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Stepchild adoption: giurisprudenza creativa o conforme alla legge? (nota a Cass. Civ., Sez. I, 26 maggio 2016 n. 12962)

autore: M. Labriola

Approda in Corte di Cassazione la questione relativa alla richiesta di adozione da parte della compagna convivente della «genitrice biologica» di una minore nata in seguito alla pratica di inseminazione eterologa all’estero. Il caso «pilota», trattato dal Trib. Min. Roma1, era quello relativo a due donne conviventi in Italia, sposate in Spagna che ivi avevano proceduto alla pratica di fecondazione eterologa medicalmente assistita. La bambina, nata a seguito di donazione di gameti maschili, cresceva quindi con una genitrice biologica ed una sociale, entrambe chiamate mamma. La madre non genetica chiedeva di adottare la bambina della propria compagna (coniuge all’estero). Benché vi fosse il parere contrario del p.m.m., secondo cui l’art. 44 c.1, lett. d) l. 184/1983 - fondato sul presupposto imprescindibile dello «stato di abbandono» - si potesse applicare solo ai minori non collocabili «di fatto» in affidamento preadottivo (o perché portatori di handicap o perché, se sradicati dal contesto in cui già vivono, potrebbero subire un serio pregiudizio psico-fisico), il Collegio riteneva che, ai sensi dell’art.57 n.2 l.184/1983, andassero, invece, considerati preliminarmente gli interessi della minore. Pertanto, in ragione del fatto che la lett. d) dell’art.44 non abbia previsto, in modo esplicito, il presupposto dell’abbandono - non applicabile al caso di specie avendo già la minore una madre -, nella impossibilità non di «fatto» ma «di diritto» di affidamento preadottivo, il Trib. Min. Roma disponeva farsi luogo all’adozione della bambina2, richiamandosi alla precedente giurisprudenza conforme3. La questione veniva portata all’attenzione della C.App. capitolina su reclamo del p.m.m.4. La Corte, preliminarmente, rigettava la richiesta di nomina di un curatore speciale per la minore, sul presupposto dell’assenza del conflitto di interessi. Infatti la tutela della bambina veniva correttamente garantita dalla madre che l’aveva riconosciuta alla nascita e che ne aveva la responsabilità genitoriale in via esclusiva, costituendo, il consenso della genitrice biologica, la condizione necessaria per il perfezionamento della procedura di adottabilità (art. 46 l.184/1983). In secondo luogo, i giudici restituivano rilevo ad un consolidato rapporto di fatto tra la minore e la mamma adottante, sancendo, così, l’irrilevanza del presupposto dello stato di abbandono. La detta pronuncia si adeguava a quell’orientamento, condiviso da parte dalla giurisprudenza sovranazionale, che aveva ammesso l’adozione di un figlio generato all’estero attraverso la pratica della fecondazione eterologa medicalmente assistita scelta che, in assenza del presupposto della etero sessualità, invece in Italia avrebbe subito le limitazioni previste dalla l.40/2004. I giudici romani partivano dall’assunto che l’istituto dell’adozione in casi particolari, seppur richieda requisiti meno rigorosi di quelli previsti per l’adozione legittimante, tuttavia non possa non sottomettersi ad una verifica ben ponderata dell’imprescindibile premessa del superiore interesse del minore. I magistrati giudicavano tenendo conto dell’ampio concetto di «legame familiare» quale elaborato - con esplicito richiamo alle unioni omosessuali - anche dalla giurisprudenza della Cedu5 , in aderenza ai principi della Carta di Nizza, che vieta qualsivoglia discriminazione basata sul sesso e sull’orientamento sessuale. Le ragioni della decisione del giudice di legittimità, si presentano assolutamente in linea con quanto deciso nei due gradi di merito. Durante l’udienza di discussione il pm ha chiesto, in via preliminare, la rimessione alle Sezioni Unite in quanto involgente una questione di massima di particolare importanza. Sul punto della rimessione, la Corte, prima sezione civile, ha sottolineato la inesistenza dei presupposti di cui al c.2 dell’art. 374 c.p.c., in quanto la funzione nomofilattica, quale onere di vigilanza sull’esatta e uniforme interpretazione della legge su argomenti di particolare importanza, nel caso di specie non è apparsa doverosa, non emergendo rilevi particolari dalla prospettata questione di adozione da parte di chi ha già instaurato un rapporto significativo con il/la minore; il dato fattuale della relazione omosessuale, già trattato in pronunce nazionali e sovranazionali, non rappresenta, pertanto, una «questione