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Lo scioglimento “volontario” dell’unione civile

autore: G. Savi

Sommario: 1. Premessa: l’art. 1, comma 24, l. n. 76/2016. - 2. La dichiarazione di volontà. - 3. La natura del diritto esercitato. - 4. Le distinzioni rispetto al coniugio. - 5. Le ulteriori connessioni processuali. - 6. L’incisivo peso della riforma sulla cd. negoziazione assistita. - 7. Il confronto con la cessazione della convivenza di fatto. - 8. Conclusioni.



1. Premessa: l’art. 1, comma 24, l. n. 76/2016



Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la l. 20 maggio 2016 n. 76, che introducendo nel nostro ordinamento la regolamentazione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (e disciplinando le convivenze, comma 36 ss.), riconosce a questo rapporto la dignità giuridica da tempo sollecitata dai massimi organi di giustizia interni e dalla CEDU1 . Questo nuovo istituto di diritto civile, disegna lo “statuto” di species del rapporto affettivo della coppia dello stesso sesso, di natura familiare, accanto al millenario archetipo sino a ieri integralmente normato, costituito dalla famiglia fondata da un uomo ed una donna sul vincolo di coniugio. Questa riforma, di sicura “rivoluzione” dell’ordinamento positivo2 , contiene accanto alle disposizioni di carattere sostanziale – per la gran parte mutuate dall’istituto matrimoniale – quelle di carattere processuale, la cui analisi sistematica comporta difficoltà decisamente ardue per l’interprete.

La frammistione tra disposizioni sostanziali e processuali oramai consolidatasi nel settore del diritto delle relazioni familiari3 , anche in questo caso, assume l’impronta della specialità autonomamente regolata (secondo disegno inespresso che appare anche come pretesa di integrale separatezza); peraltro, pudicamente, ma solo nella forma, allontanata dal codice sostanziale, come da quello di rito. Già in altra sede si è affrontata la prima ricostruzione sistematica di questo complesso apparato normativo4 , disegnato dall’art. 1, con i primi 35 commi (la forma del dettato legislativo purtroppo evidenzia aspetti approssimativi), evidenziando l’originalità del disposto contenuto nel comma 245 . Questa norma, una delle poche autenticamente “nuova” e che segna distinzione del rapporto rispetto al coniugio, così sancisce: “L’unione civile si scioglie, inoltre, quando le parti hanno manifestato anche disgiuntamente la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile. In tale caso la domanda di scioglimento dell’unione civile è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione”. Il comma prefigura in sostanza una fattispecie di scioglimento “volontario” del vincolo, il cui presupposto è la mera manifestazione di volontà resa dalle parti innanzi all’ufficiale dello stato civile. Opportuno ripercorrere alcuni tratti preliminari alla presente analisi. La disposizione, seguendo un ordine nuovo rispetto al coniugio quanto alle cause di scioglimento del rapporto, introduce dopo la morte (anche soltanto presunta) di cui al comma 22, ed al “divorzio” di cui al comma 236 , la stessa volontà delle parti, alla condizione che venga manifestata dinanzi all’ufficiale dello stato civile; la causa di scioglimento viene preceduta dalla dizione “inoltre”.

Si tratta com’è evidente di una causa di scioglimento diversa dalla fattispecie normativa che nel coniugio può condurre al percorso di scioglimento (o cessazione degli effetti) del vincolo, secondo cui la comunione materiale e spirituale non può essere mantenuta o ricostituita7 , per effetto del pregresso status di separazione personale assistito dall’autorità del giudicato, protrattosi per almeno un anno8 , ovvero sei mesi nell’ipotesi che la separazione sia statuita per mero consenso o comunque assentita, di cui all’art. 3, numero 2, lettera b), l. div., e fondato sull’intollerabilità della prosecuzione della convivenza o sul grave pregiudizio arrecato alla educazione della prole (art. 151 c.c.). Rompendo infatti la simmetria formale con l’istituto matrimoniale, qui si prefigura una fattispecie di scioglimento del rapporto, condizionato alla manifestazione di volontà resa dalle parti, od almeno da una di esse come ora si vedrà, innanzi allo stesso organo che presiede alla dichiarazione costitutiva del vincolo, cioè l’ufficiale dello stato civile.



2. La dichiarazione di volontà



La forma della dichiarazione di volontà non viene fissata, rinviando evidentemente alle norme delegate ed attuative di cui al comma 28, lettera a), della stessa legge. Invero, è intervenuta la normazione delegata provvisoria di cui al comma 34, emanata con il d.p.c.m. 23 luglio 2016 n. 144 e con il d.m. Interno 28 luglio 2016; il primo provvedimento all’art. 6, comma 4, prevede testualmente come “Ai fini dello scioglimento di cui all’articolo 1, comma 24, della legge, si osservano, in quanto compatibili, le disposizioni del presente articolo”; disposizioni che richiamano in sostanza gli artt. 12 e 6 del d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con la l. 10 novembre 2014 n. 162, che ne ha costituito il modello cui all’evidenza ci si è ispirati, soluzione peraltro applicabile, per espressa previsione, anche all’unione civile, in sede di alternativa regolamentazione della crisi del rapporto; ed il secondo con la formula n. 10 dell’allegato “A” (la cui trascrizione testuale appare opportuna per la significativa efficacia), prefigura la seguente modalità concreta:



Dichiarazione della volontà di scioglimento dell’unione civile (articolo 1, comma 24, legge 20 maggio 2016, n. 76). Oggi … avanti a me …, Ufficiale dello stato civile del Comune di …, (indicare se nella funzione di sindaco o di chi lo sostituisce o per delega avuta), sono comparsi gli uniti civilmente/è comparso l’unito civilmente … (indicare le complete generalità degli uniti civilmente o dell’unito civilmente, in caso di dichiarazione di una sola parte) i quali mi dichiarano/il quale mi dichiara: - di avere costituito unione civile in data …, in …, dinanzi a …, di cui all’atto iscritto/trascritto nel registro provvisorio delle unioni civili del Comune di …, n …, parte …, serie …; - di volere lo scioglimento dell’unione. Eventuale: a tal fine mi hanno prodotto/ha prodotto i seguenti documenti: (elencarli) che, muniti del mio visto, inserisco nel volume degli allegati al registro provvisorio delle unioni civili. Il presente atto viene letto ai dichiaranti i quali, insieme con me lo sottoscrivono.



Risultano in sostanza confermativi i decreti legislativi delegati, formulati dall’Esecutivo ed in corso di approvazione definitiva. Ciò non di meno, pur trovandoci al cospetto di una disciplina provvisoria, la norma legislativa suggerisce semplicità che induce ad ipotizzare – come si rinviene appunto nelle menzionate indicazioni provvisorie – una documentazione su modello standard da assumere con le note formalità dichiarative già previste per gli atti di stato civile9 , i quali, giova sottolinearlo, hanno la forza probatoria indicata nell’art. 451 c.c. Non v’è altra cautela formale o sostanziale, quale, ad esempio, l’assistenza di testimoni. La norma prevede che una tale volontà di sciogliere l’unione possa essere manifestata dalla parte “anche disgiuntamente”, con ciò evidentemente presupponendo che tale dichiarazione possa essere espressa congiuntamente, come invero si può anche ipotizzare avverrà prevalentemente. Questo sta a significare che la volontà di sciogliere il rapporto costituito può essere coincidente, ma espressa contestualmente o con separate dichiarazioni, ovvero in dissenso con il volere dell’altro. Invero, l’uso dell’espressione “disgiuntamente” appare a prima vista equivoco se non addirittura – stando al significato delle parole nella nostra lingua – condurre a ben diverso risultato (il legislatore d’altronde ci sta abituando ad espressioni linguistiche problematiche), nel senso che sembra alludere ad una sola evenienza e, cioè, alla espressione di una volontà univoca comunque di entrambe le parti, le quali sono soltanto facoltizzate a renderla con atti dichiarativi separati, resi innanzi all’ufficiale di stato civile; ma questa non sembra affatto la conclusione ermeneutica possibile e corretta. Il dato testuale – appunto improvvido – deve essere preso in considerazione avendo cura di ricercare il dato sostanziale sistematico risultante dal combinato disposto di cui ai commi 22, 23, 24 e 26; infatti, risultando escluso, come detto, il richiamo all’ipotesi divorzile di cui all’art. 3, numero 2, lettera b), della l. n. 898/1970, cioè alla causa di maggiore ricorrenza concreta di divorzio tra coniugi, per anteriore giudicato (od omologazione) di separazione personale, stato protrattosi ininterrottamente per il tempo fissato dalla legge, in difetto dell’applicazione di questa previsione, salva la ricorrenza delle altre eccezionali ipotesi, il vincolo dell’unione civile risulta paradossalmente “indissolubile”, ove nolente una parte. Non sembra allora revocabile in dubbio che nel nostro istituto vanno distintamente esaminate due ipotesi, radicalmente diverse, con ricadute anche sul rito della domanda giudiziale proponibile su tale presupposto; difatti, la norma prosegue, “in tale caso la domanda…” può essere proposta univocamente alle altre cause prefigurate nel comma 23.



Cioè, più distesamente:

a) ove entrambe le parti manifestino la volontà coincidente di scioglimento del rapporto, questa nuova fattispecie, invero precorsa dalla norma sulla cd. negoziazione assistita sopra menzionata, risponde al principio cardine degli atti negoziali, espresso nell’art. 1372, comma 1, cpv., c.c.: la causa di scioglimento del rapporto di durata instaurato con la costituzione del vincolo personale, assicurando rispetto in ordine all’imponderabile destino esistenziale di ogni persona, si rinviene nel volere delle parti stesse, pur questo volere sottoposto ad una verifica statuale; si affaccia così ciò che era stato sempre escluso per il matrimonio, ove tralatiziamente si insegna che il carattere di stabilità che caratterizza il vincolo trova marcata conferma nel fatto che non può essere sciolto per il semplice mutuo consenso, né può essere contratto a termine ovvero sottoposto a condizione risolutiva10; si badi, come vedremo meglio infra, anche qui l’impianto generale del rapporto di coniugio non risulta radicalmente smentito, in quanto la volontà delle parti non ha efficacia diretta ed immediata, né risultano ammissibili termine e condizione.

b) ove invece la stessa manifestazione di volontà di scioglimento del rapporto venga formulata soltanto da una delle parti dell’unione civile, che quindi possiamo definire unilaterale, si affaccia nell’ambito delle formazioni sociali familiari prese in considerazione dall’ordinamento positivo, il presupposto per ipotizzare anche una forma di sostanziale recesso dal rapporto per mera volontà della parte; volontà, si badi, che non deve essere “giustificata” da una qualche situazione od accadimento sopravvenuto, quale “l’intollerabilità della convivenza”. Il senso autentico da dare all’interrogativo sopra individuato in ordine alla corretta interpretazione della dizione “disgiuntamente”, sembra allora potersi individuare secondo il significato dell’espressione di volontà di dividersi, allontanarsi o separarsi, volontà da considerarsi valevole anche ove espressa separatamente ed a prescindere dalla volontà dell’altro; pertanto, come detto, la valenza di tale espressione conduce razionalmente a due fattispecie, entrambe rilevanti ed ammissibili siccome proprie di due distinte evenienze. La prima propria dell’ipotesi in cui la manifestazione di volontà di sciogliere il rapporto sia riferibile ad una soltanto delle parti. L’altra, propria dell’ipotesi in cui pur volendo entrambe univocamente sciogliere il rapporto dichiarino una tale volontà in momenti diversi, con distinte dichiarazioni innanzi all’ufficiale di stato civile. Ovviamente, queste due possibilità contengono la terza fattispecie che la norma individua come la fattispecie principe – quindi la “prima” fattispecie –, del consenso univocamente e contestualmente dichiarato da entrambe le parti innanzi all’ufficiale di stato civile, desumibile per logico raffronto, che discende dall’espressione rafforzativa “anche”. Come cennato, attenua una tale novità il fatto che la dichiarazione di volontà, comunque espressa, non produce effetti diretti ed immediati11, costituendo invero il presupposto – tipizzato – che condiziona una successiva domanda giudiziale, necessariamente da proporre per conseguire la statuizione di scioglimento, ma a distanza di almeno tre mesi dalla data in cui è stata formalizzata detta volontà12. Ove disgiunta ma univocamente coincidente, quando espressa da entrambe le parti, sembra che il detto termine “sospensivo” si debba far decorrere dal giorno dell’ultima di esse; ciò in quanto, attraverso tale scansione temporale, il legislatore ha inteso imporre un periodo di riflessione che consenta di presumere, ancora a tutela del vincolo, la definitiva volontà di sciogliere il rapporto familiare; necessitando l’instaurazione di un successivo processo, appare innegabile come nella formazione di tale volontà e nell’esercizio della correlata azione rilevi anche l’eventuale dichiarazione dell’altra parte (nonostante il coincidente volere renda la questione assai dubbia ed opinabile). Questa riflessione invero può utilmente incidere anche per la soluzione dell’ulteriore interrogativo del se la parte nolente possa poi “profittare” della dichiarazione di volontà di sciogliere il rapporto già formulata dall’altra parte, per proporre validamente la domanda divorzile; il tenore testuale della norma conduce a rinvenire un nesso di consequenzialità tra la proposizione della domanda e l’antecedente logico della manifestazione di volontà, ragione per cui sembra proprio che legittimata alla proposizione dell’azione stessa sia soltanto la parte che abbia già dichiarato di volere lo scioglimento dell’unione. Nell’impostazione dilatoria appena ripercorsa, si rinviene, ma solo in via di larga approssimazione, una similarità con il regolamento della crisi del matrimonio, ove il periodo “intermedio” imposto ai coniugi, a tutela dell’unità familiare, passa attraverso i rigori dello status di coniugi in regime di vita separata, seppur la durata minima di questa condizione è oggi ridotta vistosamente rispetto all’originaria previsione, avvicinandosi sensibilmente.



