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Le disposizioni processuali dettate per l’unione civile dalla legge 20 maggio 2016, n. 76. Opinioni a confronto

autore: C. Cecchella

1. Il comma 25 della legge n. 76 del 2016 costituisce una delle (poche) disposizioni destinate a regolare il processo su domanda che ha titolo nell’unione civile, a riprova di quanto scarso interesse il legislatore da tempo manifesti verso la tutela giurisdizionale dei diritti nelle controversie di famiglia, all’interno delle quali devono oggi essere annoverate, a pieno titolo positivo, quelle in esame. Infatti, nel comma 25 la riforma si occupa della sola materia dello scioglimento dell’unione civile, trascurando del tutto il più ampio tema della tutela dei diritti fuori dalla crisi, sia patrimoniali che personali, a cui, nel limitrofo ambito della famiglia fondata sul matrimonio, per le esigenze impellenti di tutela differenziata, l’ordinamento offre regole processuali speciali . La c.d. manutenzione del rapporto al di fuori del suo scioglimento risente infatti anch’essa, per la particolarità delle situazioni personali e patrimoniali coinvolte, delle esigenze postulate da una tutela giurisdizionale speciale. Tale aspetto è del tutto ignorato dal legislatore, con la conseguenza, come vedremo, che tutto è ricondotto alle forme ordinarie di tutela. Pur non concepita in un sistema legislativo unitario e razionale, ma espressione di norme spesso frammentarie, contraddittorie e di stretta applicazione, non può essere sottaciuta la esigenza incontenibile - che il legislatore della legge in commento trascura, probabilmente nella fretta di legiferare in materia - di una tutela differenziata, anche nella materia delle unioni civili. Questa, come tra breve vedremo, è la più importante lacuna della legge in commento.



2. L’unione civile tra persone dello stesso sesso, per quanto non assimilata dalla legge ad un matrimonio tra persone di sesso diverso, richiama numerosi diritti della famiglia fondata sul matrimonio: comma 11 (obbligo di reciproca assistenza materiale e morale; contributo economico ai bisogni comuni in proporzione alle proprie sostanze e alle capacità lavorative di ognuno); comma 13 (comunione come regime patrimoniale ex lege dell’unione civile); comma 22 (“Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso”).

