsto la possibilità

che, in sede di separazione consensuale, il coniuge tenuto a provvedere al mantenimento del figlio

minore, possa impegnarsi a trasferire in favore della prole la piena proprietà di un bene immobile,

al fine di adempiere all’obbligo di mantenimento nei confronti di quest’ultimo, precisando, inoltre,

come tale pattuizione non sia assoggettabile né alla risoluzione per inadempimento, a norma

dell’art. 1453 cod. civ., né all’eccezione d’inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 cod. civ., non

essendo ravvisabile, in un siffatto accordo solutorio sul mantenimento della prole, quel rapporto

di sinallagmaticità tra prestazioni che è fondamento dell’una e dell’altra, posto che il

mantenimento della prole costituisce obbligo ineludibile di ciascun genitore, imposto dal

legislatore e non derivante, con vincolo di corrispettività, dall’accordo di separazione tra i coniugi,

che può al più contribuire a regolamentare le concrete modalità di adempimento dell’inderogabile

obbligo al mantenimento della prole.

18 In tal senso sembra esprimersi la Suprema Corte, nella sentenza n. 5473, del 14 marzo 2006,

che qualifica i negozi traslativi di diritti durante la crisi coniugale come negozi tipici rispondenti “ad

un più specifico e più proprio originario spirito di sistemazione dei rapporti in occasione

dell’evento di “separazione consensuale” (il fenomeno acquista ancora maggiore tipicità

normativa nella distinta sede del divorzio congiunto)”.

19 Singolare l’ordinanza emessa dalla prima sezione civile del Tribunale di Palermo in data 29

dicembre 2016. Il fatto. Due coniugi, genitori di un figlio minorenne, in sede di divorzio congiunto

pattuivano che il diritto di godimento della casa familiare attribuito alla moglie sarebbe venuto

meno qualora questa avesse instaurato una convivenza more uxorio.

I giudici, ritenendo tale pattuizione non rispondente all’interesse del figlio, collocato presso la

madre, hanno disposto la rimessione della causa sul ruolo e la comparizione personale delle parti

al fine di verificare la loro disponibilità a rimodulare le condizioni della domanda congiunta sul

punto.

20 Allo stato, la maggior parte dei Tribunali non consente i trasferimenti ad efficacia reale, ma solo

quelli attuati in forma di impegno a trasferire.

21 Cass. 17 febbraio 2016, n. 3110 “detti negozi siano da intendersi quali ‘atti relativi al

procedimento di separazione o divorzio’, che, come tali possono usufruire dell’esenzione di cui alla

l. n. 74 del 1987, art. 19”.

22 Cass. 3 febbraio 2014, n. 2263: “Le convenzioni concluse dai coniugi in sede di separazione

personale, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro relative a

beni mobili o immobili, pur acquistando efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di

omologazione, trovano la loro fonte nell’accordo delle parti. Pertanto, essendo riconducibile alla

volontà del cedente, la cessione infraquinquennale dell’abitazione, pur La clausola di

trasferimento di un immobile tra i coniugi, contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla

sentenza di divorzio congiunto o, ancora, sulla base di conclusioni uniformi – come è accaduto nel

caso di specie – è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della

forma scritta”, in Il caso.it, 2014; Famiglia e Diritto, 2015, 4, 357 nota di FilAuro; Foro It., 2015, 2,

1, 567. Cass. 3 febbraio 2014, n. 2263: “se effettuata in esecuzione degli accordi di separazione,

comporta la decadenza dai benefici ‘prima casa’, se non è seguita dall’acquisto di altra abitazione

entro un anno dall’alienazione dell’immobile. Il trasferimento di un immobile in favore del coniuge

per effetto degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale è comunque riconducibile

alla volontà del cedente, e non al provvedimento giudiziale di omologazione, sicché, qualora,

intervenga nei cinque anni successivi al suo acquisto, senza che il cedente stesso, abbia comprato,

