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Art. 428 c.c., impugnazione del matrimonio da parte degli eredi e profili di legittimità costituzionale (Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14794).

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L'art. 428 cod. civ., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e di volere, non si applica in ambito matrimoniale, il cui regime delle invalidità è disciplinato da norme speciali, le quali, nel bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al matrimonio e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del "de cuius" allo scopo di ottenere l'annullamento del suo matrimonio, assegnano preminenza, in modo non irragionevole, all'esigenza di tutela del primo e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. Ne consegue la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 120 e 127 cod. civ., con riferimento all'art. 3 Cost., laddove esclude la legittimazione piena ed autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e di volere.


Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14794


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Roma, con sentenza 30 novembre 2011, ha rigettato il gravame proposto da (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la loro domanda di annullamento del matrimonio contratto, in data (OMISSIS), dal loro fratello (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS), con (OMISSIS), che affermavano essere stato contratto, a loro insaputa, in stato di assoluta incapacita' di intendere e volere del loro congiunto in quanto affetto da gravi patologie e con il contributo decisivo e in malafede della (OMISSIS), che svolgeva l'attivita' di collaboratrice domestica in casa del defunto. La corte, condividendo la valutazione del primo giudice che aveva dichiarato il difetto di legittimazione ad agire degli attori, sul presupposto della inapplicabilita' dell'articolo 428 c.c., in tema di annullamento degli atti negoziali compiuti da persona incapace d'intendere e volere, ha ritenuto applicabile la norma speciale di cui all'articolo 127 c.c., che prevede la intrasmissibilita' dell'azione per l'impugnazione del matrimonio, salvo che il giudizio sia gia' pendente alla morte del coniuge-attore; ma (OMISSIS) non aveva proposto alcuna azione per l'annullamento del proprio matrimonio, con la conseguenza che non si era realizzato il presupposto previsto dall'articolo 127 per poter riconoscere la legittimazione ad agire in capo agli eredi.

Costoro ricorrono avverso questa sentenza sulla base di due motivi cui resiste la (OMISSIS). I ricorrenti hanno prodotto una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va dichiarata la inammissibilita' della memoria dei ricorrenti ex articolo 378 c.p.c., perche' tardivamente depositata il 26 maggio 2014, senza rispettare il termine di "non oltre cinque giorni prima dell'udienza" di discussione del 30 maggio 2014, giorno da cui il termine dev'essere computato ma senza includerlo nel computo, mentre e' da considerare come dies ad quem il giorno terminale del computo a ritroso che deve essere computato in base al principio generale di cui all'articolo 155 c.p.c., e articolo 2963 c.c. (v. Cass. n. 17021/2003, n. 1926/1998); e poiche' il quinto giorno era domenica (25 maggio), stanti le proroghe previste dall'articolo 155 c.p.c., commi 4 e 5, l'ultimo giorno utile per il deposito della memoria era il 23 maggio (venerdi').

I ricorrenti deducono vizi di motivazione (nel primo motivo) e violazione di legge (nel secondo motivo) per avere i giudici del merito escluso la loro legittimazione ad agire sul presupposto che non si fosse verificata alcuna trasmissione mortis causa dell'azione di annullamento del matrimonio del loro congiunto, senza considerare che costui non aveva potuto proporre in vita alcuna azione di annullamento perche' in stato di incapacita' di intendere e volere e impedito fisicamente; cio' imporrebbe l'applicazione della norma generale di cui all'articolo 428 c.c., e il conseguente riconoscimento della loro legittimazione ad agire, essendo eredi ed interessati all'annullamento di un matrimonio che era pregiudizievole all'integrita' del nucleo familiare e ai loro interessi patrimoniali. Eccepiscono, in subordine, l'illegittimita' costituzionale degli articoli 120 e 127 c.c., se interpretati nel senso, asseritamente irragionevole e quindi in violazione del parametro dell'articolo 3 Cost., di precludere agli eredi l'impugnazione del matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacita' di intendere e volere.

Entrambi i motivi sono infondati.

