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Diritto alla cittadinanza del minore straniero: il ddl 2092/2015

autore: M. Labriola - S. Borzillo

SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. I minori nati all’estero; 3. I minori nati in Italia: lo ius soli; 4. Il DDL di modifica della normativa sulla cittadinanza.



1. Introduzione



Dall’inizio della XVII legislatura si è riacceso il dibattito circa l’ opportunità di una riforma legislativa a tutela dei minori nati in Italia, attraverso il rafforzamento dello ius soli nel nostro ordinamento giuridico e l’introduzione di una nuova forma di acquisto della cittadinanza (ius culturae). L’acquisto della cittadinanza da parte del minore straniero è un tema che torna a far discutere, in ragione dell’aumento esponenziale negli ultimi anni dei minori stranieri in Italia. Tale nuovo aspetto della struttura sociale italiana è dovuto, principalmente, all’evoluzione del fenomeno migratorio, il quale non mira più a progetti temporanei lavorativi ma ad un insediamento stabile e duraturo tanto da arrivare a creare seconde generazioni sul territorio. Seppur in costante aumento, i figli nati in Italia da genitori immigrati non comprendono tutti i minori stranieri presenti sul nostro territorio, rientrandovi anche quelli nati all’estero e successivamente giunti nel nostro paese seguendo il percorso migratorio dei propri genitori (direttamente insieme a questi ultimi oppure in un secondo momento attraverso il ricongiungimento familiare), nonché i minori non accompagnati presenti in Italia senza genitori. Ad essi, infine, si aggiungono i minori che alla nascita o in un secondo momento (dopo adozione o riconoscimento) entrano a far parte di un nucleo familiare composto esclusivamente o parzialmente da genitori italiani.

La disciplina in materia di cittadinanza fa oggi capo alla L. 91 del 1992, Nuove norme sulla cittadinanza, fondata principalmente sull’acquisizione della cittadinanza per nascita o per discendenza (c.d. jus sanguinis) e solo in via residuale e per casi limitati, come vedremo, attraverso il criterio del luogo (c.d. jus soli o jus loci), il quale valorizza il rapporto tra individuo e territorio nonché il momento volontaristico di adesione dell’individuo alla nazione ed al contratto sociale tipico della cittadinanza, a prescindere dalla discendenza familiare del singolo. Focalizzando l’attenzione sul legame di sangue, rimandando le ipotesi residuali di acquisto jure soli ai paragrafi successivi, l’art 1 della legge n. 91 riconosce automaticamente la cittadinanza sia ai minori i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani che al minore adottato (art. 3, comma 1). Tale ultima disposizione è retroattiva applicandosi anche a tutti coloro che sono stati adottati, minorenni, prima della entrata in vigore della legge in esame (art. 3, comma 2). Anche il riconoscimento o la dichiarazione giudiziale della filiazione durante la minore età del figlio ne determina la cittadinanza italiana (art. 2, comma1); l’acquisto della cittadinanza nelle predette due ipotesi è automatico solo qualora i figli siano minorenni (art. 2, comma 1) mentre quelli maggiorenni che conservano la propria cittadinanza potranno eleggere la cittadinanza determinata dalla filiazione con un’apposita dichiarazione resa entro un anno dal riconoscimento, o dalla dichiarazione giudiziale di filiazione o dalla dichiarazione di efficacia in Italia del provvedimento straniero nel caso in cui l’accertamento si avvenuto all’estero (art. 2, comma 2).