entro l’anno ulteriore, altro appartamento da adibire a propria abitazione principale, le

agevolazioni fiscali ‘prima casa’ di cui egli abbia beneficiato per l’acquisto di quell’immobile vanno

revocate, con conseguente legittimo recupero delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e

catastali da parte dell’Amministrazione finanziaria”, in Corriere Trib., 2014, 16, 1258 nota di

iAnniello. Cass. 20 agosto 2014, n. 18066: “La clausola di trasferimento di immobile tra coniugi

ovvero da uno dei genitori al figlio minore recepita dalla sentenza di divorzio, anche sulla base di

conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi. Essa può essere oggetto di

annullamento per vizio di volontà in un autonomo giudizio di cognizione e non può costituire

motivo di impugnazione della sentenza di divorzio. La sentenza resa a seguito di conclusioni

comuni in un divorzio contenzioso può prevedere che il coniuge trasferisca al figlio la proprietà di

un immobile intestato a un terzo. La clausola di trasferimento di un immobile tra i coniugi,

contenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o, ancora,

sulla base di conclusioni uniformi – come è accaduto nel caso di specie – è valida tra le parti e nei

confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta”, in Il caso.it, 2014; Famiglia e

Diritto, 2015, 4, 357 nota di FilAuro; Foro It., 2015, 2, 1, 567.

23 Cass. Civ. 3 febbraio 2014, n. 2263, cit.

24 Cass. Civ. 12 aprile 2006, n. 8516; Cass. Civ. 22 novembre 2007, n. 24321.

25 Cass. Civ. 12 aprile 2006 n. 8516, cit.; nel merito, Tribunale di Roma 23 novembre 2011, n.

22875.

26 Cass. Civ. 23 settembre 2013, n. 21736.

27 V. PAPPA monteForte, Ancora sui trasferimenti immobiliari nelle intese post crisi coniugale, in

Notariato, 2012, 446 ss., il quale con riferimento ad una recente sentenza della Commissione

Tributaria Provinciale di Napoli (3 novembre 2011, n. 903) evidenzia come nelle intese post

coniugali, anche il trasferimento di un immobile acquistato dai coniugi in comunione ordinaria

beneficia dell’esenzione da imposta. Si richiede un unico presupposto da parte del legislatore cioè

ce il trasferimento trovi origine e causa nell’accordo raggiunto in sede di separazione o divorzio, il

cui intento elusivo deve essere provato dall’Amministrazione finanziaria.

28 Corte cost., 11 giugno 2003, n. 202, in Rivista di giurisprudenza tributaria, 9/2003, 805, con

note di riferimento di B. iAnniello e in Banca Dati BIG Suite, IPSOA; in Fam. Dir., 2003, 421 con il

commento di A. sAlvAti.

29 L’art. 148 c.c. disciplina il concorso agli oneri di mantenimento dei figli gravanti sui genitori e

nella fattispecie si trattava della registrazione di una sentenza del Tribunale che aveva condannato

il padre a versare un assegno di mantenimento alla madre per il figlio naturale riconosciuto, sicché

con questa decisione il quadro dell’esenzione si è reso uniforme per tutti i giudizi di separazione,

di divorzio e di determinazione degli obblighi economici relativi ai figli, ancorché nati al di fuori del

matrimonio.

30 Cassazione, Sez. VI-T, Ord. 8 marzo 2013 (16 gennaio 2013), n. 5924 Pres. Cicala Rel. Iacobellis:

“Nell’ipotesi di trasferimento di immobili, in adempimento di obbligazioni assunte in sede di

separazione personale dei coniugi, l’art. 19 della legge n. 74/1987, alla luce delle sentenze della



Corte costituzionale n. 154/1999 e n. 176/1992, deve essere interpretato nel senso che

l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, di tutti gli atti, i documenti ed i

provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti

civili del matrimonio si estende a tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al

procedimento di separazione personale dei coniugi, in modo da garantire l’adempimento delle

obbligazioni che i coniugi separati hanno assunto per conferire un nuovo assetto ai loro interessi

economici, anche con atti i cui effetti siano favorevoli ai figli”.

