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Dalla Corte CEDU le indicazioni per tutelare in concreto la relazione padre/figlio (nota a CEDU, IV sez.., 17 novembre 2015)

autore: V. Mazzotta

La sentenza in commento è in linea con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo secondo la quale, nell’ambito dei procedimenti di separazione della coppia genitoriale, grava sullo Stato principalmente l’obbligo di regolare i rapporti tra figlio e genitore non convivente con celerità e senza discriminazioni di sorta. Affinchè l’obbligo positivo dello Stato sia soddisfatto, non è sufficiente l’adozione di provvedimenti che prevedano astrattamente la frequentazione: infatti, non sussiste violazione dell’art. 8 solo se i provvedimenti sono congrui rispetto al risultato e lo siano anche i comportamenti dei soggetti che a diverso titolo di responsabilità hanno il compito di rendere effettivi detti provvedimenti. L’autorità nazionale non viola l’art. 8 solo allorchè venga posto in essere un disegno programmatico che coinvolga tutti i soggetti competenti, mirante al rafforzamento della relazione genitoriale. Non basta operare in astratto, occorre provvedere in concreto tenuto conto delle esigenze di volta in volta da soddisfare.



IL FATTO



Il sig. Bondavalli e la moglie decisero di separarsi consensualmente nel 2004, convenendo per l’affido esclusivo del figlio minore alla madre e diritto di visita paterno limitato a due giorni alla settimana. A fronte delle difficoltà ad incontrare il figlio, e nell’ambito di una vicenda estremamente conflittuale, il padre nell’ottobre del 2006 chiese al Tribunale per i minorenni di Bologna di ottenere l’affidamento condiviso del figlio e un più ampio diritto di visita. Il Tribunale gli riconobbe, in aggiunta a quanto già previsto, anche i fine settimana alternati, tre giorni a Pasqua, una settimana a Natale e due settimane durante le vacanze estive, con ordine di monitoraggio ai servizi sociali di Scandiano. Il provvedimento fu confermato dalla Corte d’Appello. A fronte del sospetto di maltrattamenti sul minore, l’uomo denunciò la moglie, ma mentre le denunce furono archiviate, i Servizi Sociali - informati delle circostanze - riferirono al TM che, per proteggere il minore a fronte dello stato di agitazione e stress che affliggeva il sig. Bondavalli, sarebbe stato opportuno che gli incontri si svolgessero in forma protetta e con restrizione dei tempi di permanenza, oltre a ritenere non provati i maltrattamenti materni e di conseguenza suggerire una perizia psicologica sui genitori. Il sig. Bondavalli, più volte nell’ambito dell’intera vicenda giudiziaria, denunciò che gli assistenti sociali incaricati di seguire il caso erano stati parziali, avendo questi un rapporto di colleganza con la madre, psichiatra presso la medesima struttura amministrativa, e chiedendo di conseguenza che l’incarico fosse affidato dal TM ad altri servizi sociali. Parimenti, il sig. Bondavalli, rilevando che anche la psichiatra consulente d’ufficio nominata aveva un rapporto professionale con la madre di suo figlio, contestò le conclusioni della perizia psicologica. Sulla base di detta perizia, tuttavia, il TM, completamente ignorando le segnalazioni sull’operato dei servizi sociali incaricati, adottò un provvedimento ancor più restrittivo del diritto di visita paterno, confermato anche dalla Corte d’Appello. Il sig. Bondavalli produsse varie perizie medico-legali sulla sua persona che negavano la sussistenza di qualsivoglia patologia o disturbo della personalità, al contempo evidenziando che i servizi sociali non avevano adottato alcun provvedimento positivo volto ad instaurare un’autentica relazione padre-figlio, mentre invece avevano sempre favorito la madre. Nessuna relazione di parte fu tuttavia considerata dall’autorità giudiziaria che invece optò per gli incontri protetti. Successivamente, i servizi sociali vietarono ogni contatto telefonico tra il ricorrente e suo figlio e gli incontri tra i due furono sospesi diverse volte; annullarono inoltre alcuni incontri padre-figlio senza la possibilità di recupero in date successive. All’esito dei vari procedimenti giudiziari, il sig. Bondavalli, in forza dei provvedimenti adottati, poteva incontrare il figlio due ore alla settimana in presenza di un assistente sociale, nonché due ore alla settimana in presenza della madre, oltre a poterlo sentire telefonicamente una volta alla settimana sul telefono cellulare della madre.