2. I minori nati all’estero



Analizzate le ipotesi di acquisto automatico della cittadinanza, si esaminano, inoltre, quei casi di attribuzione tramite concessione (in particolare, con decreto del Presidente della Repubblica); per maggiore chiarezza espositiva si procederà analizzando prima il caso di minori nati all’estero e, successivamente, le ipotesi dei minori non accompagnati e dei nati in Italia. Per quanto riguarda i minori nati all’estero - come su evidenziato - essi si dividono tra quelli giunti in Italia al seguito dei genitori immigrati o, in un secondo momento, con il ricongiungimento familiare e quelli non accompagnati trovati nel territorio Italiano. In via generale gli stranieri che intendono entrare in Italia devono (art. 5 Reg. CE 562/2006 e art. 4 Testo Unico sull’immigrazione): 1) presentarsi presso un valico di frontiera; 2) essere in possesso di uno o più documenti di viaggio validi che consentano di attraversare la frontiera; 3) essere in possesso di un visto valido; 4) giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti; 5) non avere cause ostative all’ingresso o essere considerato una minaccia per la sicurezza interna, l’ordine pubblico, la salute pubblica; 6) avere un motivo per entrare in Italia. I motivi per entrare in Italia corrispondono ai vari visti che possono essere rilasciati dalle autorità consolari, è ormai prassi raggrupparli in due macrocategorie : i visti all’interno di quote e i visti fuori quote. I primi sono visti contingentati che dipendono dalla presenza o meno di un provvedimento autorizzatorio all’entrata in Italia (tali sono i visti per lavoro autonomo, subordinato o stagionale) mentre tra i visti al di fuori delle quote rientra quello generico per “motivi familiari” che, a seguito della direttiva interministeriale dell’11 maggio 2011, unifica i due precedenti tipi per “ricongiungimento familiare” e per “familiare al seguito”. Il fatto che ora possa venir richiesta un’unica tipologia di visto non significa che il nulla osta debba essere di un solo tipo infatti, lo Sportello unico, può rilasciare sia il nulla osta per ricongiungimento familiare sia quello per familiare al seguito che, seppur diversi, necessitano di una documentazione simile. In entrambi i casi, inoltre, la domanda di nulla osta deve essere presentata in modo telematico (sito www.interno.it) e, a seguito dell’inoltro, lo Sportello unico convocherà lo straniero per la presentazione della documentazione necessaria che permetterà il rilascio di una copia contrassegnata con timbro datario e sigla del dipendente incaricato qualora risulti tutto regolare. Nell’ipotesi, invece, di minore giunto in Italia non accompagnato è necessario che l’interessato presenti una domanda di protezione internazionale se non risulti possibile il ritorno immediato nel proprio paese. La protezione internazionale può essere di due livelli: il primo è il riconoscimento dello status di rifugiato, il secondo dello status di protezione sussidiaria in cui la situazione non è grave come la prima ma non è neppure fattibile in ritorno in patria; si tratta in entrambi i casi di una procedura simile come garanzie e adempimenti, al termine della quale la Commissione territoriale può riconoscere uno dei due status di protezione internazionale. Analizzate le situazioni che possono presentarsi dinanzi ad un minore nato all’estero, occorre ora soffermarsi sulle strade da essi percorribili per ottenere la cittadinanza una volta entrati in Italia. Nel caso in cui il minore abbia in Italia i propri genitori (stranieri) le ipotesi sono due: - il minore diventa cittadino in seguito alla naturalizzazione di almeno un genitore (art. 14); - il minore non ha possibilità di modificare il suo status grazie ai genitori, perché questi non hanno chiesto o comunque non hanno ottenuto la cittadinanza, ma può iniziare un suo percorso di naturalizzazione una volta però compiuto il diciottesimo anno di età (art. 9). In riferimento alla prima ipotesi è da considerare che, secondo quanto previsto all’art. 12 del DPR n. 572 del 1993 “Regolamento di esecuzione della legge 5 febbraio 1992, n.91, recante nuove norme sulla cittadinanza”, al momento della naturalizzazione del genitore, il minore deve convivere con esso in modo stabile e comprovabile con idonea documentazione Dunque, la convivenza con il genitore naturalizzato è un requisito fondamentale che non può intervenire in epoca successiva al giuramento del genitore e deve essere “stabile, effettiva e opportunamente attestata con idonea documentazione” (art. 12, comma 2). A darne dimostrazione non risulta sufficiente, quindi, l’iscrizione anagrafica del figlio minore nello stato di famiglia ma deve essere fornita ulteriore prova della reale condivisione dell’abitazione del minore con il proprio genitore. Questo spesso risulta non di facile realizzazione, basti pensare ai quei coniugi che vivono separati per motivi di lavoro. In questi casi i figli convivono, in tempi diversi, con l’uno e con l’altro genitore creando una discontinuità nella convivenza necessaria. Ci sono poi situazioni in cui i minori stessi vivono, per motivi per esempio di studio, lontani da casa e dai genitori. La difficoltà nel provare la convivenza stabile e duratura unita ai tempi biblici della procedura di naturalizzazione dell’adulto (spesso i minori non riescono ad usufruire di questa possibilità in quanto la naturalizzazione del genitore arriva dopo il raggiungimento della loro maggiore età), ha permesso solo a pochi minori di acquistare la cittadinanza (iuris comunicatio) ex art. 14 L. n. 91 del 1992. Dalla lettura dell’art. 9 nonché dall’analisi dell’iter procedimentale suddetto si desume che l’attribuzione della cittadinanza non è un diritto soggettivo; il termine usato dalla legge è, infatti, “concessione”, poiché non è determinata dalla valutazione dell’interesse dello straniero ma dell’interesse preminente dello Stato e della comunità nazionale ad accogliere come nuovo cittadino il richiedente. Pertanto, il potere esercitato dall’amministrazione circa l’attribuzione della cittadinanza italiana è altamente discrezionale. Con circolare del 5.01 2007 , il Ministero dell’interno ha, infatti, chiarito che: «tenuto conto che l’atto concessorio della cittadinanza italiana basato sulla residenza nel territorio della Repubblica è, per concorde opinione della giurisprudenza di natura squisitamente discrezionale, in ordine alle fattispecie di naturalizzazione disciplinate dall’art. 9 della legge n. 91/1992, l’Amministrazione deve verificare, sia i requisiti prescritti dalla legge, sia l’insieme di ulteriori elementi che motivino l’opportunità della concessione». La stessa Circolare indica che «l’accertamento è altresì rivolto all’esistenza dell’interesse pubblico generale1, nonché alla ca pacità dell’interessato di disporre di mezzi adeguati a garantirgli l’autosufficienza economica e il soddisfacimento degli obblighi di solidarietà». Come già anticipato, la durata del procedimento di acquisto per naturalizzazione dovrebbe essere di due anni ma purtroppo la realtà è ben diversa. Nella prassi i tempi di attesa sono di circa quattro anni e, in forza di una espressa clausola di deroga, non si applicano le norme della legge n. 241/90 relative alla durata massima del procedimento amministrativo (art 2, 5° comma). Alla luce delle considerazioni esposte, ne deriva un quadro non del tutto confortante; il rigore legislativo nonché l’ampia discrezionalità, unita ai ritardi procedimentali, creano una situazione di difficoltà estrema, tanto da far pensare quasi ad un’ indifferenza della nostra nazione nei riguardi del fenomeno migratorio. Un temperamento a questo rigore, seppur non totale come si vedrà, è previsto per i minori nati in Italia.