di massima di particolare importanza». Sulle questioni subordinate la prima, relativa alla nomina necessaria del curatore della minore, è stata oggetto di approfondita analisi e, in ragione delle conclusioni cui perviene la Corte, si può sostenerne la correttezza. La tesi del pubblico ministero si è basata sull’emergere di un «conflitto potenziale» in quanto la madre biologica, in realtà, più che nel precipuo interesse della minore, avrebbe prestato il proprio consenso all’adozione della figlia quale portatrice di un interesse personale al consolidamento della relazione affettiva, apparendo, a detta del reclamante, tale posizione “ispirata da una concezione «adultocentrica»”. Di talché è stata ritenuta strada obbligata, la scissione delle due posizioni tra l’interesse morale all’adozione e quella di legale rappresentante dell’adottanda. Tale assunto non è condivisibile, alla luce dei precedenti indicati dalla giurisprudenza comunitaria che sono nel senso di elidere, in radice, gli effetti discriminatori che possano derivare da una differenza di tutela fra coppie eterosessuali ed omosessuali, sempre in ragione del best interest of the child. La conseguenza giuridica del non riconoscere, in ragione dell’orientamento sessuale dei genitori, un legame che possa rappresentare un quid pluris per la migliore crescita psicofisica dei figli, è la contrarietà alle norme della CEDU e della Carta dei di ritti fondamentali dell’UE (Carta di Nizza). Si palesa, pertanto, importante stabilire una possibile mediazione tra l’interesse dello Stato a preservare se stesso da scelte normative, non sempre accettate dalla maggioranza della collettività, ed il diritto del minore ad una famiglia. Gli Ermellini, evidenziando preliminarmente come non sia sindacabile in sede di giudizio di legittimità il conflitto di interessi «potenziale», qualora escluso in sede di merito6 , non hanno ritenuto di essere in presenza di interessi incompatibili tra loro7 . Qualora il conflitto «potenziale» di interessi sia da intendersi quale situazione in cui l’interesse secondario di una madre - alla formazione di una famiglia - possa potenzialmente tendere ad interferire con l’interesse primario della figlia - al riconoscimento ad una stabile rapporto di accudimento e di affettività - (verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità), allora si perverrebbe alla conclusione che, nel ruolo fondamentale della famiglia e della funzione genitoriale, potrebbero essere in ogni momento potenzialmente individuati conflitti di interessi, comunque sottoponibili ad un vaglio giurisprudenziale, benché in assenza dell’attualità di concreto pregiudizio. Nella questione che ci occupa, si ritiene che abbia avuto prevalenza, per il p.m. reclamante, uno sguardo “discriminante”, che ha attribuito ai progetti di natura meramente affettiva tra le genitrici omosessuali e la figlia, un carattere di incompatibilità in re ipsa. D’altronde, seguendo la linea argomentativa del p.m. in base alla quale l’adozione in casi particolari presenterebbe sempre un conflitto di interessi «potenziale», il particolare ambito in cui si muove l’art. 44 l.184/1983, si snaturerebbe di quella propria funzione che assicura alle situazioni di fatto, spesso già consolidate nel tempo, una tutela al minore nei casi in cui non sarebbe possibile procedere all’adozione c.d. «piena». Infine, sul punto, è importante rimarcare che la necessità del consenso del genitore dell’adottato, previsto dall’art. 46 l.184/1983, attribuisce una valenza fondamentale alla responsabilità del genitore biologico la cui derogabilità - in ipotesi di conflitto di interesse - andrebbe valutata, appunto in sede di merito, caso per caso. Ad ogni buon conto, poiché la previsione, contenuta nell’art.56 legge 184/1983, così come riformato nel 1988 dalla Corte Costituzionale, è quella della mera audizione - non del consenso - del legale rappresentante del minore adottando (che nel caso di specie il p.m.m. ha chiesto debba essere il curatore), che obbliga, conseguentemente, il giudice ad una più approfondita indagine e valutazione sul reale interesse del minore (a seguito delle ricevute dichiarazioni del legale rappresentante), va sottolineato come nel caso di specie, la modalità in cui si sono mosse le corti di merito, sia stata nel senso di una verifica puntuale secondo l’indirizzo tracciato dal successivo art. 57 legge 1984/1983. C’è da chiedersi, quindi, a che sarebbe valso l’appesantimento della procedura con la nomina del curatore speciale della minore.

