L'assegnazione della casa familiare non può essere strumento di perequazione economica tra i coniugi ma è ammissibile solo a tutela dei figli. - Cass. sez. I, 6 luglio 2004, n. 12309
- Presupposti -
In materia di separazione e di divorzio,
l'assegnazione della casa familiare, malgrado abbia anche riflessi economici, particolarmente
valorizzati dall'art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 (come sostituito dall'art. 11 della
legge n. 74 del 1987), risulta finalizzata alla esclusiva tutela della prole e dell'interesse di
questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, non potendo essere disposta, a titolo
di componente degli assegni rispettivamente previsti dagli arte. 156 cod. civ. e 5 della legge n. 898
del 1970, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, a garanzia delle
quali sono destinati unicamente gli assegni sopra indicati, onde la concessione del beneficio in
parola resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento di figli minori o della
convivenza con figli maggiorenni ed economicamente non autosufficienti, laddove, nell'ipotesi in cui
l'alloggio "de quo" appartenga in proprietà ad uno solo dei coniugi e manchino figli in possesso dei
requisiti anzidetti, il titolo di proprietà vantato da quest'ultimo preclude ogni eventuale
assegnazione dell'immobile all'altro, rendendo poi ridondante e superflua ogni e qualsivoglia
pronuncia di assegnazione in favore del coniuge proprietario.
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