31 Cass., Sez. trib., 17 febbraio 2001, n. 2347, in Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 11/2001,

1345, con nota di A. Figone, La Suprema Corte conferma l’esenzione da INVIM per i trasferimenti

immobiliari in sede di divorzio, mentre con la sentenza 3 dicembre 2001, n. 15231, in Il fisco, 2002,

1525, commentata criticamente da G. mArini, Esenzione fiscale e separazione personale dei

coniugi, la Corte di cassazione aveva escluso l’esenzione trattandosi di bene acquistato in regime

di separazione dei beni ed essendo prevista a verbale la formula per cui la moglie ‘cedeva e

vendeva a marito il 20% della proprietà contro il corrispettivo di 400 milioni’ e va sottolineato

come tutt’ora alcuni Uffici tendano a non riconoscere l’esenzione quando siano utilizzate per il

trasferimento immobiliare parole quali ‘vendita’ o ‘prezzo’ e non sia indicata l’indispensabilità

della cessione per la definizione dei rapporti patrimoniali inerenti alla separazione.

32 A titolo esemplificativo, cfr. sentenza del Tribunale civile e penale di Mantova, 9 febbraio 2012,

pubblicata in Il caso.it.

33 Comunicazione prot. n. 904/2010 del 18.6.2010 a firma congiunta del Presidente del Tribunale

di Lodi e del Presidente della Sezione Famiglia dello stesso Tribunale, diretta al Presidente del

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.

34 Circ. 27.5.2011, n. 13/2011, emessa dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di

Trieste.

35 Trib. Torino, 27.5.1978, inedita, menzionata da cArBone, I trasferimenti immobiliari in

occasione della separazione e del divorzio, in Not., 2005, 624.

36 Cass., 5. 9.2003, n. 12939, in Mass. giur. it., 2003; in Corr. giur., 2003, 12, 1555 in Arch. civ.,

2004, 943; in Gius., 2004, 5, 647, in Not., 2004, 9; Cass., 12.5.1994, n. 4647, in Giust. civ., 1995, I,

202, in Dir. fam., 1995, 105, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 882, con nota di Buzzelli, in Vita

not., 1994, 1357; Cass., 15.3.1991, n. 2788, in Foro it., 1991, I, 1787; in Corr. giur., 1991, 891

37 In particolare, di dazione in pagamento con cui verrebbe adempiuta una tantum l’obbligazione

di mantenimento, specialmente nel caso del divorzio ove l’art. 5, co. 8, l. divorzio prevede

espressamente la possibilità di corrispondere il mantenimento in una unica soluzione. In

giurisprudenza, v.: Cass., 17.6.1992, n. 7470, in Mass. giur. it., 1992, in Dir. Fam., 1993, 70, in

Nuova Giur. Civ., 1993, 1, 808 con nota di sinesio; Cass., 21.12.1987, n. 9500, in Mass. giur. it.,

1987; Cass., 5.7.1984, n. 3940, in Mass. giur. it., 1984. In dottrina, v.: BrienzA, Attribuzioni

immobiliari nella separazione consensuale, in Riv. Not., 1990, 1410; ievA, Trasferimenti immobiliari

ed immobiliari in sede di separazione e di divorzio, in Riv. not., 1995, 459 ss.; Bonilini, L’accordo

per la corresponsione dell’assegno in unica soluzione, in I contratti, 1996, 401 ss.

38 russo, Gli atti determinativi di obblighi legali nel diritto di famiglia, in Le convenzioni

matrimoniali ed altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, Milano, 1983, 228 ss. Contra cArBone, I

trasferimenti immobiliari in occasione della separazione e del divorzio, 627.

39 trAPAni, Il trasferimento dei beni in esecuzione degli accordi di separazione e divorzio, in Riv.