Se dunque molti diritti nascenti dall’unione civile corrispondono a diritti che nascono nella famiglia fondata sul matrimonio, nella prospettiva del diritto sostanziale, la risposta che l’ordinamento offre sul piano processuale a questi ultimi non può, per rispetto dei principi costituzionali della uguaglianza e razionalità, art. 3 Cost., e della garanzia giurisdizionale di diritti, art. 24 Cost., non estendersi anche ai primi. Al contrario il legislatore sembra cogliere questo fondamentale principio solo nella crisi della unione, ma non nella “manutenzione” del rapporto, nella tutela in costanza di rapporto, nell’ambito della quale resta muto. Le esigenze sottese alla tutela differenziata, perché il processo familiare sia in linea con gli artt. 3 e 24 Cost., sono inderogabili. Anzitutto l’esigenza di un’urgenza della tutela, ovvero di una risposta che la giurisdizione deve offrire tempestivamente, imponendo una regola concreta alla fattispecie nella quale sono in gioco delicati e per lo più indisponibili diritti personali e patrimoniali, che non può tardare e che deve precedere una tutela di merito idonea al giudicato. Per questo l’ordinamento concepisce le misure provvisorie, bene evidenti nell’ambito della fase presidenziale del procedimento di separazione e divorzio, ove le misure prescindono addirittura dall’elemento del periculum, a riprova di quanto il periculum sia insito nella materia e sempre presente; ugualmente in altre esperienze, come i provvedimenti anticipatori e provvisori del rito camerale, ai sensi degli artt. 335 e 710 c.p.c. Oltre ad un’esigenza di tutela urgente, vi è altresì quella di un continuo adattamento delle misure provvisorie o definitive all’incessante evoluzione nel tempo della fattispecie. Nessuna materia vive la sopravvenienza di novità fattuali come quella della famiglia: i mutamenti patrimoniali di reddito e la dinamica imposta dalla crescita del figlio, che da neonato diventa adolescente e poi maggiorenne, con tutte le conseguenze in termini di adattamento della regola concreta imposta al conflitto o al rapporto dalle misure provvisorie o definitive. Basti ricordare la disciplina dell’art. 709 u.c. c.p.c., o la disciplina dell’art. 710 c.p.c. e dell’art. 9, legge n. 898 del 1970, ove è consentita una illimitata modificabilità e revoca delle misure da parte del giudice istruttore e un rapido adattamento delle misure irrevocabili, perché passate in giudicato, attraverso un rito camerale. Vi è poi la necessità di modificare sensibilmente le regole del processo esecutivo. Questo sia attraverso una deroga al principio per cui il diritto è eseguibile solo se esigibile (art. 474 c.p.c.), poiché il carattere permanente delle prestazioni corrispondenti a numerosi diritti (obbligo di consegna del minore in periodi precisi nel tempo al genitore non collocatario; obbligo di pagamento del contributo di mantenimento o dell’assegno divorzile entro un termine preciso ad ogni mese), rendono necessaria una tutela esecutiva proiettata nel futuro, senza attendere l’inadempimento, e ciò avviene attraverso la cessione dei crediti che l’obbligato vanta verso terzi nella tutela dei diritti economici (artt. 156 e 316 - bis c.c.; art. 8 legge n. 898 del 1970), oppure attraverso la reiterazione della sanzione economica per ogni inottemperanza futura a tutela dei diritti personali imposta dall’applicazione anche alle controversie di famiglia dall’art. 614-bis c.p.c. Ma vi è di più. Nell’ambito del processo esecutivo esiste poi la infungibilità della prestazione obbligata, particolarmente corrispondente ai diritti personali (ad esempio l’obbligo di consegna del minore), ma non solo (quando il diritto economico corrisponde indirettamente a beni personali, come la vita, la dignità ecc.). L’infungibilità esclude l’applicabilità delle forme del processo esecutivo, regolate del libro terzo del codice di rito e rende necessario un adeguato apparato di misure coercitive che costringono l’obbligato alla prestazione: ecco l’origine dell’art. 709-ter c.p.c. e dell’art. 614-bis c.p.c., per lo più ritenuto applicabile alle controversie familiari. Infine, sempre sotto il profilo del processo esecutivo, la necessaria identificazione del giudice dell’esecuzione con il giudice del merito e la deroga al principio della insensibilità del processo esecutivo al mutamento dei contenuti della tutela di merito, se non attraverso gli incidenti di cognizione regolati dagli artt. 615 e ss. c.p.c. Per questa ragione nel diritto di famiglia il giudice dell’esecuzione, che è identificato nel giudice del merito (art. 709-ter c.p.c. e art. 6, 10 comma, legge n. 898 del 1970), può modificare anche le misure di merito quando vi sono ostacoli alla loro esecuzione. Questa rapida disamina degli elementi essenziali di tutela giurisdizionale differenziata, nell’ambito familiare, non possono essere derogati, se non con il rischio di violare principi costituzionali, nell’ambito delle controversie nelle quali si discute dei diritti nascenti dall’unione civile, senza mettere in discussione la sua esistenza.