3. I minori nati in Italia: lo ius soli



Analizzate le principali forme di acquisto della cittadinanza (automatica e per concessione), in questa sede si prendono in considerazione i residuali casi di acquisto volontario, basato sullo ius soli o ius loci, cioè diritto del suolo che indica l’acquisizione della cittadinanza di un Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati nel territorio italiano. Rientra in questa ipotesi, principalmente, il minore straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro due anni dalla suddetta data (art 4, comma 2, L. 91/1992) ma anche il minore nato in Italia da genitori ignoti o apolidi (art. 1, comma1, L.91/1992), il minore nato in Italia e che non possa acquistare automaticamente la cittadinanza del/dei genitore/i perché la legge del Paese di appartenenza non lo consente (art. 1, comma 1, lett. b) L.91/1992), il minore trovato in Italia e figlio di genitori ignoti, a meno che non sia provata una sua diversa cittadinanza (art. 1, comma 2, L.91/1992). Prendendo in considerazione l’ipotesi di cui all’art. 4 comma 2 si evince come il nostro ordinamento abbia concesso un spazio solo parziale allo ius soli, essendo esso subordinato alla presenza di condizioni di accesso talvolta difficili da dimostrare (si parla di ius soli “temperato”). Interessante è procedere all’analisi partendo da uno studio di diritto comparato. Diversamente dagli Stati Uniti dove vige un principio di ius soli «semplice» o «puro», cioè il riconoscimento della cittadinanza in base al solo criterio della nascita sul territorio, che prescinde dallo status giuridico dei genitori, quasi tutti i Paesi europei adottano una forma «temperata» di ius soli che, oltre alla nascita sul territorio nazionale, prevede requisiti aggiuntivi.

Negli ordinamenti europei lo ius soli, inteso come criterio per attribuire la cittadinanza alle seconde generazioni al momento della nascita, si accompagna prevalentemente al requisito di residenza stabile del genitore. Dividendo alcuni dei Paesi in ragione della importanza dell’elemento “nascita” rispetto all’elemento “tempo trascorso nel Paese”, la situazione è la seguente. Alla nascita: La Germania prevede l’acquisizione automatica della cittadinanza alla nascita ma richiede la residenza regolare del genitore da almeno 8 anni. Francia e Spagna prevedono l’attribuzione automatica alla nascita solo nel caso delle terze generazioni, ovvero nel caso di figli di stranieri a loro volta nati nel paese d’immigrazione (doppio ius soli). Il Regno Unito prevede l’acquisizione automatica alla nascita se il genitore è residente e in possesso di un permesso di soggiorno permanente, ottenibile dopo 5-10 anni di residenza legale. In Irlanda acquisisce la cittadinanza il figlio di genitori britannici o di genitori che hanno il diritto di vivere in Irlanda senza restrizioni di tempo. In Olanda lo status si acquista per gli adulti nati e vissuti sempre in Olanda o, in caso di bambini apolidi, dopo 3 anni d residenza. In Italia, come si è visto, non è prevista la acquisizione di cittadinanza alla nascita. Dopo la nascita: In Italia la persona (straniera) nata in Italia deve aspettare fino ai 18 anni d’età e dimostrare, come abbiamo visto, di essere legalmente residente dalla nascita. Il paese maggiormente inclusivo è la Spagna in cui i minori stranieri possono acquisire la cittadinanza dopo un anno di residenza nel paese, se sono stati soggetti a tutela spagnola per due anni consecutivi. In Germania e nel Regno Unito l’acquisto avviene a partire dai 10 anni d’età , oltre a richiedersi criteri aggiuntivi: nel caso tedesco la residenza legale dei genitori da almeno 8 anni, nel caso inglese la residenza legale e continuativa del minore per 10 anni. In Francia, il minore diventa cittadino (al 18 anno di età), dopo almeno 5 anni di formazione scolastica in un ente francese. In Norvegia diventano cittadini i minori dopo una residenza di 5 anni. In Olanda i minori stranieri residenti dall’età di 4 anni possono richiedere la cittadinanza per opzione una volta raggiunta la maggior età. In Svezia il minore straniero con residenza di 5 anni diventa cittadino. In Italia, come visto in precedenza, il nato in Italia può diventare cittadino al raggiungimento della maggiore età, dimostrando l’ininterrotta residenza per tutti i diciotto anni. Dal sintetico confronto comparativo è evidente che l’Italia ha non solo il dettato normativo più restrittivo ma anche i criteri ivi richiesti sono risultati nella prassi di difficile dimostrazione. Come già anticipato, l’art. 4, 2 comma L. 91/1992 richiede, ai fini di una regolare presentazione della domanda2 per la cittadinanza italiana, che lo straniero nato in Italia dimostri che vi abbia risieduto legalmente e senza interruzioni fino al raggiungimento fino al diciottesimo anno di età. In merito al requisito della residenza legale ininterrotta, il regolamento di attuazione della L. 91/1992 (D.P.R. 572/93) ha precisato che integra lo stesso «chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia da quelle in materia di iscrizione anagrafica». Tale precisazione appare poco conforme al dettato normativo, in considerazione del fatto che la residenza legale è stata trasformata nel duplice requisito della residenza anagrafica e della titolarità del permesso di soggiorno in Italia. A ciò è conseguito che molti dei minori stranieri che hanno compiuto negli anni passati la maggiore età non sono stati in grado di dimostrare il doppio requisito, a causa della impossibilità dei genitori di effettuare l’immediata iscrizione anagrafica oppure per aver perso anche solo in alcuni periodi la titolarità del permesso di soggiorno o, ancora, per l’incidenza di prassi restrittive in materia di riconoscimento della residenza. La difficoltà è cresciuta maggiormente a seguito della L. n. 94 del 2009 (c.d. legge sicurezza) la quale prevede la possibilità rifiuto dell’iscrizione anagrafica a causa delle condizioni igienico- sanitarie dell’alloggio abitato dallo straniero3 . In merito alle difficoltà di dimostrazione del doppio requisito residenza-soggiorno sono intervenute nel 2007 alcune circolari del Ministero dell’Interno4 , con le quali sono state date agli uffici comunali indicazioni di tolleranza per eventuali periodi di assenza dall’Italia dei giovani stranieri nati in Italia, a condizione comunque che venissero documentate le ragioni del temporaneo allontanamento, e che sia provata la presenza effettiva sul territorio, tramite documentazione come certificati scolastici o medici. L’indirizzo ministeriale viene ripreso dall’art 33 del Decreto-Legge n. 69 del 21.06.2013 (convertito dalla L.98/2013), il quale ne amplia ulteriormente la portata e lo trasforma in norma di legge così da ridurre eventuali margini di discrezionalità non favorevoli all’acquisto della cittadinanza italiana.