Not., 2007, 1424; zoPPini, Contratto, autonomia contrattuale, ordine pubblico familiare nella

separazione personale dei coniugi, in Giur. it., 1990, I, 1, 1319 ss. in nota a Cass., 23.12.1988, n.

7044.

40 Consiglio Nazionale del Notariato Studio n. 5389/C Menzioni urbanistiche e validità degli atti

notarili Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 30 ottobre 2004.



41 La Circ. n. 6 del 2015 del Ministero dell’interno fa seguito alle circolari ministeriali dell’1 ottobre

2014, n. 16 e del 28 novembre 2014, n. 19 con cui furono rese note le prime indicazioni in merito

agli adempimenti degli ufficiali dello stato civile ai sensi degli artt. 6 e 12, d.l. n. 132 del 2014

(convertito nella l. n. 162 del 2014), che hanno introdotto importanti novità in tema di separazione

personale, di cessazione degli effetti civili e di scioglimento del matrimonio, finalizzate alla

semplificazione delle relative procedure. La circolare risponde alla necessità di evitare che possa

essere pregiudicata l’uniforme ed omogenea applicazione sul piano nazionale delle nuove norme.

In sede di applicazione di tali nuove disposizioni normative, si legge, infatti, nel testo della circolare

“sono emerse difficoltà interpretative da parte degli ufficiali dello stato civile in ragione della

diversificata casistica, che ha evidenziato fattispecie non sempre esattamente riconducibili

all’ambito oggettivo definito con gli indirizzi diramati”. Queste le indicazioni del Ministero

dell’Interno: Applicabilità dell’istituto di cui all’art. 12 nei casi in cui siano presenti figli minori di

uno solo dei coniugi: la disposizione di cui all’art. 12, comma 2, che esclude il ricorso all’istituto in

presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero

economicamente non autosufficienti, va intesa nel senso che è possibile accedere al procedimento

in tutti i casi in cui i coniugi che chiedono all’ufficiale dello stato civile la separazione o il divorzio

non abbiano figli in comune che si trovino nelle condizioni richiamate nell’articolo. Non osta

l’eventuale presenza di figli minori, portatori di handicap grave, maggiorenni incapaci o

economicamente non autosufficienti, non comuni ma di uno soltanto dei coniugi richiedenti. Il

termine “figlio” va inteso nel senso di “figli comuni dei coniugi richiedenti”. Patti di trasferimento

patrimoniale: non rientra nel “divieto patti di trasferimento patrimoniale”, la previsione,

nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello stato civile, di un obbligo di pagamento di una

somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia nel caso di separazione consensuale (c.d.

assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta congiunta di cessazione degli effetti civili o

scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile); le parti possono inoltre richiedere, sempre

congiuntamente, la modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio già stabilite

ed in particolare possono chiedere l’attribuzione di un assegno periodico (di separazione o di

divorzio) o la sua revoca o ancora la sua revisione quantitativa; non può invece costituire oggetto

di accordo la previsione della corresponsione, in unica soluzione, dell’assegno periodico di divorzio

(c.d. liquidazione una tantum) in quanto si tratta di attribuzione patrimoniale (mobiliare o

immobiliare). Decorrenza del termine entro cui l’avvocato della parte deve trasmettere l’accordo

autorizzato dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 6: il termine dei 10 giorni entro il quale

l’avvocato della parte è obbligato a trasmettere all’ufficiale dello stato civile copia dell’accordo,

decorre dalla data di comunicazione alle parti del provvedimento (nulla osta o autorizzazione) del

Procuratore della Repubblica o del Presidente del Tribunale a cura della segreteria o della

cancelleria. Possibilità che le parti della convenzione di cui all’art. 6 si avvalgono del medesimo

avvocato: in materia di separazione e di divorzio, “la convenzione di negoziazione è conclusa con

l’assistenza di almeno un avvocato per parte preclude l’interpretazione tesa a consentire alle parti

di avvalersi di un unico avvocato”. Occorre però chiarire che alla trasmissione è sufficiente che

provveda uno soltanto degli avvocati.