3. Nonostante questo inquadramento, che costituisce premessa inevitabile di un sistema delle tutele giurisdizionali e dei diritti nell’ambito della famiglia e delle unioni civili, non può non esse sottolineata la riferibilità dei richiami contenuti nel comma 25 ai soli commi che precedono, ovvero allo scioglimento dell’unione civile e quindi alla sua crisi. Poiché le tutele giurisdizionali differenziate speciali, con riferimento in particolare alle regole dello speciale procedimento bifasico sommario e a cognizione piena, che contraddistingue la separazione e il divorzio, oppure il rito camerale nelle controversie di famiglia, possono applicarsi solo nei casi tipizzati, ovvero quando il legislatore li prevede, in caso contrario dovendo prevalere la tutela comune nelle forme ordinarie, dobbiamo concludere che la tutela di diritti al di fuori della crisi, in difetto di norme speciali o di richiamo, debba seguire inesorabilmente la disciplina del processo ordinario a cognizione piena. La lacuna del comma, che non può essere colmata se non attraverso questo richiamo sistematico, rende vana una tutela giurisdizionale effettiva di diritti come il diritto di assistenza morale e materiale e il diritto ad un contributo ai bisogni comuni in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo, nonché tutti gli altri diritti che derivano dall’applicazione del comma 20, per richiamo generalizzato ai diritti riferiti al coniuge nel rapporto matrimoniale. Questi diritti sono inesorabilmente abbandonati ad un processo ordinario a cognizione piena, introdotto con un atto di citazione, con i formalismi della fase di trattazione e dell’istruttoria propri di quel rito, contraddistinto da preclusioni, con la praticabilità di una tutela anticipatoria solo nei rigorosi limiti della tutela cautelare, con la mancanza di istituti idonei ad adattare rapidamente le misure anche passate in giudicato all’evolversi della fattispecie e, infine, con il rigoroso richiamo agli istituti del libro terzo del codice di rito, quanto alla tutela esecutiva dei provvedimenti di condanna. Niente di più lontano dalla materia familiare e dalle esigenze di tutela giurisdizionale degli interessi coinvolti, una lacuna che stride con il principio di uguaglianza e la garanzia di un’azione giurisdizionale effettiva per la tutela dei diritti (art. 3 e 24 Cost.). Lo stesso problema si pone - ma in quel contesto la lacuna è ancor più grave - nelle convivenze, in mancanza di un chiaro affidamento alla tutela differenziata camerale delle controversie sulla validità, risoluzione, recesso e manutenzione dei contratti di convivenza. In questo caso non vi è neppure un richiamo per il caso della crisi, ovvero in relazione alla controversia sul recesso dal contratto. Nelle convivenze invero il profilo è ancor più grave, poiché la lite tra i conviventi è destinata alle forme ordinarie e la lite che coinvolge i diritti dei figli, allo speciale rito camerale innanzi al tribunale ex art. 38 disp. att. c.p.c. (con una biforcazione di competenze e riti la cui assurdità si commenta da sola), senza possibilità di riunione dei giudizi (non potendo un rito camerale e un rito ordinario svolgersi in un simultaneus processus). Questo per evidenziare la abnormità della lacuna.



4. Esiste un ambito in cui il ricorso alla tutela ordinaria nelle forme del processo a cognizione piena si manifesta anche nell’ambito della famiglia tradizionale fondata sul matrimonio. Questo è l’ambito delle azioni con le quali è richiesta l’invalidità del matrimonio e nel nostro caso dell’unione, laddove si tratti di formulare l’azione di nullità, per le cause impeditive alla costituzione dell’unione civile, introdotte dal comma 5 e 6, oppure l’azione di annullamento per vizio del consenso, regolata dal comma 7. In tal caso non vi è difformità rispetto al regime generale della famiglia e la via è perfettamente in linea con i principi di uguaglianza e razionalità.



5. Le misure di carattere anticipatorio, al di fuori di quello che si dirà per quanto concerne la crisi dell’unione, non possono che essere quelle consentite dal sistema in via ordinaria e comune: il provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c., regolato dalle forme del processo cautelare uniforme ex artt. 696 e ss. c.p.c. Con questo si vuol dire che in difetto di una tipizzazione di provvedimenti anticipatori che prescindono dai presupposti cautelari, in particolar modo del periculum, non esiste nell’ambito dell’unione civile, e della tutela dei diritti che nascono, una misura anticipatoria generalizzata. Alla parte lesa nei diritti nascenti dall’unione, non resterà che allegare e provare i presupposti di fumus e periculum della tutela ex art. 700 c.p.c. Tuttavia vi è da dire che il comma 14, a cui si rinvia per il commento più approfondito, richiama l’istituto speciale dell’art. 343-ter c.p.c. (invero il richiamo deve ritenersi riferito all’intera disciplina relativa dettata a partire dall’art. 342-bis c.p.c.). La speciale azione di natura latu sensu cautelare per arginare, prima che si raggiunga l’estremo dello scioglimento, ove tutto può essere regolato di nuovo, la violenza fisica o morale subita da una delle parti o le condotte che violano la libertà di una delle parti . Si tratta di una delle poche estensioni di una tutela speciale, al di fuori della crisi postulata dal vero e proprio scioglimento.



