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Minori, internet e diritto

autore: F. Salvia

SOMMARIO: 1. Gli strumenti di comunicazione del web accessibili dai minori: vantaggi cognitivi e rischi diseducativi; 2. Interesse del minore ed esposizione ai delitti della rete; 3. Rimedi legislativi e sanzioni per il contrasto alla pedopornografia; 4. Cyberbullismo e tutela penale differenziata; 5. Responsabilità genitoriale da omesso controllo e del provider.



1. Gli strumenti di comunicazione del web accessibili dai minori: vantaggi cognitivi e rischi diseducativi



Internet, universo sconfinato, ricchissimo di stimoli e di opportunità, per i ragazzi che possono, attraverso la rete dialogare, studiare, scaricare musica, video e immagini, tessere amicizie, se non usato correttamente nasconde insidie e rischi variabili in relazione alle loro caratteristiche personali, ai bisogni soggettivi ed intersoggettivi, crescenti in misura proporzionale alla conoscenza e alla capacità di utilizzare le potenzialità offerte dal mezzo. Tali rischi vanno dal condizionamento reciproco, alle manie di protagonismo, al senso di onnipotenza, abbastanza frequente nei soggetti in età evolutiva, specie per chi ha maggiore padronanza del mezzo, alla possibilità di venire a contatto con malintenzionati i quali, dietro nickname di fantasia, falsi profili su community e social network adescano i minorenni al fine di abusarne. Posta tale premessa, appare a questo punto opportuno brevemente tracciare la storia dei social network che ha avuto origine con l’avvento del computer. Tale strumento nato per eseguire calcoli sofisticati si è, con il tempo, trasformato da una macchina da scrivere avanzata ad uno strumento di comunicazione di massa, grazie ad Internet, fino ad arrivare alla creazione dei social network, servizi web che lo hanno reso un mezzo di comunicazione di massa. Il processo che in circa venti anni ha portato alla creazione dei social così come li conosciamo, si articola in tre fasi, nella prima i social network sono ap plicazioni web che offrono la possibilità di creare e di esplorare reti sociali chiuse, nella seconda si espandono le possibilità di gestione delle reti sociali, trasformandole da chiuse ad aperte, nella terza diventano vere e proprie App, programmi per computer in grado di funzionare anche su dispositivi mobili come smartphone e tablet. È così che nasce uno “spazio virtuale” in cui realizzare ed esibire un proprio profilo, creare una rete di altri utenti con cui comunicare, analizzare le caratteristiche della propria rete. A partire dal 2003 sono stati creati altri social network Facebook, Twitter, WhatsApp e Instagram i quali, pur essendo abbastanza diversi tra loro, si caratterizzano per avere permesso ai propri utenti una maggiore gestione della propria identità sociale attraverso l’integrazione con gli strumenti classici del Web 2.0. Il primo ad apparire in termini temporali è stato Facebbok, diventato nel giro di pochi anni il più utilizzato al mondo, arrivando a superare per pagine visitate perfino Google, il cui successo consiste nell’avere creato un ecosistema digitale capace di coprire a trecento sessanta gradi i bisogni dell’utente, divenendo un centro aggregativo di relazioni, informazioni e servizi. Tale social nato dall’intuizione di uno studente dell’università di Harvard, Mark Zuckerberg, che ha creato, agli inizi dell’anno 2004, il sito TheFacebook (pensato solamente per essere la versione on line dell’annuario dell’Università dove includere i profili e le foto degli iscritti, a supporto di un gruppo chiuso), suscitò l’interesse di alcuni investitori, tra la metà del 2004 e l’inizio del 2006, che pensarono di lanciare e potenziare il servizio. Dal punto di vista strategico furono operate delle scelte ben precise ossia cambiare il nome in Facebook, aumentare progressivamente le opportunità relazionali ed espressive «foto», «note», ed «eventi», consentire l’accesso a tutti gli utenti di Internet di età superiore ai 13 anni. Dopo aver raggiunto, nell’anno 2006, i 12 milioni di utenti Facebook ha iniziato ad attirare l’interesse delle grandi società di comunicazione riuscendo ad ottenere da Microsoft dei finanziamenti con i quali potenziarne lo sviluppo globale e quindi allargare le opportunità offerte dal social network: abbattere la barriera linguistica, sviluppare un insieme di procedure per realizzare applicazioni fruibili all’interno del social net work, sviluppare un insieme di App utilizzabili per integrare siti esterni con il social network, attraverso i quali portare la propria identità Facebook all’esterno, sviluppare il cosi detto paradigma Open Graph, che consente di analizzare l’intenzione del soggetto attraverso l’analisi della sua rete e dei suoi gusti, (un ruolo cruciale in questo processo è la creazione del pulsante «mi piace» i like, che consente di diventare fan di un profilo pubblico o di un contenu to multimediale senza dover passare per il sito del social network e di condividere immediatamente questa informazione con la propria rete attraverso la fan page), realizzare la versione mobile del social network fruibile attraverso un App utilizzabile su qualsiasi telefono cellulare, l’invio di messaggi testuali e vocali senza dovere utilizzare i servizi a pagamento del proprio