Un articolo di ONDiF sul dubbio a seguito della recente sentenza dell S.C. sull'assegno di divorzio
Il revirement della
Suprema Corte sul tenore di vita matrimoniale ai fini della determinazione
dell'assegno divorzile.
La sentenza n. 11504 del
2017 della Corte di Cassazione, 1^ sezione civile, Presidente Di Palma e
relatore Lamorgese, pur avendo nella risonanza mediatica il sapore della fine
di un'epoca e dell'inizio di una nuova, costituisce per gli specialisti della
materia un esito ampiamente previsto e prevedibile, che pone l'Italia
(finalmente) in linea con gli identici indirizzi di altri ordinamenti, in
particolare europei.
Nel nostro ordinamento,
infatti, il vincolo matrimoniale aveva modo di permanere nel tempo, anche dopo
lo scioglimento – determinato, non si dimentichi, da un atto unilaterale di uno
dei coniugi che chiede prima la separazione e poi lo scioglimento del vincolo -
attraverso un assegno divorzile che conservava in capo ad uno dei coniugi un
"odioso" obbligo, che impediva la ricostituzione di una vita autonoma sul piano
affettivo ed economico.
E' ben noto l'effetto di
depauperamento del coniuge obbligato all'assegno divorzile, discendente
dall'obbligo di versamento di un assegno commisurato al tenore di vita preesistente
durante il matrimonio, depauperamento destinato ad incidere sui principi di
libertà ed autonomia nella riscostruzione di un nuovo nucleo familiare.
A seguito della pronuncia
del giudice di legittimità del 10 maggio 2017 n. 11504 il "tenore di vita matrimoniale"
non è più parametro per la determinazione dell' "an" e del "quantum,"
essendo attribuito l'assegno esclusivamente per ragioni "assistenziali" dell'ex
coniuge, privo di indipendenza o autosufficienza economica. Non si dimentichi
che, per altro orientamento consolidato dello stesso giudice di legittimità, il
coniuge richiedente dovrà dimostrare di avere ragioni obiettive che impediscono
il reperimento di fonti indipendenti di reddito per lavoro od altro.
L'evoluzione degli
orientamenti in materia poteva già immaginarsi alla luce della sentenza n. 11
dell'11 febbraio 2015 della Corte costituzionale, la quale aveva dichiarato
infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge
sul divorzio in materia di riconoscimento dell'assegno divorzile, in violazione
degli artt. 2, 3 e 29 Cost. Già la Corte, pur dichiarando infondata la
questione, aveva ammonito il giudice di legittimità sul non essere il tenore di
vita goduto durante il matrimonio l'unico parametro di riferimento ai fini
della statuizione sull'assegno divorzile, evidentemente lasciando spazio ad
un'interpretazione diversa della norma.
Già la Corte di Cassazione
con la sentenza 3 aprile 2015 n. 6855 aveva iniziato l'opera di
ridimensionamento della norma sull'assegno divorzile negando a chi avesse
costituito, dopo lo scioglimento del matrimonio, una convivenza, ancorché
questa convivenza fosse cessata, di poter pretendere il versamento dell'assegno
divorzile. Afferma il Giudice Supremo che l'instaurazione della convivenza
interrompe definitivamente il cordone ombelicale con il matrimonio precedente
assumendo l'avente diritto in tal modo il rischio in relazione alle vicende
successive della famiglia di fatto instaurata, circa la possibilità di una
cessazione del rapporto tra conviventi, della definitiva perdita dell'assegno
divorzile. Perduto l'assegno per la convivenza, l'assegno non poteva più
resuscitare per l'interruzione della stessa convivenza.
Oggi, con la pronuncia in
commento, la Suprema Corte compie un passo più lungo eliminando definitivamente
il parametro del "tenore di vita" e indirizzando il giudice del merito verso
una valutazione, ai fini dell' "an debeatur" della mancanza di mezzi
adeguati o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, potendo all'esito
di tale giudizio, ai fini del quantum, valutarsi gli ulteriori parametri
costituiti dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico
dato da ciascuno, dal reddito di entrambi, valutandoli alla luce della durata
del matrimonio sulla base di pertinenti allegazioni, deduzioni e prove ai sensi
dell'art. 2697 c.c., esaltando, anche nella materia, e correttamente, i
principi di un processo dispositivo.
Anche quest'ultimo aspetto
deve evidenziare il segno di un'evoluzione ove, al di fuori dei diritti
economici e personali del figlio, che restano ancorati alle caratteristiche di
diritto indisponibile (seppure con le attenuazioni dovute alla disciplina della
negoziazione assistita), il tema del contributo al mantenimento o dell'assegno divorzile
a favore del coniuge acquista quei connotati di piena disponibilità che rendono
ragione di un processo civile governato dal principio di disponibilità, cui
seguirà un onere particolare per i difensori delle parti che chiedono il
riconoscimento di un assegno di mantenimento.
Prof. Avv. Claudio
Cecchella, Università di Pisa.
Presidente dell'Osservatorio
Nazionale sul diritto di famiglia.
autore: Fossati Cesare
Domenica, 17 Marzo 2019
All'esame del Parlamento il progetto di legge di modifica della disciplina sull'assegno ... |
Mercoledì, 11 Luglio 2018
Le Sezioni Unite della Cassazione si pronunciano sull'assegno di divorzio: sentenza n. ... |
Giovedì, 21 Settembre 2017
Assegno di divorzio. Il punto di vista dell'Avv. Gianfranco Dosi. |
Sabato, 27 Maggio 2017
L'opinione dell'Avv. Gianfranco Dosi sulla sentenza n. 11504 del 2017 , in ... |