6. I richiami contenuti nel comma 25 in commento e soprattutto la loro profonda contraddittorietà, rendono necessaria una breve digressione sui presupposti dello scioglimento, prima ancora che siano individuate le forme attraverso le quali lo scioglimento viene avviato al processo con gli effetti giuridici che produce. Sotto questo aspetto non è dubitabile sul piano positivo la scelta di cui al comma 23, quella di estendere allo scioglimento dell’unione tutti i casi che provocano lo scioglimento del matrimonio, per richiamo alla legge n. 898 del 1970 ad esclusione - l’espressione del legislatore non può essere equivoca in proposito - della separazione personale. Con questo si vuol dire che lo scioglimento non è preceduto, come la modalità dello scioglimento del matrimonio, dalla necessità di una separazione personale giudiziale o consensuale: non si richiama l’art. 2, n. 2, lett. b) della legge cit. Oltre ai casi di scioglimento del matrimonio esiste poi, in una regolamentazione originale: il caso voluto dal comma 24, il quale consente lo scioglimento per volontà delle parti, manifestata anche disgiuntamente innanzi all’ufficiale dello stato civile. Ma in tal caso la domanda di scioglimento vero e proprio fondato sul consenso può essere proposta solo decorsi i tre mesi, evidentemente volendo il legislatore, in difetto di una pausa postulata dalla separazione, che non è contemplata nello scioglimento dell’unione civile, una dilazione volta a consentire un eventuale ripensamento delle parti. Infine, da ultimo, l’ipotesi della rettificazione anagrafica del sesso, che ai sensi del comma 26, determina lo scioglimento dell’unione, come effetto automatico ope legis che - sia consentito osservare - stride con la diversa soluzione della rettificazione anagrafica del sesso nel contesto del matrimonio, poiché in tal caso i coniugi possono opporre la loro volontà di non sciogliere il matrimonio o di cessarne gli effetti civili, essendo in tal modo instaurato automaticamente l’unione civile delle persone dello stesso sesso. La conversione è consentita solo in un direzione unica. I tre nuclei di ipotesi evidenziati, offrono soluzioni processuali diversificate che dovranno essere ricostruite.



7. Esiste anzitutto il problema dello scioglimento su domanda di una sola delle parti. Si tratta dei casi in cui è ammesso nel matrimonio il divorzio senza il previo passaggio attraverso una separazione personale autorizzata (condanna per delitti particolari o oltre una certa soglia della sanzione, oppure assoluzione per gli stessi reati dovuta a vizio di mente, per estinzione del reato o per non punibilità; divorzio conseguito all’estero). A questi casi deve aggiungere il caso di uno scioglimento per domanda di una delle parti, ovvero senza il consenso di entrambi. L’ipotesi in effetti sembrerebbe non contemplata (la tecnica legislativa è la peggiore possibile), poiché il comma 24 regola il caso dello scioglimento consensuale, con manifestazione di volontà comune anche se disgiunta nell’espressione temporale, e in nessun luogo si regola l’ipotesi dello scioglimento per iniziativa di una sola parte, non essendo sufficiente all’uopo il richiamo all’art. 3 della legge n. 898 del 1970, che prevede la necessità di una previa separazione personale (peraltro a cui esplicitamente non si fa rinvio). Non si può certo pensare che solo il matrimonio possa essere sciolto su domanda di una delle parti, mentre l’unione sarebbe indissolubile. Sarà necessaria una interpretazione estrapolata dall’art. 1 della legge n. 898 cit., laddove lo scioglimento è preceduto da un accertamento del giudice sulla impossibilità di mantenere o ricostituire una comunione materia o spirituale tra i coniugi, come presupposto dello scioglimento, a valere anche per l’unione civile.