LA DECISIONE DELLA CORTE EDU



Il sig. Bondavalli presentò alla Corte EDU il 29 maggio 2012, lamentando la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per l’eccessiva autonomia che i servizi sociali si erano accordati nell’esecuzione dei provvedimenti adottati dal Tribunale per i minorenni di Bologna. All’autorità giudiziaria eccepiva invece di non aver esercitato un controllo regolare sull’attività svolta dai servizi sociali, lamentando, in particolare, che la consulente tecnica e il personale dei servizi sociali avevano subito l’influenza dalla madre in ragione dei rapporti professionali esistenti tra loro. La Corte EDU ravvisa la violazione dell’art. 8 da parte dello Stato Italiano, evidenziando che la norma impone ai poteri pubblici, e allo Stato in particolare, non solo di astenersi da indebite ingerenze nella vita privata e famigliare dell’individuo, ma anche di adottare azioni positive e funzionali a garantire il rispetto della vita privata, e in particolare la predisposizione di strumenti giuridici adeguati che consentano l’adozione di misure idonee a rinforzare il legame tra genitori e figli, anche in situazioni conflittuali. Da parte dell’Autorità Nazionale, insomma, deve essere fatto tutto il possibile per consentire la realizzazione del diritto di visita del genitore non convivente con il figlio: altrimenti si realizza una violazione dell’art. 8 della Convenzione. Non è sufficiente che lo Stato vigili affinché il minore possa mantenere un rapporto col genitore, ma deve adottare misure concrete idonee al perseguimento dello scopo. E tali misure, per essere adeguate allo scopo, devono essere attuate rapidamente, poiché il decorso del tempo nuoce all’evoluzione positiva dei rapporti tra figlio e genitore non convivente. La decisione si distingue perché, rispetto alla normalità dei casi sottoposti alla sua attenzione, in quello di specie la Corte non solo accerta la violazione di un principio ma fornisce anche indicazioni concrete allo Stato Italiano per la tutela effettiva della relazione genitoriale padre-figlio, sempre nel rispetto del supremo interesse del minore. Infatti, i Giudici di Strasburgo, pur sottolineando che spetta alle autorità nazionali valutare le misure che è opportuno adottare, trovandosi lo Stato in una posizione migliore per compiere tale valutazione in ragione del contatto diretto con il contesto della causa e le parti coinvolte, nel caso di specie, facendo presente di aver in passato già sanzionato il nostro Paese in un caso analogo (CEDU, sent. 2 novembre 2010 def. 2 febbraio 2011, ric. n. 36168/09, Piazzi c. Italia), ritengono che le autorità giudiziarie interne avrebbero dovuto prendere in considerazione le segnalazioni di parziarietà operate dal ricorrente, incaricando un altro esperto di effettuare una nuova perizia e affidando il percorso di sostegno del minore ad altro servizio sociale. Ritengono altresì che non siano state adottate le misure appropriate, e quindi la necessaria diligenza, per creare le condizioni necessarie a garantire la piena realizzazione del diritto di visita paterno: è dunque evidente la violazione dell’art. 8 della Convenzione. Infine, e in ciò sono ravvisabili le concrete indicazioni che Strasburgo fornisce al Governo italiano, tenuto conto anche delle conseguenze irrimediabili che il decorso del tempo può avere sulle relazioni genitoriali, la Corte ritiene che incomba sul nostro Paese procedere con un celere riesame del regime vigente del diritto di visita paterno, da condurre alla luce del supremo interesse del minore (principio analogo è stata espresso nella recentissima sentenza CEDU, sent. 23 giugno 2016, ricorso n. 53377/13 Strumia c. Italia). Come conseguenza della constata violazione dell’art. 8 CEDU, in applicazione dell’art. 41 CEDU la Corte condanna lo Stato Italiano al versamento di10.000 euro a titolo di risarcimento del danno morale oltre a 15.000 euro per le spese legali sostenute.