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Alcune riflessioni relative all’accettazione di eredità nella procedura di amministrazione di sostegno

autore: C. Ventimiglia

Sommario: 1. L’accettazione di eredità è un atto necessariamente di competenza dell’amministratore di sostegno? - 2. Accettazione semplice o con beneficio di inventario? - 3. È possibile un’accettazione tacita dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c.? - 4. Atti di accettazione compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione del decreto di nomina o in violazione di norme: annullabilità o nullità? - 5. Qualche considerazione conclusiva



1. L’accettazione di eredità è un atto necessariamente di competenza dell’amministratore di sostegno?



L’amministrazione di sostegno, come ben noto, è un istituto volto a tutelare i soggetti privi in parte o del tutto di autonomia, così come programmaticamente enunciato dal legislatore nel Titolo XII del libro II Codice civile. La differenza rispetto all’interdizione ed all’inabilitazione è sostanziale, in quanto non vi è fra i presupposti una valutazione necessaria in merito alla capacità di intendere e volere, ma questo non significa che non possano essere soggetti a tale misura di protezione coloro che hanno perduto in parte o, secondo la giurisprudenza maggioritaria anche completamente, la loro capacità cognitiva. L’amministrazione di sostegno si caratterizza per essere una misura che, nel suo contenuto concreto, è costruita sulle caratteristiche e sulle necessità del beneficiario, il quale, a norma dell’art. 409 c. 1 c.c. conserva intatta la sua capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno così come indicati nel contenuto del decreto di nomina ai sensi dell’art. 405 c. 4 c.c. Sarà dunque il Giudice Tutelare, assunte tutte le informazioni del caso, a stabilire la gravità dell’incapacità nel provvedere ai propri interessi del beneficiario e di conseguenza quanto invasiva sarà l’attività dell’amministratore di sostegno nella vita dell’amministrato. La legge 6/2004 che ha istituito l’amministrazione di sostegno è stata concepita proprio per valorizzare al massimo le facoltà residue del beneficiario, il quale diventa protagonista della misura di protezione, potendo anche relazionarsi con il Giudice Tutelare, divenendo titolare del diritto ad essere informato in merito alle decisioni prese nel suo interesse e potendo anche opporvisi. Nella prassi vi sono casi assolutamente pacifici in cui il beneficiario è ormai troppo anziano per riuscire ad occuparsi anche in parte dei suoi interessi, oppure casi in cui la disabilità è talmente evidente che è assodato che lo stesso mai potrà gestire efficacemente il proprio patrimonio. Vi sono però numerosi casi, specialmente quelli concernenti le patologie psichiatriche, in cui l’effettiva incapacità del beneficiario è molto più sfumata, può manifestarsi a tratti e soprattutto può non essere chiaramente evidente ai terzi. Non solo: vi sono anche situazioni in cui l’opposizione del bene ficiario alla misura di protezione dà luogo ad un decreto di nomina dal contenuto molto ristretto, in cui l’amministratore di sostegno designato deve compiere solo un’attività di supervisione o porre un limite alle spese. In questo quadro, in cui le capacità del beneficiario non sono predeterminate dalla legge ma dal contenuto del decreto, occorre in primo luogo comprendere se, in difetto di espressa previsione del decreto stesso, il beneficiario conservi in astratto la capacità di accettare o meno un’eredità. A bene vedere, l’art. 409 c.c. stabilisce che il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti non espressamente indicati come da compiersi dall’amministratore di sostegno o con il suo ausilio. Quindi la risposta dovrebbe essere affermativa, anche in ossequio alla ratio della misura di protezione, volta a limitare il meno possibile le capacità residue. Nei casi in cui il decreto di nomina nulla preveda in merito, accogliendo questa tesi, peraltro, diviene superfluo domandarsi con quali modalità egli potrà accettare l’eredità, dato che, non essendo egli sottoposto ad alcuna limitazione alla sua capacità di agire in tale ambito, potrà accettare puramente e semplicemente, con inventario o anche in maniera tacita ex art. 476 c.c. E chiaramente ne sopporterà tutte le conseguenze di legge, a prescindere dall’esistenza della misura di protezione: una volta compiuta l’accettazione varrà il principio semel heres semper heres, risponderà con il suo patrimonio in caso di eredità passiva, in caso di accettazione con beneficio di inventario dovrà rispettare i termini per la formazione dell’inventario e per la dichiarazione di accettazione, sobbarcandosene le conseguenze in difetto. La presente tesi è ampiamente condivisa dalla dottrina1 , la quale risponde in tal senso, pur ponendosi diversi dubbi concernenti il coordinamento delle varie norme, specie con gli artt. 471 e 472 c.c. che impongono l’obbligo di accettazione beneficiata per interdetti e inabilitati. Nella pratica si presenta di frequente il caso in cui, pur in assenza di espressa previsione di un esplicito potere di accet tazione dell’eredità in capo all’amministratore di sostegno, il decreto abbia contenuto così ampio da poter essere