Più opportunamente sul piano interpretativo, sarà possibile fare ricorso ancora al comma 24 ed interpretare quel “disgiuntamente” non come manifestazione in tempi diversi, ma come manifestazione anche unilaterale, ritenendo quindi contemplato nel comma 24 anche lo scioglimento unilaterale. Si applica in questi casi il comma 25 in commento, il quale offre tre soluzioni, due contraddittorie e di complessa interpretazione, una di piana interpretazione. Le due soluzioni contraddittorie sono il richiamo concomitante sia alle forme del divorzio e sia alle forme della separazione (richiamo alle norme del codice di procedura di rito dedicate alla separazione personale). Si tratta come è noto di forme analoghe, ma non del tutto coincidenti, per alcune diversità di tutela giurisdizionale nei due ambiti, proprio per questo contraddittorie tra di loro. Si deve in proposito soprattutto sottolineare che il richiamo deve intendersi solo con finalità processuali in senso stretto, non potendo desumersi dal comma 25, ciò che il comma 23 ha escluso. Ai fini di un coordinamento della evidente contraddittorietà, devono essere percorsi i seguenti passaggi: 1. il rinvio alle norme sulla separazione non può condurre, in deroga al comma 23, alla consacrazione di uno scioglimento preceduto da separazione. Nella disciplina delle unioni civili lo scioglimento non è mai preceduto dalla separazione. 2. Non è neppure ipotizzabile, come si adombra nei primi dibattiti , l’ipotesi di un richiamo alle forme della separazione come ipotesi di una separazione personale fine a se stessa, non confluente nello scioglimento, destinata a sospendere gli effetti dell’unione per un tempo indefinito, poiché sul piano del consenso esiste la volontà di scioglimento o la volontà di continuare, tertium non datur. 3. Se dunque il richiamo deve intendersi solo sotto il profilo processuale e non sostanziale dei presupposti dello scioglimento, una possibile spiegazione interpretativa può essere semplicemente quella: a) che il legislatore abbia voluto richiamare latu sensu, la forma bifasica comune dei procedimenti per separazione e divorzio (fase presidenziale a cognizione sommaria necessaria, confluente in un provvedimento interinale, succeduta da una fase di merito a cognizione piena affidata in trattazione ed istruttoria ad un giudice istruttore e in fase decisoria al collegio); b) con il richiamo interpretativo al principio di “compatibilità” il legislatore ha voluto consentire al giudice la ricerca di istituti speciali anche propri della separazione quando essi non sono regolati nell’ambito del divorzio. Alla luce di tali considerazioni logico giuridiche, per concludere, si deve escludere il rilievo di diritto sostanziale del richiamo alle due discipline, dovendo essere collocato esclusivamente sul piano del rinvio delle norme processuali, tendenzialmente quelle del procedimento divorzile, integrate, se ritenute compatibili, con speciali norme dedicate al procedimento di separazione. Questo il senso da dare al contraddittorio rinvio.



8. Il legislatore, questa volta in coerenza con la normativa che introduce con favore la soluzione negoziale e alternativa alla giurisdizione, correttamente affidata a chi da sempre si occupa del diritto di famiglia, ovvero all’avvocato, fissa gli effetti dello scioglimento non solo alla matrice del provvedimento giurisdizionale, ma anche a quella dell’accordo stimolato dalla trattativa degli avvocati confluente nella negoziazione assistita. L’impossibilità di un accesso delle unioni civili agli istituti dell’adozione (salvo il recentissimo orientamento di Corte Cassazione, I sez. civ., 26 maggio 2016 n. 12962, pubblicato con nota di Michela Labriola, che dunque pone anche nelle Unioni il problema della presenza di un figlio), rende possibile una soluzione negoziale che può condurre solo ad un controllo limitato del pubblico ministero locale, destinato solamente ad una verifica di regolarità formale dell’accordo, sulla base della sussistenza, dei suoi contenuti sostanziali e formali, della sua sottoscrizione certificata e della certificazione di compatibilità alle norme imperative ed inderogabili dell’avvocato. Non essendo ipotizzabile in unione civile un rapporto assimilabile alla filiazione, il potere del pubblico ministero non potrà mai esprimersi come potere discrezionale di autorizzazione dell’accordo, non essendovi interessi dei minori da valutare. Ovviamente la conseguenza di tale inevitabile impostazione comporta il richiamo pure all’art. 12 della legge n. 162 del 2014 e quindi la possibilità che le parti dell’unione civile diano luogo all’accordo innanzi all’ufficiale di stato civile, senza la necessità della presenza di avvocati che rappresentino ognuna delle parti, pur dovendo l’accordo regolamentare profili delicati e ai limiti della disponibilità, costituiti dall’assistenza morale e materiale e al diritto ad una tutela di mantenimento a seguito dello scioglimento. Ma questa è una scelta della l. n 162 del 2014.