operatore telefonico (anno 2011), ricevere notifiche sul proprio telefono dai principali siti di informazione ed intrattenimento in relazione alle più svariate aree tematiche (tra cui: intrattenimento, cultura, business, divertimento, cibi, giochi). Twitter, il cui nome deriva dal verbo inglese to tweet ossia “cinguettare”, è un mezzo che consente la diffusione di informazioni anche in contesti totalitari o fortemente controllati, grazie ad un processo, definito retweeting, attraverso il quale un tweet (messaggio) può raggiungere immediatamente e contemporaneamente reti di migliaia di persone. In buona sostanza quando un follower (ricevente) riceve un messaggio dall’emittente (following) che vale la pena di diffondere alla propria rete può farlo semplicemente aggiungendo le lettere «RT» al messaggio originale. Inoltre, la possibilità di inviare messaggi mediante Sms ha trasformato Twitter in una specie di termometro sociale, in cui è possibile verificare in tempo reale i commenti degli utenti su eventi e situazioni. A facilitare questo processo è la possibilità di indicizzare ogni messaggio con delle parole chiavi (hashtag) preceduta dal carattere cancelletto (#). Mentre nel 2006 solo Twitter consentiva di accedere ad un social network mediante il telefono cellulare, oggi tutti i social network lo rendono possibile. Tuttavia ciò non ha ridotto il successo di Twitter che ha recentemente superato i 300 milioni di utenti nel mondo ed ha creato una seconda App che consente di trasmettere video in tempo reale. Rispetto a Facebook, dove diventare amici significa avere degli “obblighi” nei confronti dell’altro, Twitter consente di graduare l’impegno relazionale: se voglio posso parlare di me o ascoltare quello che mi dice l’altro senza temere che questi si aspetti da me qualcosa in cambio. Instagram è invece una struttura a rete con contenuti prevalentemente visivi- immagini e video- creato come App nell’ottobre del 2010 per scattare e condividere foto e autoritratti (selfie) con il proprio telefono cellulare. Nasce per soddisfare il bisogno del nativo digitale di fotografarsi e di condividere le proprie immagini. A caratterizzare Instagram è la presenza di numerosi filtri grafici, che possono essere facilmente utilizzati con le proprie foto per renderle comunicativamente più accattivanti. Oggi è possibile usare i filtri anche per realizzare e modificare brevi video della durata fra i 3 e i 15 secondi. Per l’estrema facilità d’uso Instagram è progressivamente diventato il social network più amato dagli adolescenti, con una leggera maggioranza di utenti di sesso femminile. Un altro social network molto usato dagli adolescenti è WhatsApp nato nel 2009 come piattaforma di messaggistica istantanea. Principale caratteristica di questo mezzo è quella di consentire la conversazione sincrona, testuale ed eventualmente anche vocale tra più utenti contemporaneamente inclusi in una lista di persone predefinita. A trasformare WhatsApp in una rete sociale è stata la possibilità di creare gruppi chiusi di utenti in grado di condividere tra loro foto, video, collegamenti e messaggi senza che altri possono vedere ciò che stanno condividendo. Ma ciò che identifica in modo distintivo la rete è che si tratta di un mezzo di comunicazione sovranazionale e globale che ha imposto di riconsiderare il modo di concepire la conoscenza e la comunicazione tra gli individui, modificando la società e molti aspetti della vita individuale; modificazioni che si caratterizzano diversamente negli adolescenti e soprattutto nei bambini, rispetto ai quali il cambiamento legato all’esperienza dei mezzi di comunicazione opera come una vera e propria «creazione di circuiti e modelli mentali innovativi» ( T. MALDONATO, Memoria e conoscenza, sulle sorti del sapere nella prospettiva digitale, Milano, 2005). Le informazioni una volta messe in rete possono essere riprodotte, manipolate e trasmesse, divenendo impossibile ogni distinzione tra la copia e l’originale. Tale caratteristica fa di Internet un mezzo globalmente accessibile per la sua economicità nonché per la possibilità di comunicare con chiunque sia collegato ad esso ovunque si trovi fisicamente. Il navigatore può ricercare e combinare le informazioni in modo del tutto autonomo, ma può egli stesso creare dei contenuti da immettere in rete o reindirizzare materiale pervenutogli da terzi. Altra caratteristica peculiare della Rete è rappresentata da un certo anonimato di cui gli utenti possono eventualmente avvalersi. La tecnologia in Internet, infatti, essendo basata su informazioni digitate in un computer, consente di attribuirsi il nome che si desidera (c.d. “Nickname”) di assumere una nuova “identità digitale”o di rimanere anonimi. Più precisamente l’utente che accede ad Internet può darsi qualsiasi denominazione, posto che solo il provider che consente l’accesso può conoscere l’identità reale dell’utente medesimo. (una interessante pronuncia della Suprema Corte ha sancito la rilevanza penale dell’identità virtuale ritenendo integrata la fattispecie di sostituzione di persona di cui all’art. 494 c.p. ad opera di un soggetto che aveva attivato un accaunt di posta elettronica utilizzando l’identità di una terza persona al fine di intrattenere relazioni via Internet; cfr. Cass. Pen. Sez. V, 14.12.2007, n. 46674).