3. La natura del diritto esercitato



Tornando al discorso d’impianto generale della regolamentazione dell’unione civile, giova evidenziare, come, seppur è ben vero che l’istituto matrimoniale annovera l’ipotesi della separazione per mero consenso e del divorzio a ricorso congiunto13, questi “strumenti” possono avvicinarsi solo in senso lato, poiché qui è soltanto l’espressione del volere che costituisce l’elemento su cui si fonda la peculiare domanda giudiziale, proponibile all’esito della sua formalizzazione (vincolata), in prosieguo del tempo ed oggetto della verifica giudiziale; in sostanza, non v’è un intervento di omologazione o recepimento di condizioni, che comunque presuppone l’esplicazione di un potere giurisdizionale di merito, ma solo il controllo di legalità della stessa manifestazione di volontà, anche sotto il profilo della sua documentazione ed il decorso del “termine di riflessione”. Pertanto, non è revocabile in dubbio, limitandoci all’esemplificazione saliente, che l’azione proposta sul presupposto di questa specifica causa di scioglimento debba vedere in primo luogo esatta documentazione, mediante l’allegazione di copia (autentica) della stessa dichiarazione. In questo senso il nostro ordinamento positivo esprime una linea evolutiva14 importante e perciò meritevole di essere sottolineata, ammettendo in sostanza, per la prima volta, lo scioglimento del rapporto familiare fondato sul mutuo consenso delle stesse parti che lo hanno costituito o sul recesso di una di esse. La descritta espressione del volere delle parti dell’unione civile incarna il fatto costitutivo del diritto ad ottenerne lo scioglimento, che pertanto rappresenta l’accadimento concreto, contemplato dalla norma, che condiziona l’azione15. La disamina del collegio adito da una o da entrambe le parti pertanto si incentrerà sulla verifica di legittimità di questa condizione, in uno a quella generale spiccatamente processuale (validità ed efficacia degli atti di parte, competenza, etc.). Presenta tratti problematici la soluzione del quesito se questa peculiare domanda giudiziale debba seguire o meno le forme di cui all’art. 4, comma 16, l. div., per effetto dei complessi richiami processuali di cui all’art. 1, comma 25, l. 20 maggio 2016 n. 76, oppure se la domanda giudiziale fondata su tale autonoma e specifica causa (il volere delle parti legalmente manifestato), diversa da tutte le altre, possa essere proposta con il ricorso in sede contenziosa, ovvero ancora se possa formalizzarsi secondo le forme ordinarie (magari anche attraverso una fase opzionale di separazione), ivi compreso il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. (attesa la peculiare valenza probatoria della dichiarazione formata avanti all’ufficiale di stato civile), ovvero secondo quelle camerali, od ancora se sia o meno ammesso il ricorso alle sedi ed alle forme degiurisdizionalizzate ex artt. 6 o 12, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con la l. n. 162/2014. La soluzione si rinviene agevolmente nella stessa legge n. 76/2016 ed i percorsi processuali sembrano potersi delineare in sostanza a seconda di come sia intervenuto il loro presupposto e cioè, a seconda che la manifestazione della volontà di “dividersi” sia o meno condivisa dalle parti, riservando evidentemente alla coincidente espressione di volontà la soluzione del ricorso congiunto, ma non può certo escludersi una contesa successiva alla stessa dichiarazione pur assentita da entrambe le parti; come pure si affacciano tutte le problematiche afferenti l’evenienza di una revoca della manifestazione di volontà16. Appare infatti dirimente il richiamo specifico contenuto nel detto comma 25, ove si annovera espressamente anche l’art. 4 l. div., con ciò significando che il giudizio che conduce allo scioglimento in parola può proporsi sia con ricorso congiunto (art. 4, comma 16), che con ricorso di una delle parti (art. 4, commi 1 e 2), poiché si tratta comunque di una domanda fondata sulla verifica di legalità dei suoi presupposti, che può vedere una contesa, in primo luogo in ordine alla manifestazione di volontà formulata; d’altro canto, il comma 23 che precede questa disposizione, come per le altre cause di scioglimento del rapporto gradualmente prefigurate rispetto alla presente, richiama l’art. 3, l. div., in cui compare la dizione d’apertura “lo scioglimento… può essere domandato da uno dei coniugi:…”. Conclusivamente, l’accesso alla tutela giurisdizionale può svolgersi secondo dinamiche autonome rispetto al prodursi della sua condizione sostanziale presupposta (il concreto esercizio dell’azione d’altronde sempre si distingue dal diritto sostanziale oggetto di tutela). Tanto più che al di là della domanda di scioglimento in peculiare disamina, le diverse dinamiche processuali possono prodursi in relazione alle ulteriori domande, di una o di entrambe le parti, che trovano titolo nello scioglimento stesso, tra le quali la misura assistenziale post unione di cui all’art. 5, comma 6, l. div. Quanto alla possibilità di poter percorrere la soluzione della negoziazione assistita, si dirà meglio infra (par. 6), ma è bene subito segnalare come la negoziazione finisce per scendere sulla validità o meno della ridetta manifestazione del volere di scioglimento del rapporto, e che il procedimento vedrebbe, nell’ipotesi ex art. 12 d.l. 132/2014, cit., l’esigenza che le parti compaiano personalmente, riaffermando la stessa volontà sostanziale, sempre dinanzi all’ufficiale di stato civile e per ben tre volte; ad ogni buon conto, merita in proposito di essere ancora richiamata la normazione delegata provvisoria, e tra le sue disposizioni, l’art. 6, comma 4, del d.p.c.m. 23 luglio 2016 e le formule nn. 11 e 12, allegato “A”, d.m. Interno 28 luglio 2016. Certo deve registrarsi una importante alternativa o, se si suole, graduazione, degli strumenti di “tutela” rispetto alla manifestazione di volontà allo scioglimento dell’unione civile; infatti, la massima espressione delle tutele che si rinviene nel giudizio divorzile promosso dalla parte in sede contenziosa, vede l’alternativa del ricorso congiunto, come della negoziazione assistita nelle forme ex art. 617, ovvero in quelle ex art. 12 d.l. 132/2014, cit.; il livello di autonomia delle parti, seppur in ogni caso è indispensabile un intervento di autorità statuale, trova così la sua massima esaltazione, a ragione del fatto che la stessa condizione presupposta è già frutto del mero volere della parte. La norma, come già cennato, manca purtroppo di stabilire un qualche termine decorso il quale la dichiarazione di volontà possa perdere rilevanza giuridica; come vedremo infra (par. 5), essendo richiamate – pur con la salvaguardia della verifica di compatibilità – le norme sulla separazione personale dei coniugi e del divorzio, non può certo trascurarsi l’evenienza della riconciliazione, che si manifesta, come noto, nei fatti; occorrenza idonea ad impedire lo scioglimento in parola in quanto successivamente contraddetto dalle parti stesse (quindi ancora per mutuo consenso), mediante la prosecuzione della comunione spirituale e materiale nel quotidiano.



4. Le distinzioni rispetto al coniugio



L’analisi sopra condotta non risulta però compiuta, poiché deve ancora rispondersi all’interrogativo di più pregnante importanza sistematica: quale allora la differenza reale tra il meccanismo di questo scioglimento di tipo divorzile ed il sistema separativo/divorzile del vincolo matrimoniale? Mentre la crisi relazionale nel rapporto di coniugio che conduce allo scioglimento del vincolo od alla cessazione dei suoi effetti civili, è fondata, salve le diverse ipotesi eccezionali, su fatti e circostanze che in prosieguo di tempo rendono “intollerabile” la prosecuzione della convivenza o recano grave pregiudizio al percorso educativo della prole (art. 151 c.c.), ovvero sul mero consenso omologato dal tribunale (art. 158 c.c.), crisi che deve confermarsi nei fatti per il vano decorso di un certo tempo ed essere assistita da una conforme statuizione giudiziale passata in giudicato ovvero inoppugnabile, nell’unione civile rileva la volontà anche di una sola parte, legalmente manifestata, e che non presuppone la condizione di uno status intermedio o, se si vuole, di allentamento del vincolo (per effetto del regime di vita separata). Con definizione suggestiva si potrebbe definire un diritto potestativo al “divorzio per volontà della parte”. Non siamo ancora alla rilevanza dell’atto privato, espressione dell’autonomia negoziale dei singoli di diritto comune, efficace in sé e per sé considerato, ma vi siamo davvero vicini; infatti, il combinato disposto del comma 24 qui in disamina, con quello ex art. 12 d.l. 132/2014, cit., ci pone su una linea in cui il diritto allo scioglimento dell’unione civile non è più un diritto potestativo il cui esercizio è riservato necessariamente alla sede giudiziale, ma è un diritto potestativo sostanziale il cui esercizio vede un blando intervento di mera registrazione della volontà delle parti, procedimentalizzata avanti all’ufficiale dello stato civile, più o meno paragonabile – nella sostanza delle cose – ad un atto privato stipulato con le forme dell’atto pubblico davanti al notaio. È ben vero che anche nel coniugio si è prodotta una similare evoluzione con l’introduzione della ridetta riforma cd. sulla negoziazione assistita, ma ivi lo scioglimento presuppone di norma il pregresso status di coniugi in regime di vita separato, assistito dall’omologazione o dalla cosa giudicata ed oggi appunto dalle altre forme, equivalenti negli effetti, della negoziazione assistita, cui si aggiunge la condizione secondo cui la comunione spirituale e materiale non ha visto neppure la possibilità di essere ricostituita in un certo lasso temporale. D’altronde, se ben si riflette, riprendendo a ragion veduta il cenno iniziale, avendo il legislatore optato per un richiamo parziale delle norme divorzili, escludendo proprio l’ipotesi che nell’esperienza casistica è assolutamente principale, del previo status di separazione personale, in difetto della norma in commento, il vincolo dell’unione civile sarebbe paradossalmente risultato, questo sì, eternamente indissolubile, salva la morte, il mutamento di sesso e le altre eccezionali ipotesi sostanzialmente connesse alla condotta “criminale” della parte (comma 23). Diversamente, la legge prefigura per l’unione civile, a differenza del matrimonio, un iter di scioglimento semplificato ed agevole.



