Il danno da lesione di interessi costituzionalmente protetti è un danno non patrimoniale tipico che va sempre dimostrato. Di conseguenza non esiste una categoria generica di danno cosiddetto esistenziale. - Cass. sez. III, 15 luglio 2005, n. 15022
- Danno
non patrimoniale -
Il danno non patrimoniale è una categoria ampia, comprensiva non solo di
quel che un tempo veniva chiamato "danno morale", e cioè della mera sofferenza, ma anche di qualsiasi
altro pregiudizio non suscettibile di valutazione economica. Il danno non patrimoniale, al contrario
di quello patrimoniale è per definizione "tipico": infatti non tutti i pregiudizi o disagi non
pecuniari sono risarcibili, ma solo quelli espressamente dichiarati tali dalla legge, ovvero derivanti
dalla lesione di valori inviolabili della persona. Poiché il danno non patrimoniale è essenzialmente
tipico, cioè risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, non è concepibile nel nostro ordinamento
alcuna generica categoria di danno non patrimoniale definibile come "danno esistenziale", nella cui
genericità e indefinitezza confluiscono pregiudizi patrimoniali atipici e perciò irrisarcibili alla
stregua dell'art. 2059 cod. civ. Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in
quanto scaturente da un valore della persona costituzionalmente garantito, è sempre risarcibile ex
art. 2059 cod. civ. Tale danno tuttavia non è mai "in re ipsa", ma va debitamente dedotto e
dimostrato, sia pure in base al notorio o a presunzioni semplici. La circostanza che l'attore si sia
limitato a domandare il risarcimento dei "danni morali", senza ulteriori specificazioni, non comporta
di per sé la volontà di abdicare al risarcimento degli ulteriori e diversi danni non patrimoniali
eventualmente patiti (segnatamente, i pregiudizi non patrimoniali costituiti dalla lesione di
interessi costituzionalmente protetti), a meno che tale volontà non sia chiaramente ricavabile in via
interpretativa dal contesto dell'atto di citazione.
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