Da quanto fin qui detto non vi è dubbio che la Rete è da considerare un mezzo di comunicazione del pensiero, come tale rientrante nell’alveo di cui all’art. 21 della Costituzione il quale, al contempo, individua dei limiti nell’esercizio di tale diritto, escludendo quelle forme di manifestazioni del pensiero incompatibili con il buon costume.



2. Interesse del minore ed esposizione ai delitti della rete



La libera manifestazione del pensiero via Internet trova quindi dei limiti in ragione della tutela di superiori interessi, quali quelli dei minori, soggetti vulnerabili e in fase di formazione. In effetti, posto che il connubio comunicazione- tecnologia alimenta ed influenza la vita e la dimensione mentale, affettiva e sociale delle persone, appare quanto mai importante apprestare una particolare tutela nei confronti di detta categoria di individui che dai media traggono rilevanti elementi per costruire la propria identità. Le nuove tecnologie rappresentano per gli stessi, che hanno la possibilità, con un solo clik del mouse, di comunicare con chiunque, da e verso qualunque luogo del pianeta, una eccezionale occasione di esperienza di formazione, informazione, svago, divertimento, interazione, creatività, crescita personale e sociale ma nel contempo una fonte di potenziali pericoli che ne potrebbero inficiare, irreversibilmente, il processo di crescita e di maturazione.