Il secondo punto è quello più controverso sia in dottrina sia in giurisprudenza ed è relativo all’interpretazione della espressione «constatata impossibilità di affidamento preadottivo» contenuta nell’art. 44 c.1. lett.d). La adozione c.d. «non legittimante o semi-piena» prevista in tutti quei casi ove non siano presenti le condizioni per procedere, come già sottolineato, alla adozione legittimante o piena, rappresenta una adeguata risposta ad altri disagi. In questa forma di adozione, art. 44 c.1, vengono contemplate le ipotesi in cui: (lett. a) il minore sia orfano di entrambi i genitori, e può essere adottato da coloro che abbiano conservato un rapporto significativo con lui e/o siano parenti entro il sesto grado; (lett. b) il minore sia adottato dal coniuge dell’altro genitore, anche se figlio adottivo di questi; (lett. c, d) sia constatata l’impossibilità procedere ad un affidamento preadottivo (ad esempio: minore portatore di handicap ed orfano; rifiutato ma non abbandonato, perché già legato affettivamente ad altri soggetti adulti, anche single, che abbiano provveduto a garantirne accudimento e cura; il minore in situazione di attenuazione della responsabilità genitoriale del padre e della madre; il minore in affidamento familiare c.d. «irreversibile»; quando la richiesta di adozione di un parente sia intervenuta dopo la dichiarazione di adottabilità e, più frequentemente, quando, l’adolescenza del minore, si scontri con il desiderio degli adulti di avere un figlio in tenera età). Ampliare, nell’interesse del minore, l’accertamento sulla «impossibilità di affidamento preadottivo» (lett.d), in assenza dello stato di abbandono, anche alle ipotesi di impossibilità di diritto, come specificato, ha consentito l’applicazione della disciplina dell’art. 44 anche alle coppie same sex. Sulla questione si è espressa la Cort.edu, con una pronuncia del 21 gennaio 2014, caso Zhou vs. Italia, in cui è stato messo in rilievo che, nei tribunali italiani, si stia già registrando una interpretazione estensiva, lì dove è dichiarata l’adozione, in casi particolari, in favore di un minore, anche in situazioni in cui non sussista lo stato di abbandono. Inoltre, è stato evidenziato, da autorevole dottrina, che, poiché la forma di adozione «piena» esige, quale requisito necessario per far dichiarare il minore in condizione di adottabilità la previa verifica dello stato di abbandono dello stesso, sembra logico supporre che le ipotesi di cui agli artt. 44 e ss., applicabili «anche quando non ricorrono le condizioni di cui all’art.7 c.1», si configurino sostanzialmente in presenza di minore che non versi in tale condizione8 . Seguendo tale solco la sentenza in commento, ricalcando sostanzialmente quanto già sostenuto nei due gradi di merito, ha sottolineato come l’art. 44 c.1. stabilisca che l’accertamento di una situazione di abbandono non costituisce, diversamente dalla adozione c.d. piena, una condizione necessaria per l’adozione in casi particolari, e che tale prescrizione si applica a tutte le ipotesi previste nel detto articolo al comma primo.