5. Le ulteriori connessioni processuali



A questo punto dell’analisi manca il raffronto con gli ulteriori profili prettamente procedurali, siccome disposizioni strettamente connesse, alla ricerca dei termini di specificità propri dello scioglimento volontario in parola. L’unica disposizione (art. 1, comma 2518) tesa a regolare in via generale i profili processuali delle varie azioni a tutela della posizione della parte dell’unione civile si staglia in assoluto tra le più complesse della legge, mettendo le aule di Giustizia nella difficoltà di ricostruirne in concreto i tratti caratterizzanti e distintivi, proprio nel momento in cui i diritti si realizzano. Il primo orientamento normativo porta proprio ad evidenziare come la disposizione recepisca vari istituti di diritto processuale civile, necessariamente rilevanti una volta fissato il criterio dello scioglimento del vincolo, in primo luogo secondo le previsioni della legge sul divorzio; vengono inoltre integralmente recepite e dunque se ne impone l’applicazione, salvo il criterio di mera compatibilità, tutte le previsioni dei procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone (artt. da 706 a 742-bis c.p.c.); infine v’è il richiamo delle due norme che regolano le procedure della negoziazione assistita. Ciò significa intanto che il legislatore non ha inteso dettare alcuna nuova regola processuale per lo svolgimento dei giudizi originati dall’applicazione della legge; la regolamentazione della crisi del rapporto non vede pertanto un procedimento ad hoc; giova inoltre evidenziare come a tenore del comma 20, ogni disposizione del codice di rito in cui si fa riferimento al “matrimonio”, ovvero compare la parola “coniuge”, “coniugi”, o “termini equivalenti” (a titolo esemplificativo, cfr. gli artt. 247, 514, 622, c.p.c.), deve intendersi richiamata al fine di assicurare proprio l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione19. L’improvvido dettato legislativo si limita stucchevolmente a tanto: si percepisce con immediatezza il senso di scarsa consapevolezza se non di evidente confusione. Il primo richiamo segue le previsioni dell’art. 1, comma 23: sciogliendosi il rapporto oltre che per la morte della parte, anche presunta (comma 22), in primo luogo secondo alcune delle specifiche previsioni della legge sul divorzio, a fronte del dato sostanziale che regge l’unione civile, consequenziale era il richiamo dell’art. 4, sulle forme dell’incedere processuale; così pure dell’art. 5 che elenca i provvedimenti del tribunale adito, fatta esclusione della parte che si occupa del cognome della donna (commi 2, 3 e 4), e degli artt. 8, 9 e 10. Non era scontata invece l’estensione delle previsioni di cui agli artt. 9-bis, 12-bis, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, mentre l’assenza di prole comune20 (comma 20) non poteva che escludere il richiamo degli artt. 6 e 7; ad ogni modo, la scelta legislativa appare coerente con il criterio solidaristico alla base dei diritti e dei doveri che assumono anche le parti dell’unione civile con la costituzione del vincolo affettivo di natura familiare. Quanto alla questione del cognome, secondo il comma 10, stesso art. 1, il cognome identitario comune è ammesso soltanto “per la durata” del rapporto, cioè sino al momento temporale in cui non sopravviene efficacemente il suo scioglimento. Dati per scontati tutti i profili del giudizio divorzile, nelle sue varie fasi, atteso il recepimento indicato, quindi, parimenti applicabili, davvero gravoso è invece individuare il senso e gli effetti del recepimento dell’intero secondo titolo, del libro quarto, del codice di rito. In questo titolo si disciplinano i “procedimenti in materia di famiglia e di stato delle persone”, sino alle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio. L’insipienza legislativa per le questioni processuali, aspetto concreto che invero costituisce la premessa minima ed indispensabile per una efficiente e vera amministrazione della Giustizia, nel momento in cui per l’appunto le posizioni di diritto dei singoli si realizzano in concreto, risulta ancora una volta esasperante. Il Potere giudiziario è chiamato nei fatti ad una supplenza interpretativa destinata ad assumere giocoforza il ruolo di autentica e reale legislazione, con tutto quel che ne consegue, anche in termini di pericoloso arbitrio sulle regole essenziali, cioè, sulle garanzie dell’incedere processuale nella tutela dei diritti, tanto più di quelli primari della persona (si pensi solo al fenomeno dei diversi apprezzamenti e delle diverse impostazioni in rito sul territorio); il ceto forense d’altro lato, ancora una volta, esposto all’incertezza più estrema e, così, ad assumere un ruolo irragionevole e frustrante, volgente più a quello di “manzoniana memoria”. Mentre il richiamo delle disposizioni dei capi II (dell’interdizione e dell’inabilitazione e dell’amministratore di sostegno21), III (disposizioni relative all’assenza e alla dichiarazione di morte presunta22), IV (disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati23), V (dei rapporti patrimoniali tra i coniugi24) e V-bis (degli ordini di protezione contro gli abusi familiari25), non presentano particolari problematiche, trattandosi di norme che regolano l’ordine processuale di azioni che sono esattamente prefigurate anche nell’unione civile tra persone dello stesso sesso, salvi peculiari criteri fissati in via di eccezione soltanto per questo istituto, si profila particolarmente gravoso, anche ai fini che qui specificatamente ci occupano, comprendere quale sia il senso autentico del richiamo recettizio del capo I (della separazione personale dei coniugi); in verità anche il richiamo del capo VI (disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio) può dar luogo ad importanti questioni, involgendo il dubbio sul rito da seguire in ordine alle possibili controversie in costanza di rapporto, ovvero nel periodo temporale successivo alla dichiarazione di scioglimento, formulata appunto ex comma 24 in disamina. Procediamo con ordine. Per compiutezza una precisazione prima di affrontare le indicate questioni salienti. All’apparenza il legislatore, disciplinando lo scioglimento del vincolo con puntuali previsioni, sembra essersi dimenticato delle azioni di status afferenti la stessa validità od efficacia del vincolo dell’unione civile (art. 1, commi 4, 5, 6, 7 e 8), ma i richiami normativi contenuti in tale apparato dispositivo non fanno dubitare che valgano per tali azioni di impugnazione (inesistenza, invalidità, nullità, annullabilità), senz’altro le stesse regole in rito prefigurate pacificamente nell’istituto matrimoniale e cioè, quello di ordinaria cognizione, secondo la competenza ex art. 9, comma 2, c.p.c., quali azioni di stato, con l’intervento del pubblico ministero (art. 70 c.p.c), riservate pertanto all’organo collegiale (art. 50-bis c.p.c.); in sostanza, non v’è difformità rispetto al regime del coniugio con razionale identità del rito. Tornando al nostro interesse specifico, v’è allora da interrogarsi sul significato da dare al richiamo delle disposizioni sulla separazione personale (dei coniugi) e delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio. La questione processuale principe, di più gravosa difficoltà di soluzione, può meglio esprimersi mediante l’efficacia espressiva di un quesito, a forte impatto sistematico e pratico: le parti dell’unione civile possono anche accedere ad un regime di separazione personale ex artt. 706-711 c.p.c.? Lo sforzo interpretativo non può prescindere dal quadro di riferimento complessivo. La legge indica con minuziosa precisione le cause di scioglimento del vincolo dell’unione civile tra persone dello stesso sesso: la morte, compresa quella presunta, lo scioglimento che abbiamo sopra definito “divorzile” in quanto mutuato dalla l. div., l’espressione della volontà delle parti allo scioglimento, il mutamento di sesso (art. 1, comma 26); il peculiare scioglimento previsto dal comma 24, che abbiamo visto esser condizionato unicamente alla volontà di una od entrambe le parti dell’unione civile, consente a queste, a differenza dei coniugi, di poter accedere direttamente al divorzio, senza necessariamente percorrere la nota fase prodromica, costituita dallo status di separazione personale giudizialmente riscontrato e sancito (anche soltanto come omologazione del mero consenso). Questa prima riflessione potrebbe condurre ad inferirne che allora qui la separazione personale non ha alcuna funzione e pertanto non sarebbe ammissibile, nonostante il richiamo così chiaro contenuto nell’art. 1, comma 25, l. n. 76/2016. In sostanza dal comma 24 in discussione si potrebbe esser tentati di trarre la conclusione secondo cui al rapporto dell’unione civile non si confà un regime di vita separata, nel senso che la crisi del rapporto di coppia condurrebbe all’unica soluzione dello scioglimento del vincolo personale. Una tale conclusione destinata a poggiare unicamente sul criterio di (in)compatibilità, invero inteso come criterio di esclusione del richiamo (“si applicano”). Ma questa conclusione appare subito affrettata ed insoddisfacente se solo si considera come un richiamo normativo così evidente finisca per non avere alcuna valenza; come se il legislatore fosse allora caduto in vistoso percorso erratico, ci si passi l’espressione, persino buffo. Soccorrono infatti i noti principi generali secondo cui una norma di legge non può certo essere interpretata come se non abbia alcun significato e così liberamente “abrogabile” da chi è solo chiamato ad applicarla; in una parola, non è consentito all’interprete giungere ad una conclusione di repulsa, chiamato invece doverosamente a dare un significato positivo al comando legislativo. Non muterebbe questa conclusione la possibile interpretazione volgente ad individuarvi una mera possibilità di “ripescaggio” di questo o quel criterio dell’incedere processuale prefigurato per la separazione personale ed utilmente applicabile anche nel rito divorzile che ci occupa26; una simile scarsissima efficacia – che nei fatti forse potrebbe avere una residuale efficacia sul solo piano dell’individuazione del giudice competente attesa la simmetria dei due riti (separativo e divorzile) – di per sé dovrebbe già indurre maggior considerazione del dato normativo. Si tratta perciò di individuare il suo possibile e ragionevole significato, anche costituzionalmente orientato. A dire il vero, anche nel coniugio, come noto, ricorrono ipotesi – seppur eccezionali e comunque non avvicinabili alla causa di scioglimento in parola – in cui si può avere scioglimento o cessazione degli effetti civili che prescindono dal pregresso stato di separazione personale. Questo rilievo però appare già genericamente significativo nella valutazione sistematica del nostro ordinamento positivo. Intanto, una questione logica: il fatto che il divorzio sia accessibile direttamente (ma così, come visto, propriamente non è) non significa affatto che le parti dell’unione civile non possano accedere alla condizione di parti separate, ove non intendano domandare direttamente lo scioglimento del rapporto ed allo stesso tempo intendano vivere in separatezza di vita nel quotidiano. Le due condizioni sono all’evidenza non sovrapponibili. Si intuisce con immediatezza come la tutela dei diritti che nascono dalla dichiarazione di costituzione dell’unione civile, seppur il rapporto entri nella fase di crisi relazionale, non può giocoforza condurre le parti a mettere in discussione il titolo, domandandone lo scioglimento. È frutto di errore metodologico considerare la tutela delle parti unite civilmente, in condizione di vita separata, come “tutela alternativa” al divorzio, che addirittura risulterebbe inammissibile per effetto stesso della regolamentazione di quest’ultimo istituto, siccome vi si può accedere immediatamente (nel senso che non è richiesto l’anteriore status di personale separazione) Appare perciò subito stridente il sillogismo secondo cui siccome è possibile accedere direttamente al “divorzio” attraverso il disposto in discussione di cui al comma 24, dell’art. 1, l. 20 maggio 2016 n. 76, allora l’unione civile non tollera una condizione di parti in regime di vita separato. Le stesse esigenze della logica risultano incoerenti: non v’è infatti alcuna connessione in un tale ragionamento, balzando evidente ad ognuno come l’aver reso possibile un accesso al “divorzio” ancorato alla volontà come fattispecie direttamente efficace, seppur necessariamente seguita dal riscontro giudiziale degli elementi che la rendono validamente scrutinabile (ovvero dalle alternative forme della negoziazione assistita), non significa certo che v’è una ricaduta sistematica anche per coloro che nonostante la crisi del rapporto di unione civile che li vincola, non vogliano scioglierlo. I due piani sono nettamente differenziati, ed è proprio la facoltà di proposizione della domanda fondata sulla fattispecie di cui al comma 24 che lo dimostra; infatti, se la regolamentazione giudiziale (come quella negoziale assistita ad efficacia equivalente) della condizione di vita delle parti meramente separata non rileva in sé e per sé quale specifica causa di successivo divorzio, non significa che allora sia inammissibile (cioè che non vi può essere la stessa separatezza di vita); tanto più che l’inammissibilità di una qualsivoglia azione, nel nostro ordinamento positivo è in via generale sempre frutto di previsione tassativa. Tale considerazione non muta anche a fronte del rilievo secondo cui lo scioglimento ex comma 24, impedisce “prontamente” la regolamentazione della separazione; difatti, tali strumenti processuali di tutela attingono relazioni esistenziali, con tutte le imponderabili evenienze, variabili soggettivamente; con la separazione, come noto, si fissa un regime non definitivo basato sull’allentamento degli effetti del vincolo, mentre con il divorzio questo viene meno. Il principio di non discriminazione27 desumibile a piene mani dalla legge (in principio chiamata a porre riparo alla discriminazione delle unioni omoaffettive), non foss’altro che in ragione della clausola di chiusura a garanzia delle tutele di cui al comma 20, porta a considerare che anche l’unione civile in buona sostanza vede una salvaguardia a favore della conservazione del rapporto affettivo/familiare una volta costituito; e questa riflessione corrobora l’opzione tesa ad intravedere la possibilità di ammettere l’applicazione dell’istituto della separazione di cui capo I, titolo II, libro IV, del codice di rito. Si dirà, ma la separazione è momento “ingombrante” anche nel coniugio, tanto che il periodo temporale il cui decorso è necessario per la proposizione della domanda divorzile è stato ridotto proprio di recente, con la l. 6 maggio 2015 n. 55, cd. sul divorzio breve; e si potrà magari anche argomentare che nessuno nei fatti domanderà la separazione, reputando questo stadio intermedio non conveniente, ovvero che ciò risponde oramai ad un diffuso sentire sociale. Entrambe queste argomentazioni però “significano troppo”, non potendo l’analisi del giurista sovrapporsi alla visione casistica, fenomelogica o persino probabilistica, come se la scienza giuridica sia da ridursi a mera analisi sociologica o peggio ancora psico-sociologica.

