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Figlio maggiorenne contro il padre: un titolo esecutivo formatosi nel contraddittorio coniugale non è esercitabile dal figlio (nota a Trib. Palermo, 14 gennaio 2016)

autore: G. Savi

La pronuncia in commento merita di essere segnalata attingendo una questione singolare, con rari precedenti. La fattispecie: una figlia maggiorenne in condizione di vita adulta autonoma, a sua volta parte di una relazione familiare con prole, spicca atto di precetto nei confronti del padre, invocando un titolo esecutivo formatosi nel contraddittorio tra i propri genitori, ben venti anni prima, esattamente in sede del giudizio di status divorzile, mai sino ad allora sottoposto a revisione; il titolo prevedeva l’obbligazione contributiva paterna in favore della madre affidataria della stessa figlia, allora in età minore, pari a vecchie £. 400.000=. Il precetto notificato ineriva le ultime cinque annualità di tale contributo mensile, convertito ed aggiornato Istat, cioè con rispetto del termine prescrizionale quanto a quelle anteriori. Il padre intimato muove opposizione esecutiva protestando che la figlia era da anni in condizioni di autosufficienza economica personale, tanto che effettivamente non aveva più corrisposto quel contributo di mantenimento; al contempo, evidentemente intimorito, promuove anche il giudizio di revisione del giudicato divorzile, chiedendo la revoca della stessa misura assistenziale, domanda che a quanto è dato inferire dal testo è stata poi accolta. In realtà, lo stesso padre, non riesce a cogliere il motivo primo dell’opposizione proposta, che invero il giudice adito solleva d’ufficio, e cioè l’esistenza stessa di un titolo esecutivo legittimamente esercitabile dalla figlia nei suoi confronti. Al di là dell’aspetto sociologico secondo cui il conflitto giudiziario più incontenibile oramai coinvolge persino padri e figli (anche quando sono in età adulta ed a loro volta investiti da responsabilità genitoriali), con una avversione davvero sintomatica, con buona pace del millenario senso etico nella trasmissione della vita tra le generazioni, il percorso ermeneutico esposto dal giudicante appare senz’altro condivisibile, munito di apparato motivo ove si rinvengono i basilari richiami rilevanti. Come noto, il sistema di tutela dei diritti prefigurato nel nostro ordinamento positivo è retto, tra gli altri principi cardine, da quello secondo cui il giudicato “fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (art. 2909 c.c.). Dall’introduzione della riforma cd. sull’affidamento condiviso del 2006, con l’art. 155 quinquies, comma I, cpv., c.c., si è introdotta in sede di regolamentazione della crisi familiare in cui sono coinvolti figli maggiorenni che non abbiano ancora raggiunta la condizione di autosufficienza economica, l’ulteriore possibilità di rendere il figlio stesso, destinatario sostanziale della contribuzione del genitore non convivente, anche diretto percettore del versamento; questa ipotesi, oggi trasfusa identicamente nell’art. 337 septies c.c., inerisce ovviamente il giudizio di merito (separazione, divorzio, riparto degli oneri della genitorialità fuori dal matrimonio, modificazioni e revisioni) che porta alla formazione del titolo giudiziale. Nella fattispecie v’è stata opposizione al precetto fondato sul titolo divorzile, reso unicamente tra i genitori, peraltro quando il figlio intimante era ancora in età minore, nel quale non si rinviene la condanna in favore del soggetto che ha intimato il pagamento, motivo per cui, agevolmente, il giudicante rileva come debba escludersi che dell’obbligazione de qua possa essere legittimo creditore titolato chi non è stato parte del giudizio sfociato nella decisione sulla quale si fonda l’intimazione a pagare. L’attuazione satisfattiva del diritto riconosciuto non prescinde infatti dalla valenza formale del titolo che lo incarna ed attesta, cioè dai suoi estremi obiettivi e subiettivi1. Seppur