La nuova norma prende in considerazione eventuali inadempimenti dei genitori dell’interessato o della Pubblica Amministrazione, che non possono essere imputabili allo stesso interessato, per affermare che egli può presentare qualsiasi documentazione idonea a dimostrare il possesso dei requisiti richiesti. Si potrebbe pensare ad esempio all’iscrizione anagrafica avvenuta in ritardo, per dimenticanza o distrazione dei genitori, o al permesso di soggiorno pure posseduto, ma non più reperibile negli archivi della Questura o alle notifiche di cancellazione anagrafica per irreperibilità, ignorate dai genitori e che potevano, invece, essere contestate, e ancora a tante altre situazioni analoghe a quelle ora evidenziate. Resta difficile comunque parlare di una disposizione normativa particolarmente innovativa o di un più esteso riconoscimento del principio dello “ius soli puro”; ci troviamo piuttosto di fronte alla continuazione di un percorso, già intrapreso, tendente a riconoscere come validi ed efficaci tutti quegli elementi in grado di confermare la situazione di fatto e cioè la permanenza nel territorio nazionale dalla nascita fino al diciottesimo anno di età, al fine del superamento della mancanza dei requisiti formali richiesti dal D.P.R. n. 572/1993 (regolamento di esecuzione della legge 91/1993), in base ad una documentazione che può essere di varia natura, ma che deve essere sufficiente a verificare la sussistenza sostanziale dei requisiti richiesti dall’ attuale legge per il riconoscimento della cittadinanza italiana.

Su questa strada si inseriscono, anche, due importanti pronunce che hanno segnato un passo in avanti verso un effettivo riconoscimento del diritto alla cittadinanza per i minori nati in Italia. La prima è rappresentata dal decreto della Corte d’Appello di Firenze del 15.07.2011, inerente al caso di un minore straniero nato in Italia , sempre titolare di un permesso di soggiorno ma che aveva avuto un breve periodo, circa tre mesi, di interruzione della residenza anagrafica, pur avendo dimostrato la presenza in Italia con la certificazione di frequenza scolastica. La Corte ha riconosciuto il suo diritto alla cittadinanza, sul presupposto della comprovata presenza in Italia, ininterrottamente, dalla nascita, richiamando espressamente le istruzioni e raccomandazioni fornite ai Comuni dal Ministero dell’Interno, di cui si è detto sopra. La seconda pronuncia appartiene, invece, alla Corte d’Appello di Napoli, che ha trattato il caso di minore straniero nato in Italia il quale non era nella possibilità di dimostrare né l’iscrizione anagrafica né la regolarità di soggiorno ma solo la sua effettiva presenza in Italia, documentata dalle frequenze scolastiche, dal conseguimento del diploma di scuola media, dalla permanenza autorizzata in un campo nomadi. Rispetto a questa fattispecie, la Corte ha ritenuto sussistente il diritto alla cittadinanza italiana (ex art. 4, comma 2, L.91/1992) sia in considerazione dell’irrilevanza degli inadempimenti dei genitori sia richiamando il concetto civilistico di residenza ex art. 43 c.c., il quale non pretende l’iscrizione anagrafica. Così facendo il giudice ha voluto dare una corretta interpretazione all’art. 4 comma 2, integrando il requisito della residenza legale in senso conforme alla nozione civilistica, sorvolando in qualche modo sulle circolari ministeriali a riguardo. Gli interventi legislativi e l’atteggiamento di apertura della giurisprudenza hanno contribuito a rendere più effettivo un diritto alla cittadinanza acquisito nella forma ma non nella sostanza; l’esigenza di un ripensamento legislativo di ampio respiro si avvertiva sempre più forte, in virtù delle analizzate difficoltà e della contemporanea intensificazione dei flussi migratori, con la conseguente crescita esponenziale dei giovani stranieri nati in Italia.



4. Il DDL di modifica della normativa sulla cittadinanza



Nel corso delle ultime legislature sono state avanzate numerose proposte di riforma, nel tentativo di rispondere alle esigenze poste dalla trasformazione dell’Italia in un paese fortemente interessato dall’immigrazione. Seppure istituzioni e forze politiche concordino su alcuni elementi di inadeguatezza del testo della legge n. 91/1992, non è mai stato raggiunto un pieno consenso sulla riforma.