equiparato ad una tutela. In tale caso si potrebbe dunque sostenere che l’amministrato sia equiparabile ad un incapace e come tale, pur in assenza di espressa previsione del decreto di nomina, sia a lui precluso ogni atto di accettazione di eredità per effetto dell’applicazione degli summenzionati artt. 471 e 472 c.c. sulla base dell’assunto che tali norme si applicano ai soggetti incapaci, tanto quanto lo sarebbe il destinatario di un provvedimento di amministrazione di sostegno con un esteso contenuto. In realtà la dottrina non ritiene che l’estensione de quo possa operare ex lege, essendo il beneficiario non legalmente incapace, non essendoci un espresso rinvio a tali norme e trattandosi di norme eccezionali non suscettibili di interpretazione analogica2 . Vi è stato peraltro un decreto del Tribunale di Roma3 , oggetto a suo tempo di attenta analisi da parte della dottrina4 , che parrebbe estendere l’obbligo di accettazione beneficiata da parte dell’amministratore di sostegno (e si badi non da parte del beneficiario). Il decreto in oggetto, peraltro, risulta molto scarno e non è dato modo di comprendere se il Giudice Tutelare abbia inteso imporre l’accettazione con beneficio di inventario da compiersi ad opera dell’amministratore di sostegno per estensione degli artt. 471 e 472 c.c., per applicazione dell’art. 41 u.c. c.c. ovvero perché semplicemente l’eredità era passiva, e imponendo le normali cautele del pater familias all’amministratore di sostegno. Occorre peraltro osservare come l’art. 409 c.c. vada coordinato con l’art. 411 c. 1 c.c., il quale recita che all’amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le norme di cui agli artt. 374 a 388 c.c. Nella fattispecie, l’art. 374 c.c. prevede che il tutore non possa accettare eredità senza l’autorizzazione del Giudice Tutelare. L’interpretazione può essere duplice. L’art. 374 c.c., collocato nell’impianto normativo della tutela, che preclude ogni atto all’interdetto, si rivolge necessariamente al tutore e si potrebbe dunque interpretare tale norma e tale richiamo (considerando anche l’inciso dell’art. 411 c. 1 c.c. “in quanto compatibili”) come un divieto all’amministratore di sostegno di accettare l’eredità senza autorizzazione, ma solo e soltanto nel caso in cui tale facoltà sia a lui riservata. Il beneficiario rimarrebbe dunque libero di accettare un’eredità se il decreto di nomina nulla preveda in merito, verrebbe sottoposto un vincolo esclusivamente all’amministratore di sostegno. L’altra interpretazione consiste nel ritenere che il richiamo all’art. 374 c.c. integri in qualche modo l’art. 409 c.c., per cui la capacità di agire del beneficiario non viene limitata soltanto dal decreto di nomina ma anche ex lege, mediante l’art. 411 c. 1 c.c. che, richiamando gli artt. 374 e 375 c.c., stabilisce che per gli atti giuridici indicati in codeste norme, considerati atti dalle conseguenze particolarmente rilevanti, il beneficiario non possa agire. Pertanto anche in difetto di espresso richia mo nel decreto di nomina, al beneficiario risultano preclusi gli atti di cui a tali articoli, i quali potranno essere compiuti solo dall’amministratore di sostegno e solo con autorizzazione ad hoc, con la conseguenza che anche il beneficiario destinatario di un provvedimento di amministrazione di sostegno molto blando, magari di mera supervisione, non potrà accettare un’eredità. Si potrebbe ancora ritenere che il richiamo a tale norma ad opera dell’art. 411 c. 1 c.c. debba essere interpretato in senso ancora più lato, per cui, a prescindere dall’espresso dato testuale (“il tutore non può senza l’autorizzazione del Giudice Tutelare… accettare eredità”), il significato del rimando consista nella necessità che sia l’amministratore di sostegno che il beneficiario, qualora non sia stato privato della capacità di accettare, debbano domandare l’autorizzazione al Giudice Tutelare per poter accettare: in questo modo si potrebbe realizzare una modalità di controllo giudiziale intermedia, in cui il beneficiario non sarebbe del tutto privato della capacità di accettare l’eredità, ma comunque dovrebbe domandare al Giudice l’autorizzazione a farlo e in difetto l’accettazione sarebbe viziata. Il contenuto della norma però sembrerebbe troppo preciso, il fatto che si rivolga espressamente al tutore rende ardua un’interpretazione estensiva: certo è che accogliendo tale linea esegetica si potrebbe realizzare un efficace contemperamento fra dato testuale, esigenze di controllo e rispetto delle capacità residue del beneficiario. La questione rimane marginale nella pratica, considerato che usualmente l’amministratore di sostegno bene conosce la situazione del beneficiario e in caso di chiamata all’eredità informa il Giudice Tutelare in merito. Però ben può accadere che un beneficiario particolarmente non collaborante ovvero un amministratore di sostegno, specie se parente e quindi non professionista, non comunichino al Giudice Tutelare l’avvenuta devoluzione e che compiano o facciano compiere atti di accettazione al beneficiario: le conseguenze sono completamente diverse a seconda che si accolga l’una o l’altra tesi, in quanto o l’atto di accettazione, anche tacita, sarà perfettamente valido ed efficace oppure sarà annullabile ovvero nullo (v. infra).