D’altro canto, se anche le parti dell’unione civile possono accedere all’istituto della separazione personale, ciò non contrasta di certo con un qualche principio o norma di ordine pubblico, né produce elementi pregiudizievoli alla collettività e tantomeno alle parti, le quali in ogni momento possono superare questa condizione, domandando lo scioglimento divorzile, senza alcun pregiudizio, non enumerandosi tra i suoi presupposti un periodo minimo di ininterrotta e preventiva separazione personale, attestata dalla pronuncia giudiziale (o da convenzione con efficacia equivalente) di status. Ulteriori argomentazioni soccorrono tale soluzione. La legge in commento non ha escluso l’ipotesi, anzi, in altro momento della regolamentazione positiva presuppone espressamente uno stato di separazione, autorizzato dall’autorità giudiziaria che ne fissa le condizioni, anche tra le parti dell’unione civile; se si pone attenzione al suo art. 1, comma 5, ci si avvede che ivi si richiama appunto l’art. 126 c.c.28, con le note conseguenze che comporta; anche il comma 21, che richiama integralmente le norme successorie in favore del coniuge, contiene previsioni afferenti la successione del coniuge in status separato29; eppure il richiamo, puntuale e specifico, non fa distinzioni di sorta; a dire il vero, univocamente, il comma 1330, dello stesso art. 1, nel richiamare l’applicazione delle disposizioni di cui alla sezione III, capo VI, titolo VI, libro primo, c.c., evoca l’applicazione, tra l’altro, dell’art. 191 c.c.31, che espressamente prefigura la separazione personale quale causa di scioglimento del regime patrimoniale della comunione dei beni, cui è soggetto il rapporto in via di principio, seppur derogabile. Ma non basta e la riflessione che segue può risultare dirimente. Proprio al comma 24 si prevede, come detto, che l’unione civile si scioglie per effetto della manifestazione di volontà anche di una soltanto delle parti, quale fattispecie specifica all’istituto stesso; la parte che ha dichiarato una tale determinazione di volontà deve però attendere il decorso di un periodo temporale di almeno tre mesi per poter validamente proporre la domanda giudiziale basata su tale condizione (ovvero per poter eventualmente accedere alle alternative forme della negoziazione assistita); questo “limbo temporale” può essere interrotto da una “riconciliazione” e comunque può perdurare nel tempo non essendo prevista una “decadenza”, cioè potendo permanere sine die, anche solo per il fatto che la parte, magari interrompendo di fatto la relazione di convivenza nel quotidiano (l’allontanamento è esattamente prefigurato dall’art. 1, comma 19, mediante l’espresso richiamo dell’art. 146 c.c.32), trascuri di proporre poi la domanda di scioglimento; questa complessa situazione del rapporto familiare in crisi, può determinare all’evidenza la necessità di regolamentazione di quel regime di vita, pur se temporaneo; esigenza che a ben riflettere ricorre anche nell’ipotesi in cui sussista ritardo nella fissazione dell’udienza di trattazione del ricorso per scioglimento del rapporto, che in alcuni tribunali viene in concreto fissata anche ben oltre l’anno. Agevole pertanto descriverne l’ipotesi di maggior bisogno di tutela: la parte dell’unione civile che non ha inteso condividere la volontà di scioglimento manifestata dall’altra parte, si trova nella condizione di poter soltanto promuovere lo scioglimento secondo il comma 24 in disamina, pur non volendo dissolvere il vincolo affettivo/familiare costituito, la quale evenienza, se si considera il favor alla stabilità del rapporto che si coglie nell’intera legge33, appare davvero inaccettabile ed obiettivamente discriminatoria. Il connotato di paradossalità della conclusione secondo cui la parte nolente sarebbe in buona sostanza “costretta” a promuovere la domanda di scioglimento che trova titolo nella dichiarazione di volontà dell’altro – non condivisa –, per ricevere tutela dei diritti che sorgono dal rapporto di unione civile, costituisce autentica aberrazione del ragionamento. Ammettere che la stessa parte possa invece adire il giudizio di separazione personale consente di cogliere positivamente la ragione di quel richiamo legislativo, allora corretto ed avveduto. Si dirà, ma il richiamo all’istituto processuale della separazione tra coniugi (artt. da 706 a 711 c.p.c.), non importa per ciò solo il richiamo delle norme sostanziali dettate nel c.c.; questo argomento appare in tutta la sua fragilità se solo si considera come nel momento in cui si richiama l’istituto a tutela di un diritto, ciò comporta ontologicamente il richiamo del diritto sostanziale stesso; inoltre, in sintonia a quanto diffusamente si verifica in materia familiare, con strettissimo intreccio tra sostanza e processo34, nel dettato normativo che presiede all’istituto processuale della separazione personale dei coniugi, si confondono, integrandosi e sovrapponendosi, i contenuti processuali a quelli sostanziali, anche per effetto dei richiami espressi rinvenibili nelle disposizioni processuali; un esempio su tutti: la domanda ex art. 711 c.p.c. è espressamente ed inscindibilmente legata al disposto normativo sostanziale. Ciò che perciò appare ancora dirimente è la riflessione secondo cui l’ammissione delle parti dell’unione civile alla fase processuale “separativa”, seppur priva di ulteriore rilievo quanto allo scioglimento del rapporto (quindi, riferibile a scelta delle tutele tra le diverse prefigurate dall’ordinamento), che consenta di disciplinare la separatezza di vita prodottasi, per l’ipotesi che nessuno intenda procedere allo scioglimento definitivo ovvero non vi proceda in concreto pur dichiaratane la volontà, non contrasta con alcun dettato esplicito od implicito della stessa legge ed è con essa compatibile, anche quanto ad esigenza, appunto, di effettiva tutela nella crisi del rapporto. Il criterio di compatibilità infatti presuppone che venga espunto ciò che non è espressamente ammesso o che si trovi in contrasto insanabile con altre norme. Ma anche a voler diversamente opinare, stante il livello di incertezza prodotto dall’improvvida formazione del tenore legislativo che non si vuol certo trascurare, partendo dal presupposto secondo cui non ricorrendo l’espresso richiamo dell’istituto della separazione personale, siccome contenuta nel codice sostanziale, i cui richiami sono severamente delimitati dal comma 20, nei fatti può senz’altro ricorrere che insorga l’esigenza di tutelare questo o quel diritto della parte dell’unione civile che instaura una “separatezza di vita” nel quotidiano e non promuova per una qualsivoglia ragione l’azione di scioglimento “volontario”; quale il percorso processuale in questa evenienza che può anche risultare statisticamente significativa? Il mero processo di ordinaria cognizione o la sede camerale? La tutela di un diritto soggettivo sancito dall’ordinamento positivo non può certo negarsi in qualsivoglia sede processuale astrattamente ipotizzabile. Ecco allora tornare il discorso alla chiusura del cerchio ipotizzata, nella direzione di un congruo ed efficace richiamo che consente l’applicazione anche della disciplina ex artt. 706-711 c.p.c. Quanto appena ripercorso ci consente un cenno ad ulteriore e distinto quesito: il rito delle controversie tra le parti dell’unione civile, diverse da quelle di status o di regolamentazione della crisi del rapporto, ove il domandare trova titolo nel vincolo dell’unione civile in parola, segue la disciplina dell’ordinaria cognizione oppure è unicamente quello dei procedimenti in camera di consiglio ex artt. 737-742-bis c.p.c., che il legislatore ha inteso prefigurare? Alla soluzione del quesito di quale possa essere il rito, diciamo “residuale”, per tutte le altre controversie che dovessero insorgere nel corso del rapporto retto dall’unione civile, diverse dal regolamento della sua crisi, giova premettere intanto come il richiamo delle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio appare giustificato per le specifiche sedi in cui vi è rinvio a tali norme, ovvero a quelle specifiche questioni che qua e là emergono, in buona sostanza come sede di volontaria giurisdizione, in cui quell’incedere processuale è già applicato siccome connaturato e previsto. Il richiamo pertanto non sembra significativo per poterne validamente inferirne il principio secondo cui il rito camerale, pur “adattato” ai diritti soggettivi che qui ci occupano, è quello da percorrersi in ogni contenzioso residuale. Questa conclusione porta invero ad interrogarsi meglio, a monte della questione; infatti, il legislatore ha cura di prefigurare i richiami processuali in commento avendo precipuamente di mira il governo della fase di crisi del rapporto, come chiaramente dimostrano la collocazione dei commi 22, 23, 24 e 25 (cui invero si aggiunge anche il 26 pur peculiare), dello stesso art. 1, come l’accostamento dei richiami operati nel comma 25, univocamente afferenti tali evenienze; ma non basta; se ben si riflette, ciò risulta in sintonia con il sistema che vige nell’ambito della famiglia fondata sul matrimonio, ove identicamente la speciale tutela giurisdizionale differenziata (che esige la materia dei diritti della persona coinvolti nei rapporti di natura familiare), è riservata alle fasi di crisi della relazione affettiva, di dissolvimento della convivenza e di scioglimento del rapporto, ovvero alle modificazioni e revisioni che si impongono con l’evolversi nel tempo delle condizioni. In sostanza, proprio in virtù del principio di uguaglianza e di garanzia di una effettiva tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi coinvolti (artt. 3, 24 e 111 Cost.), reputata meritevole di tale speciale garanzia, il legislatore ha usato lo stesso “metro”, tenendo l’ordinamento positivo su linea di fondo identicamente ispirata. Per rendersi meglio conto dell’esattezza di tanto, un esempio su tutti: l’eventuale domanda di tutela al rispetto degli obblighi che comporta l’unione civile, proposta nei confronti della parte, ad istanza di quella che non voglia mettere in discussione il rapporto, deve – se esatta l’indicata soluzione – percorrersi secondo il rito dell’ordinaria cognizione con tutte le formalità di garanzia del procedere che assicura. L’ipotesi si è identicamente affacciata nel coniugio seppur con una casistica davvero sporadica35, ragione per cui non v’è da stupirsi che anche la parte dell’unione civile, ove voglia rivendicare il giusto contributo economico ai bisogni comuni, cui l’altra parte si sottrae, senza con ciò domandare lo scioglimento del rapporto, dovrà del pari domandare la giusta tutela in sede ordinaria; si potrà obiettare, che questo comporta frustrazione di quella giusta esigenza di una speciale tutela giurisdizionale differenziata, soprattutto in via anticipatoria, ma la scelta del legislatore è univoca; ad ogni modo, giova rammentare che in materia processuale la discrezionalità delle scelte legislative è sostanzialmente insindacabile innanzi alla Corte delle leggi, salvo lo strettissimo spiraglio della manifesta irragionevolezza. Il significato del richiamo normativo in discussione non sembra perciò avallare la soluzione secondo cui il rito è quello prefigurato nelle disposizioni comuni ai procedimenti in camera di consiglio, seppure in materia di rapporti familiari la soluzione processuale, cd. cameral-contenziosa, è quella che il legislatore ha mostrato di prediligere, per la semplicità delle forme e la prontezza delle soluzioni, anche per la tutela dei figli. La soluzione ermeneutica porta quindi ad affermare come ogni contenzioso residuale che trovi titolo nell’unione civile tra persone dello stesso sesso, sia soggetto alla disciplina del processo ordinario a cognizione piena, comprensivo della sua variante sommaria ex artt. 702-bis – 702-quater c.p.c., ma per le sole ipotesi riservate all’organo monocratico; sede alla quale può giungersi, ove ne ricorrano le condizioni, anche attraverso misure cautelari (che possono comunque domandarsi anche nel corso del processo), secondo la disciplina uniforme ex artt. 669-bis ss. c.p.c. Ma si badi, l’esigenza di tutela dei diritti delle parti dell’unione civile in costanza di fisiologico rapporto nel quotidiano è profondamente diversa da quella delle parti che interrompono la convivenza o intendano vivere separatamente, senza sciogliere il vincolo; questa evidente e profonda divergenza di condizione presupposta rende ancora ragione della congruità dell’integrale richiamo anche degli artt. da 706 a 711 c.p.c.