Nella passata legislatura la Commissione Affari costituzionali della Camera ha esaminato un testo unificato che raccoglieva una serie di proposte risalenti al 2009. Tale progetto di riforma introduceva ulteriori elementi di rigore nell’attuale disciplina: in particolare, si prevedeva che gli stranieri nati in Italia potessero diventare cittadini secondo la procedura attualmente in vigore solo avendo frequentato con profitto le scuole dell’obbligo; la naturalizzazione per residenza veniva prevista solo per chi fosse titolare di permesso UE di lungo periodo ed avesse completato un corso annuale di educazione civica. Viceversa, il progetto di minoranza, proponeva di riconoscere la cittadinanza italiana alla nascita al figlio di genitori stranieri di cui almeno uno fosse residente legalmente in Italia da almeno cinque anni, ovvero nato in Italia ed ivi residente da almeno un anno, ciò a fronte di dichiarazione di volontà espressa da uno dei genitori nell’atto di nascita o, in mancanza, tramite propria dichiarazione da rendere entro due anni dalla maggiore età. Questa proposta manteneva, inoltre, quella norma della legge n. 91/1992 che consente a tutti gli stranieri nati in Italia di acquisire la cittadinanza dopo il raggiungimento della maggiore età, estendendola al minore straniero entrato in Italia prima del concepimento del quinto anno di età ovvero che avesse completato in Italia almeno un ciclo scolastico o formativo. Per quanto concerne il periodo di residenza legale e ininterrotta richiesto ai fini della naturalizzazione, la minoranza parlamentare proponeva di passare dagli attuali dieci anni a cinque, nonché a tre per cittadini europei e titolari di status di rifugiato. Le relazioni di minoranza e maggioranza si basavano su diverse concezioni dell’integrazione dello straniero: da un lato l’acquisizione della cittadinanza italiana intesa come traguardo di un percorso di piena ed effettiva integrazione, dall’altro come lo snodo fondamentale del graduale processo di integrazione che lo straniero compie e il suo punto di svolta. Al di là dei diversi requisiti e meccanismi proposti per l’acquisto della cittadinanza, le ragioni di chi si dimostrava ancora restio all’ampliamento dello ius soli sembrano essere due: la definitiva stabilizzazione degli stranieri immigrati sul territorio e la trasformazione irreversibile dell’Italia in un paese multiculturale e multireligioso. Rispetto alla prima delle due ragioni, il dato giuridico rilevante è che i genitori dei nuovi italiani non sarebbero espellibili e verrebbero a configurarsi come residenti permanenti. Le implicazioni più significative del riconoscimento della cittadinanza sono in effetti riscontrabili proprio rispetto alla qualificazione giuridica dell’ingresso e del soggiorno sul territorio nazionale, che da mero interesse legittimo passa ad acquistare i caratteri di diritto soggettivo.

In riferimento alla seconda ragione, il riconoscimento della cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri avrebbe sicuramente l’effetto di accelerare e, soprattutto, ratificare la pluralizzazione della comunità dei cittadini sotto il profilo culturale e religioso. Nel corso della attuale legislazione, la Camera ha esaminato altrettante nuove proposte che prevedono, in linea di massima, l’estensione dei casi di acquisizione della cittadinanza per i minori stranieri nati in Italia, nonché l’agevolazione dell’accesso alla cittadinanza ai minori che hanno compiuto gli studi in Italia.5 Finalmente il 13 ottobre 2015, a seguito di un acceso dibattito politico,la Camera ha dato il primo via libera al DDL sulle “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, e altre disposizioni in materia di cittadinanza - Titolo breve: Disposizioni in materia di cittadinanza”6 (in nota integralmente riportato) con 310 voti favorevoli, 66 i contrari, 83 gli astenuti. Dopo l’approvazione alla Camera, il nuovo testo presentato dal Pd è passato al Senato per l’approvazione definitiva. De iure condendo la novità principale del testo consiste nella previsione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza italiana per nascita (c.d. ius soli) e nell’introduzione di una nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza in seguito ad un percorso scolastico (c.d. ius culturae). In riferimento alla nuova ipotesi di ius soli, contemplata nell’art. 1, comma 1 lett. b-bis), acquista la cittadinanza per nascita chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente (per cinque anni) o in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Il testo è stato modificato rispetto a quello approvato inizialmente dalla Commissione Affari costituzionali della Camera da due emendamenti proposti da Nuovo Centrodestra e Scelta Civica. Infatti, il testo iniziale riconosceva la cittadinanza a chi fosse nato in Italia da genitori stranieri solo in due casi: un genitore doveva essere residente legalmente in Italia da almeno cinque anni consecutivi, oppure doveva esservi nato e qui resiedervi legalmente da almeno un anno prima della nascita del figlio. Invece, nel nuovo testo, per ottenere la cittadinanza non basta la “residenza legale”, ma è necessario che almeno uno dei genitori sia in possesso del permesso di soggiorno da cinque anni o, per i figli degli extracomunitari, del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo. Oltre al permesso di soggiorno, la famiglia deve dimostrare di avere un reddito minimo non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (circa mille euro al mese), la disponibilità di alloggio che risponda ai requisiti di idoneità previsti dalla legge, ed è anche necessario il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana. Sono stati molto discussi i criteri che selezionano i bambini in grado di ottenere la cittadinanza in base alla capacità economica delle loro famiglie, poiché potrebbe verificarsi il caso di un bambino che non possa ottenere la cittadinanza solo in quanto povero. Proseguendo nell’analisi normativa, i commi 2- bis e ter prevedono, come ulteriore condizione per ottenere la cittadinanza per nascita, una dichiarazione di volontà espressa da un genitore o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale di stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell’interessato. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può: rinunciare alla cittadinanza acquisita, purché sia in possesso di altra cittadinanza, ovvero fare richiesta all’ufficiale di stato civile di acquistare la cittadinanza italiana, ove non sia stata espressa dal genitore la dichiarazione di volontà. Per quanto riguarda, invece, la nuova fattispecie di acquisto della cittadinanza (ius culturae) prevista all’art.4 comma 2-bis, essa si rivolge al minore straniero che sia nato in Italia o vi abbia fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia frequentato regolarmente, per almeno cinque anni nel territorio nazionale, uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei al conseguimento di una qualifica professionale. Nel caso in cui la frequenza riguardi il corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva di tale corso, pertanto se un bambino viene bocciato alle elementari dovrà aspettare l’anno successivo per chiedere la cittadinanza. Anche In tal caso, la cittadinanza si acquista mediante dichiarazione di volontà espressa da un genitore legalmente residente in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, entro il compimento della maggiore età dell’interessato. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età, l’interessato può: rinunciare alla cittadinanza acquisita, purché sia in possesso di altra cittadinanza, ovvero fare richiesta all’ufficiale di stato civile di acquistare la cittadinanza italiana, ove non sia stata espressa dal genitore la dichiarazione di volontà. La Camera ha, inoltre, approvato una norma transitoria che concede allo straniero un’altra possibilità di naturalizzazione (art.9, comma 2 lett. f-bis). La norma si rivolge ai ragazzi che hanno fatto ingresso nel territorio italiano prima del compimento della maggiore età, ivi legalmente residenti da almeno sei anni, che hanno frequentato regolarmente, ai sensi della normativa vigente, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione, ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale con il conseguimento di una qualifica professionale.

