Rito applicabile al procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità (Trib. Milano, sez. IX civ., ordinanza 29 aprile 2013, est. G. Buffone)
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A seguito
della riforma dell'art. 38 disp. att. c.c., introdotta con la legge 10 dicembre 2012, n. 219, sull
'azione mirante ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità è sempre competente il Tribunale
Ordinario, anche nel caso di figlio minore. Pertanto troverà applicazione non il rito camerale, ma il
procedimento ordinario di cognizione, non applicandosi più l'art. 68 l. n. 184/1983, ma al contrario
operando la disposizione generale di cui all'art. 9 comma 2 c.p.c. Qualora il procedimento sia stato
erroneamente introdotto con ricorso, il Giudice ordinerà d'ufficio il mutamento di rito, con
contestuale integrazione dell'atto.
Con atto depositato in Cancelleria in data 10 aprile 2013,
il minore ….. rappresentato dalla propria madre ex art. 273 comma I c.c., propone azione per la
dichiarazione giudiziale di paternità, evocando in giudizio il presunto genitore ….. L'atto
introduttivo del procedimento rivesta la forma del ricorso. La forma introduttiva del rito non è
corretta.
In virtù della nuova formulazione dell'art. 38 disp. att. c.c., per effetto della
legge 10 dicembre 2012 n. 219, la competenza sull'art. 269 c.c., anche in caso di minori, è del
Tribunale ordinario. Quanto al rito da seguire dinanzi al giudice di nuova designazione, secondo Trib.
Varese, sez. I, ordinanza 22 marzo 2013 (est. Cavallaro, in www.ilcaso.it) e Trib. Velletri, sez.
civ., ordinanza 8 aprile 2013 (est. Reggiani), deve optarsi per il modello processuale di cognizione
ordinaria. L'opinione espressa dai primi giudici di merito è confortata anche dai primi commenti di
dottrina in cui si è osservato che «la nuova legge, là dove non riproduce nel catalogo delle
controversie affidate al giudice specializzato le controversie di cui all'art. 269, comma 1, c.c.,
restituisce al tribunale ordinario i giudizi dichiarativi della paternità o della maternità naturale
di figli minori e il relativo procedimento si svolge ora, anche quando si tratta di figli minori,
nelle forme del processo ordinario di cognizione». Altri Autori hanno affermato che «per la
dichiarazione giudiziale della paternità o maternità (già) naturale, quand'anche riguardi un minore
(art. 269, comma 1°, cod. civ.), dovrà per forza di cose seguire il rito ordinario, poiché ha ad
oggetto l'accertamento con autorità di giudicato di uno status soggettivo».
Questo Tribunale
condivide l'opinione della Dottrina e dei giudici di merito già intervenuti. Originariamente, la
competenza per la dichiarazione giudiziale di paternità era concentrata interamente dinanzi al
Tribunale ordinario. L'art. 68 della legge 184-1983 ha, successivamente, modificato il primo comma
dell'art. 38 disp. att. c.c., attribuendo la competenza per materia al Tribunale per i minorenni
sulle controversie di paternità e maternità naturale previste dall'art. 269, comma 1 c.c., relativi a
minori. L'innovazione additiva del citato art. 68, comma I, ha introdotto una deroga all'art. 9,
comma II c.p.c. (Cass. Civ., Sez. Un., sentenza 19 giugno 1996 n. 5629) che, come detto, attribuiva
indistintamente alla competenza del Tribunale ordinario tutte le cause relative allo stato delle
persone. La legge 10 dicembre 2012 n. 219 ha eliminato la innovazione a suo tempo introdotta dall'art.
68 legge adozioni e, conseguentemente, rimosso la «deroga» che quella norma aveva previsto. Ne
consegue che è stato ripristinato il regime giuridico anteriore all'entrata in vigore della legge
184/1983. Orbene, prima della modifica dell'art. 38 disp. att. c.c., ad opera dell'art. 68 l. 184/83,
il procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità riguardo ai minori, seguiva le norme del
rito ordinario e si concludeva con sentenza suscettibile di passare in giudicato (v. ad es., Cass.
Civ., sez. I sentenza 18 gennaio 1980 n. 430). La conseguenza fisiologica è, allora, che – per effetto
della Legge 21972012 – adesso l'azione ex art. 269 c.c., anche in caso di minori, deve seguire il
modello processuale ordinario e non anche quello camerale.
Affermata la necessità del rito
ordinario, occorre interrogarsi circa le sorti del giudizio che sia stato introdotto con ricorso
invece che con citazione. I primi giudici di merito hanno già offerto soluzione al quesito, reputando
possibile e necessaria la conversione del rito ex officio. Si tratta, a ben vedere, dell'applicazione
del principio (ormai) generale scolpito nell'art. 4, comma I, del d.lgs. 1 settembre 2011 n. 150 dove
è regolato il cd. switch procedimentale (mutamente del rito) con una norma applicabile anche dove, in
luogo di uno dei modelli processuali tipici, si sia optato – per errore - per il rito camerale. L'art.
4, comma I, del decreto 150/2011, pur regolando la conversione, non ne esplicita le modalità,
soprattutto là dove come, nel caso di ricorso camerale ex art. 737 c.p.c. in luogo della citazione ex
art. 163 c.p.c., l'atto presenti delle omissioni che non lo rendono conforme al modello introduttivo
previsto dal processo applicabile. In casi del genere, il giudice non può limitarsi a pronunciare la
conversione ma deve provvedere a disporre la integrazione degli atti per ripristinare l'architettura
procedimentale applicabile.
PER QUESTI MOTIVI
Visti gli artt. 269 c.c., 38 disp. att.
c.c.,
DISPONE ex officio il mutamento del rito da camerale a ordinario;
ONERA il ricorrente di
integrare il procedimento mediante deposito in cancelleria, entro la data del 30 giugno 2013,
dell'atto di citazione ritualmente notificato al convenuto, unitamente all'originario atto
introduttivo del giudizio ed all'odierna ordinanza;
FISSA l'udienza ex art. 183 c.p.c.
in data 10 dicembre 2013 ore 9.30 nel rispetto dell'art. 163-bis c.p.c.
MANDA alla cancelleria
per quanto di competenza e per la comunicazione all'attore.
Manda alla Cancelleria anche per la
regolarizzazione fiscale degli atti, ove necessaria.
SI COMUNICHI al P.M. per il suo
intervento.
Milano, lì 29 aprile 2013
Il Giudice
autore: Ortolani Pietro
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