2. Accettazione semplice o con beneficio di inventario?



Oltre alla questione suesposta, dal 2004 ad oggi sia la giurisprudenza che la dottrina si sono molto occupati del problema relativo alle modalità di accettazione di eredità di un amministrato. La domanda che viene posta è se, a prescindere dalla questione sopra esaminata concernente chi materialmente debba accettare, trovino applicazione diretta l’art. 471 e 472 c.c. che dispongono per gli interdetti e gli inabilitati l’obbligo di accettazione con beneficio di inventario. Nel citato decreto del Tribunale di Roma pareva ribadirsi la necessità di un’accettazione con beneficio di inventario, per maggior tutela del soggetto debole. Vi sono state poi altre pronunce di senso inverso (certamente ve ne sono altre, ma stante la natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione non è agevole il loro reperimento), fra queste Tribunale di Pordenone 4 giugno 20055 , Tribunale di Trieste 14 gennaio 20086 e Tribunale di Genova 25 febbraio 20157 , la tendenza che pare ormai affermata è nel senso di escludere la necessità dell’accettazione con beneficio di inventario. La dottrina ha poi pressoché concordemente concluso che il mancato richiamo agli art. 471 e 472 c.c. ad opera dell’art. 411 c.c. debba equivalere ad un mancato obbligo di accettazione con beneficio di inventario, non ritenendo tali articoli suscettibili di interpretazione analogica in quanto norme eccezionali8 . Taluni voci discordi9 hanno peraltro evidenziato che qualora si ritenga che l’amministratore di sostegno sia autorizzato dal Giudice Tutelare al compimento dell’atto di accettazione, si debba inferire che in tale ambito il beneficiario sia da considerarsi incapace e come tale l’accettazione debba avvenire con le modalità degli incapaci, ossia con beneficio di inventario, sottolineando inoltre come l’accettazione beneficiata sia, anche e soprattutto una forma di tutela che pertanto andrebbe estesa nell’interesse del soggetto debole. Attualmente in effetti l’interpretazione più comune è che l’accettazione non debba per forza compiersi con il beneficio di inventario ma che la stessa possa essere domandata al Giudice Tutelare qualora il caso in concreto lo richieda: egli dunque provvederà ex art. 411 c.c. ultimo comma ad applicare all’amministrazione di sostegno le norme di cui agli articoli indicati, obbligando l’accettazione con beneficio di inventario (che verrà dunque effettuata dall’amministratore di sostegno) come se il beneficiario fosse interdetto10. Non si è mancato di sottolineare però che il decreto di autorizzazione dovrebbe contenere anche l’espresso richiamo all’art. 489 c.c.11 il quale stabilisce che le decadenze che comportano la perdita del beneficio di inventario (ossia mancato rispetto dei termini per la formazione dell’inventario e per la dichiarazione di accettazione) si verificano solo allo scadere del compimento di un anno dalla cessazione della causa dell’incapacità. In effetti il richiamo non sarebbe superfluo: nel caso di interdetti e inabilitati è la legge stessa che stabilisce la necessità di accettazione beneficiata ed è la legge stessa che stabilisce l’esistenza di una disciplina diversa delle decadenze. Nel caso dell’amministrazione di sostegno, l’estensione viene effettuata dal Giudice Tutelare con decreto ad hoc, quindi può compiere scelte e valutazioni specifiche che potrebbero escludere l’applicazione dell’art. 489 c.c. Ad essere precisi la tutela esercitata dall’accettazione con beneficio d’inventario potrebbe anche realizzarsi senza il necessario intervento dell’amministratore di sostegno: da un lato l’amministrato potrebbe decidere