La Cassazione solleva (per la seconda volta) la questione di costituzionalità della fase di ammissibilità nel procedimento per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale promossa dal figlio maggiorenne. - Cass. sez. I, 26 novembre 2004, n. 22351
- Dichiarazione giudiziale di paternità naturale -
In riferimento agli, articoli 2, 3, 24, 30
e 111 della Costituzione, non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell'articolo 274 del codice civile. Posto, infatti, che la ratio del giudizio preliminare di
ammissibilità dell'azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale è quella
di evitare ,la proposizione di azioni temerarie o infondate con intenti meramente ricattatori o
vessatori nei confronti del preteso genitore (al quale fine, appunto, era stato predisposto un vaglio
preventivo della domanda con procedimento strutturato in modo da garantire la segretezza
dell'indagine) è innegabile che a una siffatta ratio non è sostanzialmente più rispondente l'istituto
di cui all'articolo 274 del codice civile, come attualmente disciplinato, stante la pubblicità
dell'udienza, innanzi alla Corte di cassazione, la quale porta inevitabilmente a conoscenza della
generalità dei cittadini proprio quegli elementi di fatto che l'articolo 274 del codice civile
vorrebbe sottrarre alla, conoscenza pubblica. Inoltre la reiterabilità, senza alcun limite temporale,
della domanda di ammissibilità sulla base di elementi ulteriori, rispetto a quelli in presenza dei
quali l'ammissibilità sia stata in precedenza negata, finisce paradossalmente con l'aggravare, anziché
tutelare la posizione del convenuto, lasciandolo esposto, a tempo indeterminato, a nuove chiamate in
giudizio ex articolo 274 del codice civile, mentre in. caso di, rigetto della domanda direttamente nel
giudizio di merito egli sarebbe definitivamente cautelato dal giudizio di accertamento negativo della
sua pretesa paternità. (La prima sezione della Corte di Cassazione aveva già sollevato la questione di
costituzionalità nel 2003 (Cass. sez. I, 4 luglio 2003, n. 10625 in Giustizia civile, 2004, 1, 99 e in
Famiglia e diritto, 2003, 538) ma la Corte costituzionale l'aveva dichiarata inammissibile (Corte
costituzionale, 11 giugno 2004, n. 169 in Famiglia e diritto, 2004, 5, 451) sul presupposto che la
Corte remittente avrebbe omesso di individuare correttamente la norma denunciata e le ragioni che la
ispirano e non avrebbe tenuto conto della modifica che la stessa norma aveva subito per effetto della
pronuncia additiva di cui alla sentenza della Corte costituzionale n. 341/1990).
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