Tale fattispecie dovrebbe, in particolare, riguardare il minore straniero che ha fatto ingresso nel territorio italiano tra il dodicesimo ed il diciottesimo anno di età. Come già visto precedentemente per altre ipotesi di naturalizzazione, anche in questo caso, il loro non sarà un diritto acquisito, ma una “concessione”, soggetta a discrezionalità da parte dello Stato. Tra le ulteriori disposizioni della proposta, si prevede infine l’esonero per le istanze o dichiarazioni concernenti i minori dal pagamento del contributo previsto attualmente dalla legge per le richieste di cittadinanza (art. 9, comma 1-bis). Per concludere, è stata dettata una disciplina transitoria. Coloro che abbiano maturato i requisiti per l’acquisto iure culturae prima dell’entrata in vigore della legge e abbiano già compiuto i 20 anni di età, termine previsto dalla legge per la dichiarazione di acquisto della cittadinanza, possono fare richiesta di acquisto della cittadinanza entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, purché residenti in Italia da almeno cinque anni; l’acquisto è escluso nel caso in cui l’interessato sia stato destinatario di provvedimenti di diniego della cittadinanza per motivi di sicurezza della Repubblica o di provvedimenti di espulsione per i medesimi motivi. Resta ferma l’applicazione della normativa a coloro che abbiano maturato i requisiti per l’acquisto iure soli o iure culturae prima dell’entrata in vigore della legge e non abbiano compiuto i 20 anni di età. Dall’analisi effettuata emergono ancora dei limiti allo ius soli (si parla, infatti, di ius soli in forma temperata) poiché la legge, ancora una volta, non permetterebbe di diventare italiani solo per il semplice fatto di essere nati sul territorio (come ad esempio negli Stati Uniti), ma solo in presenza di determinati requisiti. Nonostante questo, il passo in avanti fatto dal legislatore, attraverso la previsione di nuove fattispecie di ius soli, dimostra l’inizio dell’apertura di una barriera rispetto al concetto nazionalistico che finora vigeva: finalmente adesso il diritto ad essere italiani è riconosciuto a chi vive e condivide i processi delle comunità italiche, dal nord al sud, nel lavoro, nel linguaggio, nei riferimenti culturali, nelle passioni ma anche nelle tragedie nazionali di ogni genere. Si auspica che questo passo in avanti sai solo il primo di una lunga seria perché, solo il passaggio ad uno ius soli puro di stampo statunitense, sarà in grado di colmare quel bisogno di identità, di coesione e di piena partecipazione alla comunità da parte di quei minori che sono nati in Italia, frequentano le nostre scuole e si sentono a tutti gli effetti italiani ma di fatto non lo sono. La legge sulla cittadinanza non è una legge qualsiasi: è una legge su cui si misura la cultura democratica di un Paese o, meglio, di una società.

NOTE

1 Il Consiglio di Stato ha precisato che il conferimento della cittadinanza per residenza debba

basarsi sull’accertamento della realizzazione del rilevante interesse pubblico nel caso concreto:

questo comprende, in particolare, una valutazione sulla possibilità di assumere obblighi di

carattere economico derivanti dall’ammissione alla comunità dello Stato ( sent n. 6063 del 7. 11.

2002 e n. 3958 del 17.07.2000).

2 La domanda deve essere presentata all’Ufficio di Stato Civile del Comune di residenza allegando:

documento di identità in corso di validità;

-titolo di soggiorno;

-copia integrale del’atto di nascita del richiedente;

-certificato storico di residenza;

ricevuta di versamento di 200,00 euro intestato a Ministero dell’interno DLCI-cittadinanza.