6. L’incisivo peso della riforma sulla cd. negoziazione assistita



Resta ora a dire dell’ulteriore significato specifico attribuibile, nel contesto che ci occupa, al richiamo delle norme procedurali di cui all’indicato d.l. 12 settembre 2014 n. 132, convertito con la l. 10 novembre 2014 n. 162, che disciplinano la soluzione per negoziazione assistita delle controversie di separazione e divorzio36, nonché delle eventuali sedi successive correlate (art. 6), come pure la semplificazione dei procedimenti (art. 12). Come noto, queste disposizioni si inseriscono nel più ampio disegno di degiurisdizionalizzazione delle controversie in atto nel nostro ordinamento, ampliando fortemente l’autonomia negoziale delle parti, attraverso la riconsiderazione della libera disponibilità della posizione soggettiva dei singoli, a valenza sistematica, fatto evidente dal titolo della norma di legge, “Eliminazione dell’arretrato e trasferimento in sede arbitrale dei procedimenti civili pendenti”, cui segue la catalogazione delle ipotesi in tre distinti capi. La negoziazione assistita, di cui si occupa l’art. 6, viene pertanto ad assumere, proprio per effetto di questo richiamo normativo estensivo, la valenza di istituto designato in via generale alle cause di famiglia e non soltanto per la separazione od il divorzio tra coniugi37. Si sottolinea peraltro, in linea con quanto sopra ricostruito a proposito dell’accesso delle parti dell’unione civile ad una condizione di separatezza di vita regolamentata formalmente, che il richiamo, come quello dell’art. 12, si riferisce appunto indifferentemente a separazione e divorzio. Richiamato lo schema procedimentale della negoziazione assistita38, la cui essenza risiede nell’opzione volontaria delle parti, nell’assistenza obbligatoria di avvocati (il ceto forense è stato reputato professionalmente meglio accreditato in materia familiare), che ne garantiscono la rispondenza alle norme imperative ed all’ordine pubblico e ne autenticano il risultato, nonché nell’ulteriore garanzia del visto “nulla osta” o della “autorizzazione” a seconda della presenza (ove l’accordo è autorizzato siccome rispondente all’interesse dei figli) o meno di prole39, da parte dell’organo requirente, giova sottolineare come l’accordo raggiunto a seguito della convenzione, “produce gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione e di divorzio”. Analogamente, il disegno di degiurisdizionalizzazione ha visto il coinvolgimento anche dell’ufficiale di stato civile40, che per quanto autorevole, resta pur sempre un organo della pubblica amministrazione. Con ciò il nostro ordinamento positivo consente alle parti di poter esercitare tali posizioni di diritto soggettivo senza più dover necessariamente far ricorso alla sola sede giudiziale. Non v’è dubbio allora come l’iter che prende il via dalla dichiarazione di volontà di cui al comma 24, risulti ancor più significativo ove si consideri che tutto il restante percorso delle forme che portano all’efficace scioglimento dell’unione, può risultare posto in essere soltanto attraverso atti negoziali. Alla luce di quest’ultima considerazione è opportuno tornare sulle perplessità espresse in relazione alla causa di scioglimento dell’unione civile codificata nel comma 24, come indotte dal richiamo dell’art. 12, inserito nel capo III, della legge ridetta, intitolato “Ulteriori disposizioni per la semplificazione dei procedimenti di separazione personale e di divorzio”. Qui la stessa autorità di stato civile, presiede sia alla formazione della condizione di scioglimento (dichiarazione di volontà della/e parte/i), che all’ulteriore dichiarazione ex art. 12, che appare persino sovrapporsi identicamente. È proprio sul piano delle forme negoziali progressive che appare irragionevole, quantomeno l’ultimo atto confermativo, a distanza di ulteriori trenta giorni. L’intricata successione di tali adempimenti merita una rivisitazione armonica con peculiare riguardo all’unione civile, e proprio per il sovrapporsi delle due norme (il comma 24 e l’art. 12), che finiscono per disegnare un andirivieni delle parti presso l’ufficiale di stato civile persino teatrale.



7. Il confronto con lo scioglimento delle convivenze



La stessa l. 20 maggio 2016 n. 76, disciplina la convivenza stabilmente instauratasi nei fatti, dal comma 36 in poi, definendola come il rapporto tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Invero, il riferimento di tale disciplina positiva è alla “famiglia anagrafica” (comma 37), nel senso che è nella dichiarazione anagrafica che si rinviene l’elemento costitutivo essenziale, a discrimine del positivo accertamento della sussistenza o meno di una “famiglia di fatto” (così nominata pur risultando oggi regolamentata anch’essa come formazione sociale di natura familiare). Ci troviamo al cospetto di un singolare dato normativo: la natura, obiettivamente dichiarativa della denunzia anagrafica di residenza, la cui propria finalità istituzionale allora si amplia, sovrapponendosi con tale profilo, finisce in realtà per integrare incisivamente la fattispecie del rapporto presupposto41. Questo porta ad interrogarsi severamente in ordine al se residuino o meno spazi per l’individuazione e, perciò, per l’eventuale accertamento giudiziale, dello stesso rapporto tra i due conviventi, comunque presupposto dalla norma, secondo il consolidato percorso emerso da tempo in giurisprudenza42, attraverso la considerazione dei suoi indici rivelatori “naturali” (durata, continuità della relazione, stabilità, contribuzione alle esigenze materiali, assistenza morale, reciprocità, presenza di prole, evidenza sociale del nucleo, etc.), a prescindere dalla dichiarazione rivolta all’anagrafe per l’accertamento della popolazione residente nel dato Comune. Questo atto anagrafico, in genere di natura esattamente confermativa del reale rapporto affettivo/familiare, può anche risultare divergente od addirittura una mera “sovrastruttura”; si consideri, peraltro, come anche nel coniugio può legittimamente ricorrere l’ipotesi di una diversa residenza anagrafica43. Dedurre dall’eventuale mancanza di questo atto anagrafico la sopravvenuta irrilevanza giuridica delle cd. famiglie di fatto, come sino ad oggi riconosciute dall’ordinamento e che comunque risponderebbero alla definizione concettuale fissata nel comma 36° in parola, ovvero, che addirittura la mappa dei diritti/doveri da tempo riconosciuti in norme positive settoriali o per effetto di interventi della Corte delle leggi44, deve ritenersi abrogata, appare conclusione inaccettabile; in primo luogo, perché si ripresenta identica a quell’originaria dicotomia (assolutamente superata), secondo cui, a fronte della possibilità di contrarre matrimonio, nessun diritto/dovere poteva essere riconosciuto alle coppie di fatto che non intendevano sposarsi. Queste considerazioni risultano già sufficienti per ritenere possibile un accertamento giudiziale del rapporto realmente sussistente nel singolo caso, svincolato dalla ridetta dichiarazione anagrafica, in quanto appare ancora giuridicamente rilevante la cd. famiglia di fatto, enucleata da tempo dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo la fonte di tutela primaria rinvenibile positivamente nell’art. 2 Cost.45. La conclusione che meglio appare prospettabile è quella di una distinzione tra convivenza tipica – quella disciplinata dalla l. n. 76/2016 – e quella da tempo più risalente già enucleata, che possiamo convenzionalmente definire atipica. Ad ogni modo, anche nella convivenza familiare tipica, non ricorre un vincolo civile formale: l’effettiva esistenza fattuale del rapporto è affidata solo alla realtà delle cose, ove spicca il detto elemento delle risultanze anagrafiche di comune residenza46; anche a reputare la fissazione della residenza anagrafica come atto dichiarativo ad efficacia costitutiva, che deve accedere alla conforme realtà del rapporto affettivo di coppia – di natura familiare – stabilmente instaurato nel quotidiano, la questione non incide in ordine all’assenza di un vincolo civile formalizzato al momento in cui si costituisce un tale rapporto. Come noto, gli artt. 2 e 11 della l. 24 dicembre 1954 n. 1228 (cd. legge anagrafica47), impongono ai singoli di domandare tempestivamente l’iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale, comprese le sue eventuali variazioni, qualificando l’omissione come illecito. Coerentemente, la crisi del rapporto è affidata in sostanza al venir meno della comune residenza anagrafica. Infatti, la patologia del rapporto non è assistita da alcun apposito atto o procedimento che abbia ad oggetto lo scioglimento della convivenza stessa. Invero, salve le disposizioni in merito alla regolamentazione delle conseguenze quanto al rapporto di filiazione eventualmente presente, il cui regime è oggi unificato per effetto della recente riforma cd. sull’unicità dello status filiationis48, le norme in qualche modo significative in proposito alla sopravvenuta crisi del rapporto stesso, si rinvengono nel comma 65 ed anche nel comma 59, ove il regime della convivenza risulti regolato dal contratto tipizzato dalla stessa legge. Tali disposizioni sono però destinate a regolare non lo scioglimento del rapporto in sé e per sé considerato, bensì alcuni diritti che possono derivare dalla cessazione della convivenza (quale il diritto agli alimenti, per il limitato arco temporale prefigurato49); con ciò seguendo giocoforza il rito proprio di tali domande, non un apposito rito in qualche modo paragonabile a quello della separazione personale o del divorzio. Anche solo da questo scarno e fugace quadro emerge allora come sia la volontà di autodeterminazione della parte a risultare sovrana, esternata dal comportamento in fatto, o meglio, dal succedersi della nuova residenza anagrafica; esentata persino da una dichiarazione di volontà espressa nelle forme di cui al comma 24, che abbiamo analizzato. A dire il vero, ove la convivenza sia retta dal contratto tipico di cui al comma 50, questo pattizio si può risolvere anche per “accordo delle parti” o per “recesso unilaterale” – cfr. il tenore testuale del comma 59, lettere a) e b) –, accordo o recesso che debbono essere redatti nelle stesse forme di cui al comma 51 (forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico); come si può constatare, in questa ipotesi, il percorso è retto dalle stesse forme negoziali. Certo, come la casistica insegna, può emergere contenzioso sotto più aspetti, tra i quali spicca la controversia di genere possessorio o di contesa sul titolo di detenzione50 della casa d’abitazione già destinata a comune residenza, in particolare ove di pertinenza dominicale o comunque titolata in capo al convivente che declina la prosecuzione del rapporto; ovvero, può risultare utile la proposizione di un giudizio di mero accertamento51 in ordine alla ricognizione del fatto che è venuto meno l’affetto reciproco e la solidarietà che sorreggeva il rapporto o comunque che lo stesso è cessato. Inoltre, di certo nulla osta a che la parte determinata ad interrompere la convivenza lo dichiari con atto scritto. Ancora a proposito della convivenza retta dal contratto tipico di cui al comma 50, in caso di recesso unilaterale del convivente che sia nella esclusiva disponibilità titolata della cd casa parafamiliare, l’atto di recesso deve contenere – a pena di nullità – il termine concesso alla parte nolente, per lasciare l’abitazione stessa, non inferiore a giorni novanta; ovvio che il mancato rilascio sarà eventualmente tutelabile in sede giudiziale; come altrettanto ovvio che la presenza di prole vedrà il diverso scenario della possibilità di assegnazione in uso, conforme al collocamento abitativo dei figli minori, o portatori di handicap, o maggiorenni che non hanno ancora raggiunta la condizione adulta di autosufficienza (art. 337-sexies c.c.).