L'articolo 127 c.c. prevede una eccezione al principio generale che e' espresso nella rubrica ("intrasmissibilita' dell'azione") in modo coerente con la natura di atto personalissimo che e' propria del matrimonio e, allo stesso tempo, stabilisce anche un preciso limite alla possibilita' che soggetti terzi, seppur qualificati come gli eredi, siano ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volonta' (articoli 122 e 123 c.c.) o da incapacita' di intendere e volere (articolo 120 c.c.). Tale possibilita' sussiste, infatti, solo nel caso in cui l'azione sia stata gia' esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacita' di intendere e volere risulti viziata, nel qual caso l'azione e' trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia "gia' pendente alla morte dell'attore" (rimane comunque impregiudicata la legittimazione all'impugnazione da parte degli eredi nei casi - diversi da quello in esame - in cui la legge la riconosca a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale, a norma degli articoli 117 e 119 c.c.).

L'ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto di volonta' che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, la quale viene a mancare in tutti i casi in cui la sfera volitiva e cognitiva del coniuge sia pregiudicata da cause di qualunque natura, temporanee o permanenti (e' utile ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza n. 32/1971, dichiaro' la incostituzionalita' della Legge n. 847 del 1929, articolo 16, recante disposizioni per l'applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte in cui non prevedeva l'impugnazione della trascrizione del matrimonio nel caso in cui uno degli sposi fosse in stato di incapacita' naturale al momento del matrimonio in forma concordataria). Ed e' per questo che e' ammessa la trasmissibilita' dell'azione impugnatoria che puo' essere solo proseguita dagli eredi, ma si tratta di una eccezione (al principio del carattere personale della stessa) che fa escludere la possibilita' di una interpretazione estensiva o analogica dell'articolo 127 c.c.. Se ne ha conferma nell'orientamento di questa corte che ha escluso la legittimazione degli eredi del coniuge deceduto a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullita' del matrimonio religioso, ai sensi dell'articolo 8 dell'Accordo firmato in Roma il 18 febbraio 1984, che ha modificato il Concordato lateranense del 1929, trattandosi di un potere che spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal codice civile (v. Cass. n. 22514/2004, n. 17595/2003).

I ricorrenti lamentano il vuoto normativo che verrebbe a crearsi se si escludesse la legittimazione piena e autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio del de cuius, in mancanza di un giudizio impugnatorio gia' introdotto dal coniuge in vita.

Non si tratta tuttavia di un vuoto normativo, ma di una precisa scelta del legislatore che trova giustificazione nel fatto che il coniuge incapace di intendere e di volere e' legalmente capace e, quindi, esclusivo titolare del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio (articolo 120 c.c.), a differenza del coniuge interdetto il cui matrimonio puo' essere impugnato "da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo" oltre che dal tutore e dal pubblico ministero (articolo 119 c.c.). La previsione che esclude l'impugnabilita' da parte dello stesso coniuge incapace quando vi sia stata coabitazione per un anno dopo che egli abbia recuperato la pienezza delle facolta' mentali (articolo 120 c.c., comma 2) costituisce ulteriore segnale del carattere personale della scelta impugnatoria, in quanto integrata dalla presunzione legale di rinnovazione del consenso matrimoniale per effetto della coabitazione. Si deve quindi escludere l'importazione in ambito matrimoniale dell'articolo 428 c.c., che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e volere, trovando applicazione le norme speciali in tema di invalidita' del matrimonio (le quali, tra l'altro, non danno rilevanza allo stato soggettivo dell'altro coniuge, a differenza di quanto previsto per i contratti il cui annullamento presuppone la malafede dell'altro contraente, a norma dell'articolo 428 c.c.).

Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio, proponendo l'azione di impugnazione, e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacita' del medesimo allo scopo di ottenere l'annullamento del matrimonio, con indubbi riflessi nei loro confronti sia sul piano personale che su quello patrimoniale, e' rimesso alla valutazione del legislatore, che in modo non irragionevole ha ritenuto preminente l'esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignita' di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. La proposta questione di legittimita' costituzionale e' quindi manifestamente infondata, stante la ragionevolezza della scelta legislativa che e' sottesa agli articoli 120 e 127 c.c., ma sono necessarie alcune precisazioni.

Il riconoscimento all'erede del diritto di proseguire l'azione impugnatoria gia' iniziata dal coniuge costituisce uno strumento di realizzazione di un interesse del de cuius e, solo indirettamente, dello stesso erede all'eliminazione dell'altro coniuge dal novero dei legittimari. Condivisibili esigenze di tutela del de cuius hanno indotto una dottrina ad invocare l'intervento del legislatore per rivedere la regola dell'articolo 127 c.c., al fine di consentire l'impugnativa degli eredi nei casi in cui il coniuge poi deceduto sia ancora in termini per promuovere l'impugnazione di un matrimonio che, altrimenti, resterebbe inattaccabile. In effetti, l'interesse del de cuius potrebbe rimanere pregiudicato qualora l'ordinamento non apprestasse alcun rimedio in presenza di uno stato di incapacita' (non legale) persistente e qualora sopraggiunga la morte prima che il coniuge abbia recuperato la pienezza delle facolta' necessarie a comprendere il significato giuridico e sociale dell'impegno matrimoniale assunto e, quindi, ad autodeterminarsi consapevolmente.