42 La sentenza del TAR Lazio dello scorso 7 luglio 2016 aveva accolto un ricorso presentato da due

note associazioni di avvocati e di donne che, senza scopo di lucro, operano per la tutela della

famiglia e dei diritti civili delle persone (AIAF e Donna chiama Donna) per far dichiarare la nullità di

una circolare del Ministero degli Interni che dava ai sindaci indicazioni su come interpretare l’art.

12 della legge n. 162 del 2014. Le Associazioni ricorrenti lamentavano In primo luogo, che la

circolare non si limiterebbe a suggerire un’interpretazione della norma ma le darebbe un nuovo

contenuto con il consentire un più ampio accesso alla separazione e al divorzio in sede

amministrativa superando, almeno parzialmente, il limite frapposto dal legislatore con il divieto



d’inserire negli accordi davanti al sindaco “patti di trasferimento patrimoniale”. Inoltre, affidare

esclusivamente ai coniugi la facoltà di stabilire l’an e il quantum degli assegni senza che l’ufficiale

dello stato civile abbia il potere di sindacarne la congruità priverebbe il coniuge più debole della

garanzia di un controllo affidato a soggetti terzi siano essi il giudice o, nella separazione e nel

divorzio per negoziazione assistita, il pubblico ministero e i difensori delle parti: sarebbe così

violato, sostengono i ricorrenti, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost., poiché il soggetto più

debole “potrebbero essere indotti ad accordi di tipo patrimoniale lesivi dei propri interessi in un

àmbito nel quale mancano adeguate garanzie di tutela” dato che la presenza dei difensori nel

procedimento di separazione e di divorzio in sede amministrativa è soltanto facoltativa. Il TAR

aveva così accolto il ricorso delle Associazioni ricorrenti: “Posto che, nell’ambito del procedimento

semplificato di separazione e di divorzio innanzi all’ufficiale di stato civile, ai sensi dell’art. 12 del

d.l. n. 132/14, convertito in l. n. 162/14, l’accordo tra le parti non può contenere patti di

trasferimento patrimoniale, sono illegittimi i provvedimenti amministrativi interpretativi secondo

cui tale divieto non ricomprende gli accordi sul riconoscimento di un assegno di mantenimento o

divorzile, restando esclusa dal procedimento solo la previsione di un assegno una tantum. È nulla

in quanto illegittima, la circolare 24 aprile 2015, n. 6, del Ministero degli Interni che dava ai sindaci

indicazioni su come interpretare l’art. 12 della recente legge n. 162 del 2014 sulla deiurisdictio a

proposito delle separazioni e dei divorzi ‘celebrati’ davanti agli stessi sindaci affermando che: ‘Non

rientra... nel divieto della norma la previsione, nell’accordo concluso davanti all’ufficiale dello

stato civile, di un obbligo di pagamento di una somma di denaro a titolo di assegno periodico, sia

nel caso di separazione consensuale (c.d. assegno di mantenimento), sia nel caso di richiesta

congiunta di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio (c.d. assegno divorzile)’.

La suddetta norma, ricomprende, invece, ogni ipotesi di trasferimento patrimoniale, intendendosi

per tale il trasferimento avente ad oggetto beni ben individuati o una somma di denaro. Infatti sia

che si tratti di uno o più beni ben individuati sia che si tratti di somme di denaro, in ogni caso si

determina un accrescimento patrimoniale nel soggetto in favore del quale il trasferimento viene

eseguito. Esso può avvenire una tantum, in un’unica soluzione, o mensilmente o comunque

periodicamente, e tuttavia la modalità stabilita non vale a modificare la natura dell’operazione,

che rimane sempre quella di trasferimento patrimoniale”.

43 chiArloni, Minime riflessioni critiche su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in

Riv. trim. dir. proc. civ., 2015.

44 Trib. Pordenone, Sent., 17.03.2017.