8. Conclusioni



L’intersecarsi dei disposti normativi che abbiamo tentato di sottoporre alla verifica di una razionale analisi, pone l’interprete avanti a più di una incertezza. Ciò non di meno, l’evoluzione del nostro ordinamento positivo, nell’ambito delle relazioni affettive di coppia di natura familiare, segnala una tendenziale linea evolutiva, in via di massima comune, tesa a riservare sempre maggiori spazi alla volontà della parte, proprio nei momenti di autonoma e libera determinazione delle scelte esistenziali, come sottese alle crisi del rapporto. Questo dato obiettivo, peraltro, costituisce ulteriore sviluppo del principio dell’accordo introdotto con la riforma del diritto di famiglia del 1975. La marcata esigenza di appropriato regolamento delle istanze prodotte dal dissolversi dei rapporti familiari risulta come affrancata dall’anteriore inquadramento, rigidamente disegnato sulla rilevanza pubblicistica di tali situazioni, con sempre più ampio riguardo per le soluzioni autonomamente raggiunte; la conseguenza prima è quella per cui l’esercizio di tali diritti da parte dei singoli non deve necessariamente svolgersi nella sede giudiziale.

NOTE

1 L’essenziale riferimento induce a richiamare: Corte Cost., 15 aprile 2010 n. 138, in Foro it., 2010,

I, 1361, con nota di R. Romboli, Per la corte costituzionale le coppie omosessuali sono formazioni

sociali, ma non possono accedere al matrimonio; e nota di F. Dal Canto, La Corte costituzionale e il

matrimonio omosessuale, nonché, sempre ivi, 1701, con nota di M. Costantino, Individui, gruppi e

coppie (libertà illusioni passatempi); in Giur. it., 2011, 537, con nota di

P.bianChi,LaCortechiudeleportealmatrimoniotrapersonedellostessosesso,in Fam. pers. succ., 2011,

179, con nota di F.R. Fantetti, Il principio di non discriminazione ed il riconoscimento giuridico del

matrimonio tra persone dello stesso sesso; in Fam. dir., 2010, 653, con nota di m. Gattuso, La

Corte Costituzionale sul matrimonio tra persone dello stesso sesso; Corte Cost., 11 giugno 2014 n.

170, in Foro it., 2014, I, 2674; in Fam. dir., 2014, 861, con nota di V. baRba, Artificialità del

matrimonio e vincoli costituzionali: il caso del matrimonio omosessuale; ed in Nuova giur. civ.

comm., 2014, 1139, con nota di a. loRenzetti e a. sChusteR, Corte costituzionale e Corte europea

dei diritti umani: l’astratto paradigma eterosessuale del matrimonio può prevalere sulla tutela

concreta del matrimonio della persona trans; CEDU, sez. IV, 21 luglio 2015, Oliari et autres c. Italia

(ricorsi nn. 18766/’11 e 36030/’11), in Fam. dir., 2015, 1069, con nota di P. bRuno, Oliari contro

Italia: la dottrina degli “obblighi positivi impliciti” al banco di prova delle unioni tra persone dello

stesso sesso; peraltro, questo precedente risulta ripreso in considerazione specifica da, CEDU, sez.

II, 23 febbraio 2016, Pajc c. Croazia (ricorso n. 68453/’13), in Giur. it., 2016, 814, che ne specifica il

senso autentico; Cass., sez. I, 9 febbraio 2015 n. 2400, in Corr. giur., 2015, 909, con nota di G.

FeRRanDo, Matrimonio same-sex: Corte di Cassazione e giudici di merito a confronto; ed in Nuova

giur. civ. comm., 2015, 649, con nota di t. auletta, Ammissibilità nell’ordinamento vigente del

matrimonio fra persone del medesimo sesso.

2 Sottolineano univocamente la rilevanza della legge, P. sChlesinGeR, La legge sulle unioni civili e la

disciplina delle convivenze, in Fam. dir., 2016, 845, come gli altri autori del numero monotematico

della stessa rivista; identicamente, P. ResCiGno e V. CuFFaRo (a cura di), Unioni civili e convivenze

di fatto: la legge, in Giur. it., 2016, 1771; ed ivi: G. FeRRanDo, Le unioni civili: la situazione in Italia;

l. balestRa, Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni; m. sesta,

Unione civile e convivenze: dall’unicità alla pluralità dei legami di coppia.

3 Ripetutamente segnalato dagli studiosi del processo di famiglia; v., per tutti, F. tommaseo, Le

nuove norme sull’affidamento condiviso: b) i profili processuali (Le recenti riforme del diritto delle

persone e della famiglia), in Fam. dir., 2006, 388; rilievo ribadito successivamente anche in ordine

alla riforma sull’unicità dello stato di filiazione, ivi, 2013, 251; ed ancora ivi, 2014, 526.

4 La cortesia del lettore è rinviata al recente, G. saVi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso

(contributo al primo studio della legge 21 maggio 2016 n. 76, commi 1-35), Perugia, 2016.

5 saVi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., 148.

6 Per le sole ipotesi richiamate, che in buona sostanza si fondano sul profilo “criminale” della parte

che subisce la domanda; cfr., G. bonilini F. tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, Art. 149 e

L. 1° dicembre 1970 n. 898, in Commentario cod. civ. sChlesinGeR-busnelli, Milano, 2010, 145. La

dizione divorzio oggi risulta obiettivamente affrancata dai “pudori” o, se si vuole, dalle “ipocrisie”

legislative degli anni ’70; cfr., ivi, 39.

7 Art. 1, l. 1 dicembre 1970 n. 898. Tra i molteplici contributi della dottrina, v. G. bonilini F.

tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio, Art. 149 e L. 1° dicembre 1970 n. 898, cit., 135; m.

FoRtino, Il divorzio, in Trattato dir. fam. zatti, Milano, 2011, I, 2, 1526.

8 Per effetto della riforma introdotta con la l. 6 maggio 2015 n. 55; v., C. Rimini, Il nuovo divorzio,

in Trattato dir. civ. comm., CiCu-messineo-menGonisChlesinGeR, Milano, 2015, 26.



9 Indubitabile, non foss’altro che per i principi espressi negli artt. 449 e 451 c.c., che debba

ricorrere la personale presenza del dichiarante innanzi all’ufficiale di stato civile, la sua

generalizzazione, l’identificazione, la sottoscrizione, etc. Per una bibliografia essenziale in materia

cfr., a. attaRDi, Atti dello stato civile, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 84; l. FeRRi, Degli atti dello stato

civile, in Commentario cod. civ. sCialoja-bRanCa, sub artt. 449-455, Bologna, 1974; F. sCaRDulla,

Stato civile, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 938; a. PassaRelli, Stato civile, voce in Digesto, Torino,

1999, sez. civile, banca dati ipertestuale; F. Vitali, Lo stato civile. Il nuovo ordinamento dello stato

civile e il d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, Milano, 2001; P. stanzione, Il nuovo ordinamento dello

stato civile, Commento al d.p.r. 3 novembre 2000 n. 396, Milano, 2001; R. muCCi, I servizi

anagrafici dello stato civile ed elettorali, in Trattato dir. amm. Cassese, Diritto amministrativo

speciale, I, Milano, 2003; con peculiare attenzione agli aspetti pratici, cfr., R. CalViGioni, Il

regolamento dello stato civile, Sant’Arcangelo di Romagna, 2015.

10 G. FeRRanDo, Il matrimonio, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-messineo-menGoni-sChlesinGeR,

Milano, 2015, 365; C.M. bianCa, Diritto civile, 2.1 La famiglia, Milano, 2014, 275; e. GiaCobbe, Il

matrimonio, L’atto e il rapporto, in Trattato dir. civ. saCCo, 3, I, Torino, 2011, 63. Da sottolineare

come la dichiarazione costitutiva dell’unione civile è tipicamente prefigurata con normativa avente

valenza di ordine pubblico inderogabile, che vede tra i suoi possibili contenuti, oltre ovviamente

all’espressione del consenso di cui al comma 2, soltanto la scelta del regime patrimoniale (comma

13), ovvero quella del cognome comune (comma 10); d’altro canto, la conclusione secondo cui la

dichiarazione di costituzione del vincolo non ammetta termine o condizione riposa in primo luogo

sul rassicurante rilievo che la dichiarazione di volontà della coppia dà luogo ad un rapporto

esistenziale che può sciogliersi unicamente nelle tassative ipotesi elencate (commi 22, 23, 24 e

26).

11 In questo senso si ripropone anche per l’unione civile la distinzione tra le ipotesi che

consentono lo scioglimento immediato (commi 22, 23 e 26) e quella che passa attraverso il

decorso di un periodo temporale ad efficacia dilatoria, teso in sostanza a contenere il

dissolvimento di tali formazioni sociali, mediante l’imposizione alle parti di una riflessione idonea a

far maturare una ponderata determinazione sul proprio futuro personale (comma 24). Cfr., quanto

all’istituto matrimoniale, tra i tanti contributi, G. GiaCobbe P. ViRGaDamo, Il matrimonio.

Separazione personale e divorzio, in Trattato dir. civ. saCCo, Le persone e la famiglia, 3, II, Torino

2011, 41 ss.

12 Invero, anche sul punto la norma è stesa in maniera approssimativa, poiché ad esprimere il

senso appena desunto nel testo (della cui esattezza comunque non v’è da dubitare), meglio

risultava una falsariga del tipo “la domanda può essere proposta decorsi almeno tre mesi...”;

improvvida anche la mancata previsione di un termine massimo oltre il quale la manifestazione di

una tale volontà risulti ancora efficace per la valida proposizione dell’azione di scioglimento in

parola. Convergenti i rilievi di l. QueRzola, Riflessioni sulla legge in materia di unioni civili, in questa

Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 843.

13 Deve peraltro precisarsi come secondo recente arresto della Corte di legittimità, “il carattere

congiunto della domanda divorzile non significa consensualità dello scioglimento del matrimonio”:

in tali termini Cass., sez. I, 7 dicembre 2011 n. 23365, in Riv. dir. proc., 2012, 1686, con mia

notazione. Cfr., m. FinoCChiaRo, La domanda congiunta di divorzio, in Riv. dir. civ., 1987, 509; G.

basiliCo, Qualche osservazione in tema di divorzio su domanda congiunta, ivi, 1991, 253; a. PRoto

Pisani, Il diritto alla separazione e al divorzio da diritto potestativo da esercitare necessariamente

in giudizio a diritto potestativo sostanziale, in Foro it., 2008, V, 161.

14 Pur con tutte le difficoltà in cui incespica l’interprete, non offrendo l’ordinamento un chiaro

dato lineare comune e di sistema; ad ogni modo sembra riflettersi sul momento dello scioglimento



dei rapporti affettivi di coppia, di natura familiare, il diverso spessore ad essi riservato dalla norma

positiva.