è esatto che nella sede cognitiva di merito per il mantenimento vi è astratta legittimazione concorrente del figlio maggiorenne e del genitore con vivente, il mancato esercizio del diritto da parte del figlio stesso - che ha il libero esercizio dei proprie posizioni soggettive disponendone - certamente non consente a questi di avvalersi del giudicato reso nel contraddittorio instaurato soltanto tra i genitori, e ciò neppure nell’ipotesi che il giudicato preveda quale soggetto destinatario materiale del denaro il figlio maggiorenne stesso, ai sensi dell’art. 337 septies c.c. Il soggetto titolato all’esercizio in sede esecutiva resta sempre il genitore che ha spiegato la relativa domanda ed ottenuto il riconoscimento del diritto. Opportuna digressione induce a ricapitolare come nella ridetta sede di merito per l’accertamento del diritto al mantenimento della prole, diversa ed autonoma è la legittimazione ad agire del genitore convivente e del figlio maggiorenne, entrambe iure proprio2, seppur concorrenti; da tempo sì è infatti raggiunta la conclusione secondo cui risulta intrinseca, nella stessa formulazione dell’art. 337 septies c.c., che proprio al giudice della crisi familiare possa essere demandata la soluzione di ogni possibile conflitto concreto nell’ambito del medesimo contesto coniugale/genitoriale, con la funzione di una effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati, in esatta conformità ai principi del giusto processo, costituzionalmente garantiti, che in tali evenienze di connessione enumera anche il simultaneus processus. Già in altre sedi, sul tema dell’intervento in lite del figlio maggiorenne, annotando adesivamente pronunce di legittimità e di merito, in esito ad una minuta disamina della questione, si perveniva a tali conclusioni3 . La legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio di separazione coniugale (ovvero di divorzio) già pendente tra i suoi genitori, è intimamente connessa con la legittimazione ad agire del genitore convivente, verso l’altro genitore, per ottenere il rimborso di quanto già speso per il suo mantenimento e/o per la determinazione di tale contributo per il futuro; in tale ottica, il titolo che legittima il genitore convivente con il figlio maggiorenne, che si fa carico degli oneri quotidiani del suo mantenimento, a domandare verso l’altro genitore il proporzionale concorso contributivo, è un titolo autonomo iure proprio, che si fonda sulla comune responsabilità genitoriale e cioè sulla condivisione dell’obbligazione ex lato passivo (artt. 147, 148 e 316 bis, comma II, c.c.), per cui è connaturato il suo interesse patrimoniale non solo ad essere refuso delle spese già sostenute, ma a non anticipare costantemente in futuro la quota della prestazione gravante sul suo coobbligato solidale; e trova pregnante ragione nel munus spettante al medesimo genitore convivente di provvedere direttamente ed in modo completo e continuo, al mantenimento, all’istruzione ed all’educazione del figlio; invece, il diverso titolo che legittima il figlio maggiorenne a domandare verso i propri genitori, trova il suo fondamento nella titolarità del diritto al mantenimento, dalla nascita e sino al raggiungimento della sua sufficiente maturità anche economica, per effetto diretto dell’insorgenza del rapporto di filiazione; esso non è soltanto autonomo e iure proprio, ma principale, nel senso che, ove esercitato con domanda rivolta al futuro, può escludere in toto od in parte la legittimazione cosiddetta concorrente del genitore convivente. Ne deriva che l’art. 337 septies c.c., non modifica, né confligge, con il dato normativo sostanziale ex artt. 147, 148, 155, 316 bis c.c. e 30 Cost., che anzi, nella sua valenza primaria, è chiaramente presupposto e confermato; l’obbligazione/dovere genitoriale ed il diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito, educato, sino al raggiungimento di una condizione di indipendenza (o condizione emancipata