di accettare comunque l’eredità con beneficio di inventario come facoltà concessa a chiunque, accettando da un notaio o presso la cancelleria e poi formando l’inventario elencando attività e passività del de cuius. Non solo, potrebbe lui stesso domandare l’estensione della tutela ex artt. 471 e 472 c.c. al Giudice Tutelare, a norma dell’art. 411 u.c. c.c. che recita che la richiesta di estensione delle tutele previste per gli incapaci può essere domandata anche dal beneficiario stesso. Ma queste sono ipotesi di scuola: coloro che conoscono la quotidiana realtà della maggior parte dei beneficiari di amministrazione di sostegno sanno che gli stessi non sono in grado di compiere valutazioni tecnico-giuridiche così sottili, valutazioni che addirittura sfuggirebbero alla maggior parte delle persone. Solitamente la nomina dell’amministratore di sostegno interviene per l’esistenza di fragilità concernenti la gestione quotidiana, tali atti complessi sono nella quasi totalità dei casi fuori dalla portata di un beneficiario. Da ultimo non è superfluo osservare come non di rado il decreto di autorizzazione abbia contenuto assai scarno, spesso a causa della mole di lavoro alla quale sono sottoposti taluni Giudici Tutelari. E nel caso in cui il Giudice Tutelare, su istanza dell’amministratore di sostegno, si limiti ad autorizzare l’accettazione con beneficio di inventario di una eredità da parte di quest’ultimo, in realtà rimangono aperte diverse questioni, in primis proprio quella relativa all’estensione del contenuto dell’art. 489 c.c.12.



3. È possibile un’accettazione tacita dell’eredità ai sensi dell’art. 476 c.c.?



Come visto nel punto sub 1), secondo l’interpretazione corrente, qualora il decreto di nomina nulla preveda, il beneficiario conserva la capacità giuridica di accettare un’eredità e conservandola dovrebbe mantenere tutti i diritti e facoltà concesse a un soggetto pienamente capace. Ne consegue che risulterebbe pienamente ammissibile un’accettazione per facta concludentia. Se dal punto di vista giuridico questa interpretazione risulta lineare e correttamente motivata, dal punto di vista pratico può davvero dar luogo a situazioni rischiose per il beneficiario stesso. Come detto, nella pratica molto spesso i beneficiari sono soggetti che a malapena riescono a gestire la quotidianità e di frequente l’apertura della procedura interviene per difficoltà nella corretta gestione del proprio patrimonio. Non è una ipotesi di scuola che un beneficiario, attirato dalla possibilità di un facile introito, dichiari ad un funzionario di banca di essere erede del proprio genitore, senza domandarsi se oltre al piccolo attivo esistente in banca esistano debiti consistenti magari verso enti concessionari della riscossione. In questo caso, se da un lato viene rispettato il principio pur meritevole di tutela del pieno rispetto delle capacità del beneficiario così come previsto legge, dall’altro non si realizza certamente l’esigenza di tutela di un soggetto debole13. Il discorso invece appare completamente diverso per l’accettazione da parte dell’amministratore di sostegno: il richiamo all’art. 374 c.c., che impone l’autorizzazione giudiziale per l’accettazione di eredità, fa escludere che egli possa accettare in modo tacito un’eredità devoluta al beneficiario, pertanto gli atti di accettazione tacita rimarranno privi di effetti14. La citata sentenza in nota è stata pronunciata in un caso concernente una tutela e la pronuncia ha appunto stabilito che gli atti compiuti dal tutore fossero nulli, però occorre domandarsi se in caso di amministrazione di sostegno la questione sia esattamente identica o meno.