Non può ignorarsi, infatti, che l’uso illecito di tali tecnologie può rilevarsi, per gli stessi, estremamente pericoloso e perfino dannoso. (E. MENGONI, Delitti sessuali e pedofilia Milano, 2008, 211). La rete, infatti, proprio in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, quali la facilità dell’anonimato, la delocalizzazione e la trans nazionalità, rende più agevole la commissione di alcuni tipi di reati che vedono i minori come vittime e/o autori. Si tratta di reati che si manifestano come varianti di fattispecie criminose già presenti nella vita reale che vanno dalla pedofilia, alla pornografia, allo sfruttamento sessuale dei minori, al turismo sessuale, al bullismo. Non può negarsi però che con l’avvento dell’era telematica il fenomeno della pedofilia, seppure è un male antico e presente in tutte le epoche storiche, sta conoscendo una pubblicizzazione e una mercificazione senza precedenti per l’enorme quantità di materiale erotico e pornografico in circolazione sulla rete, anche per l’incremento della produzione amatoriale di pedopornografia. Deve osservarsi ancora che i reati connessi allo sfruttamento sessuale dei minori on line, sono realizzati, nella maggior parte dei casi, da una pluralità di soggetti che rende ancora più difficile la loro individuazione. Spesso i bambini “avvicinati” dai pedofili si trovano fuori dal controllo dei genitori o degli adulti deputati alla loro vigilanza e non hanno la maturità suf ficiente per percepire che si trovano in una situazione di pericolo, tale da rendere agevole per il pedofilo “trasferire” nella realtà l’abuso iniziato su Internet. Il pedofilo è in genere una persona piuttosto lucida con una scarsa percezione della gravità delle sue inclinazioni, con una buona capacità comunicativa e di intrattenere rapporti “epistolari” e conversazioni con il minore. I pedofili inoltre sono dei buoni conoscitori del mondo infantile ed adolescenziale e sanno quindi come e dove concentrare le loro energie per aumentare al massimo la possibilità di ottenere confidenze di utenti minori nella rete. La pedofilia telematica, rispetto a quella della “vita reale”, è ancora più subdola poiché si contraddistingue per due fattori: il fattore organizzativo (costituzione di una rete di scambio di informazioni, esperienze e materiale pedopornografico, adescamento e sfruttamento sessuale dei minori, anche tramite organizzazioni criminali, turismo sessuale, incremento della produzione amatoriale di pedopornografia e dell’immissione di tale materiale in circolazione) ed il fattore individuale ( l’utente ha la possibilità di sperimentare con una certa facilità la propria perversione, anche nei casi in cui questa era vissuta a livello intrapsichico, di mantenere l’anonimato e di usufruire di una certa riservatezza, di entrare a far parte di circuiti di pedofili e di acquisire ogni tipo di informazione o materiale attinente al suo interessi, nonché di sfruttare a diversi ed illeciti fini le potenzialità tecnologiche offerte da internet, come, ad esempio, produrre pornografia virtuale al fine di sedurre e ridurre le inibizioni dei minori che sceglie come vittima). Tali crimini, rappresentano inaccettabili violazioni dei diritti fondamentali della persona ed in particolare l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei bambini, costituiscono una delle più drammatiche forme di lesione e negazione dei principali loro diritti, poiché ogni minore abusato e sfruttato sessualmente vede lesi i propri diritti alla libertà, alla sicurezza, all’istruzione, allo sviluppo, alla salute e qualche volta anche alla vita.



