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L’art. 6, legge n. 164 del 2014, consente o meno negli accordi di negoziazione assistita che i coniugi assumano una determinazione una tantum del contributo di mantenimento o dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, 8° comma, legge n. 898 del 1970? Opinioni a confronto

autore: R. Donzelli

Tra le recenti riforme della giustizia civile, la negoziazione assistita in materia familiare ha costituito di certo una delle – invero non molte – novità più apprezzate. Lo strumento, infatti, rappresenta un valido incentivo a risolvere la crisi co niugale in tempi rapidi e mediante soluzioni condivise. Occorre, infatti, tener conto che, in questo particolare ambito della giustizia civile, gli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie rispondono non solo al generico interesse ad evitare che la lite si inasprisca, assumendo formalmente la dimensione giurisdizionale, ma anche all’esigenza – più specifica – di evitare il processo, quale luogo di “eternizzazione” della crisi familiare; crisi, che appunto, alimentata dalla dinamica naturalmente conflittuale della disputa giudiziale, tende a paralizzare i coniugi in una dimensione esistenziale atemporale, la quale ostacola il libero e pieno sviluppo della personalità di tutti i soggetti coinvolti: genitori e figli. D’altro canto, non poche perplessità ha destato l’opzione normativa di rimettere all’autonomia privata la soluzione di controversie, che in larga misura sottintendono interessi di rilievo pubblicistico. E non a caso, sebbene con diverse sfumature, si è celebrato in dottrina il tramonto dell’indisponibilità dei diritti coinvolti nei procedimenti di separazione e divorzio1 . Il principale problema posto dalla nuova normativa è stato, infatti, il comprendere come procedure così semplificate ed alternative a quelle giurisdizionali potessero adattarsi a materie al contrario estremamente delicate e complesse, sinora sempre sottoposte ad un penetrante e necessario intervento giudiziale anche a prescindere da un eventuale accordo raggiunto tra i coniugi. Invero, nel nostro ordinamento accanto a diritti propriamente indisponibili, ve ne sono altri che possono ben essere oggetto di disposizione da parte dei titolari, purché siano rispettate alcune condizioni e prescrizioni, che la legge detta affinché l’atto di disposizione corrisponda ad una scelta libera e consapevole. Esemplare è la disciplina dettata dall’art. 2113 c.c. con riguardo alle controversie di lavoro ex art. 409 c.p.c. In altri casi ancora, le parti possono disporre dei propri diritti mediante un accordo i cui effetti sono condizionati all’espletamento positivo di un sindacato giudiziale. È quel che avviene tipicamente nella separazione consensuale e nel divorzio a domanda congiunta, soprattutto con riguardo ai diritti dei figli minori ai sensi degli artt. 337-ter, comma 2, 158, comma 2, c.c., 4, comma 16, l. div., ma anche nel caso in cui, sempre in sede di divorzio, le parti abbiano convenuto che l’assegno divorzile sia corrisposto in un’unica soluzione ex art. 5, comma 8, l. div. In queste fattispecie, il giudice svolge una valutazione, che, nel primo caso, è di rispondenza degli accordi all’interesse dei minori e che, nel secondo, invece, riguarda l’equità del quantum riconosciuto all’altro coniuge. Al riguardo, la lettera dell’art. 6, comma 2, d.l. n. 132/2014, chiarisce che nella procedura di negoziazione assistita il primo dei due controlli giudiziali menzionati è senz’altro rimesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, che alternativamente autorizza o trasmette l’accordo al presidente del tribunale. E su questo piano i problemi riguardano semmai il ruolo che spetta ai minori in questo procedimento, specie sotto il profilo dell’ascolto2 , nonché l’incomprensibile equiparazione dei figli maggiorenni non autosufficienti ai figli minori o portatori di handicap. Diversamente, pare venga meno, ovviamente in caso di divorzio, il sindacato riguardante la congruità dell’assegno una tantum. Difatti, non solo non vi è alcuna menzione nel testo di legge di siffatto sindacato, ma può anche darsi che l’accordo contenente tale previsione, in assenza di figli, sia soggetto a mero “nulla osta”, ovvero richieda l’applicazione del procedimento maggiormente semplificato nel quale il p.m. è investito di poteri meramente certificativi-notarili. Tenendo conto di tali considerazioni, la dottrina si è divisa tra coloro che hanno ritenuto inammissibile l’una tantum in sede di negoziazione assistita3 e coloro che, pur ritenendola ammissibile, hanno di contro ritenuto possibile un successivo controllo giudiziale di equità all’interno di un secondo ed eventuale giudizio4 . Va detto che la soluzione del quesito non è delle più agevoli, posto che la stessa interpretazione del disposto dell’art. 5, comma 8, l. div. appare tutt’ora travagliata5 . Probabilmente un primo distinguo va formulato. Occorre, infatti, tenere separato il caso in cui l’una tantum sia stabilita in un accordo di separazione o, diversamente, in uno di divorzio. Nel primo caso, l’ammissibilità della corresponsione del mantenimento in una unica soluzione deve ritenersi pacifica, ma, in conformità alle regole ordinarie, tale previsione non impedirà un successivo vaglio giudiziale di equità al momento di pronunciare il divorzio6 . Il problema si pone, invece, nel secondo caso, ovvero quando i coniugi intendano conseguire mediante la negoziazione gli stessi effetti del provvedimento di divorzio. A giudizio di chi scrive le strade percorribili sono due, mentre soluzioni intermedie appaiono meno convincenti alla luce di quanto dispone l’art. 5, comma 3, d.l. 132/2014, secondo cui, come è noto, “l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. La facoltà prevista dall’art. 5, comma 8, l. div., infatti, manifesta una ratio strettamente legata alla natura e alla funzione del provvedimento giudiziale che modifica lo status, sicché: o si ritiene che tale specifica pattuizione sia inammissibile in sede di negoziazione, oppure, laddove si propenda per la soluzione opposta, appare contrario alla lettera dell’art. 5 summenzionato ritenere che l’accordo raggiunto possa essere privato dell’effetto preclusivo, che la legge tipicamente gli attribuisce. Laddove, dunque, si acceda alla seconda opzione ora rappresentata, occorrerà anche prendere atto che nella negoziazione assistita il nostro legislatore ha attribuito agli avvocati, che assistono le parti nella conclusione dell’accordo, il compito di informarle e tutelarle, affinché possano giungere a soluzioni negoziali sufficientemente ponderate e conformi alla legge.