3 La legge n.94 del 2009 ha infatti modificato la legge anagrafica n. 1228 del 1954, ed in

particolare l’art.1 comma 2, con-

sentendo il controllo sulle condizioni igienico sanitarie degli alloggi in occasione delle iscrizioni e/o

delle variazioni anagrafiche.

4Circolari del Ministero dell’interno del 5.01.2007( a firma del Ministero) e del 7.11.2001 (a firma

del capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione).

5 Scheda informativa sul sito Camera: http://www.camera.it

6 DISEGNO DI LEGGE Art. 1. (Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91) 1. Alla legge 5 febbraio

1992, n. 91, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all’articolo 1, comma 1, è aggiunta, in

fine, la seguente lettera: «b-bis) chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, di

cui almeno uno sia titolare del diritto di soggiorno permanente ai sensi dell’articolo 14 del decreto

legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, o sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti

di lungo periodo di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286»; b) all’articolo 1

sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: «2-bis. Nei casi di cui alla lettera b-bis) del comma 1 la

cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il

compimento della maggiore età dell’interessato, da un genitore o da chi esercita la responsabilità

genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore, da annotare a

margine dell’atto di nascita. La direzione sanitaria del punto nascita ovvero l’ufficiale dello stato

civile cui è resa la dichiarazione di nascita informa il genitore di tale facoltà. Entro due anni dal

raggiungimento della maggiore età l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in

possesso di altra cittadinanza. 2-ter. Qualora non sia stata resa la dichiarazione di volontà di cui al

comma 2-bis, i soggetti di cui alla lettera b-bis) del comma 1 acquistano la cittadinanza se ne fanno

richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età»; c)

all’articolo 4, comma 2, le parole: «un anno» sono sostituite dalle seguenti: «due anni»; d)

all’articolo 4, dopo il comma 2 sono aggiunti i seguenti: «2bis. Il minore straniero nato in Italia o

che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età che, ai sensi della

normativa vigente, ha frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni,

uno o più cicli presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o DDL S. 2092 Senato

della Repubblica XVII Legislatura 1.2.1. Testo DDL 2092 Senato della Repubblica Pag. 7 percorsi di

istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale idonei al conseguimento di una

qualifica professionale, acquista la cittadinanza italiana. Nel caso in cui la frequenza riguardi il

corso di istruzione primaria, è altresì necessaria la conclusione positiva del corso medesimo. La

cittadinanza si acquista a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il

compimento della maggiore età dell’interessato, da un genitore legalmente residente in Italia o da

chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza, da

annotare nel registro dello stato civile. Entro due anni dal raggiungimento della maggiore età,

l’interessato può rinunciare alla cittadinanza italiana se in possesso di altra cittadinanza. 2-ter.



Qualora non sia stata espressa la dichiarazione di volontà di cui al comma 2-bis, l’interessato

acquista la cittadinanza se ne fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal

raggiungimento della maggiore età»; e) all’articolo 9, comma 1, è aggiunta, in fine, la seguente

lettera: «f-bis) allo straniero che ha fatto ingresso nel territorio nazionale prima del compimento

della maggiore età, ivi legalmente residente da almeno sei anni, che ha frequentato regolarmente,

ai sensi della normativa vigente, nel medesimo territorio, un ciclo scolastico, con il conseguimento

del titolo conclusivo, presso gli istituti scolastici appartenenti al sistema nazionale di istruzione,

ovvero un percorso di istruzione e formazione professionale triennale o quadriennale con il

conseguimento di una qualifica professionale»; f) all’articolo 9-bis, comma 2, è aggiunto, in fine, il

seguente periodo: «Il contributo non è dovuto per le istanze o dichiarazioni concernenti i minori.»;

g) all’articolo 14, comma 1, le parole: «se convivono con esso, acquistano la cittadinanza italiana»

sono sostituite dalle seguenti: «non decaduto dalla responsabilità genitoriale, acquistano la

cittadinanza italiana se risiedono nel territorio della Repubblica»; h) dopo l’articolo 23 sono inseriti

i seguenti: «Art. 23-bis. 1. Ai fini della presente legge, il requisito della minore età deve essere

considerato come riferito al momento della presentazione dell’istanza o della richiesta da parte

del genitore o di chi esercita la responsabilità genitoriale. 2. Ai fini della presente legge, si

considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le

condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d’ingresso e di soggiorno degli

stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica. Per il computo del periodo di

residenza legale, laddove prevista, si calcola come termine iniziale la data di rilascio del primo

permesso di soggiorno, purché vi abbia fatto seguito l’iscrizione nell’anagrafe della popolazione

residente. Eventuali periodi di cancellazione anagrafica non pregiudicano la qualità di residente

legale se ad essi segue la reiscrizione nei registri anagrafici, qualora il soggetto dimostri di avere

continuato a risiedere in Italia anche in tali periodi. 3. Ai fini della presente legge, si considera che

abbia soggiornato o risieduto nel territorio della Repubblica senza interruzioni chi ha trascorso

all’estero, nel periodo considerato, un tempo mediamente non superiore a novanta giorni per

anno, calcolato sul totale degli anni considerati. L’assenza dal territorio della Repubblica non può

essere superiore a sei mesi consecutivi, a meno che essa non sia dipesa dalla necessità di