3. Rimedi legislativi e sanzioni per il contrasto alla pedopornografia



La turpe condotta posta in essere dagli adescatori telematici non poteva non incontrare, anche in Italia, un puntuale argine normativo stante la sempre più crescente riprovazione sociale del fenomeno e la conseguente incisiva mobilitazione culturale. La legge 1 ottobre 2012 n. 172, ha ratificato la Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, sottoscritta nel 2007 a Lanzarote (Spagna) e delineato due nuove fattispecie di reato: l’istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art.414- bis c.p.), e l’adescamento di minori (art.609-undecies c.p.), altrimenti noto come child-grooming, che indica, dal punto di vista letterale, “il gesto di accarezzare il pelo” che gli animali si scambiano per igiene o per affetto. Detta legge, oltre a prevedere, come detto, la ratifica della Convenzione e l’individuazione nel Ministero dell’Interno l’autorità nazionale responsabile in relazione alla registrazione e conservazione dei dati nazionali sulle persone condannate per reati sessuali, ad adeguare con alcune disposizioni l’Ordinamento interno, con l’inserimento, nel codice penale di nuovi delitti: istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia (art. 414 bis c.p.), adescamento di minorenni (art 609-undecies), ha modificato alcune fattispecie penali inasprendo le pene e aggiornando il regime delle circostanze aggravanti ed attenuanti dei delitti a sfondo sessuale in danno dei minori. Una disciplina penale specifica in materia di pedofilia è stata introdotta con la legge n.66 del 1996 e con la legge n. 269 del 1998, considerata legge-quadro in materia di pedofilia e sfruttamento sessuale dei minori. Successivamente la legge 6 febbraio 2006 n.38, che ha novellato la precedente ha previsto: 1) L’istituzione presso il servizio di Polizia Postale delle comunicazioni del Ministero dell’Interno di un Centro Nazionale per il contrasto della pedopornografia sulla rete Internet, con il compito di raccogliere, in un elenco costantemente aggiornato, tutte le informazioni, provenienti dalla Polizia Giudiziaria e da altri soggetti, sui siti che diffondono tale tipo di materiale, sui relativi gestori, sui beneficiari dei pagamenti. I dati così raccolti vengono comunicati alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al fine della predisposizione di un Piano Nazionale di contrasto e prevenzione alla pedofilia della relazione annuale al Parlamento; 2) l’obbligo per i fornitori dei servizi resi attraverso reti di comunicazione elettronica di comunicare al Centro i contratti con imprese o soggetti che diffondono materiale pedopornografico, ovviamente solo qualora il fornitore viene a conoscenza del contenuto di quanto trasmesso; il materiale oggetto di segnalazione deve essere conservato per 45 giorni. La violazione di tali disposizioni comporta l’applicazione, da parte del Ministero delle Comunicazioni (ora accorpato al Ministero dello Sviluppo Economico) di una sanzione pecuniaria; 3) l’obbligo per i fornitori di connettività alla rete, di utilizzare sistemi di filtraggio per impedire l’accesso ai siti, che diffondono materiale osceno, individuati dal Centro sulla base delle segnalazioni. Infine è stato istituzionalizzato l’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, già attivato presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio, con compiti di monitoraggio in merito all’attività svolta da tutte le pubbliche Amministrazioni per la prevenzione e la repressione dei fenomeni di pedofilia.



4. Cyberbullismo e tutela penale differenziata



Un cenno a parte merita il fenomeno sociale del Cyberbullismo, particolarmente diffuso tra gli adolescenti, consistente nel porre in atto atteggiamenti e comportamenti finalizzati ad offendere, spaventare, umiliare ed intimidire la vittima prescelta attraverso l’uso dei mezzi elettronici (posta elettronica, messaggi sms e mms, social network, messaggistica istantanea, blog, siti web) che l’agente molestatore sa ben utilizzare per il proprio fine, che è quello, di ridicolarizzare la vittima designata, ritenuta “ diversa” per aspetto fisico, orientamento sessuale o politico, timidezza e così via, senza però valutare quanto ciò può risultare nocivo per l’altra persona. Rispetto al bullismo tradizionale, che di solito si consuma in luoghi e momenti specifici, ( contesto scolastico o luoghi di aggregazione) il cyberbullismo acquista caratteristiche proprie per la peculiarità delle modalità di realizzazione delle condotte “illecite”. In effetti non è così facile risalire al molestatore, specialmente quando questi si avvale della messaggistica istantanea o usa false generalità; a ciò si aggiunga inoltre l’assenza di limiti spazio temporali e la mancanza di freni inibitori nel cyberbullo, che forte dell’uso del mezzo elettronico dice o fa cose che nella “vita reale”, possibilmente, non avrebbe mai fatto. Il fenomeno del cyberbullismo viene ricondotto alla fattispecie penale di cui all’art. 612 bis del codice penale rubricato “Atti Persecutori”, meglio conosciuto con il termine di stalking (ovvero dal termine anglosassone «fare la posta alla preda»). Sempre più spesso la cronaca riporta casi di adolescenti vittime della violenza informatica che hanno deciso di togliersi la vita, incapaci di sopportare, da soli, il peso delle vessazioni e delle angherie subite dai coetanei. Detti comportamenti non possono lasciare indifferenti, poiché è ovvio che il bullismo in tutte le sue accezioni è una forma di devianza minorile e come tale è necessario ricercarne le responsabilità.