NOTE

1 F.P. luiso, Le disposizioni in materia di separazione e divorzio, in Processo civile efficiente e

riduzione dell’arretrato, a cura di F.P. luiso, Torino, 2014, 33 ss.; F. tommaseo, La tutela

dell’interesse dei minori dalla riforma della filiazione alla negoziazione assistita delle crisi coniugali,

in Fam. dir., 2015, 157 ss.; F. DanoVi, Crisi della famiglia e giurisdizione: un progressivo distacco,

ivi, 1043 ss.; meno netto, A. CaRRatta, Procedure stragiudiziali per la separazione e il divorzio, in Il

libro dell’anno del diritto Treccani, Roma, 2016.

2 Ma cfr. il nostro, L’ascolto del minore come situazione processuale partecipativa attenuata, in

Studi in onore del Prof. N. Picardi, di imminente pubblicazione.

3 Cfr. ad es. M.A. luPoi, Separazione e divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2015, 283 ss.

4 Cfr. ad es. M. sesta, Negoziazione assistita e obblighi di mantenimento, in Fam. dir., 2015, 295 ss.

5 Per una chiara disamina delle diverse posizioni, v. di recente B. GRazzini, Assegno di divorzio:

“doppia una tantum” e indisponibilità del diritto, in Fam. dir., 2016, 496 ss.

6 Cfr. Cass., 10 febbraio 2014, n. 2948.