giuridicamente equiparabile negli effetti), risultano esattamente ciò che erano anteriormente alle riforme, invero, senza distinzione per età. Ne consegue che è reputata intrinseca alla stessa formulazione dell’art. 337 septies c.c., che la devoluzione di quel conflitto è proprio rivolta al giudice della crisi familiare, in quanto questi è chiamato ad adottare ogni possibile determinazione, sia quella conforme all’indicazione normativa preferenziale (versamento diretto al figlio “avente diritto”) che quella derogatoria (“salvo diversa determinazione del giudice”), a seconda della prudente valutazione delle concrete emergenze del caso, esemplificativamente indicate in sostanza, nelle eventuali esigenze di allontanarsi nel quotidiano, nel livello di capacità ad auto amministrarsi, nella valutazione degli apporti e delle spese del genitore convivente. Ciò significa che il figlio maggiorenne non può ritenersi litisconsorte necessario4; il maggiorenne non deve perciò essere necessariamente presente, assumendo sempre il ruolo di parte dei giudizi di separazione e divorzio dei propri genitori (ma il discorso risulta identico in sede di nullità del vincolo matrimoniale, di modificazione o revisione delle condizioni e nei contenziosi tra genitori non vincolati dal coniugio); l’inciso “avente diritto” che compare nella lettera dell’art. 337 septies c.c. - del quale non sfugge la natura di norma specificativa e l’ampia discrezionalità di valutazioni che introduce - non è reputato sufficiente a sorreggere la conclusione tesa a qualificarlo litisconsorte necessario; infatti, è tutt’oggi confermato l’autonomo titolo soggettivo di “avente diritto” anche in capo al genitore convivente che adempie, tra l’altro così espressamente individuato nell’art. 316 bis, comma II, c.c. (ed anche nell’ipotesi che questo genitore domandi il pagamento diretto, in tutto od in parte, in mani del figlio stesso, comunque beneficiario nel concreto dell’obbligazione in parola). Tale basilare “spartiacque”, consente di escludere con sicurezza la ricorrenza di una ipotesi di solidarietà attiva tra il figlio maggiorenne ed il genitore convivente, tesi oramai lontana nel tempo e già minoritaria5. Entrambe tali posizioni giuridiche, così dichiarate meritevoli della più ampia tutela, comportano quella situazione soggettiva di sussistenza della legittimazione ad agire, e cioè la ricorrenza di quella condizione dell’azione che apre le porte della decisione nel merito (e cioè del riscontro di fondatezza o meno nel concreto della singola fattispecie). Ciò opportunamente richiamato per l’azione di merito che trova titolo su tali autonomi diritti, seppur in quella guisa connessi, la soluzione data al singolare caso di cui si è dovuto occupare il tribunale di Palermo, è rispettosa di ogni possibile ricostruzione ermeneutica, in esatta linea anche con i principi appena enumerati. Non è infatti revocabile in dubbio come la previsione rilevante unicamente in sede di cognizione ai fini della formazione del titolo esecutivo, ove ivi non esercitata, non può certo invocarsi in sede di attuazione forzata del medesimo titolo, in favore di soggetti che non hanno (o non hanno ancora) inteso esercitare un proprio diritto, rimanendo estranei al ben diverso contraddittorio processuale. Condivisa pertanto la lineare conclusione, giova segnalare come il percorso motivo non menziona un precedente di legittimità specifico6, ed invero qualche sparuta decisione di merito7, mentre non risultano editi precedenti difformi. Da ultimo, non è certo fuori luogo rilevare come alcuni eventi che segnano radicalmente l’evoluzione naturale della vita dei figli maggiorenni, quali la cessazione della relazione di convivenza con almeno uno dei genitori, la costituzione di un autonomo nucleo familiare, e simili, dovrebbero poter contare sulla illuminata previsione di una efficacia estintiva retta da automatismo consequenziale, senza dover necessariamente e sempre adire Giustizia.