A tal risultato era già pervenuta la S.C. con la sentenza 260 del 2010 che ha concluso per l’esclusione della necessarietà dello stato di abbandono, in tema di adozione di minore in casi particolari, ex art. 44 l. 4 maggio 1983 n. 184, in quanto, la natura informale del procedimento camerale comporta, ai sensi dell’art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56 l. n. 184 cit., l’assenza di qualunque vincolo di rigida priorità temporale tra gli atti della procedura, restando unica esigenza da tutelare il preminente interesse del minore; pertanto, non può considerarsi lesiva del diritto di difesa del genitore naturale l’utilizzazione del consenso da lui prestato nell’ambito del procedimento per l’adozione legittimante, qualora, constatata l’impossibilità di affidamento preadottivo, il procedimento muti in quello per l’adozione in casi particolari, tanto più che il primo presuppone l’accertamento dello stato di abbandono e recide il vincolo con il genitore naturale, mentre il secondo consente la conservazione del rapporto con quest’ultimo. D’altronde con la pronuncia del 1988 n.182, la Corte Costituzionale, nel dichiarare fondata la questione di illegittimità costituzionale - per contrasto con l’art. 3 cost. - della parte degli art. 45, comma 2 e 56 comma 2, l. 4 maggio 1983 n. 184, contenente la disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, in cui si prevedeva il consenso anziché l’audizione del legale rappresentante del minore perché si faccia luogo all’adozione, nel corso della motivazione testualmente ha asserito che ”il Titolo IV «Dell’adozione in casi particolari» della legge n. 184 del 1983 tende a recuperare, in ipotesi tassativamente circoscritte, l’impiego dell’adozione cosiddetta ordinaria o semplice o non legittimante per minori che non si trovino nello stato di abbandono, presupposto necessario quest’ultimo per l’adozione cosiddetta piena o legittimante”. Attesa, quindi, la possibilità di applicazione dell’art. 44 alle ipotesi di «non abbandono», in assenza, tra l’altro, del dato testuale ed in presenza di situazioni di fatto in cui il minore abbia già consolidato, con adulti, una relazione affettiva e stabile di convivenza, la Corte conclude sostenendo che “l’interpretazione della «impossibilità di affidamento preadottivo» […] non osta alla più ampia opzione ermeneutica che ricomprenda nella formula anche la impossibilità di «diritto», e con essa tutte le ipotesi in cui, pur in difetto dello stato di abbandono, sussista in concreto l’interesse del minore a vedere riconosciuti i legami affettivi sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendano cura”. A sostegno della tesi formulata dalla S.C., militano le pronunce in cui sono affermati diritti al riconoscimento adottivo in favore di minori cresciuti all’interno di famiglie eterosessuali9, senza che fosse mosso alcun rilievo circa l’assenza dello stato di abbandono. Nei casi su descritti i giudici, partendo dal paradigma ermeneutico della analogia ad altri pronunciamenti, hanno avvertito l’esigenza di superare le discriminazioni all’interno dei rapporti di filiazione e, atteso che la scelta dei conviventi di non voler convolare a nozze, andasse rispettata, hanno evitato che la volontà degli adulti avesse ricadute negative di denegata tutela nei confronti di minori inconsapevoli10. Ben si comprende, quindi, perché il favor adoptionis della magistratura di merito, nei casi di minori cresciuti all’interno di convivenze omosessuali, abbia trovato, in questi ultimi anni un esito positivo, in ragione del fatto che “l’esame dei requisiti e delle condizioni imposte dalla legge, sia in astratto sia in concreto, non può essere svolto - neanche indirettamente - dando rilievo all’orientamento sessuale del richiedente e alla conseguente natura della relazione stabilita con il partner”. Un ultimo inciso è d’uopo, poiché la pronuncia in commento ha esaminato precedenti giurisprudenziali sorti prima della emanazione della L.76/2016 (regolazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), “non si applica, in assenza di una disciplina transitoria alla fattispecie dedotta in giudizio”. Non deve più meravigliare né spaventare, quindi, sempre nel primario interesse del minore, una genitorialità omosessuale.

NOTE

1 Trib. Min. Roma, sent. 30 luglio 2014, n.299

2 In senso conf. Trib. Min. Roma, sent. 22 ottobre 2015, n. 291

3 App. Firenze, Sez. min., 4 ottobre 2012, n. 1274; Trib. Min. Milano, 28 marzo 2007, n. 626. Contra Trib. Min. Roma, 22 dicembre 1992, in “Dir. Famiglia”, 1993, p. 212

4 App. Roma, 23 dicembre 2015, in “Il familiarista.it”, 2016, 5 gennaio s.m, nota di SAPI

5 Cort. edu, ric. 30141/04, sent. 24 giugno 2010, Schalk e Kopf c. Austria

6 Corte Cass., n. 5533/2001

7 Corte Cass., n.21651/2011

8 URSO E., L’adozione dei minori in casi particolari, in FERRANDO G. (a cura di ), Il nuovo diritto di famiglia. Volume terzo, Filiazione e adozione, Bologna, Zanicchelli Editore, 2007, pp. 784-789

9 Trib. Min. Milano, sent. 28 marzo 2007, n. 626; App. Firenze, sent. 4 ottobre 2012, n. 1274

10 Cionondimeno, da parte di autorevole dottrina e di giurisprudenza (Trib.Min.Milano, decreto, 2 febbraio 2007), si sostiene che non sia pacificamente ammissibile l’adozione da parte del convivente more uxorio se non nell’ipotesi in cui il figlio sia orfano del partner con cui l’adottante abbia stabilito un rapporto stabile e duraturo (n.d.a.). DOGLIOTTI M., Diritto del minore ad una famiglia, in SESTA M. (a cura di), Codice della famiglia. Artt.1-69, Milano, Giuffrè Editore, III edizione, 2015, pp. 2123 ss.