adempiere agli obblighi militari o da gravi e documentati motivi di salute. 4. Ai fini

dell’applicazione dell’articolo 1, comma 1, lettera b-bis), si considera in possesso del permesso di

soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo anche lo straniero che, avendo maturato i requisiti

per l’ottenimento di tale permesso, abbia presentato la relativa richiesta prima della nascita del

figlio e ottenga il rilascio del permesso medesimo successivamente alla nascita. 5. Gli ufficiali di

anagrafe sono tenuti, nei sei mesi precedenti il compimento del diciottesimo anno di età, a

comunicare ai residenti di cittadinanza straniera, nella sede di residenza quale risulta all’ufficio, la

facoltà di acquisto del diritto di cittadinanza ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera b-bis) e

dell’articolo 4, commi 2 e 2-bis, con indicazione dei relativi presupposti e delle modalità di

acquisto. DDL S. 2092 Senato della Repubblica XVII Legislatura 1.2.1. Testo DDL 2092 Senato della

Repubblica Pag. 8 L’inadempimento di tale obbligo di informazione sospende i termini di

decadenza per la dichiarazione di elezione della cittadinanza. 6. Nel caso di persona interdetta in

via giudiziale, gli atti finalizzati all’esercizio dei diritti previsti dalla presente legge, inclusa la

dichiarazione di volontà di acquisto della cittadinanza, sono compiuti, nell’interesse della persona,

dal tutore, previa autorizzazione del giudice tutelare. Nel caso di persona beneficiaria di

amministrazione di sostegno, il giudice tutelare dispone se tali atti possano essere compiuti

dall’amministratore di sostegno ovvero dal beneficiario con l’assistenza dell’amministratore di

sostegno ovvero se il beneficiario conservi per tali atti la capacità di agire. Ove gli atti siano

compiuti dal tutore o dall’amministratore di sostegno, non si richiede il giuramento di cui

all’articolo 10. Art. 23-ter. 1. I comuni, in collaborazione con gli istituti scolastici di ogni ordine e



grado, promuovono, nell’ambito delle proprie funzioni, senza nuovi o maggiori oneri a carico della

finanza pubblica, a favore di tutti i minori, iniziative di educazione alla conoscenza e alla

consapevolezza dei diritti e dei doveri legati alla cittadinanza e una giornata dedicata alla

ufficializzazione dei nuovi cittadini». Art. 2. (Disposizioni di coordinamento e finali) 1. Dopo il

comma 1 dell’articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, è inserito il seguente: «1-bis. Le istanze

ai sensi del comma 1 si presentano al prefetto competente per territorio in relazione alla residenza

dell’istante o alla competente autorità consolare». 2. L’articolo 33, comma 2, del decreto-legge 21

giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, è abrogato. 3.

Al comma 2 dell’articolo 6 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina

dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio

1998, n. 286, e successive modificazioni, dopo le parole: «carattere temporaneo» sono inserite le

seguenti: «, per i provvedimenti inerenti agli atti di stato civile». 4. Con regolamento, adottato ai

sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni,

entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede a coordinare, a

riordinare e ad accorpare in un unico testo le disposizioni vigenti di natura regolamentare in

materia di cittadinanza. 5. Il regolamento di cui al comma 4 è adottato previo parere delle

Commissioni parlamentari competenti, da rendere nel termine di quarantacinque giorni. Il termine

per l’espressione del parere del Consiglio di Stato è di trenta giorni. Art. 3. (Disposizione

sull’ambito di applicazione) 1. Resta ferma l’applicazione delle disposizioni della presente legge

agli stranieri che abbiano maturato prima della data della sua entrata in vigore i diritti in essa

previsti e non abbiano compiuto il ventesimo anno di età. Art. 4. (Disposizioni transitorie) 1. Le

disposizioni di cui all’articolo 4, comma 2-bis, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto

dall’articolo 1, comma 1, lettera d), della presente legge, si applicano anche allo straniero che, in

possesso alla data di entrata in vigore della presente legge dei requisiti previsti dalle citate

disposizioni, ha superato il limite d’età previsto dall’articolo 4, comma 2-ter, della citata legge n.

91 del 1992, introdotto dal medesimo articolo 1, comma 1, lettera d), purché abbia risieduto

legalmente e ininterrottamente negli ultimi cinque anni nel territorio nazionale. 2. Nei casi di cui al

comma 1, la richiesta di acquisto della cittadinanza è presentata entro dodici mesi dalla data di

entrata in vigore della presente legge. L’ufficiale dello stato civile che riceve la richiesta, verificati i

requisiti di cui all’articolo 4, comma 2-bis, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto DDL S.

2092 Senato della Repubblica XVII Legislatura 1.2.1. Testo DDL 2092 Senato della Repubblica Pag.

9 dall’articolo 1, comma 1, lettera d), della presente legge, sospende l’iscrizione e l’annotazione

nei registri dello stato civile e provvede tempestivamente a richiedere al Ministero dell’interno il

nulla osta relativo all’insussistenza di provvedimenti di diniego della cittadinanza per motivi di

sicurezza della Repubblica ovvero di provvedimenti di espulsione o di allontanamento per i

medesimi motivi adottati ai sensi della normativa vigente. Il nulla osta è rilasciato entro sei mesi

dalla richiesta dell‘ufficiale dello stato civile. 3. Le richieste di cui al comma 2 sono soggette al

contributo previsto dall’articolo 9-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, come modificato

dall’articolo 1, comma 1, lettera f), della presente legge.