15 C. manDRioli a. CaRRatta, Diritto processuale civile, Torino, I, 2012, 52.

16 Il tema è direttamente connesso alla ricostruzione della natura negoziale o meno – secondo i

criteri di diritto comune – da attribuire alla dichiarazione; risultando sufficiente alla statuizione di

scioglimento la manifestazione di volontà della parte che propone l’azione ed incidendo la

pronuncia giudiziale sullo status, le problematiche concrete sembrano potersi limitare ad ipotesi

del tutto eccezionali, tanto più che ancor prima del formarsi del giudicato operano le preclusioni

processuali afferenti la fissazione del thema decidendum. I profili qui appena cennati evocano in

qualche modo quanto già emerso nel coniugio in tema di revoca del consenso, sia nella sede

processuale della separazione personale per mero consenso, come in quella divorzile a ricorso

congiunto; cfr., in dottrina, C. lumia, La separazione consensuale, in Trattato dir. fam. zatti, Milano,

2011, I, 2, 1348; in giurisprudenza, utili riferimenti si rinvengono in, Cass., sez. III, 3 dicembre 2015

n. 24621, in banca dati Pluris; Cass., sez. I, 20 agosto 2014 n. 18066, in Nuova giur. civ. comm.,

2015, 163, con nota di a. astone, La sentenza di divorzio su domanda congiunta e l’impugnazione

da parte di uno dei coniugi; Cass., sez. I, 9 aprile 2008 n. 9174, in Giust. civ., 2010, I, 181; nonché,

App. Catania 24 luglio 2014, in www.ilcaso.it; v. anche gli spunti rinvenibili in G. saVi, La garanzia

della difesa nel giudizio di divorzio a ricorso congiunto ed in quello di separazione consensuale, in

Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 1503.

17 Con il suo duplice regime del mero “visto” ovvero di “autorizzazione” dell’organo requirente,

seppur, quanto a quest’ultima ipotesi, l’istituto della filiazione, in via di principio, ritenuto dal

legislatore estraneo all’unione civile; cfr. in punto, G. saVi, L’unione civile tra persone dello stesso

sesso, cit., 125; da ultimo, v. anche, Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599, in banca dati Pluris,

che tra l’altro richiama recente espressione della dottrina in ordine alla tutela del “rapporto

affettivo filiale” instauratosi, a. sassi F. sCaGlione s. steFanelli, La filiazione e i minori, in Trattato

dir. civ. saCCo, Torino, 2015, 58.

18 “25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma e dal quinto

all’undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12-quater, 12-quinquies e 12-sexies, della legge 1

dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di

procedura civile e degli articoli 6 e 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con

modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.” Cfr., G. saVi, L’unione civile tra persone dello

stesso sesso, cit., 156.

19 Il comma 20 fissa una clausola di chiusura generale, a salvaguardia ed equivalenza, che

recepisce l’ordinamento positivo afferente il coniugio, ivi compresi gli atti amministrativi ed i

contratti collettivi, pur con importanti eccezioni: cfr., G. saVi, L’unione civile tra persone dello

stesso sesso, cit., 121.

20 Secondo il rilievo riassunto nell’efficace espressione per cui “non si è figli per consentire ad altri

di divenire genitori”, che appare corrispondere alla mens legis espressa nell’art. 1, comma 20, l. n.

76/2016; ciò non di meno, emerge marcata la contrapposta rivendicazione di realizzazione della

coppia dello stesso sesso attraverso la genitorialità conseguita con ogni possibile mezzo, sia di

surrogazione, come di fecondazione secondo metodologie genetiche oggi disponibili.

Su basi interpretative che invero prescindono da tale rude confronto culturale ed ideologico, con il

recente importante arresto di Cass., sez. I, 26 maggio 2016 n. 12962, in banca dati Pluris, pur con

la precisazione testuale secondo cui il testo normativo che ci occupa (ed in particolare con il suo

comma 20), entrato in vigore il 5 giugno 2016, “non si applica, ratione temporis ed in mancanza di

disciplina transitoria, alla fattispecie dedotta in giudizio”, comunque è stato ammesso l’istituto

dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d), l. adoz., del figlio del partner della

coppia omoaffettiva; inoltre, con il successivo arresto di Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599,



in banca dati Pluris, è stato riconosciuto trascrivibile lo status di filiazione da genitori dello stesso

sesso, prodottosi in altro Stato. Con ciò significando come l’istituto della filiazione, per diverse vie,

non sia affatto estraneo all’unione civile; questo stato di cose innesca la seria questione

dell’assenza di norme processuali per l’ipotesi in cui il rapporto dell’unione civile, in successione di

tempo, venga fatto oggetto di una domanda di scioglimento, nonostante la tutela del minore si

imponga anche ex officio; la presenza di un figlio in rapporto di filiazione con entrambe le parti,

impone di mutuare tutte le norme sulla filiazione relative sia al rapporto sostanziale, come ai

profili processuali, ivi compreso l’istituto dell’ascolto del minore (cfr. in tema, G. saVi, L’atto

processuale dell’ascolto del minore, in Dir. fam. pers., 2013, 1345; nonché, Il ruolo processuale del

minore, in La parificazione degli status di filiazione, a cura di R. CiPPitani s. steFanelli, Perugia,

2013, 295; Audizioni personali ed ascolto del minore, in Avv. fam., 2015, 3, 36; e Partecipazione

del difensore all’ascolto del minore delegato ad un consulente tecnico d’ufficio, ivi, 2016, 1, 39) ed

il diritto all’assegnazione in uso della casa coniugale (sull’istituto v., da ultimo, G. saVi,

Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente, in Diritto e processo, 2015, 441); si

profila pertanto, nonostante il mancato richiamo degli artt. 6 e 7 l. div., secondo una impostazione

legislativa chiara, per cui la presenza di prole è evenienza estranea all’unione civile, una possibile

soluzione attraverso l’utile ricorso alle norme che nel procedimento di separazione coniugale

regolano gli stessi aspetti, queste sì integralmente richiamate, seppur sempre “in quanto

compatibili”. Recente giurisprudenza di merito sembra porsi su linea interpretativa decisamente

contrapposta a quella della S.C.; cfr., Trib. Minori Milano 20 ottobre 2016.

21 L’art. 1, comma 15, l. n. 76/2016, contiene previsioni afferenti l’interdizione, l’inabilitazione ed

il sostegno, con ciò significando che l’apparato delle disposizioni rituali di tali procedimenti è

coerentemente rinvenibile nella sua sede propria e, cioè, da un lato negli artt. da 712 a 720-bis,

c.p.c. (capo II) e dall’altro negli artt. 732, 733 e 734 c.p.c. (capo IV).

22 All’art. 1, commi 5, 6 e 22, l. n. 76/2016, emerge la rilevanza dell’eventuale condizione

dell’assente e gli effetti della dichiarazione di morte presunta, cosicché il rito di questi

procedimenti risulta, anche soltanto implicitamente, rinvenibile nella sua sede propria codicistica

di cui agli artt. da 721 a 731 c.p.c. (capo III).

23 V. nota 21.

24 Il capo V del codice di rito, costituito dagli artt. 735 e 736, si ritiene tacitamente abrogato ai

sensi degli artt. da 48 a 54, della l. 19 maggio 1975 n. 151; tuttavia, quanto alla residua rilevanza

degli artt. 735 e 736 c.p.c., nell’ordinamento positivo oggi vigente, cfr., Consolo, Codice di

procedura civile, Milano, 2013, III, 1166-1170.

25 All’art. 1, comma 14, l. n. 76/2016, si rinviene la previsione afferente gli ordini di protezione

contro gli abusi familiari, che in realtà già finiva per contenere anch’essa le norme di rito proprie di

questo procedimento civile, fissate nell’art. 736-bis c.p.c. (capo V bis).

26 Questa è la conclusione ermeneutica di prima lettura offerta da F. tommaseo, Profili

processuali della legge sulle unioni civili e le convivenze, in Fam. dir., 2016, 994.

27 Affermato da ultimo con tono perentorio sia da Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 12962, cit., che

da Cass., sez. I, 30 settembre 2016 n. 19599, cit.

28 G. FeRRanDo, Il matrimonio, cit., 692; G. bonilini F. tommaseo, Lo scioglimento del matrimonio,

cit., 198.

29 Tra i primi commentatori, ne esclude invece l’applicazione, sul mero presupposto che la legge

“non prevede per le parti dell’unione civile la separazione”, G. bonilini, La successione mortis

causa della persona “unita civilmente”, e del convivente di fatto, in Fam. dir., 2016, 985.

30 G. obeRto, I regimi patrimoniali delle unioni civili, in Giur. it., 2016, 1797.

31 G. obeRto, La comunione legale tra coniugi, in Trattato dir. civ. comm. CiCu

messineo menGoni sChlesinGeR, Milano, 2010, II, 1661.



32 m. PaRaDiso, I rapporti personali tra coniugi, Artt. 143-148, in Commentario cod. civ.

sChlesinGeR busnelli, Milano, 2012, 261.

33 G. saVi, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, cit., passim.

34 Da più parti evidenziato, cfr. nota 3.

35 Il mancato assolvimento dell’obbligo sancito nell’art. 143 c.c., di assistenza materiale e di

contribuzione ai bisogni della famiglia, che contiene quello di contribuzione al mantenimento del

coniuge, in costanza di convivenza matrimoniale od in regime di mera separazione di fatto,

costituisce d’altronde fattispecie che nel coniugio si è mostrata residuale; infatti, se si arriva ad un

tale stadio di violazione dei doveri nascenti dal matrimonio è assai raro che il rapporto relazionale

non sia già entrato in crisi irreversibile. Ad ogni modo, cfr., a titolo esemplificativo, Cass., sez. I, 12

aprile 1979 n. 2153, in Foro it., 1980, I, 1102; Id., 21 dicembre 2004 n. 23713, in Fam. dir., 2005,

247, con nota di a. FiGone, Pagamento diretto dell’assegno di mantenimento e ricorso

straordinario per cassazione. Da menzionare anche l’indirizzo di merito in sede cautelare, secondo

cui al di fuori del procedimento di separazione personale dei coniugi, non sussiste il diritto

dell’uno, tutelabile in via anticipata ed urgente ex art. 700 c.p.c., di ottenere dall’altro un assegno

di mantenimento ex art. 156 c.c., per mancanza del fumus boni iuris, posto che in assenza del

ricorso per separazione, difetta il presupposto per la regolamentazione legale della separazione e

dei rapporti patrimoniali tra i coniugi; in tal senso, ad esempio, Trib. Mantova 14 marzo 2008, in

www.ilcaso.it; questo indirizzo trascura di considerare come i diritti che nascono dal vincolo di

coniugio rilevano in primo luogo in costanza di convivenza, esigendo tutela senza preclusioni,

mentre, ancora a titolo esemplificativo, argomentando anche ex art. 146 c.c., l’allontanamento per

“giusta causa” non produce certo il venir meno dell’obbligo di assistenza materiale (cfr., Cass., sez.

I, 14 maggio 1981 n. 3166, in Dir. eccl., 1981, II, 540). In ordine alla problematica, radicalmente

diversa, dell’ammissibilità o meno della tutela cautelare in pendenza del giudizio di separazione o

divorzio cfr., F. DanoVi, Il processo di separazione e divorzio, in Trattato dir. civ. comm., CiCu-

messineomenGoni-sChlesinGeR, Milano, 2015, 351.

36 Efficace l’espressione di “separazione e divorzio senza processo”, proposta da F. DanoVi, Il

processo di separazione e divorzio, cit., 867.

37 Meritano menzione le istanze del ceto forense, emerse da ultimo anche nei lavori del XXXIII°

Congresso Nazionale Forense, svoltosi a Rimini il 6-8 ottobre 2016, tese a sollecitare una revisione

migliorativa del dato normativo, al fine di rendere maggiormente accessibile l’istituto, siccome allo

stato presenta profili che finiscono per ostacolarne la potenziale diffusione. Tra le tante questioni

aperte, risulta infatti problematica persino la conservazione documentale del titolo, esclusa la

regolamentazione delle condizioni di affidamento e mantenimento della prole nata fuori dal

vincolo di coniugio, inibita la trascrizione nei registri immobiliari anche soltanto dell’assegnazione

in uso della casa familiare, e così parimenti impraticabile la soluzione esdebitatoria divorzile una

tantum; per non parlare della mancata ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato

per i non abbienti; sollecitazioni di utile riforma rinvenibili anche sui siti delle associazioni

specialistiche, www.osservatoriofamiglia.it, www.aiaf-avvocati.it.

38 G. Dosi, La negoziazione assistita da avvocati, Torino, 2016; m.G. Ruo (a cura di), Negoziazione

assistita nella separazione e divorzio, Sant’Arcangelo di Romagna, 2016.