4. Atti di accettazione compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione del decreto di nomina o in violazione di norme: annullabilità o nullità?



L’art. 412 c.c. prevede che gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa e che possono essere parimenti annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno15. La normativa in oggetto appare certamente peculiare, specie per quanto concerne gli atti compiuti in violazione di legge: taluni autori non hanno mancato di rilevare come la disciplina sia stata mal concepita e che sia eccessivamente ampia16 (si consideri l’obbligo di informare ogni volta il beneficiario dell’attività da compiersi, ex art. 410 c.c., norma pressoché impossibile da rispettarsi nell’ordinaria amministrazione) e come, specie per taluni atti particolarmente rilevanti, l’attività di controllo sia doveroso effettuarla prima e non dopo il compimento dell’atto stesso. Gli atti di accettazione di eredità possono dunque venire annullati: ma ciò significa che, fino a quando non intervenga un’azione di annullamento con la relativa sentenza, gli atti compiuti dispiegano i loro effetti e continuano a dispiegarli se tale azione non venga intrapresa entro il termine di cinque anni. A tale proposito è bene osservare che l’ultimo comma dell’art. 412 c.c. espressamente sancisce il termine di cinque anni per la proposizione dell’azione di annullamento, ma fa decorrere tale prescrizione dalla data di cessazione dell’amministrazione di sostegno: nella pratica, nella maggior parte dei casi dal momento del decesso del beneficiario. Anche in questo caso è stato rilevato come la normativa sia stata mal strutturata, atteso che il termine in oggetto incide pesantemente sulla certezza dei traffici giuridici17. Trattandosi di atti annullabili, possono essere sanati attraverso il compimento dell’attività necessaria per la regolarità dell’atto. È bene ricordare che la convalida consiste in un ne gozio accessorio di secondo grado di contenuto non economico che integra un negozio precedente18: si tratta dunque sempre di un atto da porre in essere e nella presente ipotesi un atto che deve intervenire previa autorizzazione del Giudice Tutelare che ex post autorizza a convalidare l’atto. Potrà dunque venire sanata un’accettazione di eredità da parte dell’amministratore di sostegno, sia in difetto di autorizzazione giudiziale, sia a rigore anche quando sia intervenuta tacitamente. I legittimati attivi all’azione di annullamento sono soggetti precisamente individuati, quindi l’invalidità dell’atto non può essere fatta valere da eventuali cointeressati nella vicenda successoria. Ciò significa anche che un’eventuale coerede non potrà fare valere l’invalidità dell’atto ad esempio, qualora ne ricorrano tutti i presupposti, per vedere accresciuta la sua quota. Questo peraltro confligge con l’interpretazione consolidata di dottrina e giurisprudenza in merito al compimento di atti da parte del tutore in violazione del disposto dell’art. 374 c.c.: si ritiene infatti che simili atti, compiuti in violazione di norme imperative che impongono una particolare disciplina per gli atti degli incapaci, siano atti nulli19. Trattandosi di atto nullo, non sarebbe sanabile in alcun modo, l’azione sarebbe imprescrittibile e la nullità potrebbe essere fatta valere da chiunque vi avesse interesse. Nella pratica, gli atti compiuti non sarebbero validi in alcun modo e nel caso, non sarebbe sufficiente sanarli ma dovrebbero essere compiuti ex novo, sempre che nel frattempo non sia intervenuto il termine prescrizionale per accettare l’eredità. La giurisprudenza e la dottrina citati sono fondamentalmente anteriori alla novella del 2004. Successivamente non sono mancate posizioni critiche al contenuto della l. 6/2004 quanto al regime dell’invalidità degli atti, Parrebbe certamente più consono e corretto aderire alla prima linea interpretativa indicata, atteso che il legislatore ha introdotto e specificato che in materia di amministrazione di sostegno la violazione di norme o del decreto comportano annullabilità e non nullità.