5. Responsabilità genitoriale e del provider



Per regola generale, ai sensi dell’art. 2048 c.c. i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che scaturiscono da omessa o carente sorveglianza, sia riguardo agli illeciti riconducibili ad oggettive carenze educative e al mancato rispetto delle regole del vivere civile nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto opera. Come è noto l’art. 2048 c.c.. è costruito in termini di presunzione di colpa dei genitori e dei soggetti ivi indicati, che può essere superata con la prova di avere adempiuto tutti i doveri ed esercitato tutti i poteri atti ad impedire l’illecita condotta del minore. Al riguardo la giurisprudenza è costante nell’affermare, in via generale, che non è sufficiente dimostrare che il genitore non abbia potuto materialmente impedire il fatto, perché commesso fuori la sua sfera di azione. Occorre, infatti, che egli dimostri di avere svolto, nei riguardi del minore, una vigilanza adeguata alla sua età, al suo carattere, alla sua indole e di avergli impartito una educazione idonea in relazione alla sua personalità. In definitiva la responsabilità del genitore viene esclusa solo allorquando lo stesso provi l’inevitabilità del fatto o l’esistenza di tutte le precauzioni volte ad impedirne il verificarsi. Con riferimento agli atti di cyberbullismo, il panorama giurisprudenziale sia di merito che di legittimità risulta limitato, in quanto le pronunce in tema di responsabilità sono ancora poche. Degna di nota appare la sentenza n.18/2012 emessa dal Tribunale di Teramo che ha riguardato il caso di un gruppo di ragazzi che avevano creato un gruppo, su Facebook, denominato “Per tutti quelli che odiano L.C., anche lei minorenne, ove pubblicavano quotidianamente frasi ingiuriose e minacciose nei confronti di una loro compagna della quale citavano pure le generalità.