39 Ipotesi che abbiamo visto non può dirsi assolutamente estranea all’istituto dell’unione civile:

cfr. ancora, Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 12962, cit., nonché Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n.

19599, cit.

40 I limiti dell’autonomia negoziale esercitabile anche nella sede ex art. 12, d.l. n. 132/2014, sono

stati opportunamente precisati anche sotto il profilo delle pattuizioni economico-patrimoniali,

rendendo ammissibili le fisiologiche regolamentazioni tipiche delle vicende separative e divorzili,

dall’importante arresto ultimo, di Cons. Stato, sez. III, 26 ottobre 2016 n. 4478, in www.ilcaso.it.



41 l. balestRa, La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione, in Fam. dir.,

2016, 919; iD., Unioni civili, convivenze di fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni, in

Giur. it., 2016, 1786.

42 Tra i tanti arresti, a titolo esemplificativo, cfr. quelli recenti di, Cass., sez. I, 1 luglio 2016 n.

19345, in banca dati Pluris; Cass., sez. III, 21 aprile 2016 n. 8037, ivi; Cass., sez. I, 3 aprile 2015 n.

6855, in Fam. dir., 2015, 553, con nota di G. FeRRanDo, “Famiglia di fatto” e assegno di divorzio. Il

nuovo indirizzo della Corte di Cassazione; in Nuova giur. civ. comm., 2015, 681, con nota di e. al

muReDen, Formazione di una nuova famiglia non matrimoniale ed estinzione definitiva

dell’assegno divorzile; in Giur. it., 2015, 2078, con nota di D. buzzelli, La Cassazione e l’incidenza

della convivenza more uxorio sull’assegno divorzile; ed in Corr. giur., 2016, 626, con nota di R.

Gelli, Finita la convivenza more uxorio il diritto all’assegno divorzile non rivive; Cass., sez. I, 20

giugno 2013 n. 15481, in Nuova giur. civ. comm., 2013, 994, con nota di l. lenti, Responsabilità

civile e convivenza libera; Cass., sez. III, 7 giugno 2011 n. 12278, in banca dati Juris. D’uopo

evidenziare inoltre come la nozione di “convivenza” assume vari significati nel diritto di famiglia,

emergendo profili significativi anche nel coniugio: si pensi, a titolo esemplificativo, anche al fatto

che il protrarsi della convivenza “come coniugi” rileva ai fini della dichiarazione di efficacia interna

delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio concordatario (tra altre, Cass., sez. un., 17

luglio 2014 n. 16379, in Nuova giur. civ. comm., 2015, 36, con nota di u. Roma, Ordine pubblico,

convivenza coniugale e pronunce ecclesiastiche di nullità del matrimonio: le sezioni unite

suppliscono all’inerzia legislativa con una sostanziale modifica dell’ordinamento; nonché da

ultimo, Cass., sez. I, 21 novembre 2016 n. 23640).

43 Pur con tutte le contraddizioni ed incertezze che la questione evoca: cfr., m. PaRaDiso, I

rapporti personali tra coniugi, cit., 198; e l’ampia disamina condotta da G. FRezza, I luoghi della

famiglia, Torino, 2004.

44 Non è questa la sede per una compiuta elencazione, ciò non di meno è opportuno il richiamo

ad alcune disposizioni di legge ordinaria; il primo dato rilevante è costituito proprio dalla nozione

anagrafica di famiglia, fissata nell’art. 4, d.p.r. 30 maggio 1989 n. 223; in merito alla successione

nel contratto di locazione abitativa ex art. 6, l. 27 luglio 1978 n. 392, è intervenuta a più riprese la

Corte delle leggi, che in particolare, dapprima ne ha esteso la spettanza al convivente more uxorio

e poi ha riconosciuto la possibilità dell’assegnazione in uso della casa parafamiliare, in presenza di

prole nata nell’ambito di rapporti di convivenza familiare non fondati sul matrimonio, previsione

espressa nell’art. 155-quater c.c. (applicabile in virtù dell’art. 4 l. n. 54/2006), ora novellato con

l’art. 337-sexies c.c. Al rapporto parafamiliare fa riferimento l’art. 1 della l. 29 luglio 1975 n. 405,

relativa ai servizi assistenziali dei consultori familiari; l’art. 6 della l. 4 maggio 1983 n. 184, come

modificata e integrata dalla l. 28 marzo 2001 n. 149, in relazione agli effetti dell’eventuale

convivenza anteriore al matrimonio, sulla stabilità del vincolo ai fini dell’adozione; la l. 20 ottobre

1990 n. 302, per le provvidenze a favore dei conviventi more uxorio delle vittime del terrorismo e

della criminalità organizzata; l’art. 3 della l. 1 aprile 1999 n. 91, relativamente ai soggetti titolati ad

ottenere le informazioni mediche dovute in attesa di trapianto; l’art. 17 della l. 17 febbraio 1992 n.

179, permette la sostituzione al socio assegnatario defunto, del convivente da almeno un biennio

rispetto al decesso; l’art. 4 della l. 8 marzo 2000 n. 53, in ordine al diritto del lavoratore ad un

permesso retribuito in caso di morte o di grave infermità del convivente; gli artt. 342-bis e 342-ter

c.c., introdotti con la l. 4 aprile 2001 n. 154, sull’estensione al convivente degli ordini di protezione

contro gli abusi familiari; l’art. 408 c.c., introdotto con la l. 9 gennaio 2004 n. 6, in ordine alla scelta

dell’amministratore di sostegno; l’art. 5 della l. 19 febbraio 2004 n. 40, sulla possibilità dei

conviventi di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; l’art. 4 della l. 8

febbraio 2006 n. 54, che estendeva la disciplina sull’affidamento condiviso anche ai figli di genitori



non coniugati, oggi definitivamente equiparati per effetto della riforma dell’istituto della filiazione.

Di rilievo anche le previsioni nel settore penale e processual-penalistico, quali ad esempio, in

ordine ai maltrattamenti in famiglia, l’art. 572 c.p.; l’art. 199 c.p.p. per la facoltà di astenersi dal

deporre concessa al convivente dell’imputato; le stesse previsioni di cui alla citata l. n. 154/2001,

per la disciplina penalistica degli abusi familiari, di cui all’art. 282-bis c.p.p.; l’art. 681 c.p.p. in tema

di richiesta di grazia; l’art. 30 della l. 26 luglio 1975 n. 354, che prevede la concessione di permessi

ai condannati in caso di imminente pericolo di vita del convivente.

45 Cfr., tra i molteplici contributi della dottrina, F. PRosPeRi, La famiglia non ‘fondata sul

matrimonio’, Napoli, 1980; a.C. jemolo, La c.d. famiglia di fatto, in Scritti R. Nicolò, Milano, 1982,

47; F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983; m. PaRaDiso, La comunità

familiare, Milano, 1984, 97; P. ResCiGno, La comunità famigliare come formazione sociale, in

Matrimonio e famiglia, Torino, 2000, 348; P. zatti, Familia, Familiae. Declinazione di un’idea, I. La

privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, I, 9; l. balestRa, La famiglia di fatto, Padova,

2004, e iD., I rapporti personali e patrimoniali nella famiglia di fatto, in Trattato Il nuovo diritto di

famiglia, diretto da FeRRanDo, II, Bologna, 2007, 1045; F.P. niCita, La rilevanza giuridica dei

rapporti di fatto in ambito familiare, in Giur. merito, 2005, supplemento monografico al n. 11; G.

GiaCobbe, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale ?, in Dir. fam. pers., 2006, 1219; n.

liPaRi, Rapporti coniugali di fatto e rapporti di convivenza, in questa Riv. trim. dir. proc. civ., 2007,

1026; G. bonilini, La famiglia, in Diritto civile, diretto da liPaRi e ResCiGno, II, Milano, 2009, 70; a.

Palazzo, Matrimonio e convivenze, in Dir. fam. pers., 2009, 1308; R. tommasini, La famiglia di fatto,

Famiglia e matrimonio (a cura di auletta), in Trattato bessone, Torino, 2010, 395; F.D. busnelli,

Prefazione al volume monografico della Rivista di diritto civile, La famiglia e il diritto fra diversità

nazionali e iniziative dell’Unione Europea, a cura di amRan D’anGelo, Padova, 2011; F.D. busnelli P.

VituCCi, Frantumi europei di famiglie, in Riv. dir. civ., 2013, 767; C.M. bianCa, Diritto civile, 2.1 La

famiglia, Milano, 2014, 19; m. DoGliotti, Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o

famiglie?) di fatto, in Fam. dir., 2016, 868.

46 L’esaltazione dell’elemento anagrafico viene rimarcata anche da F.P. luiso, La convivenza di

fatto dopo la l. 76/2016, in Dir. fam. pers., 2016, 1085, nel contesto di numerosi tratti

problematici.

47 Cfr. anche il Regolamento Anagrafico, di cui al d.p.r. 30 maggio 1989 n. 223 (in particolare gli

artt. 4, 5, 6, 11, 13, 14, 15 18 e 18-bis), ed il T.U. Documentazione Amministrativa, di cui al d.p.r.

28 dicembre 2000 n. 445 (in particolare gli artt. 38, 71, 75 e 76).

48 C.m. bianCa (a cura di), La riforma della filiazione, Milano-Lavis, 2015; m. sesta, Filiazione (dir.

civile), in Enc. dir., annali, VII, Milano, 2015, 445; iD., Famiglia e figli a quarant’anni dalla riforma, in

Fam. dir., 2015, 1009; a. sassi F. sCaGlione s. steFanelli, La filiazione e i minori, cit., 64; R. CiPPitani

s. steFanelli (a cura di), La parificazione degli status di filiazione, Perugia, 2013; a. Palazzo, La

filiazione, in Trattato dir. civ. comm. CiCu-messineo-menGonisChlesinGeR, Milano, 2013, 547.

49 D’uopo rilevare come sino ad oggi non esisteva, dopo la fine della convivenza, una qualche

forma di solidarietà tra le parti, salva la residuale tutela della irripetibilità delle prestazioni

rientranti nello schema dell’obbligazione naturale; vedi, oltre alle opere citate in nota 45, tra altri,

G. CeCCheRini l. GRemiGni FRanCini, Famiglie in crisi e autonomia privata, Padova, 2013, 45; P.

moRozzo Della RoCCa, Le attribuzioni patrimoniali nelle convivenze: una breve rassegna di

giurisprudenza, in Dir. fam. pers., 2012, 837; G. saVi, Quali possibili obbligazioni tra ex amanti

divenuti genitori?, ivi, 2012, 262; F. RusCello (a cura di), Accordi sulla crisi della famiglia e

autonomia coniugale, Padova, 2006, 217. Nei molteplici arresti della giurisprudenza, cfr., Cass.,

sez. I, 22 gennaio 2014 n. 1277, in Giur. it., 2015, 1090, con nota di F. RoCChio, Obbligazioni

naturali tra conviventi more uxorio?; Cass., sez. III, 15 maggio 2009 n. 11330, in Fam. dir., 2010,

380, con nota di R. Gelli, Il regime delle prestazioni di “dare” nella convivenza tra obbligazione

naturale del solvens ed arricchimento senza causa dell’accipiens.

50 A titolo esemplificativo, vedasi, Cass., sez. II, 21 marzo 2013 n. 7214, in Fam dir., 2013, 649, con

nota di C. Gabbanelli, Il convivente more uxorio non è paragonabile a un mero ospite e in caso di

estromissione violenta dall’abitazione è legittimato a esercitare le azioni a tutela del possesso;

inoltre, cfr., G. GuzzaRDi, Convivenza more uxorio e tutela possessoria dell’immobile adibito a casa

familiare, ivi, 2013, 1051.

51 C. manDRioli a. CaRRatta, Diritto processuale civile, cit., I, 72; e.t. liebman, Manuale di diritto

processuale civile, Milano, I, 1980, 159; in specifico, cfr., l. lanFRanChi, Contributo allo studio

dell’azione di mero accertamento, Milano 1969; a. PRoto Pisani, Appunti sulla tutela di mero

accertamento, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, 620; e.F. RiCCi, Accertamento giudiziale, in Digesto

(civ.), Torino, I, 1987, 25.