Si pensi ai casi in cui la sentenza d'interdizione non arrivi in tempo o il giudizio di interdizione non sia nemmeno introdotto, anche tenuto conto dell'evoluzione giuridica e sociale che ha limitato il ricorso all'interdizione (anche in situazioni che potrebbero giustificarla in astratto) a favore di uno strumento di assistenza meno afflittivo come l'amministrazione di sostegno, che sacrifica nella minor misura possibile la capacita' di agire della persona bisognosa, nonche' maggiormente idoneo a soddisfare le esigenze di chi si trovi nella impossibilita', anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, in ragione dell'eta' avanzata o in condizioni di infermita' o precarieta'.

Se in tali situazioni il matrimonio fosse inattaccabile, davvero potrebbe risultare vulnerato il diritto della persona di effettuare la scelta di contrarre matrimonio in modo libero e consapevole, la cui importanza e' riconosciuta dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia conlegge 3 marzo 2009 n. 18 (sulla tutela delle persone con disabilita' cui dev'essere assicurata "la liberta' di compiere le proprie scelte", nel rispetto delle proprie volonta' e preferenze "scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita"), e potrebbero rimanere inattuati i principi di dignita' della persona (articolo 2 Cost.) e di pienezza della tutela giurisdizionale (articolo 24 Cost.) che dev'essere assicurata a tutti i cittadini (articolo 3 Cost.).

Un simile vulnus puo' essere, tuttavia, scongiurato o limitato, alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva che ammetta la possibilita' per l'amministratore di sostegno, qualora nominato (ed esclusi i casi di conflitto di interessi), di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nella espressione della propria volonta', preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni, anche relativamente al compimento di atti personalissimi, come ritenuto da una giurisprudenza di merito avanzata che lo ha autorizzato, previo intervento del giudice tutelare, a proporre ricorso per separazione personale o per cessazione degli effetti civili del matrimonio del beneficiario.

Numerosi sono, in effetti, gli indici normativi che possono essere valorizzati nel senso di un ridimensionamento della portata assoluta del divieto di intervento nel compimento di atti personalissimi da parte di terzi: si pensi all'articolo 411 c.c., u.c., che consente al giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell'amministratore o in uno successivo, di stabilire che "determinati effetti, limitazioni o decadenze" previsti per l'interdetto o l'inabilitato si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno; alla Legge n. 898 del 1970, articolo 4, comma 5, che, nell'interpretazione data da questa corte (Cass. n. 9582/2000), consente la nomina di un curatore speciale per proporre la domanda di divorzio; alla Legge n. 194 del 1978, articolo 13, che ammette la richiesta di interruzione della gravidanza manifestata dal tutore della donna interdetta; all'articolo 6 della Convenzione di Oviedo (sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina) del 4 aprile 1997 che ammette il consenso del rappresentante ai trattamenti sanitari in caso di incapacita' del paziente, ecc. Inoltre, questa corte ha avuto occasione di precisare che "il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace comporta che il riferimento all'istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore, il quale e' investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza ... la rappresentanza del tutore e' sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non al posto dell'incapace ne' per l'incapace, ma con l'incapace" (v. Cass. n. 21748/2007).

In conclusione, il prospettato dubbio di legittimita' costituzionale degli articoli120 e 127 c.c., puo' essere superato aderendo ad una interpretazione evolutiva e di sistema che offra alla persona coniugata o in procinto di contrarre matrimonio gli strumenti per esercitare, direttamente o indirettamente, il diritto fondamentale di autodeterminarsi nella scelta consapevole di impugnare il matrimonio e, in via preventiva, di contrario in condizioni di piena liberta' e senza condizionamenti (dovendosi rilevare che, nella specie, l'impugnato matrimonio e' stato contratto da persona legalmente capace e non sottoposta ad amministrazione di sostegno).

Il ricorso e' quindi rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in considerazione della novita' delle questioni trattate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio.



autore: Campione Francesco