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L’art. 6, legge n. 164 del 2014, consente o meno negli accordi di negoziazione assistita che i coniugi assumano una determinazione una tantum del contributo di mantenimento o dell’assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, 8° comma, legge n. 898 del 1970? Opinioni a confronto

autore: C. Cecchella

Il legislatore nel regolamentare la negoziazione assistita nel contesto particolare dei procedimenti di separazione e divorzio (a cui si aggiunge oggi lo scioglimento dell’unione civile ai sensi della legge n. 76 del 2016) , ha sancito con affermazione insuscettibile di interpretazioni riduttive all’art. 6, 3° comma: “L’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al comma 1°, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio”. Pertanto è evidente che il negozio assistito perfezionato tra i coniugi può avere ad oggetto tutte le possibili statuizioni, ovviamente concordate, delle sentenze di separazione, di divorzio e dei decreti di revoca e/o modifica, ex art. 710 c.p.c. e art. 9, l. n. 898 del 1970. Tra queste certamente le statuizioni che riguardano la disciplina dei diritti del minore dopo la crisi coniugale, come è noto caratterizzate dalla indisponibilità della situazione coinvolta, ma cionondimeno, sulla base di un’opzione chiara ed incontestata del legislatore, oggetto di una possibile negoziazione tra i genitori soggetta, al fine della produzione dei suoi effetti, esclusivamente alla certificazione di compatibilità con le norme imperative degli avvocati e dall’autorizzazione del Pubblico ministero. Se dunque è pacifico e incontestabile che alla luce della parificazione degli accordi di negoziazione assistita ai provvedimenti giudiziali in sede di separazione e divorzio, consente la trattazione sul piano dell’autonomia privata anche di diritti indisponibili come quelli di cui sono titolari i figli, non può esser negata la possibilità – nell’ampiezza della formulazione dell’art. 6, 3° comma, cit. – della corresponsione in un’unica soluzione del contributo di mantenimento in sede di separazione o dell’assegno divorzile in sede di scioglimento del vincolo, clausola che produce, alla pari del corrispondente provvedimento giurisdizionale, l’inammissibilità di domande volte, anche in relazione a mutate circostanze, a stabilire un contributo di mantenimento o un assegno divorzile (con l’avvertenza, tuttavia, che la liquidazione una tantum in sede di separazione non preclude, per la sua autonomia, la discussione in sede di divorzio sull’assegno divorzile, cfr. da ultimo Cass. 10 febbraio 2014, n. 2948). Vi è infatti da sottolineare l’ulteriore conferma, non solo offerta dalla parificazione degli effetti dell’atto privato rispetto all’atto giudiziale, costituito dal fondamento del contributo e/o assegno una tantum sulla base di un accordo delle parti, che costituisce la sostanza del negozio assistito. Nel contempo non può essere limite alla pattuizione di un contributo o assegno una tantum la previsione, pur contenuta nell’art. 5, 8° comma, l. n. 898 del 1970, di un giudizio equitativo che il tribunale deve condurre e ciò per la semplice ragione che la parificazione degli effetti del negozio alla sentenza o al provvedimento giudiziale, avviene, a seguito dell’art. 6, legge n. 164 del 2014, senza un preventivo sindacato giudiziale sulla base della semplice certificazione di compatibilità con la norma imperativa da parte dell’avvocato e da parte del pubblico ministero in sede di autorizzazione. La mancata verifica di una congruità equitativa del contributo o dell’assegno una tantum, non è argomento che possa giustificare una preclusione dell’accordo specifico, in quanto esso non costituisce valutazione del pubblico ministero in sede autorizzativa o in sede di nulla osta, per la semplice ragione che in mancanza, nell’ambito della negoziazione assistita, di una norma come l’art. 2113 c.c. che stabilizza definitivamente gli accordi conciliativi nelle sedi sindacali e amministrative deputate in materia di controversie di lavoro, esonerandole da un sindacato di compatibilità con la norma imperativa e inderogabile, gli accordi di negoziazione assistita sono sempre impugnabili per violazione della norma imperativa. Se dunque l’accordo sulla contribuzione una tantum è consentito, non sembra altrettanto dubitabile che in sede di impugnativa dell’accordo o in sede di domanda volta ad ottenere l’erogazione del contributo dell’assegno, possa essere messo in discussione, e quindi impugnato, l’accordo che si presenti manifestamente iniquo, in quanto volto – contro disposizioni imperative che impongono al coniuge economicamente più forte di contribuire al mantenimento del coniuge economicamente più debole – ad esautorare l’obbligo di mantenimento. Il tribunale adito in sede di impugnativa per nullità dell’accordo o in sede di domanda di accertamento del diritto al mantenimento, utilizzerà il parametro dell’idoneità dell’assegno in unica soluzione a soddisfare le esigenze di mantenimento dell’ex coniuge, privo di mezzi adeguati e oggettivamente impossibilitato a procurarseli. L’accordo sul contributo una tantum vale ovviamente nei rapporti tra i coniugi, non essendo configurabile, per difetto di previsione legislativa, in relazione al contributo di mantenimento del figlio, come ha recentemente opportunamente riconosciuto Cass. 13 giungo 2014, n. 13424.