NOTE

1 MANDRIOLI-CARRATTA, Diritto processuale civile, Torino, 2012, IV, 26.

2 I precedenti di riferimento successivi all’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c., si individuano

in Cass., sez. I, 19/1/2007 n. 1146, in Fam. minori, 2007, 3, 46; Id., 12/10/2007 n. 21437 in Fam.

dir., 2008, 584, con nota di GRAZIOSI; Id., 23/10/2007 n. 22255, in banca dati Jus & Lex; Id.,

18/2/2009 n. 3908, in banca dati Juris; Id., 21/5/2009 n. 11828, in Giust. civ., 2010, 379, che così

motiva: “il raggiungimento della maggiore età del figlio non priva di legittimazione il genitore

convivente già affidatario a percepire quell’assegno jure proprio e non ex capite filiorum. L’entrata

in vigore dell’art. 155quinquies c.c. non muta il principio, tanto più considerato che la figlia

maggiorenne mai risulta aver fatto domanda di corresponsione diretta dell’assegno in proprio

favore. D’altra parte il semplice raggiungimento della maggiore età del figlio non viene ad

esonerare il genitore dall’obbligo di contribuire al suo mantenimento, fino a quando il genitore

stesso non fornisca la prova che il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato

svolgimento di attività lavorativa sia a questo imputabile”; Id., 22/3/2010 n. 6861, in Fam. dir.,

2010, 776, con nota di PATANIA; Id., 19 marzo 2012 n. 4296, in Giur. it., 2012, 1288; Id., 13

dicembre 2012 n. 22951, in banca dati Pluris; Id., 17 gennaio 2014 n. 921, ivi; per la giurisprudenza

di merito, v. da ultimo, Trib. Torino 29 dicembre 2014, in www.ilcaso.it.

3 SAVI, Legittimazione del figlio maggiorenne ad intervenire nel giudizio di separazione coniugale

dei genitori, in Giur. it., 2012, 1290; Id., Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi

coniugali/genitoriali aventi ad oggetto il proprio mantenimento, ivi, 2011, 82.

4 Tesi sostenuta in particolare da GRAZIOSI, Il versamento diretto dell’assegno di mantenimento ai

figli maggiorenni economicamente non ancora autosufficienti. Note processuali, in Fam. dir., 2008,

585, in nota a Cass., sez. I, 12/10/2007 n° 21437; Id., Profili processuali della L. n° 54 del 2006 sul

c.d. affidamento condiviso dei figli, in Dir. fam. pers., 2006, 1856; Id., Ebbene sì, il minore ha diritto

di essere ascoltato nel processo, in Fam. dir., 2010, 365.

5 Insostenibile risulta infatti tale tesi, una volta appurato che non trattasi dello stesso diritto; la

Suprema Corte nel ridetto leading case 19 marzo 2012 n. 4296, rinvia in proposito al precedente di

Cass., sez. I, 12/10/2007 n. 21437, in banca dati Juris, ma questo costituiva la risultante, che

consolidava l’indirizzo emerso in altri anteriori ed invero numerosi, insegnamenti (tra i quali si

segnalano, Cass., sez. I, 29/3/1994 n. 3049; Id., 18/2/1999 n. 1353; Id., 16/6/2000 n. 8235; Id.,

21/6/2002 n. 9067); quel precedente di riferimento aveva infatti confutato proprio la possibilità di

configurare un’ipotesi di solidarietà attiva tra il genitore convivente che adempie nel quotidiano

ed il figlio maggiorenne, conclusione erratica cui erano giunti i precedenti di Cass., sez. I,

16/7/1998 n. 6950; Id., 8/9/1998 n. 8868; Cass., sez. III, 18/4/2005 n. 8007; d’altro canto, evidente

risultava l’improponibilità di un richiamo ai principi dettati in tema di solidarietà attiva nelle

obbligazioni, da applicarsi analogicamente, come se il genitore convivente ed il figlio maggiorenne

fossero titolati ad esercitare il medesimo diritto, sia per mancanza proprio di eadem causa

obligandi, sia perché a differenza della solidarietà passiva che sorge per legge (art. 1299 c.c.),

come ben noto, quella attiva non si presume, ma richiede un titolo specifico, legale o

convenzionale; la correzione di indirizzo si fonda proprio ed anche sul riconoscimento che trattasi

di una obbligazione caratterizzata invero dal vincolo di solidarietà passiva tra i genitori.

6 Cass., sez. I, 21 giugno 2002 n. 9067, in Fam. dir., 2002, 651, ed in Arch. civ., 2003, 446. 7 Tra cui

Trib. Modena 5 settembre 2007, in banca dati Juris.