5. Qualche considerazione conclusiva



Dalle considerazioni che precedono appare in modo piuttosto evidente come la novella del 2004 abbia tralasciato di effettuare un’attenta coordinazione delle norme in materia di amministrazione di sostegno con le prescrizioni in materia di incapaci, specie per quanto attiene il problema dell’accettazione di eredità. La questione fondamentale consiste nell’estrema difficoltà di approcciarsi alla materia, ed in particolare quella successoria nel caso, in presenza di un’alea di fondo, costituita dal contenuto del decreto di nomina. In materia di amministrazione di sostegno, in cui la capacità del beneficiario è limitata solo nella misura in cui lo preveda il decreto, rimane assai difficoltoso elaborare un’analisi esegetica valida per ogni caso di accettazione di eredità e che consenta a priori di determinare quale disciplina (di conseguenza quale procedura) sia valida e corretta per procedere.

Se da un lato, nello spirito della legge, andrebbe valorizzata ove possibile la capacità residua del beneficiario, d’altro canto, forse, per talune questioni delicate, complesse, dalle conseguenze incerte e soprattutto irreversibili come l’accettazione di eredità, sarebbe opportuno prediligere una interpretazione maggiormente tutelante nei confronti di coloro che comunque dalla stessa legge vengono definite “soggetti privi in tutto in parte di autonomia”. Si devono anche considerare alcune questioni pratiche che incidono fortemente sulla materia: il decreto di nomina (che regola nel dettaglio ogni singola capacità del beneficiario) non è agevolmente conoscibile per i terzi: l’art. 405 u.c. c.c. prevede che il decreto di apertura e di chiusura dell’amministrazione di sostegno debbano essere annotati dall’ufficiale di stato civile a margine dell’atto di nascita, ma questo incombente certamente non consente, a differenza della tutela, di sapere esattamente quali capacità giuridiche residuano in capo al beneficiario. Non solo: il decreto di nomina indicante i poteri potrebbe essere domandato al beneficiario o all’amministratore di sostegno, ma non esiste un regime di pubblicità quanto al contenuto. L’unico modo di conoscere altrimenti il contenuto del decreto di nomina sarebbe quello di accedere agli atti, previa istanza al Giudice Tutelare e relativa autorizzazione, ma se il terzo non è uno dei soggetti di cui all’art. 417 c.c. difficilmente potrà essere autorizzato ad accedere al fascicolo. L’estrema elasticità del contenuto del decreto di nomina, se da un lato costituisce il fondamento della tutela della capacità residue del soggetto debole, dall’altro si presenta come un serio vulnus alla sicurezza dei traffici giuridici, dato che risulta pressoché impossibile conoscere con certezza se un soggetto sia legittimato o meno a compiere un determinato atto. In conclusione, sarebbe auspicabile un’interpretazione della normativa in modo più stringente (e anche in parte limitativa a priori delle capacità del beneficiario), che ammettesse dunque che gli atti di cui artt. 374 e 375 c.c., atti che per espressa previsione normativa hanno un contenuto particolarmente delicato tanto da dover richiedere il vaglio giudiziale anche nel caso di tutela e inabilitazione, siano invalidi sempre e comunque qualora compiuti senza previa autorizzazione del Giudice Tutelare. L’autorizzazione in concreto poi potrebbe avere il contenuto meglio visto in ragione del caso, potrebbe autorizzare un’accettazione pura e semplice o con beneficio di inventario, potrebbe imporre l’atto all’amministratore di sostegno oppure lasciare la facoltà al beneficiario con l’assistenza dell’amministratore di sostegno. In tal modo si tutelerebbe meglio il beneficiario da atti dalle conseguenze potenzialmente irreversibili e contestualmente si consentirebbe ai terzi di poter avere qualche certezza in merito alle capacità della controparte, in quanto basterebbe verificare sull’atto di nascita l’esistenza della procedura per poter inferire che senza l’esibizione dell’autorizzazione giudiziale qualunque atto (in questo caso di accettazione) sarebbe invalido.

NOTE

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