Nel corso del giudizio è emerso che tale meccanismo era stato innescato dalla stessa vittima che aveva in precedenza pubblicato sulla propria bacheca di Facebook una frase offensiva. Il Giudice di prime cure ha ritenuto raggiunta la prova positiva dell’inadempimento dei doveri, da parte dei genitori dei su citati minori, sul presupposto che l’onere educativo non consiste solo nella mera indicazione di regole, conoscenze o moduli di comportamento, bensì nel fornire alla prole gli strumenti indispensabili alla costruzione di relazioni umane effettivamente significative per la migliore realizzazione della loro personalità. A giudizio del Tribunale, inoltre, la responsabilità genitoriale non viene meno neppure con l’approssimarsi della maggiore età dei figli, poiché in tale periodo la personalità del minore adolescente è ancora fragile in quanto indefinita e per di più si trova in una fase della propria vita nella quale è incapace di dominare gli istinti. Il fatto che il comportamento ingiurioso dei minori sia proseguito sul web per ben tre giorni, secondo l’Organo giudicante, comportava che i genitori non avevano posto in essere le necessarie attività di verifica e di controllo sull’effettiva acquisizione dei valori educativi da parte dei figli. Di particolare importanza, per la complessità e la novità delle questioni trattate, è la sentenza emessa dalla Suprema Corte di Cassazione sez. III penale 17.12.2013 del 3 febbraio 2014, n. 5107, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano che aveva assolto dei manager di Google per illecito trattamento dei dati personali. Il Giudice di legittimità con questa importante pronuncia disegna i confini di responsabilità dell’host provider non solo in relazione alle questioni relative alla tutela della privacy, ma, più in generale, in ordine ai reati ipotizzabili dagli utenti della rete avvalendosi degli strumenti offerti dal provider stesso. Il processo è scaturito dalla nota vicenda relativa ad un video immesso, per la successiva diffusione a mezzo Internet, sul sito www.video.google.it raffigurante un ragazzo affetto dalla sindrome di Down che veniva preso in giro con frasi offensive e azioni vessatorie riferite al suo stato di salute da parte di altri soggetti minorenni, girato all’interno di un edificio scolastico. Per quel che qui rileva tre manager di Google, venivano originariamente imputati per non avere impedito il delitto di diffamazione nei confronti del minore e dell’associazione della quale faceva parte, verso la quale erano state pure profferite frasi ingiuriose, (art. 40 cpv. e 595 c.p.) e per avere trattato illecitamente i dati personali attinenti la salute del ragazzo ripreso (art. 167 D.Lgs. 196/2003, codice della privacy). Il giudice di primo grado ritenendo insussistente la diffamazione in capo agli imputati, li ha assolti per tale reato, stante che l’host provider non ha l’obbligo di impedire la commissione di reati da parte degli utenti; li ha ritenuti, invece, responsabili per l’illecito trattamento dei dati personali in violazione delle norme sulla privacy. La Corte di Appello di Milano in riforma della sentenza impugnata ha evidenziato che l’art 167 del d.lgs. n. 196 del 2003 non richiama il precedente art.13 e, dunque, non impone all’internet provider di rendere edotto l’utente circa l’esistenza e i contenuti della legislazione sulla privacy. La Suprema Corte con una motivazione esaustiva ed immune da vizi logico-giuridici ha escluso in radice “la configurabilità, sotto il profilo oggettivo, di una responsabilità penale dell’Internet host provider”…omissis “E ciò, a prescindere dall’ulteriore considerazione che la mancanza di una conoscenza, in capo al provider, del dato sensibile contenuto nel video caricato dagli utenti sul suo sito e la mancanza di un obbligo generale di sorveglianza inducono ad escludere comunque la rappresentazione e la conseguente volizione da parte degli imputati del fatto tipico, costituito dall’abusivo trattamento di tale dato”. A questo punto considerato che l’uso adeguato di tale mezzo rappresenta una opportunità anche in termini di sperimentazione, potenziamento e responsabilizzazione dei ragazzi, i quali hanno la possibilità di modificare la loro esperienza e l’identità sociale in maniera diversa che nella realtà quotidiana (es. se nella vita sono timido posso provare on line ad essere più aggressivo per vedere cosa succede, tanto se sono troppo aggressivo, posso tornare sui miei passi e provare di nuovo), ci si chiede come mai i social network attivano così tanti comportamenti disfunzionali. La risposta a tale domanda non è univoca. Come dimostrano diversi studi su questi temi, non potendosi riconoscere l’identità del soggetto si riduce il controllo sociale e quindi gli utenti tendono a comportarsi in maniera più disinibita, anche se nel caso di comportamenti aggressivi, l’anonimato è pertanto uno degli elementi che influenzano il soggetto. Spesso, dietro lo Stalking si cela la frustrazione per un bisogno insoddisfatto (Facchini 2015). Internet è comunque un patrimonio comune ed è importante che gli utenti si impegnino per renderlo sicuro e “pulito”, partendo dalla consapevolezza della natura ibrida di tale mezzo dalla quale discendono opportunità e vantaggi, insidie e pericoli. È, comunque, vero che per tutelare i più piccoli, sono disponibili filtri e sistemi di parental control, strumenti importanti che da soli non bastano a salvaguardare i bambini dai rischi e da pericoli della rete, ma è altrettanto necessario, in questo mondo tecnologico in perenne evoluzione, promuovere attività di formazione e informazione per far si che anche i genitori e gli insegnanti assumano un ruolo centrale nell’importante percorso di prevenzione a tutela dei diritti dei bambini e degli adolescenti.