9. Si è detto che il comma 24, pur attraverso manifestazioni di volontà separate, ma che condividono lo scioglimento, raccolte in tempi diversi dall’ufficiale di stato civile, possa originare lo scioglimento su base consensuale. In tal caso il rinvio congiunto alle forme della legge n. 898 del 1970 e alle norme del codice di rito sulla separazione, mettono in grave affanno l’interprete e l’operatore, poiché il tentativo di un coordinamento che si è espresso nel par. 7 che precede, rischia di non offrire risultati nell’ambito delle soluzioni consensuali o congiunte di scioglimento. Infatti le forme del divorzio e della separazione sono estremamente lontane l’una dall’altra. Il rito di separazione consensuale è di volontaria giurisdizione, l’accordo è matrice dell’effetto della separazione e l’omologa interviene come elemento esterno della fattispecie che attribuisce efficacia alla stessa. Al contrario il divorzio congiunto coincide con il rito contenzioso e non di volontaria giurisdizione, nel quale il giudice deve accertare, attraverso una cognizione, i presupposti dello scioglimento del matrimonio, dando origine, anche nel caso di domanda congiunta, ad una pronuncia in forma di sentenza impugnabile nelle forme ordinarie e idonea al giudicato. A quale delle due forme il legislatore ritiene possibile lo scioglimento consensuale congiunto? Di fronte all’enigma postulato dalla lacuna e dalla contraddittorietà del rinvio, non vi è altro che tentare un’interpretazione della possibile “intenzione” del legislatore, al di là della lettera. Esclusa la separazione sul piano del diritto sostanziale come presupposto nell’ambito dell’unione civile ed avendolo il legislatore fissato sui presupposti del divorzio o dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio, è al modello della legge n. 898 del 1970 che si deve pensare con richiamo alle forme processuali della domanda congiunta di divorzio. In tale direzione, ma con tutti i dubbi di una stridente contraddizione della norma, sono le forme del rito contenzioso che devono essere richiamate, con una soluzione invero poco opportuna, ma forse necessitata.



10. La rettificazione di attribuzione del sesso, ai sensi del comma 27, pronunciata con sentenza, oltre a produrre effetti propri determina, senza alcun formalismo particolare, un effetto immediata: lo scioglimento dell’unione civile tra le persone dello stesso sesso. Pertanto, alle parti dell’unione civile in tal caso non sarà necessario più di una semplice annotazione della sentenza di rettificazione presso l’ufficiale di stato civile, cui dovrà provvedere la cancelleria del tribunale, non dovendo introdurre in modo necessitato un procedimento ulteriore che determini, su base consensuale o contenziosa, l’effetto dello scioglimento.



11. Con il richiamo all’art. 4, il legislatore ha voluto rinviare alle norme processuali del procedimento divorzile in senso stretto, in caso di scioglimento non condiviso, dal ricorso e i suoi contenuti, alla fase presidenziale, ai termini per lo scambio delle memorie che precludono le deduzioni in fatto, domande ed eccezioni riservate alla parte, alla udienza di trattazione innanzi al giudice istruttore, con le preclusioni riguardanti le prove in occasione delle memorie autorizzate, sino alla decisione collegiale, con eventuale efficacia retroattiva per gli aspetti economici, e alla eventuale sentenza parziale; infine all’appello in camera di consiglio. Il primo comma dell’art. 5, fissa l’oggetto del giudizio divorzile e l’ordine di annotazione della sentenza all’ufficiale di stato civile. I commi successivi dello stesso articolo regolano l’assegno divorzile, il suo aggiornamento nel tempo, la corresponsione una tantum sotto la valutazione del tribunale, gli oneri imposti sul piano istruttorio (la produzione dei documenti fiscali) e la cessazione dell’assegno in caso di nuova unione o matrimonio. Qui forse è il caso di evidenziare che tutta la giurisprudenza nella sua varia evoluzione, sino alle più recenti pronunce, dovrà essere presa in considerazione anche per l’assegno in caso di scioglimento dell’unione civile, essendo in tutto e per tutto il trattamento assimilato. Sono poi estesi gli istituti della revoca e modifica delle misure contenute in sentenza, con rito camerale (art. 9); della reversibilità della pensione a favore della parte superstite, titolare di assegno di mantenimento, anche in concorrenza con altro coniuge o parte di altra unione, con quote che il tribunale dovrà ripartire, in sede di giudizio che segue le regole comuni ordinarie (come nel matrimonio, in mancanza di un regime speciale). L’assegno periodico a carico dell’eredità per chi, titolare di assegno di divorzio, versi in stato di bisogno (art. 9-bis). La trasmissione della sentenza passata in giudicato all’Ufficiale di Stato civile per l’annotazione (art. 10). Il diritto alla quota del trattamento di fine rapporto, in caso di titolarità di assegno, anche se percepita dopo la sentenza (art. 12 - bis). I diritti di reversibilità sulla pensione del figlio premorto (art. 12-ter).

La competenza anche del foro della esecuzione della obbligazione (art. 12 - quater). La estensione della legge italiana sullo scioglimento nel caso di parte dell’unione straniero con legislazione che non regola lo scioglimento (art. 12 - quinquies). La tutela penale della violazione dei provvedimenti sui diritti economici (art. 12 quinquies). Per la estensione delle misure coercitive civili, v. il par 12 che segue.



12. Infine, le tutele esecutive. Con il richiamo all’art. 8 della legge n. 898 del 1970, il legislatore estende alle unioni civili le misure esecutive tipiche a tutela dei diritti economici: il sequestro, come misura coercitiva; l’iscrizione ipotecaria; l’assegnazione dei crediti che l’obbligato vanta verso terzi; la sanzione penale di inottemperanza (mentre non sarà concepibile, per il ristretto ambito di applicazione, la misura coercitiva destinata ai diritti personali regolata nell’art. 709-ter c.p.c. e nell’art. 614-bis c.p.c., anche dopo la novella del 2015, che ha modificato quest’ultima disposizione). Vi è anche da dire che, e qui il senso di un richiamo alle regole della separazione personale disciplinate dal codice di rito, che potrebbero astrattamente ritenersi applicabili anche le forme speciali esecutive a tutela dei diritti personali, ma il tema riguarda il figlio e quindi resta ai margini o fuori l’ipotesi dell’unione civile, salvo ripensamenti del legislatore su un tema così delicato e fonte di evidente compromesso. Ma il problema è già attuale vista la recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sull’estensione dell’adozione alle Unioni civili, pubblicata su questa Rivista con nota di Mazzotta.

NOTE

Note

1 “25. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 4, 5, primo comma e dal quinto all’undicesimo comma, 8, 9, 9-bis, 10, 12-bis, 12- quater, 12-quinquies e 12-sexies, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo II del libro quarto del codice di procedura civile e degli articoli 6 e 12 del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.”

2 Con il recente importante arresto di Cass., sez. I, 26 maggio 2016 n. 12962, in banca dati Pluris, pur con la precisazione testuale secondo cui il testo normativo che ci occupa, entrato in vigore il 5 giugno 2016, “non si applica, ratione temporis ed in mancanza di disciplina transitoria, alla fattispecie dedotta in giudizio”, comunque è stato ammesso l’istituto dell’adozione in casi particolari ai sensi dell’art. 44, lett. d), l. adoz., del figlio del partner della coppia omoaffettiva, con ciò significando come l’istituto della filiazione non sia affatto estraneo all’unione civile; questo stato di cose innesca la seria questione dell’assenza di norme processuali per l’ipotesi in cui il rapporto dell’unione civile in successione di tempo venga fatto oggetto di una domanda di scioglimento, nonostante la tutela del minore si imponga anche ex officio; la presenza di un figlio in rapporto di filiazione con entrambe le parti, impone di mutuare tutte le norme sulla filiazione relative sia al rapporto sostanziale che ai profili processuali, ivi compreso l’istituto dell’ascolto del minore (cfr. in tema, SAVI, L’atto processuale dell’ascolto del minore, in Dir. fam. pers., 2013, 1345; nonché, Il ruolo processuale del minore, in La parificazione degli status di filiazione, a cura di R. CIPPITANI-S. STEFANELLI, Perugia, 2013, 295; Audizioni personali ed ascolto del minore, in Avv. fam., 2015, 3, 36; e Partecipazione del difensore all’ascolto del minore delegato ad un consulente tecnico d’ufficio, ivi, 2016, 1, 39) ed il diritto all’assegnazione in uso della casa coniugale (sulla quale questione v., da ultimo, SAVI, Assegnazione della casa familiare e tutela del terzo acquirente, in Diritto e processo, 2015, 441); si profila pertanto, nonostante il mancato richiamo degli artt. 6 e 7 l. div., secondo una impostazione legislativa chiara, per cui la presenza di prole è evenienza estranea all’unione civile, una possibile soluzione attraverso l’utile ricorso alle norme che nel procedimento di separazione coniugale regolano gli stessi aspetti, queste sì integralmente richiamate, seppur sempre “in quanto compatibili”.

3 Affermato da ultimo con tono perentorio da Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 12962, cit.

4 Ripetutamente segnalato dagli studiosi del processo di famiglia; v., per tutti, F. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) i profili processuali (Le recenti riforme del diritto delle persone e della famiglia), in Fam. Dir., 2006, 388; rilievo ribadito successivamente anche in ordine alla riforma sull’unicità dello stato di filiazione, ivi, 2013, 251; ed ancora ivi, 2014, 526.

5 Il mancato assolvimento dell’obbligo sancito nell’art. 143 c.c., di assistenza materiale e di contribuzione ai bisogni della famiglia, che contiene quello di contribuzione al mantenimento del coniuge, in costanza di convivenza matrimoniale od in regime di mera separazione di fatto, costituisce d’altronde fattispecie che nel coniugio si è mostrata residuale; infatti, se si arriva ad un tale stadio di violazione dei doveri nascenti dal matrimonio è assai raro che il rapporto relazionale non sia già entrato in crisi irreversibile. Ad ogni modo, cfr., a titolo esemplificativo, Cass., sez. I, 12 aprile 1979 n. 2153, in Foro it., 1980, I, 1102; Id., 21 dicembre 2004 n. 23713, in Fam. dir., 2005, 247, con nota di A. FIGONE, Pagamento diretto dell’assegno di mantenimento e ricorso straordinario per cassazione. Da menzionare anche l’indirizzo di merito in sede cautelare, secondo cui al di fuori del procedimento di separazione personale dei coniugi, non sussiste il diritto dell’uno, tutelabile in via anticipata ed urgente ex art. 700 c.p.c., di ottenere dall’altro un assegno di mantenimento ex art. 156 c.c., per mancanza del fumus boni iuris, posto che in assenza del ricorso per separazione, difetta il presupposto per la regolamentazione legale della separazione e dei rapporti patrimoniali tra i coniugi; in tal senso, ad esempio, Trib. Mantova 14 marzo 2008, in www.ilcaso.it; questo indirizzo trascura di considerare come i diritti che nascono dal vincolo di coniugio rilevano in primo luogo in costanza di convivenza, esigendo tutela senza preclusioni, mentre, ancora a titolo esemplificativo, argomentando anche ex art. 146 c.c., l’allontanamento per “giusta causa” non produce certo il venir meno dell’obbligo di assistenza materiale (cfr., Cass., sez. I, 14 maggio 1981 n. 3166, in Dir. eccl., 1981, II, 540). In ordine alla problematica, radicalmente diversa, dell’ammissibilità o meno della tutela cautelare in pendenza del giudizio di separazione o divorzio cfr., F. DANOVI, Il processo di separazione e divorzio, in Trattato dir. civ. comm., CICU-MESSINEO-MENGONI-SCHLESINGER, Milano, 2015, 351.

6 G. DOSI, La negoziazione assistita, Torino, 2014; M. G. RUO (a cura di), Negoziazione assistita nella separazione e divorzio, Sant’arcangelo di Romagna, 2016.

7 Ipotesi che abbiamo visto non può dirsi assolutamente estranea all’istituto dell’unione civile: cfr. ancora, Cass., sez. I, 22 giugno 2016 n. 12962, cit.